Dottrina e detti notabili di Frate Egidio
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INCOMINCIANO I CAPITOLI
DI CERTA DOTTRINA E DETTI NOTABILI
DI FRATE EGIDIO
I. Capitolo de’ vizii, e delle virtù.
La grazia di Dio, e le virtù sono via e scala da salire al Cielo; ma li vizii e li peccati sono via e scala da discendere al profondo dello inferno. Li vizii e li peccati sono tossico e veleno mortale: ma le virtù e le buone opere sono triaca medicinale. L’una grazia conduce e tirasi dietro l’altra, l’uno vizio tira dietro l’altro. La grazia non desidera d’essere lodata; e ’l vizio non può sofferire d’essere dispregiato. La mente nella umiltà quiesce e riposa; la pazienza è sua figliuola. E la santa purità del cuore vede Iddio; ma la vera devozione lo gusta. Se tu ami, sarai amato. Se tu servi, sarai servito. Se tu temi, sarai temuto. Se tu bene ti porterai d’altrui, conviene che altri si porti bene di te. Ma beato è colui che veramente ama, e non desidera d’essere amato. Beato è colui che serve, e non desidera d’essere servito. Beato è colui che teme, e non desidera d’essere temuto. Beato è colui che bene si porta d’altrui, e non desidera che altri si porti bene di lui. Ma perocchè queste cose sono cose altissime, e di grande perfezione, però gli stolti non le possono conoscere nè conquistare. Tre cose sono molto altissime e utilissime, le quali chi le avesse acquistate, non potrebbe mai cadere. La prima si è, se tu sostieni volentieri con allegrezza ogni tribolazione che ti avviene, per lo amore di Gesù Cristo. La seconda si è, se tu ti umilii ogni dì in ogni cosa che tu fai, ed in ogni cosa che tu vedi. La terza si è, se tu fedelmente ami quello sommo bene celestiale, invisibile con tutto il cuore, lo quale non si può vedere con gli occhi corporali. Quelle cose che sono più dispregiate e più vituperate dagli uomini mondani, sono veramente più accettabili, e più ricevute da Dio e dalli suoi Santi, e quelle cose che sono più amate e più onorate, e più piacciono agli uomini mondani, quelle sono più dispregiate, e vituperate e odiate da Dio e dalli suoi Santi. Questa laida inconvenienza procede dalla ignoranza e malizia umana; imperocchè l’uomo misero più ama quelle cose, che dovrebbe avere in odio, ed ha in odio quelle cose che dovrebbe amare. Una volta domandò frate Egidio a un altro frate, dicendo: Dimmi, carissimo, hai tu buona anima? Rispuose il frate: Questo non so io; e allora disse frate Egidio: Fratello mio, io voglio che tu sappi, che la santa contrizione e santa umiltade, e santa caritade, e la santa divozione, e la santa letizia fanno buona l’anima e beata.
II. Capitolo della Fede.
Tutte quelle cose che si possono pensare col cuore o dire colla lingua, o vedere con gli occhi, o palpare colle mani, tutte sono quasi niente, a rispetto e a comparazione di quelle cose, che non si possono pensare, nè vedere, ně toccare. Tutti li Santi, e tutti li savii che sono passati, e tutti quelli che sono nella presente vita, e tutti quelli che verranno dietro a noi, che favellarono, o scrissero, o favelleranno, o scritture faranno di Dio, non dissero nè mai potranno dire di Dio tanto, quanto sarebbe uno granello di miglio a rispetto e a comparazione del Cielo e della terra, e anche mille migliaia di volte meno. Imperocchè tutta la Scrittura che favella di Dio, sì ne parla quasi balbuziando, siccome fa la madre che balbetta col figliuolo, il quale non puote intendere le sue parole, se ella parlasse per altro modo. Una volta disse frate Egidio ad uno Giudice secolare: Credi tu, che sieno grandi li doni di Dio? Rispuose il Giudice: Credo. Al quale frate Egidio disse: Io ti voglio mostrare, come tu non credi fedelmente; e poi gli disse: Quanto prezzo vale quello che tu possiedi in questo mondo? Rispuose il Giudice: Vale forse mille lire. Allora frate Egidio disse: Daresti tu queste tue possessioni per dieci mila lire? rispose il Giudice senza pigrizia, dicendo: Certo darei volentieri; e frate Egidio disse: Certa cosa è, che tutte le possessioni di questo mondo sono niente a rispetto alle cose celestiali; adunque perchè non dai tu queste tue possessioni a Cristo, per poter comperare quelle celestiali e eternali? Allora il Giudice savio della istolta scienza mondana rispose a frate Egidio puro e semplice: Iddio t’ha pieno della savia stoltizia divina, dicendo: Credi tu, frate Egidio, che sia alcuno uomo, che in tanta quantitade s’adoperi colle operazioni di fuori, quant’egli crede colla credulità di dentro? Frate Egidio rispose: Vedi, carissimo mio, certa cosa è, che tutti i Santi si sono studiati d’empiere con effetto d’operazione tutto quello, che poteano e sapeano comprendere, «che fosse la volontà di Dio», secondo la loro possibilitade; e tutte quelle cose, che non poteano adempiere con effetto d’operazioni, sì le adempivano colli santi desiderii delle loro volontadi; per tal modo, che ’l difetto della impossibilità della operazione adempivano col desiderio della anima, e satisfacevano. Ancora disse frate Egidio: Se alcuno uomo si trovasse che avesse perfetta fede, in poco tempo verrebbe a perfetto stato, per lo quale li saria dato piena certezza della sua salute. L’uomo, che con ferma fede aspetta quello eterno e sommo e altissimo bene, che danno o che male li potrebbe fare alcuna avversità temporale, in questa vita presente? E lo mi sero uomo che aspetta il male eternale, che bene gli potrà fare alcuna prosperitade, o ben temporale in questo mondo? Impertanto quantunque l’uomo sia peccatore, non si dee però disperare, per infino ch’e’ vive, della infinita misericordia di Dio, perocchè non è ardore al mondo tanto spinoso, nè tanto gropposo, nè tanto noderoso, che gli uomini non lo possano appianare, e farlo pulito e adornato e farlo bello e così non è uomo tanto iniquo, nè tanto peccatore in questo mondo, che Iddio non lo possa convertire e adornare di singolari grazie, e di molti doni di virtù.
III. Capitolo della santa umiltade.
Non può alcuna persona venire in alcuna notizia e conoscimento di Dio, se non per la virtù della santa umiltade; imperocchè la diritta via d’andare in su si è quella d’andare in giù. Tutti li pericoli e li grandi cadimenti, che sono intervenuti in questo mondo, non sono venuti da altra cagione se non dalla elevazione del capo, cioè della mente, in superbia; e questo si pruova per lo cadimento del Demonio che fu cacciato dal Cielo, e per lo cadimento del primo nostro parente, cioè Adamo, che fu cacciato dal Paradiso per la elevazione del capo, cioè per la inobbedienza; ed ancora per lo Fariseo, del quale parla Cristo nel Vangelo, e per molti altri esempli. E così per lo contrario; cioè che tutti li grandi beni, che mai accaddono in questo mondo, tutti sono proceduti per lo abbassamento del capo, cioè per la umiliazione della mente, siccome si prova per la beata umilissima Vergine Maria, e per lo Pubblicano, e per lo Santo Ladrone della Croce, e per molti altri esempli della scrittura. Ed imperò sarebbe buono, se noi potessimo trovare alcuno peso grande e grave, che di continuo noi lo potessimo tenere legato al collo, acciocchè sempre ci traesse in giù, cioè che sempre ci facesse umiliare. Un frate domandò frate Egidio: Dimmi, padre, in che modo potremo noi fug— gire questa superbia? al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, disponti di questo, cioè non sperare giammai di potere fuggire la superbia, se in prima tu non poni la bocca dove tu tieni li piedi; ma se tu consideri bene li beneficii di Dio, allora, tu conoscerai bene, che per debito tu se’ tenuto d’inchinare il capo tuo. E ancora, se tu penserai bene li tui difetti, e le molte offensioni che hai fatte a Dio, al postutto arai cagione d’umiliarti. Ma guai a quelli, che vogliono essere onorati della loro malizia! Un grado d’umiltade è in colui, lo quale si conosce esser contrario al suo proprio bene. Un grado d’umiltade a rendere le cose altrui a colui di cui sono, e non appropiarle a se medesimo; cioè a dire, ch’ogni bene e ogni virtù che l’uomo truova in se, non la debba appropriare a se; ma solamente a Dio, dal quale procede ogni grazia e ogni virtù e ogni bene; ma ogni peccato e passione dell’anima, o qualunque vizio l’uomo truova in se, si debbe appropriarlo a se, considerando che procede da lui medesimo e dalla propria malizia e non da altri. Beato quello uomo, che si conosce e reputasi vile dinanzi a Dio, e così dinanzi agli uomini! Beato colui che sempre giudica se, e condanna se medesimo e non altrui! perocchè egli non sarà giudicato da quello terribile e ultimo giudicio eternale. Beato colui, che andrà sottilmente sotto il giogo della obbedienza, e sotto il giudicio d’altri, siccome fecero li santi Apostoli, dinanzi e dappoi che ricevettero lo Spirito Santo Ancora disse frate Egidio: Colui che vuole acquistare e possedere perfetta pace e quiete, conviene che reputi ogni uomo per suo superiore, e conviene che egli sempre si truovi suddito, e inferiore di tutti. Beato quello uomo, che non vuole nelli suoi costumi e in nel suo parlare esser veduto, nè conosciuto, se non in quella pura composizione e in quello adornamento semplice, lo quale Iddio gli adornò e lo compuose! Beato quello uomo, che sa conservare e ascondere je rivelazioni e le consolazioni divine! perocchè non è nessuna cosa tanto secreta che non la riveli Iddio quando a lui piace. Se alcuno uomo fosse il più perfetto e ’l più santo uomo del mondo, ed egli si reputasse e credesse essere il più misero peccatore, e lo più vile uomo del mondo, in questo sarebbe vera umiltade. La santa umiltade non sa favellare, e lo beato timore di Dio non sa parlare. Disse frate Egidio: A me pare, che la umiltade sia simile alla saetta del tuono; perocchè così come la saetta fa percussione terribile, rompendo, fracassando, e abbruciando ciò che ella coglie, e poi non se ne truova niente di quella saetta; così similmente la umiltà percuote e dissipa e abbrucia e consuma ogni malizia, e ogni vizio e ogni peccato; e poi non si truova esser da niente in se medesimo. Quello uomo che possiede umiltà, per la umiltà truova grazia appresso a Dio, e perfetta pace col prossimo.
IV. Capitolo dello santo timore di Dio.
Colui che non teme, mostra che non abbia che perdere. Lo santo timore di Dio ordina, governa e regge l’anima, e falla venire in grazia. Se alcuno possiede alcuna grazia, o virtude divina, lo santo timore si è quello che la conserva. E chi non avesse ancora acquistata la virtù o la grazia, il timor santo la fa acquistare. Il santo timore di Dio si è uno conduttore delle grazie divine, imperciocchè ello fa l’anima dove egli abita tosto pervenire alla virtude santa e alle grazie divine. Tutte le creature che mai caddono in peccato, non sarieno giammai cadute, se elle avessero avuto il santo timore di Dio. Ma questo santo dono del timore non è dato se non alli perfetti, perocchè quanto l’uomo è più perfetto, più è timoroso e umile. Beato quell’uomo, che si conosce essere in una carcere in questo mondo, e sempre si ricorda come gravemente ha offeso il suo Signore! Molto dovrebbe l’uomo sempre temere la superbia, che non gli dia di pinta, e faccialo cadere dello istato della grazia, nella quale egli è; perocchè l’uomo non può mai stare sicuro, stando infra li nostri nemici; e li nostri nemici sono le lusinghe di questo mondo misero, e la nostra propria carne, la quale insieme colli demoni sempre è inimica dell’anima. Maggiore timore bisogna che l’uomo abbia, che la sua propria malizia non lo vinca e inganni, che di nessuno altro suo nimico. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa salire e ascendere ad alcuna grazia o virtù divina, nè perseverare in essa, senza il santo timore. Chi non ha timore di Dio, va a pericolo di perire, e maggiormente d’essere in tutto perduto. Il timore di Dio fa l’uomo ubbidire umilmente e fallo inchinare il capo sotto il giogo della obbedienza: e quanto possiede l’uomo maggiore timore, tanto adora più ferventemente. Non è piccolo dono quello della orazione, a cui è dato. Le operazioni virtuose degli uomini, quantunque a me paiano grandi, non sono però computate, nè remunerate secondo la nostra estimazione, ma secondo la estimazione e beneplacito di Dio; perocchè Iddio non guarda alla quantità delle fatiche, ma alla quantità dello amore e della umiltade! e imperciò la più sicura parte è a noi, di sempre amare e temere con umiltade, e non fidarsi giammai di se medesimo di alcuno bene, sempre avendo a sospetto le cogitazioni, che nascono nella mente sotto spezie di bene.
V. Capitolo della santa pazienza.
Colui, che con ferma umiltade e pazienza sofferisce e sostiene le tribolazioni, per lo fervente amore di Dio, tosto verrà in grandi grazie e virtudi, e sarà signore di questo mondo, e dello altro glorioso averà l’arra. Ogni cosa che l’uomo fa, o bene o male, a se medesimo il fa; e imperò non ti iscandalizzare contra di colui, che ti fa le ingiurie, ma debbivi avere umile pazienza, e solamente ti debbi dolere del suo peccato, avendogli compassione, pregando Iddio efficacemente per lui. Quanto l’uomo è forte a sostenere e patire le ingiurie e le tribolazioni pazientemente per l’amore di Dio, tanto è grande appresso a Dio, e non più: e quanto l’uomo è più debole a sostenere li dolori e le avversitadi per lo amore di Dio, tanto è minore appresso di Dio. Se alcuno uomo ti lodasse dicendo di te bene, rendi quella laude al solo Iddio; e se alcuno dice di te male o vituperio, aiutalo tu dicendo di te medesimo male e peggio. Se tu vuoi fare buona la tua parte, sempre ti studia di fare cattiva la tua, e quella del compagno fa’ buona, sempre incolpando te medesimo, e sempre lodando e veramente iscusando il prossimo. Quando alcuno vuole contendere o litigare teco, se tu vuogli vincere, perdi, e vincerai; perocchè se tu volessi litigare per vincere, quando tu crederesti avere vinto, allora tu ti troveresti d’aver perduto grossamente. Ed imperò, fratello mio, credimi per certo, che la diritta via della salvazione, si è la via della perdizione. Ma quando non siamo buoni portatori delle tribolazioni, allora non possiamo essere perseguitatori delle eternali consolazioni. Molto maggiore consolazione, e più meritoria cosa è a sostenere le ingiurie e li improperii pazientemente senza mormorazione, per l’amore di Dio, che non è a pascere cento poveri, e digiunare ogni di continuamente. Ma che utilità è all’uomo, o che gli giova a dispregiare se medesimo e dare molte tribolazioni al corpo suo con grandi digiuni e vigilie e discipline, non potendo sostenere una piccola ingiuria del suo prossimo? Della qual cosa l’uomo riceverà moito maggior premio e maggior merito,. che di tutte le afflizioni, che l’uomo si possa dare di sua propria volontade; perocchè a sostenere gl’improperii e le ingiurie del suo prossimo con umil pazienza: senza mormorazione, molto più tosto purga li peccati, che non fa la fonte delle molte lagrime. Beato quell’uomo, che sempre tiene dinanzi agli occhi della mente sua la memoria delli suoi peccati e li benefizi di Dio! perocchè egli sosterrà con pazienza ogni tribolazione e avversitade, delle quali cose egli aspetta le grandi consolazioni. L’uomo che è vero umile non aspetta da Dio alcuno merito, nè premio; ma solamente si studia sempre come possa soddisfare in ogni cosa, conoscendosi di lui essere debitore; e ogni bene che egli ha, riconoscelo di avere solamente per bontà di Dio, e non per alcuno suo merito; e ogni avversità che ello ha, riconoscela veramente avere per li suoi peccati. Uno frate domanda frate Egidio dicendo: Padre, se nelli nostri tempi verranno alcune grandi avversitadi o tribolazioni, che dobbiamo fare noi in quella fiata? Al quale frate Egidio risponde, dicendo: Fratello mio, io voglio che tu sappi, che se ’ l Signore facesse piovere dal Cielo pietre e saette, non potrieno nuocere nè fare a noi alcun danno, se noi fossimo tali uomini, quali noi dovremmo essere; perocchè essendo l’uomo in verità quello che debbe essere, ogni male e ogni tribolazione se li convertirebbe in bene; perocchè noi sappiamo che disse l’Apostolo, che quelli che amano Iddio, ogni cosa se gli convertisce in bene; e così similmente all’uomo che ha la mala volontade, tutti li beni se li convertiscono in male e in giudicio. Se tu ti vuogli salvare e andare alla gloria celestiale, non ti bisogna mai desiderare alcuna vendetta, nè giustizia d’alcuna creatura; imperocchè la eredità delli Santi si è fare sempre bene, e ricevere sempre male. Se tu conoscessi in verità, come e quanto gravemente hai offeso il tuo Creatore, tu conosceresti, che ella è degna e giusta cosa, che tutte le creature ti debbano perseguitare, e darti pena e tribolazione; acciocchè esse creature facciano vendetta delle offensioni, che tu facesti al loro Creatore. Molto è grande virtù all’uomo di vincere se medesimo; perocchè quelli che vince se medesimo, vincerà tutti li suoi nemici, e perverrà in ogni bene. Ancora molto maggior virtù sarebbe, se l’uomo si lasciasse vincere a tutti gli uomini; imperocchè egli sarebbe signore di tutti i suoi nemici, cioè vizii, e delli demonii e del mondo e della propria carne. Se tu ti vuogli salvare, rinunzia e dispregia ogni consolazione; che ti possono dare tutte le cose del mondo, e tutte le creature mortali: perocchè maggiori e più spessi sono li cadimenti, che divengono per le prosperitadi e per le consolazioni, che non sono quelli che vengono per le avversitadi, e per le tribolazioni. Una volta mormorava un religioso del suo Prelato in presenza di frate Egidio, per cagione d’una aspra obbedienza che gli avea comandata; al quale frate Egidio disse: Carissimo mio, quanto più mormorerai, tanto più carichi lo tuo peso, e più grave ti sarà a portare; e quanto più umilmente e più divotamente sottometterai il capo sotto il giogo della obbedienza santa, tanto più lieve e più soave ti sarà a portare quella obbedienza. Ma a me pare, che tu non voglia essere vituperato in questo mondo per l’amore di Cristo, e vuogli essere nell’altro con Cristo; tu non vuogli essere in questo mondo perseguitato, nè maladetto per Cristo, e nell’altro mondo vuogli essere benedetto e ricevuto da Cristo; tu non ti vorresti affaticare in questo mondo, e nell’altro vorresti quiescere e posare. Io ti dico, frate, frate, che tu se’ malamente ingannato; perocchè per la via della viltà e delle vergogne e delli improperii, perviene l’uomo al verace onore celestiale; e per sostenere le derisioni, e le maladizioni pazientemente per lo amore di Cristo, perviene l’uomo alla gloria di Cristo. Però dice bene uno proverbio mondáno, che dice: Chi non dà di quello che li duole, non riceve quello che vuole. Si è utile natura quella del cavallo; perocchè quantunque il cavallo vada correndo velocemente, pure si lascia reggere, guidare e voltare in giù e in su, e innanzi e indietro, secondo la volontà del cavalcatore; e così similmente dee fare il servo di Dio, cioè, che si debbe lasciare reggere, guidare, torcere e piegare, secondo la volontade del suo superiore, e anche da ogni altro per lo amore di Cristo. Se tu vuogli essere perfetto, studiati sollecitamente d’essere grazioso e virtuoso, e combatti valentemente contra li vizii sostenendo paziente ogni avversitade per lo amore del tuo Signore tribolato, afflitto, improperato, battuto, crocefisso e morto per lo tuo amore, e non per la sua colpa, nè per sua gloria, nè per sua utilitade, ma solamente per la tua salute. E e fare questo ch’io t’ho detto, al postutto bisogna che tu vinca te medesimo; perocchè poco vale all’uomo inducere e trarre l’anime a Dio, se egli non vince e trae e induce prima sè medesimo.
VI. Capitolo dell’Oziositade.
L’uomo che sta ozioso, si perde questo mondo e l’altro; perocchè non fa alcuno frutto in sè medesimo, e non fa alcuna utilitade ad altrui. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa acquistare le virtù, senza sollecitudine e senza grande fatica. Quando tu puoi istare in luogo sicuro, non istare in luogo dubbioso: in luogo sicuro istà colui il quale sollecita e affliggesi e opera e affatica secondo Iddio e pel Signore Iddio, e non per paura di pena nè per premio, ma per amor di Dio. L’uomo che ricusa di affliggersi e d’affaticarsi per amor di Cristo, veramente egli ricusa la gloria di Cristo: e così come la sollecitudine è utile e giova a noi, così la negligenza sempre è contraria a noi. Così come la oziosità è via d’andare all’inferno, così la sollecitudine santa è via d’andare al cielo. Molto dovrebbe l’uomo esser sollecito ad acquistare e a conservare le virtù e la grazia di Dio, sempre operando con essa grazia e virtù fedelmente: perocchè molte volte addiviene questo all’uomo che non opera fedelmente, che perde il frutto per le fronde, ovvero il grano per la paglia. Ad alcuno concede Iddio il buono frutto graziosamente con poche frondi; e ad alcuno altro lo dà insieme il frutto colle frondi: e sono alcuni altri, che non hanno nè frutti, nè frondi. Maggiore cosa mi pare che sia, a sapere bene guardare e conservare segretamente li beni e le grazie date dal Signore, che di saperle acquistare; imperocchè, avvegnachè l’uomo sappia bene guadagnare, se egli non sa bene riporre e conservare, non sarà giammai ricco; ma alcuni appoco appoco guadagnano le cose, e sono fatti ricchi, perocch’eglino conservano bene il loro guadagno e ’l loro tesoro. O quanta quantità d’acqua avrebbe ricolto il Tevere, se non discorresse via da alcuna parte! L’uomo dimanda a Dio infinito dono, che senza misura e senza fine; ed egli non vuole amare Iddio, se non con’ misura e con fine. Chi vuol essere da Dio amato, e avere da lui infinito merito soprammodo e soprammisura, egli deve amare Iddio oltremodo e oltra misura, e sempre servirlo infinitamente. Beato colui, che con tutto il cuore e con tutta la mente sua ama Iddio, e sempre affligge il corpo e la mente sua per l’amore di Dio, e non ne cerca alcuno premio sotto il Cielo, ma solamente che egli si conosce di ciò essere debitore. Se alcuno uomo fosse molto povero e bisognoso, e un altro uomo gli dicesse: io ti voglio prestare una cosa molto preziosa per ispazio di tre dì; e sappi, che se tu adopererai bene questa cosa in questo termine di tre dì, tu guadagnerai infinito tesoro da potere essere ricco sempremai: or certa cosa è, che questo povero uomo sarebbe molto sollecito d’adoperare bene e diligentemente questa cosa così preziosa, e molto si studierebbe di fruttarla bene: così similmente dico, che la cosa prestata a noi dalla mano di Dio, si è il corpo nostro, lo quale esso buono Iddio ce l’ha prestato per tre dì; imperocchè tutti i nostri tempi e anni sono a comparazione di tre dì. Adunque se tu vogli essere ricco, e godere eternalmente la divina dolcezza, studiati di bene operare, e di bene fruttare questa cosa prestata dalla mano di Dio, cioè il corpo tuo in questo spazio di tre dì, cioè in lo brieve tempo della vita tua; perocchè, se tu non ti solleciti di guadagnare nella vita presente, perfino a tanto che tu hai il tempo, tu non potrai più godere quella eternale ricchezza, nè potrai riposare santamente in quella quiete celestiale eternalmente. Ma se tutte le possessioni del mondo fossero d’una persona, che non le lavorasse e non le facesse lavorare ad altri; che frutto, o che utile avrebbe egli di queste cose? certa cosa è, che non ne avrebbe utilità, ne frutto veruno. Ma bene potrebbe essere, che alcuno uomo avrebbe poche possessioni e lavorandole bene avrebbe molta utilitade, e per sè e per altri averebbe frutto assai e abbondantemente. Dice uno proverbio mondano: Non porre mai a bollire pentola vota al fuoco, sotto speranza del tuo vicino. E così similmente Iddio non vuole, che alcuna grazia rimanga vacua; perocchè esso buono Iddio non dà mai allo uomo grazia, perchè egli la debba tenere vacua, anzi la dona, perchè l’uomo la debba adempiere con questo effetto di buone operazioni; perocchè la buona volontà non soddisfa, se l’uomo non si studia di seguirla e adempierla con effetto di santa operazione. Una volta uno uomo vagabondo disse a frate Egidio: Padre, priegoti, che tu mi facci alcuna consolazione. Al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, istudiati di star bene con Dio, e incontenente averai la consolazione che ti bisogna; imperocchè se l’uomo non apparecchia nell’anima sua netta abitazione, nella quale possa abitare e riposare Iddio, ello non troverà giammai nè luogo, nè riposo, nè consolazione vera nelle creature. Quando alcuno uomo vuole fare male, egli non addomanda mai molto consiglio a farlo; ma al ben fare molti cercano consigli, facendo lunga dimoranza. Una volta disse frate Egidio alli suoi compagni: Fratelli miei, a me pare, che al dì d’oggi non si truova chi voglia fare quelle cose, che egli vede che li sono più utili, e non solamente all’anima, ma eziandio al corpo. Credetemi, fratelli miei, che io potrei giurare in veritade, che quanto l’uomo più fugge e schifa il peso e ’l giogo di Cristo, tanto lo fa più grave a sè medesimo, e sentelo più ponderoso e di maggiore peso e quanto l’uomo lo piglia più ardentemente, sempre più arrogendo al peso volontariamente, tanto lo sente più lieve e più soave a poterlo portare. Or piacesse a Dio, che l’uomo facesse e procurasse in questo mondo li beni del corpo, perocchè farebbe ancora quelli dell’anima; conciossiacosachè il corpo e l’anima, senza nessuno dubbio, si debbano congiungere insieme a sempre patire, ovvero a sempre godere; cioè, o veramente patire nello inferno sempre eternalmente pene e tormenti inestimabili, ovvero godere colli santi e cogli Angeli in Paradiso perpetualmente gaudi e consolazioni inennarrabili, per li meriti delle buone operazioni. «Perchè se l’uomo facesse bene, o perdonasse bene senza l’umiltade, si convertirebbero in male; perocchè sono stati molti, che hanno fatte molte opere che parevano buone e laudabili; ma perocchè non avevano umiltade, sono discoperte e conosciute che sono fatte per superbia, e le opere sì l’hanno dimostrato; perchè le cose fatte con umiltade mai non si corrompono.» Un frate si disse a frate Egidio: Padre, a me pare che noi non sappiamo ancora conoscere li nostri beni; al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, certa cosa è, che ciascuno adopera l’arte che egli ha imparata, perocchè nessuno può bene adoperare, se prima non impara: onde voglio che tu sappia, fratello mio, che la più nobile arte che sia nel mondo, si è il bene adoperare: e chi la potrebbe sapere, se prima non la impara? Beato quello uomo, al quale nessuna cosa creata può dare mala edificazione! ma più beato è colui, il quale d’ogni cosa che ello vede e ode, riceve per sè medesimo buona edificazione.
VII. Capitolo del dispiacimento delle cose temporali.
Molti dolori e molti guai avrà l’uomo misero, lo quale mette il suo desiderio e ’l suo cuore e la sua speranza nelle cose terrene, per le quali egli abbandona e perde le cose celestiali, e pure finalmente per derà ancora queste terrene. L’aquila vola molto in alto; ma s’ella avesse legato alcuno peso alle sue ali, ella non potrebbe volare molto in alto: e così l’uomo, per lo peso delle cose terrene non può volare in alto, cioè che non può venire a perfezione; ma l’uomo savio, che si lega il peso della memoria della morte e del giudicio alle ali del cuore suo non potrebbe per lo grande timore discorrere, nè volare per le vanitadi, nè per le divizie di questo mondo, che elle sono cagione di dannazione. Noi veggiamo ogni dì gli uomini del mondo lavorare e affaticare molto, e mettersi a grandi pericoli corporali, per acquistare queste ricchezze fallaci; e poichè avranno molto lavorato e acquistato, in uno punto moriranno, e lascieranno ciò che averanno acquistato in vita loro; e imperò non è da fidarsi di questo mondo fallace, il quale inganna ogni uomo che li crede, perocchè egli è mendace. Ma chi desidera e vuole essere grande e bene ricco, cerchi e ami le ricchezze e li beni eternali, li quali sempre saziano e mai non fastidiano, e mai non vengono meno. Se non vogliamo errare, prendiamo esemplo dalle bestie e dagli uccelli, li quali quando sono pasciuti sono contenti, e non cercano se non la vita loro da ora in ora, quando loro bisogna e così l’uomo dovrebbe esser contento solamente della sua necessitade temperatamente, e non superfluamente. Dice frate Egidio, che le formiche non piaceano a san Francesco siccome gli altri animali, per la grande sollecitudine che elle hanno di congregare e di riporre dovizia di grano al tempo della state per lo verno: ma dicea che gli uccelli gli piaceano molto più, perchè non congregavano nulla cosa nell’uno dì per l’altro. Ma la formica ci dà esemplo, che noi non dobbiamo stare oziosi nel tempo della state di questa vita presente, acciocchè noi non ci troviamo vacui e senza frutto, nello inverno dello ultimo e finale giudizio.
VIII. Capitolo della santa castitade.
La nostra misera e fragile carne umana si è simile al porco, che sempre si diletta di giacere e d’infangarsi nel fango, riputandosi il fango per sua grande dilettazione. La nostra carne si è cavaliere del Demonio; perocchè ella combatte e resiste a tutte quelle cose, che sono secondo Iddio e secondo la nostra salute. Un frate domandò frate Egidio, dicendogli: Padre, insegnami in che modo ci potremo noi guardare dal vizio carnale; al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, chi vuole muovere alcuno grande peso o alcuna grande pietra, e mutarla in altra parte, gli conviene che si istudi di muoverlo più per ingegno, che per forza. E così noi similmente, se vogliamo vincere gli vizii carnali, e acquistare la virtù della castitade, piuttosto le potremo acquistare per la umiltade, e per lo buono e discreto reggimento spirituale, che per la nostra prosontuosa austeritade e forza di penitenza. Ogni vizio turba e oscura la santa e risplendente castitade; perocchè la castitade si è simile allo specchio chiaro, il quale si oscura e conturba, non solamente per lo toccamento delle cose sozze, ma eziandio per lo fiato dell’uomo. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa pervenire ad alcuna grazia spirituale, per infino che egli si truova essere inchinevole alle concupiscenze carnali; e imperò ti volta e rivolta come ti piace, che púre non troverai altro rimedio di potere pervenire alla grazia spirituale, se tu non sottometti ogni vizio carnale. E però combatti valentemente contra la sensuale e fragile carne tua, propriamente nemica tua, la quale sempre ti vuole contraddire di dì e di notte; la quale carne nostra mortale nimica chi la vincerà, sia certo che tutti i suoi nemici ha vinti e sconfitti, e tosto perverrà alla grazia spirituale, e ad ogni buono stato di virtù e di perfezione. Dicea frate Egidio: Infra tutte l’altre virtù, io allegherei piuttosto la virtù della ca stitade perocchè la suavissima castitade per sè sola ha in sè alcuna perfezione; ma non è alcuna virtude, che possa essere perfetta senza la castitade. Uno frate domandò frate Egidio dicendo: Padre, non è maggiore e più eccellente la virtù della caritade, che non è quella della castitade? E frate Egidio disse: Dimmi, fratello, qual cosa si truova in questo mondo più casta, che la santa caritade? Molte volte cantava frate Egidio questo Sonetto cioè: O santa castità, Deh quanto è la tua bontà! Veramente tu se’ preziosa, e tale, E tanto è soave il tuo odore, Che chi non ti assaggia, non sa quanto vale. Imperò li stolti non conoscono il tuo valore. Un frate domandò frate Egidio, dicendo: Padre, tu che tanto commendi la virtù della castitade, pregoti che tu mi dichiari, che cosa è castitade, al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, io ti dico, che propriamente è chiamata castitade, la sollecita custodia e continua guardia delli sensi corporali e spirituali, conservandoli al solo Iddio puri e immacolati.
IX. Capitolo delle tentazioni.
Le grandi grazie che l’uomo riceve da Dio, non le può l’uomo possedere in tranquilla pace; perocchè nascono molte cose contrarie e molte conturbazioni, e molte avversitadi contra esse grazie, imperciocchè l’uomo quanto è più grazioso a Dio, tanto è più fortemente combattuto e pugnato dalli Demonii. Però l’uomo non debbe mai cessare di combattere, per poter seguitare la grazia che ha ricevuta da Dio; perocchè quanto la battaglia sarà più forte, tanto sarà più preziosa la corona, se egli vincerà la pugna. Ma noi non abbiamo molte battaglie, nè molti impedimenti, nè molte tentazioni: imperocchè noi non siamo tali, come noi dovremmo essere in nella vita spirituale. Ma ben è vero, che se l’uomo andasse bene e discretamente per la via di Dio, non avrebbe nè fatica nè tedio nel viaggio suo, ma l’uomo che va per la via del secolo, non potrà mai fuggire le molte fatiche, tedio, angosce, tribolazioni e dolori per insino alla morte. Disse uno frate a frate Egidio: Padre mio, a me pare che tu dichi due detti, l’uno contrario dell’altro; imperocchè tu dicesti in prima: quanto l’uomo è più virtuoso e più grazioso a Dio, tanto ha più contrarii e più battaglie nella vita spiritualex; e poi dicesti il contrario, cioè: l’uomo, che andasse bene e discretamente per la via di Dio, non sentirebbe fatica nè tedio nel viaggio suo. Al quale frate Egidio, dichiarando la contrarietà di questi due detti, rispose così: Fratello mio, certa cosa è, che li Demonii più corrono colle battaglie delle forti tentazioni contra quelli che hanno la buona volontà, che non fanno contro gli altri che non hanno la buona volontà, cioè secondo Dio. Ma l’uomo che va discretamente e ferventemente per la via di Dio, che fatica e che tedio e che nocimento potrieno fare li Demonii e tutte le avversità del mondo? conoscendo, e vedendo egli vendersi la sua derrata mille tanto pregio più che non vale. Ma più ti dico certamente: Colui, il quale fosse acceso del fuoco dello amore divino, quanto più fosse impugnato dalli vizii, tanto più gli avrebbe in odio e in abbominazione. Li pessimi Demonii hanno per usanza di correre e tentare l’uomo, quando egli è in alcuna infermità ed in alcuna debolezza corporale o quando egli è in alcuno affanno, o molto frigidato o angosciato, o quando è affamato o assetato, o quando ha ricevuta alcuna ingiuria o vergogna, o danno temporale o spirituale; perocchè essi maligni conoscono, che in queste cotali ore e punti, l’uomo è più atto a ricevere le tentazioni. Ma io ti dico, che per ogni tentazione, e per ogni vizio che tu vincerai, tu acquisterai una virtù; e quello vizio del quale tu se’ impugnato vincendolo tu, di quello riceverai tanto maggior grazia e maggiore corona. Un frate domandò consiglio a frate Egidio, dicendo: Padre, spesse volte io sono tentato di una pessima tentazione, e molte volte ho pregato Iddio che me ne liberi da essa; e pure il signore non me la toglie: consigliami, padre, come, io debba fare. Al quale frate Egidio rispose: fratello mio, quanto più notabilmente guernisce uno Re li suoi cavalieri di nobili e forti armadure, tanto più fortemente vuole egli che eglino combattano contro alii suoi nemici, per lo suo amore. Uno frate domandò frate Egidio, dicendo: Padre, che rimedio piglierò io a potere andare alla orazione più volentieri, e con più desiderio e con più fervore? perocchè quando vado alla orazione, io sono duro, pigro, arido e indevoto; al quale frate Egidio rispose, dicendo: Un Re ha due servi: e l’uno ha l’arme da potere combattere, e l’altro non ha armadura da potere combattere, e tutti e due, vogliono entrare nella battaglia, e combattere contra gli nemici del Re. Colui che è armato, entra nella battaglia e combatte valentemente; ma lo altro che è disarmato, dice così al suo signore: Signor mio, tu vedi che io sono ignudo senza arme; ma per lo tuo amore io volentieri voglio entrare nella battaglia, e combattere così disarmato siccome io sono; e allora lo buono Re, vedendo l’amore del suo servo’ fedele, dice alli suoi ministri: Andate con questo mio servo, e vestitelo con tutte quelle arme, che le sono necessarie per potere combattere, acciocchè sicuramente possa entrare nella battaglia; e segnate tutte le sue arme col mio segno reale, acciocchè egli sia conosciuto siccome mio cavaliere fedele. E così molte volte interviene all’uomo, quando va all’orazione, cioè, quando si truova essere ignudo, indevoto, pigro e duro d’animo; ma pure egli si sforza, per lo amore del Signore, entrare alla battaglia della orazione ed allora il nostro benigno Re. e Signore, vedendo lo sforzo del suo cavaliere, donali per le mani delli suoi ministri Angeli la divozione dello fervore, e la buona volontade. Alcuna volta avviene questo; che l’uomo comincierà alcuna grande opera di grande fatica, siccome è a diboscare e coltivare la terra, ovvero la vigna, per potere trarne al tempo il frutto suo. E molti, per la grande fatica e per i molti affanni egli s’attediano, e quasi si pentono dell’opera cominciata: ma se pure egli si sforza insino al frutto egli si dimentica poi ogni rincrescimento, e rimane consolato e allegro, vedendo il frutto che può godere. E così l’uomo essendo forte nelle tentazioni, egli perverrà alle molte consolazioni; perchè dopo le tribolazioni, dice san Paolo, sono date le consolazioni e le corone di vita eterna e non solamente sarà dato il premio in Cielo a quelli, che resistono alle tentazioni; ma eziandio in questa vita, siccome dice il Salmista: Signore, Secondo la moltitudine delle tentazioni e delli dolori miei, le tue consolazioni letificheranno l’anima mia; sicchè quanto è maggiore la tentazione e la pugna, tanto sarà più gloriosa la corona. Un frate domandò consiglio a frate Egidio d’alcuna sua tentazione, dicendo: O padre, io sono tentato di due pessime tentazioni: l’una si è; quando io faccio alcuno bene, subito sono tentato di vanagloria: l’altra si è; quando io faccio alcuno male, io caggio in tanta tristizia e in tanta accidia, che quasi ne vengo in disperazione. Al quale rispose frate Egidio: Fratello mio, bene fai tu saviamente a dolerti del peccato: ma io ti consiglio, che tu ti debba dolere discretamente e temperatamente, e sempre ti debba ricordare, ch’egli è maggiore la misericordia di Dio, che non è il tuo peccato. Ma se la infinita misericordia di Dio riceve a penitenza l’uomo che è grande peccatore, e che volontariamente pecca, quando egli si pente, credi tu, che esso buono Iddio abbandoni il buono peccatore non volontario, essendo già contrito e pentito? Ancora ti consiglio, che tu non lasci mai di fare bene, per paura della vanagloria; perocchè se l’uomo, quando vuole seminare il grano, dicesse io non voglio seminare, perocchè se io seminassi, forse verrebbero gli uccelli e sì lo mangerebbero; onde se così dicendo non seminasse la sua sementa, certa cosa è, che non ricoglierebbe alcuno frutto per quello anno. Ma pure se egli semina la sua sementa, avvegnachè gli uccelli ne mangino di quella sementa, pure la maggior parte ricoglie il lavoratore: e così essendo l’uomo impugnato di vanagloria, purchè non faccia il bene a fine di vanagloria; ma sempre pugnando contro di essa, dico che non perde il merito del bene ch’egli fa, per essere tentato. Uno frate disse a frate Egidio: Padre, truovasi che san Bernardo una volta disse li sette Salmi Penitenziali con tanta tranquillità di mente e con tanta divozione, che non pensò e non cogitò in nessuna altra cosa, se non in nella propria sentenza delli predetti salmi. Al quale frate Egidio rispose cosi. Fratello mio, io reputo che sia molto più prodezza d’uno signore, il quale tenga uno castello, essendo assediato e combattuto dalli suoi nemici, e pure si difende sì valorosamente, che non ci lascia entrare dentro nessuno suo nimico, che non sarà stando in pace, e non avendo alcuno impedimento.
X. Capitolo della santa penitenza.
Molto dovrebbe l’uomo sempre affliggere e macerare il corpo suo, e volentieri patire ogni ingiuria, tribulazione e angoscia, dolore, vergogna, dispregio, improperio, avversitade e persecuzione, per amore del nostro buono Maestro e Signore Gesù Cristo, il quale ci diede lo esempio in sè medesimo; imperocchè dal primo dì della sua nativitade gloriosa, per infino alla sua santissima Passione, sempre portò angoscia, tribolazione, dolore, dispregio, affanno e persecuzione, solamente per la nostra salute. E imperò, se noi vogliamo pervenire allo stato di grazia, al postutto bisogna che noi andiamo, quanto a noi è possibile, per li andamenti e per le vestigie del nostro buono Maestro Gesù Cristo. Un uomo secolare domadò a frate Egidio, dicendo: Padre, in che modo potremo noi secolari pervenire in istato di grazia? Al quale frate Egidio risponde: Fratello mio, l’uomo debbe primamente dolersi delli suoi peccati con grande contrizione di cuore; e poi gli debbe confessare al Sacerdote con amaritudine e dolore di cuore, accusandosi puramente, senza ricoprire e senza esecuzione; e poi debbe perfettamente adempiere la penitenza, che gli è data ed imposta dal confessore: ed anche si debbe guardare da ogni vizio e da ogni peccato, e da ogni cagione di peccato: ed ancora si debbe esercitare in nelle buone operazioni virtuose inverso di Dio e in verso del prossimo suo; e facendo così, perverrà l’uomo ad istato di grazia e di virtude. Beato quello uomo, il quale averà continovamente dolere delli suoi peccati, sempre piangendoli di dì e di notte con amaritudine di cuore, solamente per la offensione che ha fatta a Dio! Beato quello uomo, il quale avrà sempre avanti gli occhi della mente sua le afflizioni, le pene li dolori di Gesù Cristo, e che per lo suo amore non vorrà nè ricevere alcuna consolazione temporale in questo mondo amaro e tempestoso, per infino a tanto ch’egli perverrà a quella consolazione celestiale di vita eterna, laddove saranno adempiuti pienamente di gaudio tutti i suoi desiderj!
XI. Capitolo della santa orazione.
La orazione si è principio, mezzo e fine d’ogni bene: l’orazione illumina l’anima, e per essa discerne l’anima il bene dal male. Ogni uomo peccatore dovrebbe fare questa orazione ogni dì continovamente, con fervore di cuore: cioè pregare Iddio umilmente, che li dia perfetto conoscimento della propria miseria e delli suoi peccati, e delli beneficii, ch’ha ricevuti e riceve da esso buono Iddio. Ma l’uomo che non sa orare, come potrà conoscere Iddio? E tutti quelli che si debbero salvare, se eglino sono persone di vero intelletto, al postutto fa bisogno che eglino si convertano finalmente alla santa orazione. Disse frate Egidio: Ma se fosse un uomo, che avesse uno suo figliuolo il quale avesse commesso tanto male che fosse condannato a morte, ovvero che fosse isbandito della cittade, certa cosa è, che questo uomo molto sarebbe sollecito di procurare a tutta sua possa di dì e di notte, e a ogni ora, ch’egli potesse impetrare grazia della vita di questo suo figliuolo, ovvero di trarlo di bando: facendo grandissime preghiere e supplicazioni, e donando presenti ovvero tributi, a tutta sua possanza, e per sè medesimo e per altri suoi amici e parenti. Adunque se questo fa l’uomo per lo suo figliuolo, il quale è mortale; quanto dovrebbe esser più l’uomo sollecito a pregare Iddio, ed eziandio a farlo pregare per li buoni uomini in questo mondo, e ancora nell’altro per i suoi Santi, per la propria anima sua, la quale è immortale: quando ella è isbandita della cittade celestiale, o veramente quando è condannata alla morte eterna per li molti peccati! Uno frate disse a frate Egidio: Padre, a me pare che molto si dovrebbe dolere l’uomo ed avere grande rincrescimento, quando egli non può aver grazia di devozione nella sua orazione. Al quale frate Egidio rispose: fratello mio, io ti consiglio che tu facci pian piano il fatto tuo; imperocchè, se tu avessi un poco di buon vino in una botte, nella quale botte fosse ancora la feccia di sotto a questo buono vino certa cosa è, che tu non vorresti picchiare nè muovere questa botte, per non mescolare il buon vino colla feccia; e così dico: per fino a tanto che la orazione non sarà partita da ogni concupiscenza viziosa e carnale, non riceverà consolazione divina: perocchè non è chiara nel cospetto di Dio quella orazione, la quale è mescolata colla feccia della carnalità. Ed imperò si debbe l’uomo isforzare, quanto più egli può, di partirsi da ogni feccia di concupiscenza viziosa; acciocchè la sua orazione sia monda nel cospetto di Dio, ed acciocchè da essa riceva divozione e consolazione divina. Uno frate domandò frate Egidio, dicendo: Padre, per che cagione avviene questo, che quando l’uomo adora Iddio, che molto più è tentato, combattuto e travagliato nella mente sua, che di nessuno altro tempo? Al quale frate Egidio rispose così: Quando alcuno uomo ha a terminare al cuna quistione dinanzi al giudice, ed egli va per dire la sua ragione al giudice, quasi domandandogli consiglio e aiutorio: come il suo avversario sente questo, di subito comparisce a contraddire, ed a resistere alla dimanda di quello uomo, e sì gli dà grande impedimento, quasi riprovando ogni suo detto; e così similmente avviene, quando l’uomo va alla orazione, perocch’ egli addimanda aiutorio a Dio della cagione; ed imperò subito comparisce il suo avversario Demonio colle sue tentazioni, a fare grande resistenza e contraddizione, a fare ogni suo isforzo, industria ed argomento che può, per impedire l’orazione, acciocchè quella orazione non sia accettata nel cospetto di Dio, ed acciocchè l’uomo non abbia da essa orazione alcuno merito, nè consolazione. E questo possiamo noi bene vedere chiaramente; perocchè quando noi parliamo delle cose del secolo, in quella voita non patiamo alcuna tentazione nè furto di mente; ma se noi andiamo all’orazione per dilettare e consolare l’anima con Dio, subito sentiremo percuotere la mente di diverse saette, cioè di̟ diverse tentazioni; le quali le mettono li Demoni per farci isvariare la mente; acciocchè l’anima non abbia diletto nè consolazione di quello, che la detta anima parla con Dio. Disse frate Egidio, che l’uomo oratore dee fare come il buono cavaliere in battaglia; che avvegnach ’ egli sia o punto o percosso dal suo inimico, non si parte però subito dalla battaglia, anzi resiste virilmente per avere vittoria del suo nimico, acciocchè, avuta la vittoria, egli s’allegri e consoii della gloria: ma se egli si partisse dalla battaglia, com’egli fosse percosso e ferito, certa cosa è, ch’egli sarebbe confuso e svergognato e vituperato. E così similmente dobbiamo fare noi; cioè non per ogni tentazione partirci dalla orazione, ma dobbiamo resistere animosamente; perocchè è beato quello uomo che sofferisce le tentazioni, come dice l’Apostolo; perocchè vincendole, riceverà la corona di vita eterna: ma se l’uomo per le tentazioni si parte dalla orazione, certa cosa è, che egli rimane confuso, vinto e sconfitto dal suo nimico Demonio. Uno frate disse a frate Egidio: Padre, io vidi alcuni uomini, li quali ricevettero da Dio grazia di divozione di lagrime in nella sua orazione, ed io non posso sentire alcuna di queste grazie, quando adoro Iddio; al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, io ti consiglio, che tu lavori umilmente e fedelmente in nella tua orazione; imperocchè il frutto della terra non si può avere senza fatica e senza lavorio nanzi adoperato; ed ancora dopo il lavoro, non seguita però il frutto desiderato subitamente, per infino a tanto che non è venuto il tempo della stagione: e così Iddio non dà subito queste grazie allo uomo in nella orazione, per infino a tanto che non è venuto il tempo convenevole, per infino a tanto che la mente non è purgata di ogni carnale affezione e vizio. Adunque, fratello mio, lavora umilmente nella orazione; perocchè Iddio, il quale è tutto buono e grazioso, ogni cosa conosce e discerne il migliore: quando e’ sarà il tempo e la stagione, egli come benigno ti darà molto frutto di consolazione. Un altro frate disse a frate Egidio: Che fai tu, frate Egidio? che fai tu, frate Egidio? ed egli rispose: Io faccio male; e quello frate disse: Che male fai tu? E allora frate Egidio si voltò a un altro frate, e sì gli disse: Dimmi, fratello mio, chi credi tu che sia più presto, o il nostro Signore Iddio a concedere a noi la sua grazia, o noi a riceverla? e quello frate rispose: Egli è certa cosa, che Iddio è più presto a dare a noi la grazia sua, che noi non siamo a riceverla. E allora disse frate Egidio: Dunque facciamo noi bene? E quel frate disse: Anche facciamo noi male. Ed allora frate Egidio si rivoltè al primo frate e disse: Ecco frate, che ci mostra chiaramente, che noi facciamo male; ed è vero quello che io allora rispuosi, cioè ch’io facea male disse frate Egidio: Molte opere sono laudate e commendate nella Santa Scrittura, ciò sono l’opere della Misericordia, ed altre sante operazioni; ma favellando il Signore
della orazione, disse cosi: il Padre celestiale va cercando, e vuole degli uomini che lo adorino sopra la terra in ispirito ed in veritade. Ancora disse frate Egidio, che li veri religiosi sono simili alli lupi; perocchè poche volte escono fuori in pubblico, se non per grande necessitade; ma incontanente si studiano di tornare al suo segreto luogo senza molto dimorare nè conversare infra la gente. Le buone operazioni adornano l’anima; ma sopra tutte le altre, l’orazione adorna e illumina l’anima. Uno frate compagno e molto familiare di frate Egidio, disse: Padre, ma perchè non vai tu alcuna volta favellare delle cose di Dio, e ammaestrare e procurare la salute delle anime delli cristiani? Al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, io voglio soddisfare allo prossimo con umiltade, e senza danno dell’anima mia, cioè colla orazione. E quel frate gli disse: Almeno andassi tu qualche volta a visitare i tuoi parenti. E frate Egidio rispose: Non sai tu, che il Signore dice nel Vangelio: Chi abbandonerà padre e madre, fratelli, sorelle, possessioni per lo nome mio, riceverà cento cotanto? E poi disse: Uno gentil uomo entrò nell’ordine delli frați, del quale valsero le ricchezze forse sessanta mila lire: adunque grandi doni s’aspettano a quelli, che per amor di Dio lasciano le cose grandi, dappoichè Iddio gli dona cento cotanti di più. Ma noi che siamo ciechi, quando vediamo alcuno uomo virtuoso e grazioso appresso a Dio, non possiamo comprendere la sua perfezione, per la nostra imperfezione e cecitade. Ma se alcuno uomo fosse vero spirituale, appena che egli volesse mai vedere nè sentire persona, se non per grande necessitade: perocchè il vero spirituale sempre desidera d’essere separato dalla gente, ed essere unito con Dio per contemplazione. Allora frate Egidio disse ad uno frate: Padre volentieri vorrei sapere, che cosa è contemplazione. E quel Frate rispose: Padre, non lo so. già io. Allora frate Egidio disse: A me pare, che il grado della contemplazione sia un fuoco divino, ed una devozione soave dello Spirito Santo, ed uno ratto e suspensione di mente inebriata in nella contemplazione di quello gusto ineffabile della dolcezza divina; ed una dolce e queta e soave dilettazione dell’anima, che sta sospensa e ratta con grande ammirazione di gloriose cose superne celestiali; ed uno infocato sentimento intrinseco di quella gloria celestiale ed innarrabile.
XII. Capitolo della santa cautela spirituale.
O tu servo del Re celestiale, che vuoi imparare li misterii e le cautele utili e virtuose della santa dottrina spirituale, apri bene le orecchie dello intelletto dell’anima tua, e ricevi con desiderio di cuore, e serba sollecitamente nella casa della tua memoria questo prezioso tesoro di queste dottrine e ammonimenti e cautele spirituali, le quali io ti dico; per le quali tu sarai illuminato e dirizzato nel tuo viaggio, cioè della vita spirituale, e sarai difeso dalli maligni e sottili assalimenti delli tuoi inimici materiali ed immateriali, e andrai con umile audacia sicuro navigando per questo mare tempestoso di questa vita presente, per infino a tanto che tu perverrai al desiderato porto di salute. Adunque, figliuolo mio, intendi bene e nota quello ch’io ti dico: Se tu vuoi ben vedere, traeti gli occhi e sia cieco; e se tu vuogli bene udire, diventa sordo; e se tu vuogli bene parlare, diventa mutolo: e se tu vuogli bene camminare, sta’ fermo e cammina colia mente; se tu vuoi bene adoperare, mozzati le mani e adopera col cuore; e se tu vuogli bene amare, abbi in odio te medesimo: e se tu vuogli bene vivere, mortifica te medesimo; se tu vuogli bene guadagnare ed essere ricco, perdi e sia povero; e se tu vuogli bene godere e stare in riposo, affliggi te medesimo e sta’ sempre in timore, ed abbi a sospetto te medesimo; se tu vuogli essere esaltato ed avere grande onore, umiliati e vitupera te medesimo: se tu vuogli essere tenuto in grande riverenza, dispregia te medesimo, e fa’ riverenza a coloro che ti fanno dispregio e vituperio; se tu vuogli avere sempre bene, sostieni sempre male; se tu vuogli essere benedetto, desidera che ogni gente ti maledisca, e dica male di te: e se tu vuogli avere verace quiete ed eternale, affaticati ed affliggiti, e desidera ogni afflizione temporale. O quanto è grande sapienza, sapere fare e operare queste cose; ma perchè queste sono cose grandi ed altissime, però sono concedute da Dio a poche persone. Ma veramente chi studiasse bene tutte le predette cose, e mettessele in operazione, dico che non gli bisognerebbe andare a Bologna, nè a Parigi, per apparare altra teologia; imperocchè se l’uomo vivesse mille anni, e non avesse a fare alcuna cosa esteriore, o non avesse a dire alcuna cosa colla lingua; dico, che assai arebbe che fare esercitandosi dentro dal suo cuore, lavorando intrinsicamente in nella purgazione e dirizzamento e giustificazione della mente e dell’anima sua. Non dovrebbe l’uomo volere, nè vedere, nè udire, nè favellare nessuna cosa, se non in quanto fosse utilità dell’anima sua. L’uomo, che non conosce se, non è conosciuto. Ed imperò guai a noi, quando riceviamò li doni e le grazie del Signore, e non li sappiamo conoscere: ma più guai a quelli, che non li ricevono, nè conoscono, nè anche non si curano d’acquistarle nè d’averle. L’uomo si è alla immagine di Dio, e come vuole, così si tramuta; ma esso buono Iddio mai non si tramuta.
XIII. Capitolo della scienza utile, e non utile.
L’uomo che vuole sapere molto, debbe adoperare molto, e debbe umiliarsi molto, abbassando se medesimo e inchinando il capo, tanto che ’l ventre vada per terra; ed allora il Signore gli darà la molta scienza e sapienza. La somma sapienza si è a fare sempre bene, operando virtuosamente e guardandosi bene da ogni difetto e da ogni cagione di difetto, e sempre considerare li giudicii di Dio. Una volta disse frate Egidio ad uno, che volea andare alla scuola per imparare scienza: Fratello mio, perchè vuoi tu andare alla scuola? ch’io ti faccio assapere, che la somma d’ogni scienza si è temere e amare, e queste due cose ti bastano perocchè tanta sapienza basta all’uomo quanto adopera, e non più. Non ti sollecitare molto di studiare per utilità d’altri, ma sempre ti studia e solecita, e adopera quelle cose che sono utili a te medesimo perocchè molte volte avviene questo, che noi vogliamo sapere molta scienza per aiutare altrui, e poco per aiutare a noi medesimi; e io dico, che la parola di Dio non è dello dicitore, nè anche dello uditore, ma è del vero operatore. Alcuni uomini che non sapeano notare, sì entrarono nell’acqua per aiutare a quelli che s’annegavano; e accadde, che s’annegarono insieme con essi. Se tu non procuri bene la salute dell’anima tua propria, e come procurerai tu quella delli tuoi prossimi? e se tu non farai bene li tuoi fatti propri, or come farai bene li fatti altrui? perocchè non è da credere, che tu ami più l’anima d’altrui, che la tua. Li predicatori, della parola di Dio debbero essere bandiera, candela e specchio del popolo. Beato quello uomo, che per tal modo guida gli altri per la via della salute, ed egli medesimo non cessa d’andare per essa via della salute! Beato quello uomo, che per tale modo invita gli altri a correre, ed egli medesimo non resta di correre! più beato è quello che per tale modo aiuta gli altri a guadagnare e ad essere ricchi; ed elli per sè medesimo non resta di arricchire. Credo, che lo buono predicatore più ammonisce e più predica a sè medesimo, che non fa agli altri. A me pare che l’uomo, il quale vuole convertire e trarre Î’anima delli peccatori alla via di Dio, che sempre debba temere che egli non sia malamente pervertito da loro, tratto alla via delli vizii e del Demonio e dello Inferno.
XIV. Capitolo del bene parlare, e del male.
L’uomo che favella le buone parole ed utili alle anime, è veramente quasi bocca dello Spirito Santo; e così l’uomo che favella le male parole ed inutili è certamente bocca del Demonio. Quando alcuna volta li buoni uomini ispirituali sono congregati a ragionare insieme, sempre dovrebbero parlare della bellezza delle virtudi, acciocchè più piacessero le virtudi e più si dilettassero in esse: imperocchè dilettandosi e piacendosi nelle dette virtudi, più si eserciterebbero in esse; ed esercitandosi in esse perverrebbero in maggiore amore di loro; e per quello amore e per lo esercizio continovo e per lo piacimento delle virtudi, sempre salirebbero in più fervente amore di Dio, ed in più alto stato della anima; per la qual cagione gli sarebbero concedute dal Signore più doni e più grazie divine. Quanto l’uomo è più attentato, tanto più gli è di bisogno parlare delle sante virtudi: imperocchè come spesse volte per lo vile favellare delli vizii, l’uomo leggermente cade nelle operazioni viziose; e così molte volte per lo ragionamento delle virtù, leggermente l’uomo è condotto e disposto nelle sante operazioni delle virtudi. Ma che diremo noi del bene, che procede dalle virtudi? perocch’egli è tanto grande, che noi non possiamo degnamente favellare della sua grande eccellenza, ammirabile e infinita. Ed anche, che diremo del male, e della pena eternale che procede dalli vizii? imperocch’egli è tanto male e tanto abisso profondo, che a noi è incomprensibile ed impossibile a pensarlo, ovvero a potere parlare di lui. Io non reputo, che sia minore virtù a sapere ben tacere, che a sapere bene parlare: ed imperò pare a me, che bisognerebbe che Ï’uomo avesse il collo lungo come hanno le grue, acciocchè quando l’uomo volesse parlare, che la sua parola passasse per molti nodi innanzi che venisse alla bocca; cioè a dire, quando l’uomo volesse favellare, che e’ bisognerebbe ch’egli pensasse e ripensasse, ed esaminasse e discernesse molto bene, e il come e il perchè ’l tempo e ’l modo e la condizione degli auditori, e ’l suo proprio effetto, e la intenzione del suo motivo.
XV. Capitolo della buona perseveraziane.
Che giova allo uomo il molto digiunare ed orare e fare limosine, e affliggere sè medesimo con grande sentimento delle cose celestiali, s’egli non perviene al beato porto desiderato di salute, cioè della buona e ferma perseveranza? Alcuna volta avviene questo, che appare nel mare alcuna nave molto bella e grande e forte e nuova, e piena di molte ricchezze; e accade, che per alcuna tempesta, ovvero per lo difetto del governatore, perisce e sommerge questa nave, ed annegasi miserabilmente, e non perviene al desiderato porto. Adunque, che le giova tutta la sua bellezza e bontà e ricchezza, dappoichè così miserabilmente pericolò nel pelago del mare? E anche alcuna volta appare nel mare alcuna navetta piccola e vecchia, e con poca mercatanzia; e avendo buono governatore e discreto, passa la fortuna e campa dal profondo pelago del mare, e perviene al porto desiderato; e così addiviene agli uomini in questo tempestoso mare di questo mondo. Ed imperò dicea frate Egidio: L’uomo sempre debbe temere; ed avvegnachè egli sia in grande prosperitade, o in alto stato, o in grande degnità, o in grande perfezione di stato, se egli non ha buono governatore, cioè discreto reggimento, egli si puote miserabilmente pericolare nel profondo pelago delli vizii ed imperciò al ben fare al postutto bisogna la perseveranza, come dice l’Apostolo: Non chi comincia ma chi persevera infino al fine, quello averà la corona. Quando uno arbore nasce, già non è fatto grande incontanente; e dappoich’egli è fatto grande, non dà però incontanente il frutto; e quando fa il frutto, non pervengono però tutti quelli alla bocca del signore di quello arbore; perocchè molti di quelli frutti caggiono in terra, o infracidansi e guastansi, e tali ne mangiano gli animali: ma pure perseverando per infino alla stagione, la maggior parte di quelli frutti ricoglie il signore di quello arbore. Ancora disse frate Egidio: Che mi gioverebbe, s’io gustassi ben cento anni il regno del Cielo, e io non perseverassi sicchè dappoi io non avessi buono fine? Ed anche disse: Io reputo, che queste sieno due grandissime grazie e doni di Dio a chi le può acquistare in questa vita, cioè perseverare con amore nel servigio di Dio, e sempre guardarsi di non cadere in peccato.
XVI. Capitolo della vera Religione.
Dice frate Egidio parlando di se medesimo: Io vorrei innanzi un poco della grazia di Dio, essendo religioso nella religione, che non vorrei avere le molte grazie di Dio, essendo secolare e vivendo nel secolo: imperciocchè in nel secolo si sono molto più pericoli e impedimenti, e più poco rimedio, e meno aiutorio che non è nella religione. Anche disse frate Egidio: A me pare, che l’uomo peccatore più teme il suo bene, che non fa il suo danno e ’l suo male; imperocchè egli teme di entrare nella religione a fare penitenza; ma non teme d’offendere Iddio e l’anima sua rimanendo nel secolo duro e ostinato, e nello fango fastidioso delli suoi peccati, aspettando la sua ultima dannazione eternale. Un uomo secolare domandò frate Egidio, dicendo: Padre, che mi consigli tu, che io faccia? o che io entri nella religione, o che io mi stia nel secolo facendo le buone operazioni? Al quale frate Egidio rispose: Fratello mio, certa cosa è, che se alcuno uomo bisognoso sapesse un grande tesoro ascoso nel campo comune, che egli non domanderebbe consiglio ad alcuna persona, per certificarsi se sarebbe bene di cavarlo è di riporlo nella casa sua: quanto più dovrebbe l’uomo istudiarsi, ed affrettarsi con ogni efficacia e sollecitudine di cavare quello tesoro celestiale lo quale si truova nelle sante religioni e congregazioni spirituali, senza domandare tanti consigli! E quello secolare, udendo cotesta risposta, incontanente distribuì quello che possedeva alli poveri, e così dispogliato d’ogni cosa subito entrò nella religione. Dicea frate Egidio: molti uomini entrarono nella religione, e non mettono però in effetto, e in operazione quelle cose, le quali appartengono al perfetto stato della santa religione; ma questi cotali sono assomigliati a quello bifolco, che si vestì dell’armi d’Orlando, e non sapea pugnare nè armeggiare con esse. Ogni uomo non sa cavalcare il cavallo restio e malizioso; e se pure lo cavalca, forse non saprebbe guardarsi di cadere, quando il cavallo corresse o maliziasse. Ancora disse frate Egidio: Io non reputo gran fatto che l’uomo sappia entrare in nella corte del Re; nè non reputo gran fatto, che l’uomo sappia ritenere alcune grazie, ovvero benefizii dello Re; ma il grande fatto si è, che elli sappia bene istare e abitare e conversare nella corte dello Re, perseverando discretamente secondo che si conviene. Lo stato di quella corte del Grande Re Celestiale si è la santa religione, nella quale non è fatica sapere entrare e ricevere alcuni doni, e grazie da Dio; ma il grande fatto si è che l’uomo sappia bene vivere e conversare e perseverare in essa discretamente per insino alla morte. Ancora disse frate Egidio: Io vorrei innanzi essere nello stato secolare, e continovamente sperare e desiderare con divozione d’entrare nella religione, che non vorrei istare nello abito vestito nella santa religione, senza esercizio d’opere virtuose, perseverando in pigrizia e in negligenza. Ed imperò dovrebbe l’uomo religioso sempre isforzarsi di vivere bene e virtuosamente, sapendo che egli non può vivere in altro stato, che in nella sua professione. Una volta disse frate Egidio: A me pare, che la religione de’ frati Minori veramente si fusse mandata da Dio, per utilità e grande edificazione della gente; ma guai a noi frati, se noi non saremo tali uomini, quali noi dobbiamo essere! Certa cosa è, che in questa vita non si troverebbero più beati uomini di noi: imperocchè colui è santo che seguita il santo, e colui è veramente buono, che va per la via del buono, e colui è ricco che va per gli andamenti del ricco; conciossiącosachè la religione delli frati Minori, più che nessuna altra religione, seguita le vestigię e gli andamenti del più buono, del più ricco e del più santo, che mai fosse nè mai sarà, cioè del nostro Signore Gesù Cristo.
XVII. Capitolo della santa obbedienza.
Quanto più sta lo religioso costretto sotto il giogo della santa obbedienza, per l’amore di Dio, tanto maggiore frutto darà di sè medesimo a Dio; quanto sarà soggetto al suo maggiore per onore di Dio, tanto sarà più libero e mondo delli suoi peccati. Lo religioso vero obbediente si è simile al cavaliere bene armato e bene a cavallo, il quale passa e rompe sicuramente la schiera delli suoi inimici senza timore, perchè nessuno di loro, non lo può offendere. Ma colui che obbedisce con mormorazione e con violenza, si è simile al cavaliere disarmato e male a cavallo; il quale entrando nella battaglia, sarà gittato per terra dalli suoi nimici, e ferito da loro e preso, e alcuna volta incarcerato e morto. Quello religioso, che vuole vivere secondo lo arbitrio della sua propria volontà, mostra che vuole edificare abitazione perpetua nel profondo dello inferno. Quando il bue mette il capo sotto il giogo, allora lavora bene la terra, sicchè rende buono, frutto, a suo, tempo; ma quando il bue si gira vagabondo, rimane la terra inculta e selvatica, e non rende il frutto suo alla stagione. E così lo religioso che sottomette il capo sotto il giogo della obbedienza, molto frutto rende al Signore Iddio al tempo suo: ma colui che non è obbediente di buono cuore al suo Prelato, rimane isterile e sal vatico e senza frutto della sua professione. Gli uomini savi e magnanimi si sottomettono prontamente, senza timore e senza dubitazione, il capo sotto il giogo della santa obbedienza, ma gli uomini istolti e pusillanimi si studiano di trarre fuora il capo di sotto il giogo della obbedienza santa, e dappoi non vogliono ubbidire ad alcuna creatura. Maggiore perfezione reputo che sia al servo di Dio, obbedire puramente al suo Prelato, per riverenza e amore di Dio; che non sarebbe ad obbedire propriamente a Dio, se esso Iddio il comandasse; imperocchè colui che è obbediente ad un vicario del Signore, certa cosa è, che bene sarebbe ancora obbediente piuttosto al Signore medesimo, se egli comandasse. Ancora mi pare, che se alcuno uomo avesse promesso obbedienza ad altri, ed egli avesse grazia di parlare con gli Angeli; e accadesse, che egli stando e favellando con essi Angeli, e colui al quale avesse promesso obbedienza lo chiamasse; dico che incontanente debba lasciare il favellare con gli Angeli, e debba correre a fare la obbedienza per onore di Dio. Colui che ha posto il capo sotto il giogo della obbedienza santa, e poi vuole trarre il capo fuori di sotto a quella obbedienza, per volere seguitare vita di più perfezione; dico che, s’egli non è bene perfetto prima nello stato della obbedienza, che è segno di grande superbia, la quale ascosamente giace nella anima sua. La obbedienza si è via di pervenire ad ogni bene e ad ogni virtude; e la inobbedienza si è via d’ogni male e d’ogni vizio.
XVIII. Capitolo della memoria della morte.
Se l’uomo avesse sempre dinanzi agli occhi della mente la memoria della morte sua, e dello ultimo giudicio eternale, e delle pene e delli cruciamenti delle anime dannate, certa cosa è, che mai non gli verrebbe voglia di peccare, nè di offendere Iddio. Ma se fosse cosa possibile, che alcuno uomo fosse vissuto dal prin cipio del mondo per infino al tempo che è ora, e in tutto questo tempo avesse sostenuta ogni avversità, tribolazione, pene, afflizioni e dolori; e costui morisse e l’anima sua andasse a ricevere quello eterno bene celestiale; ma che gli nuocerebbe tutto quello male, che avesse sostenuto al tempo passato? E così similmente: se l’uomo avesse avuto, tutto il tempo predetto, ogni bene e ogni dilettazione, piacere e consolazione del mondo, e poi morendo, l’anima sua ricevesse quelle eternali pene dello inferno; ma che gli gioverebbe ogni bene; ch’egli avesse ricevuto al tempo passato? Uno uomo vagabondo disse a frate Egidio: Io sì ti dico che volentieri vorrei vivere molto tempo in questo mondo, e avere grandi ricchezze e abbondanza d’ogni cosa; e vorrei essere molto onorato; al quale frate Egidio disse: Fratello mio, ma se tu fossi Signore di tutto il mondo, e dovessi vivere in esso mille anni in ogni dilettazione, delizie e piaceri e consolazioni temporali, deh dimmi, che premio, o qual merito aspetteresti d’avere di questa tua misera carne, alla quale tanto tu vorresti servire e piacere? Ma io ti dico; che l’uomo che bene vive secondo Iddio, e che si guarda di non offendere Iddio, certo egli riceverà da esso Iddio sommo bene e infinito premio eternale e grande abbondanza e grande ricchezza e grande onore e lunga vita eternale in quella perpetua gloria celestiale; alla quale ci produca esso buono Iddio, Signore e Re nostro Gesù Cristo, a laude di esso Gesù Cristo, e del poverello Francesco.