Esercitazioni filosofiche (Rocco)/VII

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Esercitazione VII

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VI VIII
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Argomenti per la quiete della Terra, soluzioni, impugnazioni ed altre curiosità annesse

Esercitazione Settima.

Ponete, Sig. Galileo, gli argomenti di Aristotile e di altri, con i quali si intende provare che la Terra stia ferma e si movano i cieli; i quali argomenti, in favor della vostra opinione, vi affaticate di sciogliere: ed io, sì perchè da chi [p. 664 modifica] non sono stati più visti si vedano, come per poter con ordine e distinzione ponderar e confutar le loro soluzioni, giudico spediente di mettergli quivi tutti.

1. Il primo dunque è questo: «Se la Terra si movesse o in sè stessa, stando nel centro, o in cerchio, essendo fuor del centro, è necessario che ella violentemente si movesse di tal moto, imperochè non è suo naturale; chè se fusse suo, l’avrebbe anco ogni sua particella; ma ogn’una di loro si move per linea retta al centro: essendo dunque violento e preternaturale, non potrebbe esser sempiterno: ma l’ordine del mondo è sempiterno: adunque etc.».

2. «Secondo, tutti gli altri mobili di moto circolare par che restino indietro e si movano di più di un moto, trattone però il primo mobile: per lo che sarebbe necessario che la Terra ancora si movesse di due moti; e quando ciò fosse, bisognerebbe di necessità che si facessero mutazioni nelle stelle fisse: il che non si vede, anzi senza variazione alcuna le medesime stelle nascono da i medesimi luoghi, e ne i medesimi tramontano.»

3. « Terzo, il moto delle parti e del tutto è naturalmente al centro dell’universo. e per questo ancora in esso si sta.»

4. Quarto, i corpi gravi, buttati all’insù, cascano a perpendicolo sopra la superficie della Terra; il che non potrebbe essere se la Terra si movesse, conciosia che ella col suo moto velocissimo trapasserebbe, e così il cadente peso anderebbe a cascar lontano da chi lo buttò, o non a perpendicolo.

5. In oltre, il risponder tutte l’apparenze, che si veggono ne i movimenti delle stelle, alla posizione di essa Terra nel centro, è argomento che ella nel centro dell’universo sia, od immobile ancora.

0. Sesto, mentre un grave casca dalla cima di una torre, viene per linea retta a perpendicolo alla superficie della Terra; dunque essa Terra sta, immobile: perchè quando ella avesse la conversion diurna, quella torre venendo portata dalla vertigine della Terra, nel tempo che il sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso oriente; e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere in Terra lontano dalla radice della torre.

7. Si conforma con un sasso lasciato cadere dalla cima dell’albero di una nave la quale cammini, che anderà a cader tanto lontano dall’albero, per quanto avrà scorso la nave; e se ella stia ferma, cascherà il detto sasso giustamente alla radice dell’albero.

8. «Fortificasi tal argomento con l’esperienza di un proietto tirato in alto per grandissima distanza, qual sarebbe una palla cacciata da una artiglieria drizzata a perpendicolo sopra l’orizonte, la quale nella salita e nel ritorno consuma tanto tempo, che nel nostro paralello l’artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia portati dalla Terra verso levante, talchè la palla, cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo, ma tanto lontana verso occidente quanto la Terra fosse scorsa avanti.» [p. 665 modifica]

9. «Aggiungono di più la terza e molto efficace esperienza, che è: tirandosi con una colubrina una palla di volata verso levante, e poi un’altra con egual carica ed alla medesima elevazione verso ponente, il tiro verso ponente riuscirebbe estremamente maggiore dell’altro verso levante; imperochè mentre la palla va verso occidente, e l’artiglieria, portata dalla Terra, verso oriente, la palla verrebbe a percuotere in Terra lontano dall’artiglieria tanto spazio quanto è l’aggregato di due viaggi, uno fatto da sè verso occidente, e l’altro dal pezzo, portato dalla Terra, verso levante; e per l’opposito, del viaggio fatto dalla palla tirata verso levante bisognerebbe detrarne quello che avesse fatto l’artiglieria seguendola: posto dunque, per essempio, che il viaggio della palla fosse cinque miglia, e che la Terra in quel tal paralello nel tempo della volata della palla scorresse tre miglia, nel tiro di ponente la palla caderebbe in Terra otto miglia lontana dal pezzo, cioè le sue cinque verso ponente e le tre del pezzo verso levante; ma il tiro d’oriente non riuscirebbe più lungo di due miglia, chè tanto resta detratto dalle cinque del tiro le tre del moto del pezzo verso la medesima parte: ma l’esperienza mostra i tiri esser eguali; adunque l’artiglieria sta immobile, e per conseguente la Terra ancora. Ma non meno di questi, i tiri altresì verso mezo giorno o verso tramontana confermano la stabilità della Terra: imperochè mai non si correbbe nel segno che altri avesse tolto di mira, ma sempre sarebbono i tiri costieri verso ponente, per lo scorrere che farebbe il bersaglio, portato dalla Terra, verso levante, mentre la palla è portata per aria. E non solo i tiri per le linee meridiane, ma nè anco i fatti verso oriente o verso occidente riuscirebber giusti, ma gli orientali riuscirebbero alti, e gli occidentali bassi, tutta volta che si tirasse di punto in bianco; perchè sendo il viaggio della palla in ambedue i tiri fatto per la tangente, cioè per una linea paralella all’orizonte, ed essendo che al moto diurno, quando sia della Terra, l’orizonte si va sempre abbassando verso levante ed alzandosi da ponente (che però ci appariscono le stelle orientali alzarsi, e l’occidentali abbassarsi), adunque il bersaglio orientale si anderebbe abbassando sotto il tiro, onde il tiro riuscirebbe alto, e l’alzamento del bersaglio occidentale renderebbe basso il tiro verso occidente. Talchè mai non si potrebbe verso niuna parte tirar giusto: e perchè l’esperienza è in contrario, è forza dire che la Terra sta immobile.»

10. Di più, le nuvole e gli ucelli non essendo aderenti alla Terra, non si moveriano al moto di essa, se ella si movesse; e per conseguente, non potendo seguir col suo moto o col suo volo la velocità della Terra, parrebbe a noi che tutti velocissimamente si movessero verso occidente: «e se noi, portati dalla Terra, passiamo il nostro paralello in vinti quattr’ore, che pur è almeno sedici mila miglia, come potranno gli ucelli tener dietro ad un tanto corso? dove, all’incontro, senza veruna sensibil differenza gli vediamo volar tanto verso levante 40 quanto verso occidente e verso qual si voglia parte». [p. 666 modifica]

11. «Oltre a ciò, se mentre corriamo a cavallo sentiamo assai gagliardamente ferirci il volto dall’aria, qual vento dovressimo perpetuamente sentire noi dall’ oriente, portati conisi rapido corso incontro all’aria? pur nulla di tale effetto si sente.»

12. Finalmente, «il moto circolare ha virtù e forza di distruggere e dissipare e scacciar del suo centro le parti del corpo che si move, qualunque volta o il moto non sia assai tardo o esse parti non siano saldamente attaccate insieme; che per ciò, quando noi facessimo girare una di quello gran ruote velocissimamente dentro le quali caminando uno o due uomini movono grandissimi pesi, come la massa delle gran pietre del mangano, quando le parti di essa ruota rapidamente girata non fossero più che saldamente conteste, si dissiperebbero tutte, nè, per molto che tenacemente fossero sopra la sua esterior superficie attaccati sassi o altre materie gravi, potrebbono resistere all’impeto, che con gran violenza lo scagliarebbe in diverse parti lontane dalla ruota, ed in conseguenza dal suo centro. Quando adunque la Terra si movesse con tanto e tanto maggior velocità, qual gravità, qual tenacità di calcina o di smalti, riterrebbe i sassi, le fabriche, le città intere, che da sì precipitosa vertigine non fossero lanciate verso il cielo? e gli uomini e le fiere, che niente sono attaccati alla Terra, come resisterebbono a un tanto impeto? dove che, all’opposito, e queste ed assai minori resistenze, di sassetti, di rena, di foglie, vediamo quietissimamente riposarsi in Terra, e sopra quella ridursi cadendo, ancorchè con lentissimo moto.»

Ecco (soggiungete) le ragioni potissime prese (per così dire) dalle cose terrestri: restano quelle dell’altro genere, cioè quelle che hanno relazione all’apparenze celesti, delle quali ragionerete (dite) poi che avrete esaminata la forza di queste. Or venite all’esamine delle predette; le cui posizioni acciò più chiaramente siano intese, deve osservarsi che il vostro fine (come espressamente dite) è di provare che la Terra si mova circolarmente e che il Soie e la sfera stelata siano del tutto immobili, di modo che essa Terra con il suo moto ha da supplire a tutte l’apparenze e moti che a questi due orbi si attribuiscono: il moto de gli altri pianeti non è da voi negato. Or sentiamo le vostre soluzioni, se con le confutazioni che io apporterò immediate ad una per una, conforme al fine propostomi nell’assunto di questa opera, che fu mera esercitazion filosofica.

1. Rispondete per tanto così al primo. Quando Aristotile disse che il moto circolare alla Terra sarebbe violento e perciò non perpetuo, e che anco le parti dovrebbero moversi di questo moto circolare, questo moversi circolarmente si può intendere in due modi: uno, che ogni particella separata dal suo tutto si movesse circolarmente intorno al suo proprio centro, descrivendo i suoi piccoli cerchiettini; l’altro è, che movendosi tutto il globo intorno al suo centro1 in [p. 667 modifica] ventiquattro ore, lo sue parti ancora girassero intorno al medesimo centro in vintiquattr’ore. Il primo sarebbe una impertinenza non minore che se altri dicesse che di una circonferenza di cerchio ogni parte bisogna che sia un cerchio, overo perche la Terra è sferica, ogni parte di Terra bisogna che sia una palla, perchè così richiede l’assioma Eadem est ratio totius et partium. Ma se egli intende nell’ altro, cioè che le parti, ad imitazion del tutto, si moverebbero naturalmente intorno al centro di tutto il globo in vinti quattr’ore, io dico che lo fanno; ed a voi (rivolto al vostro Simplicio), in vece d’Aristotile, toccherà a provar che no.»

Risponde Simplicio, che già Aristotile l’ha provato, con dire che il moto delle parti è retto, e che il circolare non gli può naturalmente competere, perchè è violento, ed il violento non è eterno, e pur l’ordine del mondo è eterno. A cui fate instanza, dicendo che «se quel che è violento non può esser eterno, pe ’l converso quel che non può esser eterno non potrà esser naturale; ma il moto della Terra all’ingiù non può esser altrimenti eterno; dunque meno può esser naturale, nè gli potrà esser naturale moto alcuno che non gli sia anco eterno: ma se noi faremo la Terra mobile di moto circolare, questo potrà esser eterno ad essa ed alle parti, e però naturale». E soggiungendo Simplicio che il moto retto sarebbe eterno alla Terra o alle sue parti, levato via ogni impedimento, instate gagliardamente dicendo, e provando con essempi, niun moto poter esser eterno, mentre sia fatto per spazio finito e terminato: così sarebbe il moto retto della Terra terminato sempre dal centro, e per riflessione non è un sol moto (dottrina vera in questa parte, e di Aristotile nell’ottavo della Fisica); dunque mai sarebbe il retto eterno: onde, acciochè il moto sia eterno, deve esser il spazio interminato, ed il mobile incorruttibile; e così nessun moto retto può esser eterno, nè la Terra si moverà mai eternamente di tal moto: dunque o bisogna darle il moto circolare, o forzarsi di mantenerla immobile. Sin qui voi.

Or sentite, Sig. Galileo, a parte per parte, quanto questa vostra opposizione responsiva vaglia. Mentre dite che questo moversi circolarmente si può intendere in due modi, l’uno che ogni particella separata dal suo tutto si movesse circolarmente da sè etc., e che ciò sia una impertinenza etc., vi rispondo che a punto è una impertinenza ed impossibilità manifesta che queste particelle così si movessero, e pure a ragion di supposito sarebbe necessario: e voi prendete l’argomento di Aristotile per ostensivo, essendo ad impossibile; il vigor del quale è tale: Le parti del corpo totalmente similare, attualmente separate da esso, hanno la medesima natura ed il medesimo moto del suo tutto; dunque se le parti della Terra, separate da lei, si movono di movimento retto, la Terra tutta avrà il movimento retto; e sì come è impossibile ed immaginabile che quelle parti si movano circolarmente, così è impossibile che la Terra tutta in questa maniera si mova.

Talchè quanto più voi indurrete che sia impossibile per qual si voglia via il moto circolare convenire alle parti separate dalla Terra, tanto accrescerete forza alla [p. 668 modifica] ragion di Aristotile: or vedete quanto sete lontano dal scioglierla, che, volendo scioglierla, la confirmate! Quel che aggiungete, che le parti non possono aver questo moto circolare, perchè non hanno la figura circolare che a tal moto si ricercapostille 1, sarebbe a proposito se si parlasse di corpi che hanno necessariamente determinata figura, come (secondo noi) sono i celesti, gli animali e le piante; ma di quelli i quali tale figura non hanno, la vostra considerazione è fallace: e tale appunto è la Terra, con gli altri elementi e molt’altre cose naturali ancora. Mi dichiaro. Si dicono corpi similari e senza determinata figura quei che in tutte le lor parti sono simili in ogni conto di qual si voglia condizione ed accidenti, che possono salvarsi sotto ogni figura, tanto circolare, quanto longa, quadrata, piramidale etc., senza punto scemarsi nè patir in cosa alcuna delle lor dovute naturalezze, anco minime; le parti de’ quali ritengono la natura commune, ed il nome parimente, del suo tutto. Così ciascuna parte della Terra si chiama Terra ed ha tutte le condizioni dovute alla Terra, in mole o grande o piccola, in figura tonda o quadrata il medesimo dico dell’aria etc. Or questi, come non si prefiggono alcuna figura, ma sotto qualsivoglia possono con integrità pienissima conservarsi, così sotto ciascuna hanno il lor primo effetto della natura, cioè il moto; e per conseguente, se il circolare fusse naturale alla Terra, come la totale natura di essa si contiene in ciascuna delle sue parti, senza altra determinata figura, così vi si includerebbe anco il moto circolare: il che vedendosi falso ed impossibile, bisogna concludere che il moto circolare non gli convenga, o pure che ella non sia corpo similare; ed essendo questo falsissimo, sarà vero il suo disgiunto, cioè che il moto circolare non li convenga. Solo dunque i corpi che hanno certa immutabile figura, non hanno il moto senza la totalità di quella; ma quei che indeterminati sono, in ogni parte il lor natural moto ritengono, e così lo dovrebbe ritener la Terra nelle sue parti. Ma se alcun mi dicesse che anco la Terra ha la sua figura determinata sferica, e necessariamente, come vuole anco Aristotile (ipsam autem figuram habere sphaericam, nccessarium est, dice egli nel secondo del Cielo, al testo 104), rispondo che ella ha questa figura di fatto e di necessità suppostale, non di necessità di natura, come il medesimo filosofo soggiungendo dichiara che in tal figura ella si riduce per tender al centro per linee più brevi, onde tal forma prende per questo effetto, come gli altri corpi similari per altre esterne cagioni. Quanto all’altro modo di moversi le parti della Terra circolarmente unite col tutto, sarebbe non solo non impossibile, ma necessario, dato che ella di questo moto si movesse; ma noi abbiam provato di no, dalla uniformità delle parti con i lor corpi similari: a voi tocca a provar l’opposito. Mentre fate instanza dicendo: «Se quel ch’è violento non può esser eterno, pe ’l converso quel che non può esser eterno non potrà esser naturale», vi rispondo che la conversione vostra non vale, già che [p. 669 modifica] molte cose sono naturali e pur non sono eterne, stando anco permanente e stabile il lor fondamento. Ed al proposito nostro, è naturale il generare ed il crescere a i viventi; e pur essi restando, questi moti non sono perpetui: è anco naturale a tutti quei che si movono di moto retto di giungere al termine loro, e nulladimeno questi moti non sono eterni; ed in universale ogni moto (dal circolare in poi), sia di qualsivoglia genere, può esser naturale, ed è terminato ciascuno: dunque non è vero che ogni naturale sia eterno, ancorchè sia eterno il suo mobile. Avresti meglio detto che nelle cose eterne si trova eterna inclinazione all’opre, non essendo nell’ordine della natura cosa alcuna oziosa; ma che quest’opre siano attualmente eterne, o sempre in fieri attuale, è falsissimopostille 2. Così è eternamente mobile la Terra, come ogni corpo naturale; ma che perciò eternamente si mova, non è di alcuna necessità, già che alcune attitudini sono date dalla natura da ridursi all’effetto opportunamente, come a bastanza ho detto innanzi: e per ciò è anco falso quello che inferite, che non gli possa esser [p. 670 modifica] naturale moto alcuno che non sia eterno. Il far mobile la Terra perciò di moto circolare, nè ad essa nè alle parti sarà naturale nè eterno, anzi violento (già che ha il suo moto naturale retto) e perciò non eterno, essendo ben vero che niun moto violento è eterno, con l’intelligenza sana che parimente ho apportata nel primo libro; e così il suo moto è terminato, non per impedimento (come fate rispondere al vostro Simplicio), ma per mera naturalezza, e vi si concedo cortesemente che niun moto terminato e niun reflesso sia eterno, e per conseguente nè eterno quello della lerra: sì che noi, levandogli il moto circolare, come a lei repugnante, la statuimo immota, ma però mobile nel modo che alla sua natura conviene ed io pur nel detto luoco ho dichiarato.

2. Al secondo argomento dite, che Aristotile istesso vi mette la risposta in bocca, già che nel secondo del Cielo, al testo 97, ove dice: Praeterea, omnia quae feruntur latione circulari, subdeficere videntur, ac moveri pluribus una latione, praeter primam sphaeram; quare et Terram necessariam est, sive circa medium sive in medio posita feratur, duabus moveri lationibus: si autem hoc acciderit, necessarium est fieri mutationes ac conversiones fixorum astrorum: hoc autem non videtur fieri; sed semper eadem apud eadem loca ipsius et oriuntur et occidunt, due posizioni vuole Aristotile impugnare: l’iuna, che la Terra si mova in sè stessa circa il proprio centro; l’altra, che essendo lontana dal centro andasse intorno ad esso, nel modo che fa un pianeta; ed egli erra nell’una e nell’altra. Nella prima, perchè assume che ogni corpo il qual si movo circolarmente, è necessario che si mova di due moti, eccetto la prima sfera; dunque, quando non fusse necessario attribuirle altro che una lazion sola, con salvar l’istesse apparenze delle stelle fisse, tu, o Aristotile, non avresti per impossibile che di una tal sola olla si movesse. «E perchè di tutti i mobili del mondo tu fai che un solo si mova di una lazion sola, e tutti gli altri di più di una, e questo affermi esser la prima sfera stellata, se la Terra potesse esser quella prima sfera, che col moversi di una. lazion sola facesse apparir le stelle moversi da levante in ponente, tu non glie la negheresti: ma chi dice che la Terra è posta nel mezo, non gli attribuisce altio moto che quello per il quale tutte le stelle appariscono moversi da levante a ponente, e così ella viene ad esser quella prima sfera che tu stesso concedi moversi di una lazion sola: bisogna dunque, o Aristotile, se tu vuoi concludere qual cosa, che tu dimostri che la Terra posta nel mezo non possa moversi nè anco di una sola lazione, overo che nè meno la prima sfera possa aver un sol movimento, altrimenti tu nel tuo medesimo sillogismo commetti la fallacia e ve la manifesti, negando ed insieme concedendo l’istessa cosa. Vengo alla seconda posizione, cioè che la Terra, lontano dal mezo, si mova, come un pianeta, intorno ad esso; contra la qual posizione procede l’argomento, e quanto alla forma è concludente, ma pecca in materia: imperochè, conceduto che la Terra si mova in cotal guisa, e che si mova di due lazioni, non però ne segue di [p. 671 modifica] necessità che, quando ciò sia, si abbian da far mutazioni ne gli orti e ne gli occasi delle stello fisso, conio a suo luogo dichiarerò; però lasciamo per ora la risposta in pendente.» Sin qui voi.

Or vi rispondo, prima negandovi che egli erri nell’assunto, mentre dice ch’ ogni corpo che si move circolarmente, è necessario che si mova di duo moti, eccetto la prima sferapostille 3; ed a voi toccherebbe mostrar la cagione dell’errore, avendo egli altrove assignata la ragione di quanto dice, cioè che per il moto proprio, e per la participazion del primo, ciò sia necessario, etc. È anco falsa la vostra consequenza, mentre dite «Dunque, quando non fusse necessario attribuirlo io altro che una lazion sola, non avresti per impossibile che ella si movesse etc» conciosiachè esso Aristotile, nell’ottavo della Fisica, nel secondo del Cielo o nella sua Metafisica ancora, ha provato, il primo mobile essere un de’ corpi celesti in cui risiedE il primo motore, che porta seco innumerabili corpi divini, che esso intende per le stelle, onde resta manifesto che la Terra non sia ella il primo mobile; e perciò segue ottimamente, che se circolarmente si movesse, si moverebbe di due moti, come occorre dE gli altri corpi che in giro parimente si movono; il che non essendo vero, seguita che ella non abbia il movimento circolare.

E che non sia vero che di due moti si mova, lo prova per l’uniformità dell’apparenze nelle stelle fisse: ed a voi toccherà provare che queste uniformità divengano altronde, col moto della Terra; che sin ora non avete fatto cosa alcuna.

Prova dunque Aristotile in diversi luoghi, all’occasioni opportune, che la Terra non può aver moto alcuno circolare, ed ora, al proposito del suo discorso, duo n’esclude insieme, che potrebbono per imaginazione attribuirsele: or vedete qual fallacia e qual contradizzione egli mostra! L’impugnazione dell’altra posizione l’aspetterò nel luogo ove la promettete: fra tanto però non posso passar con silenzio un punto logicale. Dite che l’argomento d’Aristotile quanto alla forma ò concludente, ma pecca in materia, cioè che, conceduto che la Terra si mova, e di due lazioni etc., non segue di necessità etc.: chiamate materia sillogistica la consequenza; forma, le premesse: or chi ha udito mai che le premesse siano forma o pertinenti alla forma del sillogismo, e la conseguenza materia o alla materia spettante?

3. Al terzo argomento dite di aver risposto: però si veda quel che avete detto voi ed io; e si vedrà se avete risposto in effetto, o no. Veniamo per tanto al quarto.

4. Era dunque il quarto fondato nella caduta di cosa grave a perpendicolo sopra la Terra, già che torna nell’istesso punto, il che non potrebbe essere se la Terra si movesse, etc. Prima dite che si potrebbe negare che tali gravi cadenti descendano a perpendicolo, e che la sperienza istessa del senso, che ciò conosce, [p. 672 modifica] sarebbe fallace. Poichè, posto che la Terra si movesse e portasse seco una torre, dalla sommità della quale fusse lasciato cader per dritto, strisciando il muro di essa torre, un sasso sino a Terra, avrebbe all’ora quel sasso cadente due moti, l’uno di cadere all’ingiù, l’altro di rader e misurar giustamente la torre, o pur sarebbe un misto di retto e laterale, con l’uno de’ quali misura la torre e con l’altro la segue. Se questo è così, dunque dal solamente veder la pietra cadente rader la torre, noi non potemo sicuramente affermare che ella descriva una linea retta e perpendicolare; sì che Aristotile, volendo con questa ragione della caduta a perpendicolo provare che la Terra stia ferma, fa un paralogismo, poichè suppone per noto3 quel che deve dimostrare, cioè che il sasso cadente caschi a perpendicolo per una sola linea retta, della qual caduta non possiamo noi aver notizia che sia retta e perpendicolare, se prima non ci è noto che la Terra stia ferma: e così suppone quel che deve provare. Sin qui voi.

Ed io rispondo per ora a questo (riserbandomi di rispondere a parte per parte al resto delle vostre risposte, posizioni, obiezzioni e digressioni, che circa questo argomento son molte con varia e poco distinta tessitura), che Aristotile suppone quel che è notissimo, cioè che l’aria, tenue e cedente, non sia in alcun modo bastante ritener nè impedir nè ritardar per un solo instante una machina grave, e per conseguente ella casca di moto retto senza alcuna participazione di transversale: e perciò (come pur questa volta fate rispondere bene al Sig. Sagredo, e poi non l’impugnate bene, come vedrete) dal cadere un sasso radendo la torre, dalla cui sommità sia fatto cadere a perpendicolo, s’inferisce la stabilità della Terra, non la pluralità de’ moti che voi intendete; e quantunque non sia impossibile, nè repugnante, la mistione di moto retto e circolare insieme in un medesimo mobile, nel modo che di fatto può vedersi in più cose, nel caso però supposto, per la ragione predetta, è impossibile, e sarà carico vostro provar di no; nè sarà simile la mistura dell’aria col fuoco (come anco pur questa volta dice bene il vostro Simplicio) con questa di una machina cadente. Torniamo per tanto alle vostre posizioni. Apportate, in nome di Simplicio vostro per Aristotile, l’essempio della pietra cadente dalla cima dell’albero della nave, la quale, movendosi essa nave, resta per alcun spazio indietro, e così accaderebbe movendosi la Terra, nel discendere parimente di una pietra o di altro corpo grave. Dite «esser gran disparità tra ’l caso della nave e quel della Terra, quando il globo terrestre avesse il moto diurno. Imperochè manifestissima cosa è che il moto della nave, sì come non è suo naturale, così è accidentario di tutte le cose che sono in essa; onde non è meraviglia che quella pietra, che era ritenuta in cima dell’albero, lasciata in libertà scenda a basso, senza obligo di seguir il moto della nave. Ma la [p. 673 modifica] version diurna si dà per moto proprio 0e naturale al globo terrestre, ed in conseguenza a tutte le sue parti, e come impresso dalla natura è in loro indelebile; e però quel sasso che è in cima della torre, ha per suo primario instinto l’andar intorno al centro del suo tutto in vintiquattr’ore, e questo natural talento esercita egli eternamente, sia pur posto in qual si voglia stato. Talchù, sì come per antiquata impressione stimando che la Terra stia immobile intorno al suo centro, credono anco esser ivi immobili le sue parti, così è ben dovere che quando natural istinto fosse del globo terrestre l’andar intorno in vintiquattr’ore, sia d’ogni sua parte ancora intrinseca e naturale inclinarono non lo star ferma, ma seguire il medesimo corso: e così senza urtare in veruno inconveniente si potrà concludere, che per non esser naturale, ma straniero, il moto conferito alla nave dalla forza di remi, e per essa a tutto lo cose che in lei si trovano, sia ben dovere che quel sasso, separato ch’ei sia dalla nave, si riduca alla sua naturalezza e ritorni ad ossercitar il puro e semplice suo natural talento. Aggiungasi che è necessario che almeno quella parte di aria che è inferiore alle maggiori altezze de’ monti, venga dall’asprezza della superficie terrestre rapita e portata in giro, o puro che, come mista di molti vapori ed esalazioni terrestri, naturalmente seguiti il moto diurno; il che non avviene dell’aria che è intorno alla nave cacciata da i remi: per lo che l’argomentare dalla nave alla torre non ha forza d’illazione; perchè quel sasso che vien dalla cima dell’albero, entra in un mezo che non ha il moto della nave; ma quel che si parte dall’altezza della torre, si trova in un mezo che ha l’istesso moto che tutto il globo terrestre, talchè, senz’esser impedito dall’aria, anzi più tosto favorito dal moto di lei, può seguire l’universal corso della Terra.»

Se voi, Sig. Galileo, aveste nella memoria quel che poco fa, nella risposta del pruno argomento, voleste dir contra Aristotile dell’impertinenza del moto circolare dello parti terrestri, ora avreste rossore non poco di cascar così inavedutamente ne i lacci e nelle reti che avevate tese altrui. Quanto avete stimato assurdo, impertinente ed irragionevole, che ogni parte separata dal suo tutto si movesse circolarmente intorno ad esso? ed ora, dando il moto circolare alla Terra, concedete anco l’istesso alle parti sue separate, in qualsivoglia stato che elle si trovino?postille 4 Adducete pur contra voi medesimo l’instanze e le ragioni che credevi indur contra Aristotile, che, per esser qui a proposito, e già apportate di sopra a bastanza, io non voglio inutilmente ripeterle. La similitudine che apportate dello parti che stiano ferme con la Terra, secondo l’antiquata stimazione di coloro che crodono essa Terra star ferma, corre all’opposito, ed è anzi [p. 674 modifica] espressa dissimilitudine: conciosia che dicono che quelle parti stiano ferme mentre son congiunte con la Terra, che parimente sta ferma; ma se fussero separate, non impedite si moverebbono ad essa; e così hanno diversi effetti separate e congiunte: e se la Terra si movesse in giro (come voi dite), ben potreste inferire che insieme con essa, si movessero le sue parti, ma separate da lei che in niun modo di questo moto potrebbono moversi; conciosia che quali cerchi elleno discriverebbono? o forse una parte di cerchio è cerchio? Dovreste anco rammentarvi che in tanti luoghi, nel vostro primo Dialogo, avete detto che si movono di moto retto gli elementi, specialmente la Terra, per andar al suo luogo, e che poi quivi si movono circolarmente; come or dite che le parti in qual si voglia io stato si movino in giro? Che siano portate dall’aria, è falso, e non concorda con la vostra posizione. Falso, dico: già che se ella le portasse, col moversi parimente in giro dell’istesso moto e dell’istessa velocità della Terra, quelle parti terree non descenderebbono mai; il che se sia ridicolo, lascio considerarlo a voi: e se discendono (come pur si vede in effetto), non sono portate regolarmente, ma nel loro discenso l’aria e la Terra si avanzano nel moto, come si vede nell’acqua rapidissima, in cui un sasso buttato non è portato in tutto da quella, ma cala al fondo; e così si vedrebbono le variazioni di siti che voi negate. E contra la vostra posiziono, già che volete che si imovino per loro naturalezza. In oltre, se l’aria agirata porta, tanto fa che un grave si ponga in aria quanto in Terra, per star saldo; e potrebbono fabricarsi castelli e città in aere. L’imaginazione che per esser l’aria, più vicina alla Terra., vaporosa e grossa (che è vero), si raggiri dalla asprezza, di essa Terra o de’ monti, e perciò segui il moto diurno della Terra, onde conferisca a portar uniformemente questi proietti, è parimente arbitraria e senza fondamento: diventa perciò ella forse sì grossa che sia impenetrabile? che vi nuotin vi pietre come nel lago Asfaltide? potria dunque senza periglio alcuno precipitarsi dall’eccelso di rupe altissima chi gli piace, che non percuoterà in Terra nè riceverà offesa veruna. Oltre che se quest’aria confinante con la Terra, per le predetto condizioni grossa, sia bastante a sostentar i gravi, l’altra sublime, che è purgata e sottile, non avrà questa facoltà; e così l’esperienze di proietti, dell’artiglierie e d’altri non avranno verità conforme. Anzi, che, secondo la diversità delle stagioni e de’ luoghi si vedrebbono variar questi siti e queste sperienze: già che in tempi piovosi e turbidi i vapori vicini alla Terra sono più grossi e gravi che ne gli estivi e sereni; ne i luoghi alti e montuosi l’aria v’è sottilissima e purgata: bisognerà per tanto con più aggiustato compasso misurar più cose, variar esperienze ed essempi; overo (che sarebbe più giusto) accomodar l’ingegno al vero. La disparità che fate tra la nave e l’aria di altro luogo poco rilieva, perchè sarebbe variazione accidentale di più e di meno: oltre che si potrebbe il moto della nave drizzar col corso della Terra, ed all’ora. il proietto, da questo e dal suo naturai corso aiutato, anticiparebbe [p. 675 modifica] quel della nave stessa, non che restasse indietro; il che se così sia, lascio che ogn’uno lo giudichi. Col rispondere a Simplicio che gli par impossibile che l’aria possa imprimere ad un sasso grandissimo il moto col quale ella si move, confirmate la stravagante posizion vostra, che si mova il sasso per l’aria da sua posta con l’istessa velocità dell’aria, talchè l’aria non ha da conferirgli un novo moto, ma solo mantenergli, o per dir meglio non impedirgli, il già concepito. Ed io vi torno a domandare, perchè dunque quel sasso non va sempre con l’istesso moto e velocità intorno alla Terra, stando l’istesse cagioni, naturalezze ed aiuti, senza discendere nè unirsi con essa? e per qual cagione un sasso portato dall’acque correnti, ed aiutato più potentemente dal lor moto naturale quanto elleno più dense lo possono più facilmente sostentare, e supposto che corrano verso occidente overo per donde si fa il moto diurno della Terra, perchè egli (dico) con liece traversali discende al fondo? e per l’aria non vi descenderà per più dritte e più brevi? Tornate all’essempio della caduta d’un grave dall’albero della nave, affermando che stando essa nave ferma o movendosi, sarà la medesima caduta sempre al piè dell’albero, e che così dicano quei che ne han fatto esperienza; dunque l’istesso accaderà movendosi la Terra, cioè che caderanno i gravi nell’istesso segno per le ragioni predette: quasi (vi rispondo) che la disparità che pria apportaste tra questo moto della nave con l’aria che la circonda e quel della Terra, ora sia risoluta in nulla. Ma non importa; vi si ammetta come vi piace: seguite pure. Dite dunque, ripigliando il vostro discorso, che sopra una superficie piana, pulitissima come un specchio, di materia dura come l’acciaio, paralella del tutto all’orizonte, senza alcuna sorte d’impedimento, una palla perfettamente sferica, spinta, non avrebbe occasione di fermarsi mai nè di variar velocità (già nel piano acclive o declive sarebbe tutto l’opposito, cioè ritardazione o accelerazione), e per conseguente potria far perpetuo il suo moto: delle quali superficie se ne trovano molte, come quella dell’acqua in bonaccia e quella dell’aria non turbata: or dunque (doppo longo dialogare) inferite: Se la palla che casca dall’albero della nave s’incontra in una tal superficie dell’ariapostille 5, che occasione avrà ella di ritardar il suo moto? perchè in giro non si volterà sempre regolatamente, nel modo che fa la Terra, di cui il sasso partecipa la natura ed il movimento? Risponde Simplicio, ciò avvenir per due impedimenti: l’uno, per la resistenza dell’aria; l’altro, per il moto retto che fa la pietra all’ingiù, che a questo circolare s’oppone. Replicate voi che il primo impedimento è poco ed insensibile; ed in questo io non voglio dir altro, chè poco importa: il secondo voi non l’avete per impedimento, già che si è visto di sopra che il moto retto e circolare non sono incompossibili; onde, anco cadendo, la palla sempre è (secondo voi) in giro egualmente portata coll’aria o dall’aria, ed avete l’uniformità de [p. 676 modifica] i proietti col moto della Terra. Ma vediamo quanto abbino di efficacia questi vostri discorsi. Prima voi ponete per fondamento del mobile, che si ha da movere, una superficie di materia dura come l’acciaio, e poi passate nell’applicazione ad una molle, rara e cedente come è l’aria all’aria istessa; e volete che nella medesima maniera sia qui la vostra palla di artiglieria sostentata, come sopra quella superficie durissima, d’acciaio. Di più, forse non sarebbe nè anco vero (se ben questo poco importa per ora) che quel mobile si movesse in eterno, essendo egli il motore, e l’impeto impressogli di virtù finita e defettibile, nè essendo quel moto naturale; già che se bene fusse naturale alla Terra tutta la circolazione, la parte sua separata, di qual si voglia figura si fusse, non avrebbe questo potere, come voi medesimo intendesti di dire contra Aristotile. Ma passiamo più oltre. Che il moto retto non sia incompossibile col circolare, è in buon senso vero; ma che non sia grandemente ritardativo di esso, e specialmente se l’uno sia intorno al centro e l’altro diretto all’istesso, è falsissimo, implicante di contradizzione e repugnante alle sensate esperienze. Pratichiamlo. Sia una gran ruota, anzi pur l’orbe della Luna; e poniamo, per essempio, che si aggiri intorno alla Terra, come intorno al suo centro, senza approssimarsi mai, nè più nè meno, ad esso, e con l’istessa velocità raggiri il fuoco e l’aria sino alla Terra. Pongasi nella Luna medesima un gran sasso che debba venir in Terra ed unirsi con lei; lascisi cadere a piombo; io vi domando: Si approssimerà niente alla Terra, o no? Se non si approssimerà, dunque mai arriverà in Terra, ma sarà sempre nel segno ove fu posto. Se si avvicinerà col suo moto cadente, mentre egli viene a basso, la Luna in giro avrà scorso più oltre senza dubio immaginabile; ed ecco che il moto circolare non è del tutto compossibile col retto: altrimenti l’istesso cadente sarebbe egualmente veloce e non egualmente veloce nell’istesso tempo e circa l’istesso segno, che è impossibile e contradicente. Or se, cadendo giù, quel che si volta in giro s’avanza, non avranno l’istesse velocità circolari, ancorchè ammettessimo il discenso per linee traversali con voi, e per conseguente non si salverebbono l’equalità di moti cadenti, se la Terra non stesse ferma. È ben vero che può il moto retto participar del circolare, e diverebbe all’or misto o tortuoso, come si vede di una nuvola, che da sè stessa va all’insù direttamente e da i venti è in altra banda raggirata. All’ora il moto retto ed il circolare sono più compossibili, quando non concernano l’istesso segno o centro, come una palla cadente può, cadendo, ruotar in sè stessa, ed ecco il moto circolare intorno al suo proprio centro, ed il retto al centro della Terra, senza impedimento o ritardamento. Ma non è al vostro propositopostille 6, già che voi volete quel moto del sasso circolare intorno alla Terra, acciò adegui il suo moto, ed in oltre l’altro col quale s’avvicini al [p. 677 modifica] centro; non considerando che l’avvicinarsi od il star egualmente distanti in un tempo da un segno, o l’esser portato intorno e direttamente in un modo medesimo, contradice, come ho anco accennato. Essendo dunque assolutamente impossibile, anzi inimaginabile, che possa una gran machina di pietre esser per un istante sostentata dall’aria, cedontissima e quasi di ninua resistenza, non potrà nè anco esser portata in giro con velocità eguale al moto della Terra. E se direte che la sostenta e che la porta, sopra questa vostra sostentazione e portata io con consequenza buona fabricai castelli e città in aria, stabili quanto sono i vostri fondamenti sopra i quali son fondati sì ammirandi edificii. Che un sasso cadente dall’albero della nave corrente venga direttamente al piede dell’albero, io non lo credo; e quando lo vedessi, m’ingegnerei trovargli altra cagione che la rivoluzion della Terrapostille 7, e questa sarebbe la immensa velocità di quel sasso, non conosciuta distintamente in sì breve spazio dalla tarda facilità sensitiva, con qualche aiuto del striscio che farebbe la pietra circa l’albero, etc. Per venir poi ad un vostro disegno di impugnar la dottrina di Aristotile, tirate il vostro Simplicio ad imporvi un supposito che non faceste mai, cioè che quel sasso, che casca da alto a basso, riceva il moto da virtù impressa dal proiciente, e la qual virtù (dice l’istesso Simplicio) è tanto esosa nella peripatetica filosofia, quanto il passaggio di alcuno accidente d’uno in un altro soggetto; ma ben è vero che, secondo l’istessa peripatetica filosofia, il proietto vien portato dal mezo; e però se quel sasso, lasciato dalla cima dell’albero, dovesse seguire il moto della nave, bisognarebbe attribuire tal effetto all’aria, e non a virtù impressagli: ma voi supponete che l’aria non sèguiti il moto della nave, ma sia tranquilla. Oltre che colui che lo lascia cadere, non lo ha da scagliare nò dargli impeto col braccio, ma deve semplicemente aprir la mano e lasciarlo: e così, nè per virtù impressa dal proiiciente, nè per beneficio dell’aria, potrà il sasso seguire il moto della nave, e però resterà in dietro.» Sin qui Simplicio.

Or qui (dico io) consideriamo alcune cose. Prima, voi non avete mai supposto che il sasso cadente sia scagliato, ma che semplicemente cada, onde non gli avete mai attribuita virtù impressa dal proiiciente; sì che vi prendete un supposto falso e fuora d’ogni proposito. Seconda, che fate imponere ad Aristotile che il mezo porti le cose proiette; anzi, por impugnar questa posizione (che avete stimato facile da fare), son state fatte da voi tante stirature, e con molte ragioni rendete quasi esausta la vostra faretra di quadrella e di dardi. Ed io intorno a questo vi rispondo, che non è dottrina altrimenti d’Àristotile che i proietti siano portati dal mezo, ma sì bene da virtù impressagli dal proiiciente, come ho chiaramente mostrato con sua dottrina nell’ottavo della Fisica; e più ampiamente sono apparecchiato di mostrare in qual maniera concorra il mezo, e per sentenza di [p. 678 modifica] chi esso sia stimato il principale, e come tal ora sia anco d’impedimento, e come ciò si faccia senza passaggio dell’accidente da soggetto in soggetto (già che non passa, ma si produce): nè mi mancherebbe l’animo (non crediate che io fugga l’incontro) di scioglier le vostre ragioni, parte de quali ho addotto ancor io nel precitato luogo, come potrà veder ciascuno; ma essendo alla dottrina d’Aristotile. ed alla mia opinione conformi, stiano in buon’ora intatte. La terza cosa da considerarsi è la vostra inavortenza, il non sapervi valer dell’occasione opportuna per avantaggiarvi e ferir facilmente il vostro aversario con le sue proprie arme. Voi per più fondata ragione, fra l’altre, adducete che i proietti cadenti segnino il corso diurno della Terra in giro, sì per esser di natura terrea, ondo anco separati ritengono il medesimo moto, sì perchè sono aiutati dall’aria, che circolarmente si move. Ecco, fra gli altri vostri luoghi, qui!e vostre parole, che ora le ho avanti gli occhi nel vostro libro: «Ma quando l’aria si movesse con pari velocità, niuna imaginabil diversità si troverebbe». E seguendo soggiungete: «Alla pietra cadente dalla torre il movimento in giro non è avventizio od accidentario, ma naturale ed eterno, e dove l’aria segue naturalmente il moto della torre, e la torre quel del globo terrostre». Ora voi sapete, per vostre inculcazioni ad Aristotile, che le parti del corpo circolare non sono cerchi e non possono moversi in giro da se sole o ciò vi sarebbe malagevolissimo da provare; sì che agevole vi sarebbe stata la strada col tralasciar questo punto e prender quel che faceva per voi. Quanto facile e sicuro dunque era, pur salvar che quei cadenti si movano in giro al pari della terra, il dire con Aristotile che siano portati dal mezo, e (a questo proposito) dall’aria! chè non era gran fatto provar per molti capi non impossibili, che ella circolarmente si mova. Or non avreste qui fatto un colpo notabile e da maestro contra Aristotile, assalendolo e ferendolo con la sua propria dottrina? in qual vigore sarebbe restato il suo famoso argomento di proietti cadenti a perpendicolo, per provar la quiete della Terra, se con le sue posizioni gli aveste potuto improverare che siano al pari di essa portati in giro dal mezo? onde quantunque ella si mova, potrebbono nondimeno cascare a perpendicolo. Oh come avreste conchiuso, più tosto che ributtar quest’anni, che vi erano tanto favorevoli!

La quarta cosa è, che supponete il vento esser nient’altro che l’aria, mossa, opinione di molti antichi filosofi, ma non già di Peripatetici: però voi, che contra questi parlate, doveate apportarne qualche ragione, aspettando indubitatamente che vi sarebbe negata; e ricever le negazioni in filosofia senza difesa., è quasi oltraggio: nè mancano essi a sè stessi di provar che il vento non sia aria commossa, ma da quella totalmente diverso; ed anco ciò dovevi avvertire e confutare; ogni punto che giova a i vostri avversarli fa, pregiudizio notabile a voi. Gli accidenti meravigliosi che dite seguir da i proietti, cioè che il moto della pietra cadente dall’albero della nave che cami a, facendo unA linea trasversale, si faccia [p. 679 modifica] in tempo uguale con quel che si fa dalla medesima pietra cadente dall’albero che stia quieto; e così i tiri di colubrina verso l’orizonte di mille braccia o quattro mila etc., posta sopra una torre alta cento braccia, siano in tempo uguale con la caduta di una palla dalla torre al suo fondo; come che siano contra l’esperienza, ed in falsi supponiti, del vostro doppio moto retto e circolare, fondati. e di nissun rilievo alle nostre controversie, non voglio più che tanto considerargli, tanto più che si solvono dalle determinazioni precedenti: ho voluto però accennargli, e per non romper il filo, e per tirargli in conseguenza al giudizio di discreti lettori. Fa instanza Simplicio con dire, che se fusse vero quel che avete detto di tali ugualità di moti, sarebbe anco vero che una palla cascata di mano da un cavalier che corresse velocemente sul cavallo, seguirebbe ella quel corso. A cui rispondete, che in effetto lo segue, pur che non abbia impedimento dalla scabrosità della Terra, nel modo che lanciata dalla mano lo seguirebbe, già che niente importa che quel moto sia alla pietra conferito immediatamente dalla mano del proiciente, overo dal moto del cavallo, il quale è conferito al cavaliero, al suo braccio, alla palla che porta seco ed a quanto è congiunto con esso lui. E qui noto due cose: l’una è il vostro passaggio dall’una sorte di spazio all’altro, che non fa punto a proposito vostro. Ne gli accidenti maravigliosi (che pur sono imaginarii) dell’equalità de’ moti sudetti voi ponevate il retto col circolare, nella caduta per aria, così compossibili che non si impedissero, e perciò la distanza del spazio non rendessi; sensibili le lor diverse velocità; ed ora date il séguito del moto alla palla caduta già in Terra, che per conseguente niuna participuzione ha di moto retto. L’altra, che una palla lasciata solo cadere dalla mano aperta di un cavalier corrente, senza spingerla punto, riceva il moto da seguirlo poichè sia giunta in Terra, è tanto lontano dal vero e dalla sensata esperienza, quanto è l’essere dal niente. Né voglio più improverarvi questi vostri moti circolari, ed in aria ed in Terra, secondo che par vi caggiano in acconcio, senza osservar repugnanze o contradizzioni ne i vostri detti. I vostri problemi di varie velocità di moti, cagiono nate o dalla difformità di spazii, o dal modo d’imprimergli da i proicienti, o dalla diversità de gli stromenti, da voi per digressione apportati, non già soluti, non essendo punto nè importanti o repugnanti alle posizioni Aristoteliche, gli tralascio. Dite che la linea descritta dal grave cadente dalla sommità della torre sino alla sua base riuscirebbe in giro con circonferenza minore di quella che descriverebbe la sommità di detta torre, e lo designate in una vostra figura; e sarebbe vero, quando tre ipotesi fussero vere: l’una che la Terra si movesse circolarmente; l’altra, che l’aria la seguisse con pari velocità; e la terza, che essa aria fusse bastante a proporzione di sostentar corpi gravi tanto che si aggirassero: le quali essendo in controversie principalissime, a questo dovete attendere, e poi tirar le consequonze; altrimenti fate petizioni di principio [p. 680 modifica] notabilipostille 8. Sono anco ingegnose le tre meditazioncelle che vi aggiungete, le quali da gli suppositi non concessevi restano, per conseguenza, mancanti; e date anco (per occasion di discorrere) tutte tre l’ipotesi vero, non mi par che riescano tutte giuste ugualmente a capello, come voi intendete tirarle. La prima, che il mobile cadente da detta torre non si moverebbe altro che di un moto semplice circolare, come quando posava sopra la torre: e questa patisce manco istanza dell’altro: già per i supposti (come si vede nella vostra figura) esso si moverebbe in giro; nondimeno al moto che avea, stando posato sopra la torre si aggiunge quel della gravità propria, il proprio cerchio minore ed il commune dell’aria, onde partecipa di questo e di quello; talchè, se bene non si pregiudicasse alla circolarità, non sarebbe nè così semplice nè così circolare a punto come quando posava sopra la torre. Oltre che (come ancor voi poco di sotto instate) il moto retto anderebbe del tutto a monte, che già in molti luoghi l’avete ammesso. Ma questo non sia per istanza, conciosia che il vostro Sig. Salviati la scioglie, con dire che ciò sarebbe vero quando si fusse concluso il globo terrestre moversi circolarmente; cosa che voi non pretendete che sia fatta, ma che si esamina le ragioni di filosofi, delle quali questa presa da i cadenti a perpendicolo patisce le difficultà che avete sentite. La seconda meditazione è, che quel mobile non si move punto più o meno che se fusse restato continuamente su la torre, essendo che gli archi che avrebbe passati stando sopra la torre sono precisamente eguali a gli archi della circonferenza minore e propria, che ei passa sotto di essa: e questa io non la giudico vera, perche (ciò che sia dell’egualità de gli archi, che forse son più tosto proporzionati che eguali) il moto proprio del cadente, con cui si va avvicinando al centro, sarebbe proprio inutile e nullo. La terza meditazione o maraviglia è, che il moto vero o reale della pietra non vien altrimenti accelerato, ma è sempre equabile ed uniforme, poichè tutti gli archi equali notati nella circonferenza CD (cioè nella descritta dalla sommità della torre) ed i loro corrispondenti, segnati nella circonferenza CI (che è la descritta dal mobile cadente), vengono passati in tempi eguali. Questa ha da provarsi, massime che risponda il tempo equale senza accelerazione di moto, tanto più quanto ripugna alle vostre posizioni de i moti, i quali dite che, venendo della quieto, hanno proporzioni e velocità diverse con augmento, tal che a car. 217 [pag. 218, lin. 17-22] avete queste parole: «L’accelerazion del moto retto de i gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cioè che segnati quali o quanti si vogliono tempi eguali, se nel primo tempo, partendosi il mobile dalla quiete, avrà passato un tal spazio, come, per essempio, una canna, nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette etc.; ed è l’istesso che dire che i spazii passati dal mobile, partendosi dalla quiete, hanno [p. 681 modifica] tra loro proporzion duplicata di quella che siano i tempi ne i quali tali spazii son misurati Sin qui voi. A gli altri argomenti che sono fondati sopra i tiri di artiglierie e sopra il volar de gli ucelli, rispondete con gli fondamenti predetti: cioè che movendosi la Terra, e l’aria insieme con essa, la qual conferisce il suo moto e porta quei mobili con la medesima velocità che ha ella in sè stessa, e di più che gli mobili seguendo per lor naturalezza il moto della Terra circolare, niuna variazione farebbono in comparazione di tali moti aerei e terrestri, ma sì bene in rispetto di mobili particolari. Ed è l’essempio chiaro: se in un grande navilio ben chiuso, ondo non potesse esalar l’aria nò entrarvi altra di novo, si facessero diversi moti, sì che due uomini, v. g., si corressero all’opposito, o l’un corresse, l’altro stesse fermo, e diverse mosche o tafani volassero per il navilio, non si conoscerebbe qui altra differenza che la diversa approssimazione overo elongazione fra loro; ma nel moto della nave e dell’aria commune a tutti, e da tutti ugualmente participato, non vi sarebbe alcuna differenza, a punto come se la nave stesse ferma: così il moto della Terra e dell’aria, communicato indifferentemente a tutte le cose, non pone distinzione nè conoscenze diverse. E che l’aria possa col suo moto portar questi proietti, si vede in altre esperienze, specialmente mentre, agitata, move e siringe impetuosamente vascelli smisurati in mare, sbarbica gli antichissimi o grandissimi arbori, scuote ed abbatte torri ed edificii validissimi, etc. Ma quanto vagliano queste risposte, si può conoscere (rispondo io) da quel che è stato detto di sopra: conciosia che sempre supponete e che la Terra si mova e che l’aria insieme con essa, e che questa porti i proietti col suo moto naturale, ed in oltre anco che essi, separati dalla Terra, intorno a quella si aggirino: le quali cose essendo tutte falsissime e dichiarate per tali, ed alcune anco ripugnanti ira loro, come che i proietti siano portati dall’aria ed anco si movano del medesimo moto circolare naturalmente, essendo la vezzione moto violento alla cosa portata, e pur dite l’uno e l’altro; overo (per concedervi quanto più posso) avendo bisogno estremo di esser provate o fatte almen verisimili, e voi ponendole per ricevute e per note; commettete consequenze erronee e petizioni di principii manifeste, e non è altro che discorrer condizionalmente, che niente rileva, niuna cosa assertivamente determina, come chi dicesse «Se l’uomo avesse l’ali, volarebbe, sarebbe un uccello, sarebbe irragionevole, etc.», le quali illazioni minano dalla falsità dell’antecedente. Nè l’essempio della nave è al proposito: perchè se bene quel moto di essa, conferito a tutte le cose che vi son dentro, non apporta fra loro diversità, nè di essere nè di conoscenza, e l’aria rinchiusa è portata col medesimo moto, ad ogni modo un grave proietto in quell’aria non sarà da lei sostentato nè portato, ma cascherà nel fondo della nave e non seguirà il moto dell’aria rinchiusa, come è manifesto; così, ancor che l’aria intorno alla Terra si movesse o fusse dal suo movimento portata, come quella che è rinchiusa nella nave, non perciò porterebbe seco nè sostenterebbe i gravi, [p. 682 modifica] nè essi hanno, nè possono avere, quel moto circolare intorno alla Terra, mentre sono da lei separati, sì come si è visto di sopra. Che poi l’aria (o siasi il vento) spinga i navilii, spezzi e spianti gli alberi e lo torri, non è simile per imaginazione. Spinge i navilii, ma non gli sostenta; sono essi sostentati dall’acqua, di cui sono naturalmente più levi: tal che all’esser sostentati è facil cosa in un elemento fluido aggiunger il moto, il quale non è così veloce come è quel de i venti che gli lo conferiscono, onde non lo agitano nè anco del pari. Dir «spingono, dunque portano» non è vero: come lo spingere non è portare, così gli impeti fatti alle torri ed agli alberi non sono portamenti; e per consequente, argumentar da questi moti violenti, irregolati, ad un che sarebbe regolato, equale, eterno nell’aria, nella Terra e ne i mobili, ogn’un vede quanto conchiuda. L’altro argomento, che se la Terra si movesse, anderebbono in ruina gli edificii e le città, con quello che le parti agitate si scaglierebbono con violenza, quantunque tenacemente conteste, io non l’ho avuto mai per argumento di alcun valore, ma di niun momento e falso, sì per la regolarità, uniformità e naturalezza che sarebbe nel moto circolare terrestre piacevole, come per le consequenze violenti e repugnanti che ne seguirebbono, le quali voi apportate distintamente con vaghe dimostrazioni, ed io sono con voi; non è però di Aristotile, come credo sappiate benissimo. Nelle vostre demostrazioni geometriche che intorno a questa parte per digressione adducete, non voglio tralasciar di ricercar di un punto che sempre ho stimato difficile ed inintelligibile, per non dir falso: e questo è circa quel vostro communissimo detto, Sphaera tangit plìanum in puncto. Imperciochè se questu fusse vero, seguirebbe che la linea potria esser composta di punti, e la sfera parimente; anzi la sfera non sarebbe sfera, nè sferica, ma del tutto indivisibile. Conciosia che, posta la sfera sopra un piano perfettissimo, tirata a striscio, segnarebbe una linea, e pur sempre tocca in un punto; ecco che le parti della linea sarebbono punti, e di essi verrebbe ad esser composta: la qual cosa ed in filosofia ed in matematica è stimata falsissima, già che vogliono, ogni quantità continua costare di parti sempre divisibilipostille 9. Anco la sfera saria pur [p. 683 modifica] di punti o di niuna quantità; perchè voltando in giro la sfera sopra l’istesso piano, senza variar sito o distanza, sempre toccherebbe in un punto, e così i punti contigui, anzi continui, a i punti la constituirebbono; overo bisognerebbe venir a dar altro contatto che di punti, e così non toccherebbe in un punto. Ed essendo il punto indivisibile, non può conferir esser divisibile, nè quanto, nè circolare; perciò seguirebbe finalmente che la sfera saria indivisibile, non quanta, non sfera, non sferica. Nè la vostra dimostrazione può levar questi evidentissimi assurdi, anzi sarebbe meno inconveniente (secondo il mio giudizio) dire che una linea retta tirata tra due punti non sia sola la brevissima: e questo concluderete con la nostra dimostrazione in questo senso, che ella sia brevissima sì che non ve ne sia alcuna altra più breve; ma altre ugualmente brevi, non sia alcuno inconveniente, come mostrate: ed in questa maniera non supponerete una falsità manifesta per salvar una proposizione che ha diverse interpretazioni; già i superlativi nell’esposizion negativa ammettono gli eguali, e così sarebbe al proposito. Io so però benissimo che la ragione per la quale sia stimata vera la predetta proposizione, Sphaera tangit planum in puncto, è perchè il circolare s’adeguerebbe al piano, onde non saria circolare (ed ha buona apparenza): ma chi dicesse (rimettendomi per sempre a miglior intelligenza), che nella brevità del piano, ove accade il contatto con la sfera, si trovi in quantità reale respettiva indifferenza all’esser piano e circolare, avrebbe forse detto meglio che in altra maniera, nè si sarebbe forzato a dire che nel punto fusse curvatura, come bisognerebbe dire se toccasse in punto, poichè per levarsi dal piano doverebbe il punto subito far parte di arco. Nè io intendo usar la distinzione di sfere astratte e materiali, come fa il vostro Simplicio; anzi essendo le matematiche scienze reali, hanno da verificarsi realmente e da esser applicate alle cose esistenti, come dite ancor voi, onde possino trovarsi e piani perfetti e figure sferiche perfettissime. Avrei per minor assurdo che le superficie piane tra loro si toccassero in un punto, che la sfera il piano. Di queste e simili difficultà avrei ben caro aver le evidenze infallibili che vantano i matematici.

Resta che diciamo alcuna cosa particolare circa la risposta che date al decimo argomento, delle nuvole e de gli ucelli. Dite per tanto, che perciò queste [p. 684 modifica] variazioni in essi non si conoscono, perchè, oltre il moto loro proprio, sono portati con egual velocità dall’aria; nel modo che son portate tutte le cose ugualmente che sono entro una nave, facciano pur esse, dentro, qual moto particolare e proprio le piace. Segno di questo dite esser il tiro de gli imberciatori, conciosia che costoro, mentre prendono di mira con l’archibugio gli ucellì volanti, non prendono il punto o la mira distante da gli ucelli per aggiustarsi al volo di essi, ma che tirano a questi come se tirassero a quei che stanno fermi, seguitandoli con l’archibugio e mantenendogli sempre la mira adosso, il che avviene che nel moto commune participano uniformemente a capello tanto gli ucelli quanto gli imberciatovi, il che non potrebbe essere se non avessero il moto eguale nell’aria con quello della Terra; onde il moto della palla, dell’ucello e dell’ucellatore, quanto al giro universale, è indifferente ed uno solopostille 10. «E di qui (dite) dipende la propria risposta all’altro argomento del tirar coll’artiglieria al berzaglio posto verso mezo giorno o verso settentrione; dove s’instava che quando la Terra si movesse, riuscirebbono tutti costieri verso occidente, etc.» Or qui io vi faccio le medesime instanze che ho fatte di sopra, e conseguenti a quelle ve ne aggiungo dell’altre. Vi dico dunque che, secondo questa posizione vostra, è assolutamente necessario che e gli ucelli predetti e le nuvole e le palle d’artiglieria (oltra il lor moto proprio col quale volano, sono portate da i venti o dalla lor levità, o sono tirate dalle bombarde) abbino il moto commune ed equabilissimo a quel della Terra, sì che al pari di essa nell’istesso giro siano raggirati: e ciò non può esser dalla Terra medesima, per esserne lontani; dunque dall’aria, che ha il moto istesso della Terra, e così appunto dite voi in più luoghi con varie frasi. Or udite. Prima vi torno ad addurvi l’impossibile che a questo proposito vi ho addutto altre volte, cioè che l’aria possi portar quei pesanti mobili, nè per natura, nè per violenza, nè per sua celerità o vertigine. Poi vi aggiungo l’esperienza in contrario certissima, quella (dico) che voi apportate in favor vostro, de gli imberciatori: già che essi dicono che per coglier di mira l’ucello volante, è necessario che col dritto dell’archibugio s’avantaggino, sì che se vogliono ferir verso il fin dell’ale, si tengono alla testa, se alla testa alquanto avanti, altrimenti la palla tirata resta indietro; del che diligentemente ho domandato a molti, e tutti concordemente ciò dicono, oltre al spazio o giro che fanno le palline, che pur importa: talchè non è vero che noi siamo di ugual moto portati con essi. Di più, non rammentandovi di quanto avete detto, a car. 233 [pag. 264, lin. 7-9] dite queste parole: «Oltre che, come ho detto, non è l’aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguono il suo moto»; e qui (oltre l’indurvi in [p. 685 modifica] contradizzione manifestissima) vi argomento in questa foggia. Se i mobili separati dalla Terra non son portati dall’aria, ma naturalmente seguono il suo moto, seguirebbe (oltre l’altre cose che ho detto contra di voi e con verità e con le repugnanze delle vostre posizioni) che un istesso mobile nell’istesso tempo si moverebbe di due moti per l’istessa linea direttamente opposti, come sarebbe avanti ed indietro per linea retta, senza fermarsi e senza esser portati: già che potrà il proietto esser tirato direttamente contra al moto della Terra, cioè verso occidente, dato che ella si mova verso oriente; or secondo quella proiezzione il mobile di moto violento va verso occidente, e per seguir il natural della Terra, non portato dall’aria, corre verso oriente; e così è manifesto quanto dico. Che se pur poteste mantenere che fusse sostentato e portato dall’aria, questa contradizzione non accadcrebbe: già è sicuro che uno, portato in nave, dentro di essa dalla prora alla poppa può correr quanto gli piace, correndo la nave dalla poppa alla prora; ed avrà nell’istesso tempo due moti opposti per l’istessa linea, l’uno avanti, dalla nave, l’altro indietro, da sè stesso; e non è alcuno inconveniente, essendogli quel della nave accidentale e commune. Ma che quell’istessa persona, o sia sasso o legno, vada insieme per diretta linea in un tempo inanzi ed indietro, non ò nè anco imaginabile, perche sarebbe un’istessa cosa avvicinarsi ed allontanarsi, essere e non essere in un medesimo termine, con altre contradizioni indubitate: così accaderebbe de i vostri mobili proietti, non portati dall’ aria e seguaci del moto terrestre circolare. E se siano portati, voi avete visto quante difficultà e ripugnanze al vero ed a voi stesso ne seguono.

Rispondete all’undecimo, nel quale si dice che se la Terra si movesse, sentiressimo ferirsi dall’aria, come ci occorre andando correndo a cavallo, che ciò non sia vero, perchè anco l’aria è portata coll’istesso moto: ed in effetto, quando ciò fusse, l’argomento sarebbe sciolto, ed accaderebbe giusto come all’acqua che queta sia portata entro una barca o altrimenti, perchè i pesci che ivi nuotassino, non avrebbono quel moto dell’acqua in nissuna maniera per opposito o repugnante, ma quanto se ella fusse stabile da ogni movimento. Con tutto ciò voi non avete apportata soluzione se non suppositale, e con supposito falso, onde è più tosto nugacità. Supponete che la Terra si mova, e non lo avete mai nè dimostrato, nè provato, nè reso verisimile; e sopra questo fabricate le soluzioni4. Supponete parimente che l’aria abbia l’istesso movimento; e pure non apportate ragione, congruenza o apparenza da confirmarlo. Ed in oltre, concessovi che la Terra si mova in giro e che circolarmente si mova anco l’aria, qual ragion vuole che si movi dell’istesso movimento totale della Terra? non è ella corpo naturale, agile, diversissimo in mille modi dalla Terra? perchè non avrà il [p. 686 modifica] proprio moto distinto e diverso da quello di essa? e se lo ha, è necessario che, agitata, si faccia gagliardamente sentire in faccia a quei che vi corrono all’opposito, come un fiume rapidissimo ad una nave che va contro la sua corrente. Se direte che l’aria sia priva di moto, assignatene la ragione. Dite anco qual sia la virtù della Terra, nel rapir così giustamente col suo moto quest’aria. Diceste già di sopra che la scabrosità di essa Terra con l’inegualità de’ monti possono rapire l’aria bassa, umida, pesante; dunque nell’altissime sommità de’ monti non ci sarà questo ratto, o per conseguente, movendosi colà solo la Terra, si sentirebbe questo veemente soffio dell’aria, con tutto che da venti e da altri esterni accidenti fusse tranquilla. La consequenza è manifesta: ma quanto sia falso che così si senta, dimandatene pur a chi volete; a voi medesimo, che non credo non vi sia occorso più volte, ne i viaggi, trovarvi nell’altezze de’ monti con l’aria quieta ed immota. Mi direte con qualche apparenza, che nel modo con cui dicono i Peripatetici ragirarsi il fuoco nella sua sfera dalla velocità del cielo, così l’aria da quella della Terra; ed io vi rispondo in due modi: l’uno, che il fuoco non ritiene la medesima velocità che l’orbe agitato, come si mostra per tante impressioni ignite che nella sua sfera si veggono; e così l’aria non avrebbe moto equabile con quel della Terra; il che sarebbe contra tutte le vostre posizioni a questo proposito, ed in niente si dissolverebbono le vostre risposte a gli argomenti fatti per la stabilità della Terra, con gli essempi di proietti, di tiri, di ucelli, nuvole etc. L’altra risposta è, che voi ponendo i corpi naturali mobili di moto circolare, è convenevole che anco questo convenga all’aria, o che non sarebbe corpo naturale, ma vano ed ozioso; e se gli conviene, essendo essa aria diversa dalla Terra, avrà tal moto da lei diverso non impedito, già che movendosi in giro a diversi segni, non già l’un contra l’altro ad un solo, non avranno impedimento, sì che l’un toglia l’altro, quantunque vi potesse esser qualche ritardazione: e per questa causa l’aria avria indubitatamente il suo moto diverso da quel della Terra, e così chi incontro lei corresse sentirebbe la sua agitazione gagliarda. Perchè private anco di moto l’acqua? che peccato hanno fatto questi due elementi contra di voi, che li disnaturalizate, con dar varii moti alla Terra sola? e se l’acqua ha il suo proprio moto diverso da quel dell’aria e della Terra, quante altre difficultà alle predette si aggiungeranno contra le vostre posizioni? Nè io voglio stendermi ad indurle, sì per non uscir dal metodo, che ho proposto, di esser breve, come perchè coll’accennarne lasciarò campo a’ studiosi di speculare più oltre.

Secondo varie occasioni ponete diversi detti di Aristotile e gli impugnate: primo de quali è, che le velocità di gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proporzione delle loro gravità, cioè che il più grave discende più velocemente o in minor tempo, e secondo che è maggiore, il tempo della caduta è più breve; contra la qual posizione argomentate in questa maniera a car. 218 [pag 249, lin. 33 — pag. 250, lin. 3]: [p. 687 modifica] Se questo fusse vero, seguirebbe che, «lasciate nell’istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libre, l’altra di una, dall’altezza di cento braccia, la grande arrivi in Terra prima che la minore sia scesa un sol braccio, al che non può accomodarsi l’imaginazione, cioè che la grande sia giunta in Terra quando la picciola sia ancora a men d’un braccio vicina alla sommità della torre». Alla quale obiezzione io rispondo che la posizione d' Aristotile è buona, e voi dovreste solver la sua ragionepostille 11, e poi argomentargli contra. Ditemi, per vita vostra, se l’effetto reale inseparabile della gravità e tender all’ingiù, perchè, ove più gravità si trova, ivi non ha da accelerarsi ìpiù il moto del corpo cadente, e così sempre a porzione, eccetto se occorresse estraneo impedimento? sopra quali ragioni più certe sono fondate tutte le verità delle misure infallibili de’ pesi, che sopra di questa irrefragabile? Nè la vostra instanza è di momento alcuno, ma è manchevole per il difetto del senso, conciosia che il tempo nel quale si passa il spazio da i due gravi predetti è sì breve, che non può dalla vista esser con sì fatte proporzioni divisopostille 12; anzi, per esser ella debile, nella velocità di moti velocissimi tal ora per spazio grande e notabile non scorge diversità alcuna di tempo, come si vede chiaramente nel tiro di un archibugio o bombarda, che ha con la palla toccato il segno quando appena si è vista scoccare. Così per la tardità non vediamo il moto che fa un raggio de gli orologii che mostran Yl’ore, quantunque alle volte sia di quantità non mediocre; e per distanza convenevole le navi velocemente mosse da i venti e da i remi si mostrano parimente immote. E voi vorreste le predette velocità in spazio tanto breve misurarle così agiatamente, come se quei mobili si movessero col passo della testuggine? Quanta poi sia questa velocità, quanto, per conseguente, brevissimo e quasi impercettibile, e difficile o più tosto impossibile da misurarsi o distinguersi da noi, il tempo de’ due predetti cadenti, lo cavo dalla dottrina vostra medesimapostille 13. Dite che la distanza dal concavo lunare al centro della Terra sia di miglia 196000, e che si passerebbe in ore 3, minuti 22, e 4 secondi: or cento braccia di spazio, che sono meno della decima parte di un miglio, in qual momento di tempo (per così dire) secondo il vostro computo si passeranno? e come dividerete l’impercettibile? Ben sono in sè stesse ammirande l’opre della natura, ed eccede la ragione la cognizione tardissima dei senso! È vera (dico) per tanto secondo la ragione dimostrativa la proposizion d’Aristotile, ma non è misurata adequatamente dal senso; nel modo appunto che i matematici, con la miglior parte de’ filosofi, vogliono che in ogni continuo siano parti infinite, e [p. 688 modifica] lo tengono pei indubitato, e pur repugna al senso e quasi alla capacità istessa dell’intelletto. Nondimeno in alcuni gravi di materia men terrea o men pesante, come sono tavolo ed altro, se ne vede, se non a pieno (per il difetto sudetto del senso), almeno a porzione, esperienza sensata e convenevole; ed io già con il prenominato parziale di queste vostre dottrine lo pratticai di vista, e la dottrina di Aristotile vi corroborai.

Dite (a car. 230 [pag. 261, lin. 29-31]), di aver così per naturale il moto in su di gravi per l’impeto concepito, come il moto in giù dependente dalla gravità, anzi che de’ due moti, l’uno chiamato naturale, l’altro violento, sia un solo principio naturale, e, per conseguente, quel che vien detto violento, non sia tale in effetto; e ne apportate essempi diversi, come del grave percosso in Terra, che dall’istessa virtù che giù lo spinse, per riflessione lo ribalza in su. Parimente, se la Terra fosse perforata per un pozzo che passasse per il centro di essa, una palla di artiglieria, lasciata cader in giù, da principio intrinseco naturale si condurebbe al centro, e colà giunta continuerebbe di moversi, e sarebbe andare all’insù, cioè verso il cielo dall’altra banda, e questo è detto moto violento: dunque proviene da principio naturale etc. In oltre, una palla di legno, descendendo impetuosa dall’aria nell’acqua, continuando la sua scesa per longo tratto si sommerge; e pur è contra la natura del legno, la quale ò di nuotar sopra l’acque. Ed in una parola (aggiungo io), tutti i proietti che cominciano col moto naturale, e per quel che diciamo violento si riflettono, hanno da un intrinseco principio solo l’uno e l’altro moto; dunque sono ambi naturali. Onde sarà anco falsissimo quel che dice Aristotile, che sia violento quello il cui principio è esterno, essendo questi tali moti, detti da noi violenti, da interno principio.

Or io con brevità vi rispondo, che propriamente solo quel moto deve dirsi naturale, che immediate da principio naturale senza concorso di alcuno estraneo agente o impedimento proviene, ed è ordinato dalla natura del mobile a conseguir il fine overo il termine naturalmente dovutogli; che se poi trova impedimento, per quello (che è ed al mobile ed al moto medesimo estrinseco) degenera e s’imbastardisce, anzi muta natura e diventa violento, talchè non ha il principio medesimo che aveva: e così non è l’istesso principio del moto naturale e del violento, come voi stimate. Il violento, all’opposito, nè immediate dall’interno principio proviene, nè al termine naturale è ordinato, ma sempre estraneo, sempre repugnante all’acquisto di esso termine. Meglio però sarò inteso, se discenderò a i particolari de’ vostri essempi.

A quel dunque del grave cadente riflesso, come una palla da giuocare che percossa in Terra ribalza, vi dico che quel moto all’insù non procede dall’istesso principio da cui procedette quello all’ingiù; poichè quello fu causato dalla gravità naturale del proietto, aiutata forse dall’impeto del proiciente (che poco però importa), ma quello all’insù del ribalzo viene dall’estrinseco riverberante, che [p. 689 modifica] è la Terra o altro tale: e quella virtù che naturalmente operava nel discenso, impedita e conturbata, cessa dall’opra naturale, ed in suo luogo succede dalla predetta cagione la violenza con gli suoi proprii effetti; e perchè nel riflesso trameza la quiete, diventano due moti diversi, e da diverse cagionipostille 14; ed in questa maniera non è l’istcsso principio di due contrarii moti, se bene gran forza prende il violento dal naturale, che suppone per base e per fondamento, come il calor estraneo di febre sopra il nativo si fonda e si avanza, anzi dalla corruzione o alterazione di esso riceve l’essere. Chi dicesse anco, che un principio naturale è causa di naturale effetto per sù stesso, ma accidentalmente o per intoppo è anco causa del suo contrario, non avrebbe detto cose diverse molto dalle predette, ma avrebbe metodicamente parlato con la dottrina di Aristotile istesso, nell’ottavo della Fisica, al testo ottavo, ove ha queste parole formali: Alia enim movent singulariter, alla autem secundum contrarios motus, ut ignis quidem calefacit, frigefacit autem non: scientia autem videtur contrariorum esse una. Videtur igitur illic esse aliquid eiusmodi; frigidum enim cialefacit (e qui notate) versum quodammodo et abscedens; e nel secondo della Fisica, testo 30: Amplius autem eadem est causa contrariorum. Il che ho voluto apportarvi, acciò si veda che questa vostra considerazione è stata dal medesimo Aristotile fatta, non per impugnarvi con l’arme sue, che sarebbe nugacità e petizionepostille 15.

All’essempio della terra forata, io negherei liberamente e senza scrupulo alcuno che, giunta la palla al centro, seguisse il suo moto dalla parte dell’altro emisfero verso il cielo; e voi nè con ragioni nè con esperienze potreste provarlo. Quel che mi induce a negarvelo. non è ostinazione nè fuga, ma una naturalezza di questa sorte: che non saprei imnniginarmi chi la spingesse, e per qual cagione fuggisse da quel suo luogo a cui aspirava di giungere: quivi non sono impedimenti, non contrarii, non ribattenti; il moto ha il suo termine naturale. [p. 690 modifica] Nè li essempi di pendoli, che voi apportate, sono simili: perchè in questi (come potete osservare) sono sempre violenze ed impedimenti, che non trovarete nell’altro caso; nè mai, por quanta osseirvazione potrà fare ciascun curioso intelligente, si troverà diversità ne gli effetti della natura senza qualche diversità nelle cagionipostille 16 o pure sarebbono effetti senza causa; e questa diversità in tal caso non apparisce; dunque nè novo nè diverso moto ardirei di imaginarmi. All’essempio della palla che si sommerge cadendo in acqua, dico che ella con la sua. gravità operatrice cerca di avvicinarsi quanto più può al centro, e coll’impeto concepito nel discendere fende l’acqua senza interrompere il suo moto; la quale, essendo di natura più grave del legno, va sempre re-ì sistendo, e si avanza di modo che nel discendere vince, e la palla con la sua levità finalmente sovrasta; onde non avendo il legno predetto per suo luogo ultimato l’acqua, nè essendo semplicemente leve, ma rispective, con gravità congiunta, e con mistura varia de gli elementi, non è alcun inconveniente che in una pugna ed opposizione di altri corpi sortisca diversità di moti, tanto più che i moti ed altri accidenti simili sono facilissimamonto producibili e variabili, e molto più secondo voi che gli annoverate, tra. i respettivi.

Tornate pur di novo (a car. 244 [pag. 275, lin. 1 e seg.]) ardentemente ad inculcare l’esperienze del senso, ove si fonda la dottrina Aristotelica e Tolemaica, con dire che commettono equivoci e paralogismi, come credete aver mostrato di sopra, e la vostra, con quella di Aristarco Samio già e poi di Nicolò Copernico, abbia sensate infallibili esperienze.; e dall’altro canto dite che il senso non conosce i moti circolari dell’aria e della Terra, sopra i quali è fabricata tutta la vostra machina, con essempi di quei che sono rinchiusi in una barca; e da i suppositi insensibili, incerti, non dimostrati, non venite nè anco a niuna cognizione sensitiva, ma dalla supposita arguite che quel che si vede e crede esser moto retto di cadenti, sia circolare non conosciuto: e così nè i progressi delle vostre speculazioni non procedete da principii noti, nè dagli ignoti ed imaginarii concludete alcuna cosa evidente. Or vedete che vaghe dottrine, che cognizioni sensitive son questo vostre? su qual sodi fondamenti fondate la fabrica del vostro filosofare sensibile? Or con quanta ragione potete improverare a i seguaci di Aristotilo (come fate nel primo Dialogo), che se esso Aristotile avesse avuto hi cognizioni sensitive, che avete e che mostrerete voi, delle cose naturali, avrebbe mutata opinione, ceduto alle sue determinazioni, ed accostatosi alle vostre? Ma, di grazia, si faccia line di questo: nondimeno l’iterazioni vostre sì spesse m0 invitano a risentirmene.

In molte altre cose vi diffondete, nel vostro secondo Dialogo, massime nel [p. 691 modifica] citar ed impugnare prolissamente un libretto di conclusomi; nella quale lettura non scorgendo io cosa alcuna di nova repugnanza alle posizioni di Aristotile (che solo mi ho assunto in questi brevi esercizii di difendore), giudico bene di tralasciarle.


Postille di Galileo Galilei

  1. e quando, capo grosso, ho io mai detto tal cosa?
  2. Qui dite che pur sia vero, che anco quello che non può essere eterno, può esser naturale, stando anco permanente il lor fondamento; e l'esemplificate col generare e crescer de’ viventi, che non è perpetuo: ma l'esempio non sta nel proposito, se voi prima non provate, il crescere non potere esser perpetuo, e, di più, che eterni possano essere i viventi. Il mio asserto dice: «Quello che non può essere eterno, non può esser naturale»: se voi volete destruggerlo, bisogna che voi introduchiate cosa che possa essere naturale senza potere essere eterna; e però dovete mostrare, non che il crescere non sia de facto eterno, ma che non possa essere eterno, e, di più, che non possa essere eterno quando anco il vivente fusse eterno: e questo non proverete voi già mai; talchè il vostro esempio è difettoso e fuori del caso, perchè mostra solamente non esser de fatto eterno il crescere nel vivente che nè anco è eterno.
      E se voi considererete meglio il mio detto, vedrete che io non affermo che nelle cose eterne quello che gli è naturale sia eterno, ma solamente che gli può essere eterno, ciò è che hanno eterna disposizione a quello operare, benchè eternamente non l’operino; che è poi l’istesso ad unguem che voi medesimo dite che io, per dir bene, avrei auto a dire. Scorgesi dunque pur troppo chiara la vostra brama di farmi comparire ignorante appresso i meno accurati lettori, mentre offuscandogli.2
  3. Questo animale vuol rispondere dove ei non intende nulla. E quando ho io mai detto che egli erri nell’assunto etc.?
  4. Ignorantissimo bue! stimai assurdo il dire che le parti della Terra separate girassero in loro stesso; ed ammessi che girassero intorno al centro, seguendo il moto del lor tutto.
  5. non si trova tal cosa nel mio Dialogo.
  6. ed al proposito di chi posson esser le coso che son fuor di tutti i propositi?
  7. E chi, balordone, introduce qui la revoluzion della Terra?
  8. adunque quello che argomenta ex suppositione, fa petizion di principio?
  9. Il dire che il continuo consta di parti sempre divisibili, importa che, suddividendo, non si arriverà mai ai primi componenti: i primi componenti dunque son quelli che non son più divisibili; ed i non più divisibili sono gl’indivisibili, i quali son quelli che si chiamano punti: adunque il continuo si compon di punti: e però, Sier Peripatetico, mentre tu di’ che’ il continuo si compone di parti sempre divisibili, vieni, non te n’accorgendo, a dire che la prima composizione del continuo è di indivisibili.
      nota: le parti prime componenti devono essere incomposte, alioquin non sarebbon le prime; ma le parti quante son divisibili, adunque composte, adunque non prime.
      tu stesso, oh Peripatetico, affermi e pronunzii, il continuo esser composto d’indivisibili, mentre dici esser composto di parti sempre divisibili.
      le vere componenti son quelle che compongono senz’esser composte.
      non sono le 100 parti che compongono la linea, perchè le 200 compongon la medesima linea ed anco le 100 sincategorimatice.
  10. Capo durissimo, inetto a intender nulla, d’onde cavi tu che io abbia detto mai che per il moto comune dell’aria e della Terra gPimberciatori colgano gli uccelli volanti?
  11. la ragione addotta da Aristotile è l’esperienza; e con l’esperienza si mostra la sua falsità.
  12. Ma come fece Aristotile a dividerlo con sì fatte proporzioni?
  13. se voi lo cavasti dalla mia dottrina, direste che è assai lungo.
  14. nel passar da un contrario all’altro, bisogna che medii (parlando de i moti) la quiete; ma se nel punto del regresso intercede la quiete, chi dopo di quella spigno ’l grave in su?
      se intercede la quiete, chi caccia poi in su il mobile?
  15. Quale sproposito è questo, dir di non mi voler impugnar con l’arme d’Aristotile? non vedete dunque che quest’arme favoriscon la causa mia? E che altro dico io se non che, con Aristotile, contrariorum eadem est causa, mentre dico, i moti naturale e violento, da voi tenuti contrarii, derivar dall’istessa causa?
     Questo poveretto s’annaspa. Prima vorrebbe che i miei concetti fusser falsi, e poi, se gli conosce aver qualche spirito, cerca di fargli d’altri.
  16. Ma se questo è, come sarà vero il detto poco di sopra, eadem est causa contrariorum?

Note

  1. L’edizione originale delle Esercitazioni legge intorno al suo cerchio. Galileo, in margine dell’esemplare da lui postillato, corresse cerchio in centro: cfr. pag. 160 di questo volume, lin. 4.
  2. La postilla, la quale è scritta su di un fogliettino inserito nell’esemplare delle Esercitazioni, è stata lasciato dall’Autore così sonza compimento.
  3. L’edizione originale delle Esercitazioni Filosofiche ha moto, che Galileo, noi più volto citato esemplare da lui postillato, ha corretto di sua mano in noto.
  4. Di fronte alle parole «Supponete che la Terra ... soluzioni» si vede, nel citato esemplare postillato da Galileo, un segno marginale in figura d’una mano, dovuto allo stusso Galileo