Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Libro III/Capo V

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Capo V –Arti liberali

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Libro III - Capo IV
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Capo V.

Arti liberali.

I. Le repubbliche italiane nel secolo precedente avean gareggiato a vicenda nel promuovere e nel fomentare le belle arti, e nelle lor fabbriche singolarmente avean fatta pompa di una sì splendida magnificenza, che potea destare maraviglia ei’invidia ne’ popoli confinanti. 11 cambiamento di governo, che in questo secolo accadde, per cui molte delle provincie d’Italia divennero soggette a’ principi, o da esse spontaneamente acclamati a loro signori, o giunti colla potenza e coll’armi ao’ottenerne il dominio, non solo non pose freno a tal lusso, ma sembrò anzi accrescerlo vie maggiormente. I nuovi sovrani bramosi di far pompa della loro grandezza, e di tenere con essa in rispetto i sudditi, e in timore i nemici, intrapresero opere ee’edifici di sì gran mole, che anche al presente si veggono con istupore, e ci fan confessare che se noi superiara di molto i nostri maggiori nella finezza del gusto, siam loro di lunga mano inferiori in grandezza c in magnificenza. Io verrò additando, come per saggio, alcune delle grandi [p. 968 modifica]9G8 LIBRO opere in questo secolo eseguite; perciocchè troppo lungo sarebbe il voler cercare minutamente ogni cosa. II. I Visconti che per estensione di dominio furono in questo secolo i più potenti fra’ principi italiani, diedero anche più splendide pruove della loro grandezza. Il celebre ponte di Pavia sotto il Tesino fu cominciato l’an 1351 essendo ivi podestà Giovanni da Mandello nobile milanese, e nello spazio di un anno ne furon gittati i primi cinque archi, come da una iscrizione, che leggesi sullo stesso ponte, dimostra il ch. conte Giulini Continuaz. delle Mem. di Mil t. 2 , p. 511, ec.). Allora non avea per anco Galeazzo \ isconti ottenuta la signoria di quella città, ma ei F ebbe poscia l’an 1359, ed è probabile che a lui si dovesse il compimento di quell1 opera maravigli osa. Del palazzo eli* ei fece innalzare in Pavia , sembrano gareggiare tra loro gli storici di que’ tempi nclF esaltarne la singolare magnificenza. Pier Candido Decembrio dice (Vit. Phil. Vicecom. c. 49? Script Rer. ital. vol. 20) che non avea il somigliante in tutta f Italia 5 e Andrea Biglia va ancor più oltre, affermando (Script Rer. ital. vol. 19, p. 34) eli1 ei non sa se v1 abbia il più magnifico in tutto il mondo. Di esso ancora parla il Petrarca, scrivendo al Boccaccio: Tu avresti qui veduto, gli dice (Senil. l. 5, ep. 1), il gran palazzo cui il magnanimo Galeazzo Visconti, signor di Milano e di molte altre città all’intorno , ha fatto qui innalzare, uomo che in molte cose supera molti, ma nella magnificenza del fabbricare vince se \ [p. 969 modifica]TERZO c/k) sù’sso. Io creilo certo, se non ni inganna l’amor che porto a questo principe, che tu ancora , giudice saggio qual sei,! l’avresti stimato il più magnifico di quanti ve n abbia. Veggasi inoltre la minuta descrizione, che ci ha tramandata il Fiamma (Script. rer. ital. vol. 11, p. 1005, 1010, ec.), delle grandiose e reali fabbriche innalzate dall’arcivescovo Giovanni e da Azzo Visconti} e quella, che Pietro Azzario ci ha lasciata (ib. vol 16, p. 4°2? <!C-) > de’ sontuosi edificii dal sopraddetto Galeazzo eretti in Milano; ed esse potran bastare a farci conoscere quali immensi tesori dovessero essi profondere in opere sì dispendiose. Ma Giangaleazzo Visconti, clic nell ampiezza del dominio superò tutti i suoi antenati, li superò non meno nella magnificenza degli edificj. E ne sia in pruova , per tacer di più altre , il Duomo di Milano, che, non ostante i difetti del suo disegno, sarà sempre considerato come una delle più ammirabili fabbriche che veggansi al mondo. L’eruditissimo e diligentissimo co. Giulini ha raccolte con singolare esattezza le memorie , finora per lo più sconosciute, intorno alla prima origine di esso, agli architetti che vi furono adoperati, alle contese che insorsero intorno al disegno, e ci ha data una compita storia di questa fabbrica maravigliosa (l.cit.p. \\i7?ec., 584, ec> 598, ec.) dal 1386, in cui fu cominciata, fino al i3y7 (a). La comune opinione si (a) La morte da cui fu troppo presto rapito questo valoroso scrittore, non gli ha permesso d: in noi trarsi molto più avanti in questa grand’opera. Alcune altre [p. 970 modifica]gjo LIBRO è che tedeschi ne fossero almeno in gran parte gli architetti. Ma questo dotto scrittore, colt esame delle più autentiche memorie, ha dimostrato ch’essi furono per lo più italiani; che il primo fu un cotal Marco da Campione, terra posta fra i laghi di Como e di Lugano; che solo nel luglio del 1388 fu chiamato un cotal Niccolò de’ Buonaventuri natio di Parigi; ma che così egli, come tutti gli altri ingegneri stranieri che nel corso dì questo secolo furono in quella fabbrica adoperati, vi ebbero corta durata, e fra non molto vennero congedati. Questo tratto di storia è degnissimo a esser letto per le belle e finora sconosciute notizie che ci somministra di molti architetti , scultori e pittori, sì italiani come stranieri, che in quella fabbrica furono adoperati. Ma a me basta qui P accennarlo, per non dilungarmi oltre il dovere. Lo stesso Gian Galeazzo, seguendo P esempio di Giovanni Visconti che fondata avea una Certosa presso la terra di Garegnano non lungi dalla città di Milano, un’altra con assai maggiore magnificenza ne fondò presso Pavia (ib. p. 585, 599). Di lui ancora racconta il Borsieri (Suppl alla Nobiltà di MiL c. 16), belle notizie intorno alla fabbrica di questo celebre Duomo si posson vedere nella Nuova Guida di Milano, ove si osserva, fra le altre cose (p. 415,ec.), che comunque la fabbrica ne fosse cominciata soltanto all’anno indicato , par nondimeno che il disegno ne fosse di molti anni più antico, e che è verisimile che que* che si nominano come ingegneri e architetti di essa, soprantendessero bensì al lavoro, ma nou fusser gli autori del mentovato disegno. [p. 971 modifica]TERZO 97 1 die stabilita avea in sua corte un’accademia d’architettura, a cui, fra gli altri, soleano intervenire due pittori milanesi lodati assai dal Vasari (Vite de’ Pitt. t. 1 , p. 427 * 4^9 * Livorni.), Giovanni e Michele. Il Borsieri non è autore la cui parola possa bastarci per pruova. Nondimeno essendosi radunati in Milano tanti pittori e architetti e scultori eccellenti per la fabbrica del Duomo, è verisimile che Giangaleazzo godesse spesso di udirli ragionare tra loro su quell’immenso edificio, e che desse così in qualche modo principio a cotale accademia. Lo stesso principe, per testimonianza dello scrittore degli antichi Annali milanesi (Script Rer. ital. vol 16, p. 835), poco innanzi alla sua morte fece intraprendere il lavoro di un canale di sette miglia di lunghezza sul Padovano, per divertire altrove le acque della Brenta. Finalmente non è a tacere un ardito , benchè inutile, tentativo fatto dal medesimo principe a danno de’ Gonzaghi signori di Mantova , di cui troviamo memoria negli antichi Annali estensi (ib. vol 15, p. 529)). Domenico da Firenze, architetto di Giangaleazzo, propose il taglio di un monte, con cui sarebbesi impedito il corso del Mincio, sicchè più non andasse a cingere e a difendere quella città. L’opera fu cominciata, e fu per qualche tempo continuata con infinito dispendio. Ma finalmente si riconobbe Pimpossibilità di condurla a compimento. E questi è quel Domenico da Firenze, che stando fanno i |oi) all’assedio della cittadella di Reggio, fu infelicemente ucciso da un colpo di bombarda (Delayto, Ann. estens. vol. 18 Script. Rer. ital. p. ioj5). [p. 972 modifica](JJ2 LIBRO III. Somiglianti esempi di regia magnificenza diedero in questo secol medesimo, nell’adornare di sontuosi edificii la lor città di Ferì ara, i marchesi d’Este. Molti singolarmente se ne annoverano del marchese Alberto, e fra gli altri il palazzo magnifico di Belfiore presso la detta città, che fu compito l’anno 1392(ib. p. 525). Ei valeasi di un famoso architetto, detto Bertolino da Novara, di cui veggiamo che anche al principio del secolo seguente servivasi il marchese Niccolò III (vol 18, p. 1012, ec.), massimamente nel fortificare la città medesima e più altri luoghi de’ suoi Stati. Le fabbriche di cui il marchese Alberto avea abbellita Ferrara, e più ancora il solenne onore concedutole di una pubblica università, risvegliò in quei cittadini tai sentimenti di gratitudine, che fanno i3i)3 i Ferraresi a pubbliche spese gf innalzarono una statua di marmo. Ecco la narrazione di questo memorabil fatto, qual si ha nell’antica Cronaca Estense pubblicata dal Muratori (ib. vol. 15 , p. 529): Item die proxima saprai He fa videlicet die Festi Sanctae Mariae XXV Martii statua marmorea illustris et magnifici Domini Marchionis praefati in propatulum posita fuit, quae infixa est in anteriori capite Majoris Ecclesiae Ferrariensis ex opposito palatii Domini Marchionis cum insculpto prope in tabula marmorea cum literis aureatis tenore Privilegii Papalis concessi Ferrariensibus, studio et impetratione praefati Domini Marchionis, quando fuit Romae; quod videlicet Ecclesiastica bona non recidant etc. Quam quidem statuam Sapientes et Communitas Ferrariae pubblico sumptu [p. 973 modifica]TERZO ij~’5 construi, et ita imponi fecerunt in aeternam laudem et memoriam Domini sui dilet tissimi praelibati. Così i Ferraresi rinnovaron gli antichi esempii di Atene e di Roma. E noi abbiamo veduto in quest’anno medesimo (1774) ren" dersi per le stesse ragioni da’ Modenesi un somigliante attestato di riconoscenza e d1 ossequio nella magnifica statua equestre innalzata al gloriosissimo regnante sovrano Francesco III, il quale superate avendo le glorie de’ suoi illustri antenati, era ben degno di uno de’ più bei monumenti che alla beneficenza di un principe ergesse mai il figliale amor de’ suoi sudditi (a). IV. Io potrei similmente venir additando altri grandiosi edifici de1 Carraresi, degli Scaligeri c di altri principi italiani nelle loro città; ina la brevità, di cui mi son prefisso di usare in questo argomento, non mi permette di stendermi più oltre. Solo non voglionsi passare sotto silenzio due fabbriche in questo secolo intraprese, che degne sono di più distinta memoria. (a) Do vernasi qui aggiugnere molte magnifiche fabbriche in questo secolo innalzate in Napoli dal re Roberto e da’ suoi discendenti , e in Sicilia dagli Aragonesi. Al mio involontario silenzio su questo punto ha abbondevolmente supplito il eli. sig. D. Pietro Napoli Signorelli, il quale con molta diligenza le ha annoverate e descritte (Vicende della Coltura nelle Due Sicilie , t,3. p.t)6\ ec.); e trattiensi singolarmente in descriver le fabbriche disegnate e dirette da Tommaso degli Stafani il giovane , detto Masuccio secondo f che si vuol considerare, dic’egli, come il Buonarruoti del secolo xiv, il che egli pruova esaminando il celebre, ma non finito campanile della chiesa di Santa Chiara in Napoli (ivi p. 108, ec.). [p. 974 modifica]974 LIBRO La prima si è una delle più magnifiche chiese di cui vada adorna l’Italia, cioè quella di s Petronio di Bologna, ch’ebbe cominciamento l’an 1390. A dì 7 di Giugno, si dice nell’antica Cronaca italiana di quella città (ib. vol 18, p. 543), nel Mercoldì la mattina a ore undici fu messa la prima pietra nel fondamento della Chiesa di Messer San Petronio, e fu verso la Chiesa di Santa Maria de9 Ri istigarli. Questa pietra si condusse da San Pietro, e ivi fu sacrata, e fu condotta per mano di due Confalonieri del Popolo, che furono R enei viene di Castello, e Niccolò dalla Foglia Notajo, e fu accompagnata da’ Signori Anziani e dai Collegj , e con tutto il Clero di Bologna, e sonarono le campane, finchè la detta pietra fu messa nel fondamento, e si tennero serrate dalla mattina fino a terza le botteghe. In questa pietra era scolpita l’Arme del Comune di Bologna. L’altra è la celebre torre di Santa Maria del Fiore in Firenze, una delle più grandi e delle più vaghe d’Italia. Giotto ne fu l’architetto, e, secondo il Vasari (Vite de’ Pitt., ec. t 1, p. 323), gittossene la prima pietra l’anno 1334? {J di luglio. Giovanni Villani però discorda nel giorno, e ne fissa il principio a’ 18 dello stesso mese (l. 11 , c. 12). Io non parlo qui della torre di Modena, poichè già altrove abbiam toccato ciò che ad essa appartiene (t 3, p. 679) (*). (*) Fra’ più illustri architetti di questo secolo non doveasi tacere F. Giovanni delf Ordine degli Eremitani di S. Agostino, uomo di non ordinario valore, ingegnere del Comune di Padova , e autore, fra le altre cose f del modello del celebre coperto della sala della Ra[p. 975 modifica]TERZO y~Ì> Non tleesi però passare sotto silenzio il nome di uno scultore che non sol nel lavoro di essa, ma in quello ancora del pulpito di questa cattedrale adoperossi allor con gran lode. Ne abbiam la memoria ne’ versi scolpiti sul pulpito stesso che, anche secondo gli antichi Annali modenesi, fu fatto l’an 1322 (Script. rer. ital. vol. 11 , p. 80). Annis progressi de Sacra Virgine Christi Undenis geminis adjectis mille trecentis Hoc Thomasinus de Ferro, planta Johannis , Massarius Sancti venerandi Geminiani Fingi fecit opus; Turrem quoque fino nitere, Actibus llenrici Sculptoris Caropionensis (*). gionc, e adoperato ancora ila’ Comuni di Bossano e di Trevigi. Di esso , dopo altri scrittori padovani, ha piti esattamente e p’ù eruditamente ragionato il eli. signor abate Giuseppe Gennari nella sua belP opera dell1 antico corso de’ fiumi in Padova e ne’ suoi contorni, stampata nel 1777; e in una lettera pubblicata nell’Antologia romana (1777 , giugno , n. LU, p. cc-)• (*) Non Carpionensis, come nella prima edizione si era scritto, ma Campi oncnsis leggesi nell’iscrizione qui riportata, come già avea avvertito il dott. Domenico Vandelli (Meditaz. sulla Vita di S. Gemin. p. 218). Egli crede che qui s’indic hi Compio , castello presso Teramo nell1 Abbruzzo. lo nelle Giunte alla prima edizione credetti più probabile che s? indicasse Campione, terra fra i laghi di Como e di Lugano nella diocesi dì Como, il qual paese è sempre stato fecondo di tali artefici , e di cui fu parimente quel Marco primo architetto del Duomo di Milano, indicato poc1 anzi. Ciò che allora congetturai, è ora certissimo pel documento da me trovato in questo archivio capitolare , da cui si raccoglie che questa famiglia fin dalla fine del XII, o almen dal principio dei XIII secolo avea V impiego di lavorar marmi per questa cattedrale. Esso è de’ 3o di [p. 976 modifica]976 LIBRO V. Per riguardo però a quest’arte, abbiamo la testimonianza di Francesco Petrarca che degli scultori di questa età ci dà non troppo fav ore voi giudizio. Due egregi pittori, dice egli (F’amil. /• 5, ep. 17), benchè di poco leggiadro aspetto , io ho conosciuti; Giotto cittadin fiorentino, di cui grande è la fama tra’ moderni pittori, e Simone da Siena. Ho conosciuti ancora alcuni scultori, ma di minor grido; perciocchè in questo genere questo nostro secolo cede assai a’ passati. E altrove (De Remed. utr. fortun. l. 1 , dial 41). Questa nostra età vanta di aver ritrovata, o, ciò che è quasi lo stesso, di aver migliorata e perfezionata la pittura; ma è certo che nella scultura, e in ogni genere di statue e di vasi, ella non può negare di essere molta inferiore alle altre. E veramente scarso è il numero degli scultori di questo secolo, che troviam presso il Vasari. Perciocchè altri non veggiam nominati che Giotto, di cui direm tra i pittori, Agostino ed Agnolo sanesi, Andrea Orgagna e Andrea da Pisa. Di questo solo, che fu per avventura il più celebre di questa età, direm qui brevemente. Andrea figliuol di Ugolino di Nino, come ei vieu novembre del 1*41, e vi si accennano i patti, clic erano già stali fatti per tai lavori, U*a?l soprastante alla fabbrica di S. Geminiano c /tnsvImum de Campilione Episcopatus Cumani; e nuovi patti ora si fanno con Arrigo fìgliuol di Otacio fìgliuol di Anselmo. Or l’Arrigo da Campione , che lavorò al pulpito e alla torre 1 anno è probabile che fosse figlio di un figlio dell’altro Arrigo che vivea nel i2/j{; e abbiam perciò cinque generazioni di questa famiglia impiegata al servigio di questa cattedrale. [p. 977 modifica]TERZO 977 dotto nell’iscrizione aggiunta alla porta di bronzo del tempio di S. Giovanni in Firenze, che ò lavoro di lui, nacque in Pisa, secondo il Vasari (l. cit. p. 372), l’anno 1370. 1/ osservazion diligente delle antiche sculture che i Pisani dalle marittime loro vittorie riportavano spesso alla patria, risvegliò in lui il desiderio e l’impegno di rinnovare quell’arte, e di ricondurla a quella finezza e a quel gusto da cui tanto erasi allontanata. Avealo la natura fornito di quel talento senza cui niuno fu mai eccellente in alcuna delle belle arti, e il natural talento fu in lui sviluppato e perfezionato dall’indefesso studio. Quindi appena si videro alcune sculture da lui fatte in Pisa, se ne sparse tosto la fama, ed ei fu chiamato a Firenze, ove non v’ebbe opera di qualche momento, che a lui non fosse affidata, e molti marmi di Andrea si veggono ancora nella chiesa di Santa Maria del Fiore, che stavasi allor fabbricando. Egli era ancora intendente d’architettura , e fu adoperato in Firenze e altrove nel disegno di molti edificii che allor s’innalzarono. Ma il maggior pregio di Andrea, e che ottennegli maggior nome, fu l’esser il primo che sapesse maestrevolmente lavorare in bronzo, e se ne vede ancora in Firenze un bel monumento in una delle porte di S.Giovanni, che fu opera di Andrea , e intorno a cui ei lavorò per lo spazio di ventiline anni; benchè altri creda che in questo numero sia corso qualche errore, e che la detta porta fosse compita nello spazio di otto anni. Il Vasari annovera molte delle più ragguardevoli opere di Andrea, e gli onori che per esse ottenne in Firenze, ove ebbe il [p. 978 modifica]0^8 LIBRO diritto della cittadinanza, e fu impiegato ne’ pubblici magistrati. Parla ancora di Nino figliuol di Andrea, che poscia superò ancora nell’eccellenza dell’arte il suo genitore. Egli aggiugne, scriversi inoltre da alcuni, che Andrea chiamato fosse a Venezia a’ tempi del doge Pier Gradenigo, e che oltre alcune statue da lui lavorate in S. Marco, desse ancora il disegno di quel famoso arsenale, ma che di ciò non trovasi certa notizia. Andrea morì in Firenze nell’anno 1345, e al sepolcro gli fu posta questa onorevole iscrizione: Ingenti Andreas jacet hic Pisanus in urna , Marmore qui potuit spirantes ducere vultus , Et sirnulacra Deum mediis imponere templis, Ex aere, ex auro, candenti et pulchro elephanto. VI. A questo celebre scultor pisano mi sia lecito l’aggiugnerne un altro, di cui il Vasari non ha fatta menzione alcuna. Ei fu Giovanni di Balduccio, parimente pisano, che in questo secolo stesso diede egregie pruove del suo valore nella scultura. Tale è certamente la bella arca di marmo, in cui conservasi il corpo di S. Pietro martire nella chiesa di S. Eustorgio de’ Predicatori in Milano; opera, singolarmente se si abbia riguardo a’ tempi in cui fu fatta , di ammirabile lavoro. In essa vedesi scolpito il nome del valoroso artefice. Magister Johannes Balduccii de Pisis Anno Domini MCCCXXXVIII. (V. A Ile gran za, Spiegaz. di antichi Monum. p. 142). Opera dello stesso Giovanni è la porta di marmo della chiesa di Santa Maria di Brera in Milano; e in essa pure se ne legge segnato il nome: 1347. Tempore prelationis Fratris [p. 979 modifica]TERZO 97<J Guilielmi de Corbetta prelati hiijus donius magister Johannes Balduccii de Pisis haedificavit hanc portam (V. Vetera Humil.. Monum, t. 1, p. 329). Un’altra magnifica arca di marmo fu in questo secolo fabbricata, che è uno de’ più bei monumenti che di quest’arte ci abbian lasciato i bassi secoli, cioè quella di S. Agostino nella chiesa di S. Pietro in Ciel d’oro in Pavia. Il P. Romoaldo da Santa Maria in un luogo dice (Papia Sacra pars 1,^99) ch’ella fu cominciata l’anno 1362, in un altro (ib. pars 2, p. 32) l’anno 1372. Ma in niun luogo ci addita chi ne fosse l’artefice, nè io ho potuto trovarne il nome in alcun altro scrittore. Uomo pure eccellente nella scultura dovea essere Ancellotto Braccioforte piacentino 5 perciocché Buonincontro Morigia, ne’ suoi Annali di Monza, racconta che avendo quel Capitolo ricuperato, l’anno 1344 il prezioso suo tesoro, il quale per lungo tempo era stato in deposito in Avignone , e avendone ritrovati non pochi pezzi malconci e spezzati, l’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti mandollo a Monza, perchè il riattasse a dovere, con questa lettera a Jacopo Visconti canonico di quella chiesa. Ecce mitto vobis , quem vocavi, hominem Antellotum Brachium-fortem de Placentia domicellum me uni , plenum spiritu , sapientia; intelligentia, vi , et scientia in omni opere, ad excogitandum fabre quidquid fieri poterit ex auro et argento, aere, marmore, et gemmis (Script. rer. ital. vol. 12, p. 1182). E aggiugne lo storico, ch’egli sì felicemente adoperossi in tal lavoro, che quel tesoro riuscì ancora più vago che dapprima non era. [p. 980 modifica]1)8 O LIBRO VII. La pittura ne’ precedenti tomi ci ha occupati assai lungamente, perchè conveniva o disotterrare memorie finora non conosciute, o esaminare quistioni non ancor ben decise. Il secol presente ci dà un gran numero di pittori , poichè il plauso che ottenuto aveano Cimabue e gli altri dello scorso secolo, avea acceso in non pochi il desiderio di pareggiarne la gloria. Le lor pitture però, che confrontate allora con quelle de’ loro predecessori per poco non sembravan divine, ora appena altro pregio conservano che quello dell’antichità veneranda , per cui volentieri si dimentica la loro rozzezza. Io perciò sarò pago di annoverare alcuni pochi, de’ quali è rimasta più chiara fama. Il Petrarca, nel passo da noi poc1 anzi allegato, fra tutti i pittori dell* età sua dà a due singolarmente la preferenza, cioè a Giotto fiorentino e a Simone da Siena. Di Giotto un breve ma luminoso elogio ci ha lasciato Filippo Villani che, secondo la traduzione pubblicatane dal co. Mazzucchelli, così ne dice (Vite d ili. Fiorent. p. 80, ec.): Dopo lui (Cimabue) fu Giotto di fama illustrissimo, non solo agli antichi pittori egualef ma d arte e d ingegno superiori». Questi restituì la pittura nella dignità antica, et in grandissimo nome, come apparisce in molte dipinture, massime nella porta della Chiesa di San Pietro di Roma, opera mirabile di musaico, e con grandissima arte figurata. Dipinse eziandio a pubblico spettacolo nella Città sua con ajuto di specchi se medesimo, ed il contemporaneo suo Dante Alighieri poeta nella Cappella del palagio della Podestà nel [p. 981 modifica]TERZO 98I muro. Fu Giotto , oltre alla pittura , uomo di gran consiglio, e conobbe V uso di molte cose. Ebbe ancora piena notizia delle Storie. Fu eziandio emulatore grandissimo della Poesia , e della fama piuttosto che del guadagno seguitatore. Le quali cose più stesamente ancora si veggon narrate nell’originale latino pubblicato dall1 ab. Mehus Vita Ambr. camald. p i64)* il quale vi ha aggiunto un simile elogio fattone da Domenico d1 Arezzo. Di lui assai più lungamente ragiona il Vasari (Vite de’ Pitt. t. 1 , p. 302, ec.), e più lungamente non meno che più esattamente il Baldinucci (Notiz. de* ProJèss.y ec., t. 1 , p;. 107, ec.); e non fa bisogno perciò, ch’io mi arresti o a ripetere, o a compendiare ciò ch’essi narrano. Solo ne accennerò poche cose, onde aver qualche idea di sì famoso pittore. Giotto, figliuol di Bondone semplice contadino di Colle nel contado di Vespignano presso Firenze, nacque, secondo il Vasari, l’anno 1276. Il Baldinucci arreca forti ragioni a provare che il nascimento di Giotto deesi anticipar di più anni; ma poscia sembra che per altri assai men forti argomenti venga egli pure nell’opinion del Vasari. Checchè sia di ciò, Giotto nel pascolar le pecore cominciò a disegnar sul terreno, e scorto in quell’atto da Cimabue, questi ammirò il talento del giovane pecoraio, e condottol seco a Firenze, il venne istruendo nella pittura. Diedesi Giotto, dice il Baldinucci, le cui parole io qui riporto per offrire a chi legge il carattere eli’ egli fa delle pitture di Giotto, con la direzione di tal Maestro fervorosamente a studiare, e in bivw Thiaboschi, Voi. VL 3u [p. 982 modifica]982 libro fece profitto così maraviglioso, che affermare si può , c/i ei fosse quel solo Pittore a cui a gran ragione deesi lode di aver migliorata , anzi ridotta a nuova vita l’arte della pittura già quasi estinta: essendo eh e mostrasse alcun principio del modo di dar vivezza alle teste con qualche espressione daffetti d amore, d ira, di timore, di speranza, e simili; s accostasse alquanto al naturale nel piegar de’ panni, e scoprisse qualcosa dello sfuggire e scortare delle figure, e una certa morbidezza di maniera, qualità al tutto diverse da quelle che per avanti aveva tenute il suo Maestro Cimabue, per non parlar più dell intutto dure e goffe usate da’ Greci e da’ loro imitatori. Così formatosi Giotto e sparsosi tosto il nome del suo valore in quest1 arte, non è maraviglia eli1 ei fosse da molti principi italiani quasi a gara invitato. I due suddetti scrittori ci han lasciata una lunga e minuta descrizione di tutte le pitture da Giotto fatte in Firenze, e in più altre città di Toscana, in Roma, in Napoli (a), in Padova, in Verona e in Ferrara eia altri luoghi, molte delle quali pitture tuttor si vedono (*). Nè solo nel (a) Di quelle eh’ei fece in Napoli, consrrvansi ancora quelle della chiesa de’ monaci Certosini di San Martino; ma quelle della chiesa di Santa Chiara furono cancellate per ordine di un di que’ barbari devastatori ile’ monumenti delle belle arti, che pur troppo non son mai mancati alP Italia (V. Si gnor vili , L cit. p. 101). (*) Delle pitture che Giotto fece in Padova, belle e curiose notizie si possono vedere nella Descrizione delle Pitture, ec. di quella città, del sig. Giambattista Rossetti (p. 17, 18, 129, 286, ed. Pad. 1776)* [p. 983 modifica]TERZO 983 dipingere a fresco, ma nel miniare ancora, e nel lavorar di musaico fu Giotto eccellente, di che ci danno più pruove i due suddetti scrittori; e degno è di essere ricordato singolarmente ciò che il Baldinucci racconta, citando la testimonianza di antichi codici, cioè che il Cardinal Jacopo Gaetano degli Stefaneschi donò all1 aitar maggiore della basilica di S. Pietro un quadro di Giotto, per cui pagati gli avea ottocento fiorini d’oro, e che nella stessa basilica fe’ dipingere in musaico a Giotto la navicella di S. Pietro, e il S. Apostolo che passeggia su’ flutti; e che per questo lavoro pagò a Giotto duemila e duecento fiorini d’oro. Il qual prezzo , se non è corso, come il Baldinucci sospetta , qualche errore ne’ numeri, ci dimostra che fin d’allora i pittori ponevano a ben alto prezzo il lor valore. Nè solo era Giotto pittor elegante, ma grazioso ancora e lepido parlatore , mentovato però sovente nelle loro Novelle dal Boccaccio e dal Sacchetti, che ne riportan più motti ingegnosi e faceti. Egli morì in Firenze agli 8 di gennajo del 1336, e fu sepolto in S. Reparata. Il Baldinucci alla Vita di Giotto ha aggiunto l’albero genealogico de’ suoi discendenti , che presso lui può vedersi. Vili. L’altro de’ pittori dal Petrarca lodati, è Simone da Siena (a), che fu da lui onorato (a) In Siena fioriva assai di questi tempi l’arte de’ dipintori, e ne son pruova gli Statuti per essa fatti, e corretti e approvati nel 1 3 ‘j > da Niccolò da Morano modenese, eli’ era ivi giudice delle appellazioni, e pubblicati da fresco dal P. Guglielmo della Valle Minor Conventuale (Lettere sanesi, t. 1 ,iJ3). [p. 984 modifica]9<S4 libro con due sonetti (par. 1 , son. 56, 57), in premio di un ritratto fattogli della sua Laura. Di lui ancora ragionano il Vasari (l. cit. p. ec.) e il Baldinucci (t 2, p. 5, ec.), e ne ha parlato anche F ah. de Sade (Meni, pour la vie de Petr. t. 1, p. 397 , et not. 12). Egli, nato, come pruova il Baldinucci, alquanti anni prima del 1280, ebbe a padre Martino, cui gli scrittori fiorentini vogliono comunemente che fosse della famiglia de’ Memmi. Ma l’Ugurgieri (Pompe san. par. 2 , tit. 33), seguito dall’ab. de Sade, sostiene, e parmi a ragione, che non sia abbastanza fondata questa opinione, e che essa sia nata sol da un equivoco 5 il che non vale la pena di disputarne. Discepolo prima e poi compagno di Giotto, dopo aver date più pruove della sua eccellenza in dipingere così in Siena, come in Firenze, fu chiamato alla corte del pontefice Benedetto XII in Avignone , ove ei morì l’an 1344 come afferma l’Ugurgieri citandone in pruova il Necrologio di S. Domenico di Siena , in cui se ne ha questa memoria: Magister Simon Martini Pictor mortuus est in Curia, cujus exequia fecimus in Conventu die 4 mensis Augusti 1344* Non si ha notizia che egli fosse ancora scultore. Nondimeno due tavolette di marmo, che si conservano in Firenze, in una delle quali è scolpito il ritratto di Laura, nell’altra quel del Petrarca colf iscrizione: Simon de Senis me fecit sub anno MCCCXLIII, sembrano persuaderci che anche in quest’arte Simone si esercitasse. Intorno a ciò assai lungamente, e forse più ancora che non bisognava, ha parlato l’ab. de Sade, e io [p. 985 modifica]TERZO 985 lascio che ognun vegga presso lui le ragioni che addurre si possono a provar che Simone fosse, o non fosse scultore. Questo scrittore al principio del III tomo delle sue Memorie ha fatto incidere in rame le suddette due tavolette; e riflette ottimamente, scherzando, che se Laura fosse veramente stata qual questo marmo ce la rappresenta, difficilmente avrebbe potuto risvegliare sì grande amor nel Petrarca (a). IX. Questi due pittori meritavano più distinta menzione, perchè ebber la sorte di avere a lor lodatore il Petrarca. Quanto agli altri, io lascio che ognun ne vegga le Vite presso i due più volte nominati scrittori, il Vasari e il Baldinucci. Fra essi più celebri sono Stefano fiorentino che, secondo il Vasari (t. 1 , p. 3.{8), superò il medesimo Giotto, Pietro Laurati sanese, Buonamico Buffalmacco, famoso per le pitture non meno che pe’ suoi piacevoli scherzi narrati in più loro Novelle da Franco Sacchetti e dal Boccaccio; Taddeo Gaddi fiorentino , Tommaso detto Giottino , Duccio sanese, il quale , come narra il Vasari (l. cit. p.), fu il primo che mostrasse il modo di fare nei (a) Si debbono a questi aggiugnere parecchi pittori napoletani di questo secolo, coinè Filippo Tesauro, maestro Siinone , Gennaro di Cola, ec., le cui Vile si posson vedere nell’opera del Dominieis su questo argomento, e in quella piti volle citata de 1 sig. Pietro Napoli Signorelli (t. $,p. ii4> ec.). Fioriron poscia alquanto più tardi Colantonio del Fiore , e Antonio Solario $0prannomnto il Zingaro , i quali a ben giusto diritto si posson annoverare tra’ più illustri piltori che sulla fine del xiv e sul principio del xv secolo avesse 1’Italia (ivi, p. 168, ec.). [p. 986 modifica]Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/482 [p. 987 modifica]Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/483