L'isola misteriosa/Parte seconda/Capitolo V

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO V.


Proposta di tornare dal litorale del sud — Configurazione della costa — Alla ricerca del naufragio presunto — Un rottame in aria — Scoperta d’un piccolo porto naturale — A mezzanotte sulla sponda della Grazia — Un canotto che va alla deriva.

Cyrus Smith ed i suoi compagni dormivano come marmotte nella caverna che lo jaguaro avea lasciato così garbatamente a loro disposizione.

Al levar del sole tutti erano sulla spiaggia all’estremità del promontorio, ed i loro sguardi si portavano ancora verso quell’orizzonte, che era visibile nei due terzi della sua circonferenza. Un’ultima volta l’ingegnere potè accertarsi che non si vedea sul mare alcuna vela, nè alcuno scafo di bastimento, ed il [p. 49 modifica]cannocchiale non vi potè scoprire alcun punto sospetto. Nulla pure si vedeva sul litorale, almeno nella parte rettilinea che formava la costa sud del promontorio per una lunghezza di tre miglia, perchè al di là una frattura delle terre nascondeva il resto della costa, ed anzi dall’estremità della penisola Serpentina non si poteva discernere il capo Artiglio nascosto da altre roccie.

Rimaneva dunque da esplorare la spiaggia meridionale dell’isola. Or si doveva egli intraprendere immediatamente questa esplorazione e consacrarle quella giornata del 2 novembre?

Questo non era il disegno primitivo; infatti, quando la piroga fu abbandonata alle sorgenti della Grazia, era stato convenuto che, dopo d’aver osservato la costa ovest, si venisse a riprenderla per ritornare al Palazzo di Granito per la via della Grazia. Cyrus Smith credeva allora che la spiaggia occidentale potesse offrire un rifugio sia ad una nave pericolante, sia ad un bastimento che navigasse regolarmente; ma dal momento che quel litorale non offriva alcun approdo, bisognava cercare in quello al sud dell’isola quanto non si era trovato all’ovest.

Fu Gedeone Spilett a proporre di continuare l’esplorazione, in guisa che il quesito del naufragio presunto fosse del tutto risoluto. Ed egli domandò a qual distanza potesse trovarsi il capo Artiglio dall’estremità della penisola.

— A trenta miglia circa, rispose l’ingegnere, se teniamo conto delle curvature della costa.

— Trenta miglia? soggiunse Gedeone Spilett; ci vorrà una buona giornata di cammino; pure io credo che dobbiamo tornare al Palazzo di Granito, seguendo la spiaggia del sud.

— Ma, fece osservare Harbert, dal capo Artiglio al Palazzo di Granito bisognerà poi contare altre dieci miglia almeno. [p. 50 modifica]

— Mettiamo quaranta miglia in tutto, rispose il reporter, e non esitiamo a percorrerle. Almeno osserveremo questo litorale incognito e non avremo più a ricominciare l’esplorazione.

— Giustissimo, disse Pencroff; ma la piroga...

— La piroga è rimasta sola per tutto un giorno alle sorgenti della Grazia, rispose Gedeone Spilett; la può pur rimanervi due giorni; finora non possiamo dire che l’isola sia infestata da ladri.

— Pure, disse il marinajo, quando mi ricordo la storia della tartaruga non mi sento molta fiducia.

— La tartaruga! la tartaruga! rispose il reporter; ma non sapete che è il mare che l’ha capovolta?

— Chissà, mormorò l’ingegnere.

— Ma.... disse Nab.

Nab aveva qualche cosa a dire, questo era evidente, perch’egli apriva la bocca per parlare e non diceva nulla.

— Che vuoi tu dire, Nab? gli domandò l’ingegnere.

— Se torniamo dalla spiaggia fino al capo Artiglio, rispose Nab, dopo aver doppiato questo capo saremo trattenuti....

— Dalla Grazia, infatti, osservò Harbert, e non avremo nè ponte, nè battello per attraversarla.

— Buono, signor Cyrus, rispose Pencroff, con qualche tronco galleggiante non saremo imbarazzati a passare il rivo.

— Non monta, disse Gedeone Spilett, sarà utile costrurre un ponte, se vogliamo aver facile accesso nel Far-West.

— Un ponte? esclamò Pencroff; forse che il signor Smith non è ingegnere? Ce lo farà lui un ponte, quando lo vorremo. Quanto a trasportarvi questa sera sull’altra spiaggia della Grazia, e ciò senza bagnare un filo delle vostre vestimenta, me ne incarico io. Abbiamo per un giorno da vivere, gli è quanto ci abbisogna, e poi la selvaggina non mancherà forse oggi, come non è mancata jeri. Incamminiamoci. [p. 51 modifica]

La proposta del reporter, vivamente sostenuta dal marinajo, ottenne la generale approvazione, perchè ciascuno voleva finirla coi propri dubbi, e tornando dal capo Artiglio l’esplorazione doveva essere compiuta.

Ma non v’era un’ora da perdere, perchè una tappa di quaranta miglia era lunga e non bisognava contare di giungere al Palazzo di Granito prima di notte. Alle sei del mattino il piccolo drappello si pose dunque in viaggio; prevedendo cattivi incontri d’animali a due od a quattro zampe, i fucili furono caricati a palla, e Top, che dovea aprir la strada, ricevette ordine di battere il lembo della foresta. A partire dall’estremità del promontorio che formava la coda della penisola, la costa si curvava per una distanza di cinque miglia, che fu rapidamente per corsa senza che le più minuziose investigazioni avessero rilevato la minima traccia d’uno sbarco antico o recente, nè una rottura, nè una reliquia d’attendamento, nè le ceneri d’un fuoco spento, nè una pedata.

I coloni, giunti all’angolo in cui finiva l’incurvatura per seguire la direzione nord-est formando la baja Washington, poterono abbracciare collo sguardo il litorale sud dell’isola in tutta la sua estensione. A venticinque miglia la costa terminava col capo Artiglio, che a mala pena si disegnava nella bruma del mattino e che un fenomeno di miraggio sollevava come se fosse sospeso fra terra ed acqua. Fra il punto occupato dai coloni ed il fondo dell’immensa baja, la spiaggia si componeva prima di tutto d’un largo greto liscio e piatto costeggiato da alberi, poi del litorale che, divenuto irregolarissimo, gettava punte aguzze nel mare; ed infine di alcune goccie nerastre che s’accumulavano in un disordine pittoresco per finire nel capo Artiglio. Tale era lo svolgimento da quella parte dell’isola che gli esploratori vedevano [p. 52 modifica]per la prima volta e che percorsero con un’occhiata dopo di essersi arrestati un istante.

— Una nave, disse allora Pencroff, sarebbe qui inevitabilmente perduta; banchi di sabbia che si prolungano fino in alto mare; più oltre le scogliere: cattivi paraggi!

— Ma almeno resterebbe qualche cosa di questa nave, fece osservare il reporter.

— Resterebbero pezzi di legno sugli scogli e nulla sulla sabbia, rispose il marinajo.

— Perchè?

— Perchè codeste sabbie, più pericolose delle roccie, inghiottono tutto quanto vi si getta e bastano pochi giorni perchè lo scafo d’ana nave di molte centinaja di tonnellate vi scompaja interamente.

— Dunque, Pencroff, domandò l’ingegnere, se una nave si fosse perduta in questi banchi non vi sarebbe da stupirsi che non se ne vedesse più alcuna traccia?

— No, signor Smith, coll’ajuto del tempo o delle tempeste. Pure sarebbe cosa da maravigliare anche nel caso che non venissero gettate alla spiaggia, fuor di portata del mare, reliquie di alberatura.

— Continuiamo adunque le ricerche, rispose Cyrus Smith.

Alla una dopo mezzodì i coloni erano giunti in fondo della baja Washington, ed in quel momento avevano percorso una distanza di venti miglia.

Si fece una fermata per far colazione. Colà cominciava una costa irregolare, bizzarramente frastagliata e coperta da una lunga linea di quegli scogli che si succedevano ai banchi di sabbia e che la marea, ferma in quel momento, non doveva tardare a porre allo scoperto. Si vedevano le morbide ondulazioni del mare, rotte alle vette degli scogli, svolgersi in lunghe frangie schiumose. Da quel punto fino al capo Artiglio il greto era poco spazioso, stretto fra l’orlo delle scogliere e quello della foresta. [p. 53 modifica]

La via doveva dunque divenire più aspra, poichè innumerevoli roccie franate ingombravano la spiaggia. La muraglia di granito tendeva pure a sollevarsi sempre più; e degli alberi, che la incoronavano al di dietro, si scorgevano solo le alte cime verdeggianti non animate da alcun soffio.

Dopo mezz’ora di riposo, i coloni si rimisero in viaggio, ed i loro occhi non lasciarono inosservato punto alcuno delle scogliere e del greto. Pencroff e Nab si avventuravano anzi in mezzo agli scogli ogni volta che un oggetto fermava il loro sguardo. Ma di rottami non se ne vedevano punto; erano solo ingannati da qualche bizzarra conformazione delle roccie. Poterono peraltro accertarsi che le conchiglie commestibili abbondavano sulla spiaggia; la qual cosa non poteva tuttavia essere posta a profitto se non quando ci fosse una comunicazione fra le due rive della Grazia, ed i mezzi di trasporto fossero perfezionati.

Così adunque nulla di ciò che si riferiva al naufragio presunto appariva su quel litorale; eppure un oggetto di qualche importanza, per esempio lo scafo d’una nave, sarebbe stato allora visibile, od almeno i suoi rottami sarebbero stati gettati alla spiaggia, com’era avvenuto della cassa trovata a meno di venti miglia di là. Nulla di tutto ciò. Verso le tre, Cyrus Smith ed i suoi compagni giunsero ad uno stretto seno ben chiuso, in cui non metteva alcun corso d’acqua. Esso formava un vero porto naturale, invisibile dall’alto mare, a cui dava accesso uno stretto passaggio che si apriva fra gli scogli.

In fondo a questo seno qualche violenta convulsione aveva lacerato il lembo roccioso, ed un piano inclinato metteva nell’altipiano superiore, che poteva essere situato a meno di dieci miglia dal capo Artiglio, e per conseguenza a quattro miglia in dritta linea dall’altipiano di Lunga Vista. [p. 54 modifica]

Gedeone Spilett propose ai compagni di fermarsi in quel luogo; si accettò, perchè la camminata aveva aguzzato l’appetito di ciascuno, e sebbene non fosse l’ora del desinare, nessuno si rifiutò di riconfortarsi con un pezzo di selvaggina. Codesto lunch dovea permettere di aspettare l’ora del pasto al Palazzo di Granito. Alcuni minuti dopo i coloni, seduti a piedi d’un magnifico gruppo di pini marittimi, divoravano le provvigioni che Nab avea tolto dalla sua sacca. Il luogo era alto dai cinquanta ai sessanta piedi sul livello del mare. Il raggio visuale era dunque abbastanza esteso, e passando sopra le ultime roccie del capo, andava a perdersi fin nella baja dell’Unione. Ma nè l’isolotto, nè l’altipiano di Lunga Vista non eran visibili e non potevano esserlo allora, poichè il rilievo del suolo e la cortina dei grandi alberi mascheravano l’orizzonte del nord.

È inutile aggiungere che, malgrado la distesa di mare che gli esploratori potevano abbracciare, e benchè il cannocchiale dell’ingegnere avesse percorso ogni punto di quella linea circolare in cui si confondono cielo ed acqua, non si vide alcuna nave. Del pari il cannocchiale esplorò tutto il litorale, dal greto fino alle scogliere, nè apparve nel campo dello strumento alcun rottame.

— Andiamo, disse Gedeone Spilett, bisogna prendere un partito e consolarci pensando che nessuno verrà a contenderci il possesso dell’isola Lincoln.

— Ma insomma quel grano di piombo, disse Harbert, non è già immaginario, suppongo?

— Per mille diavoli, no! esclamò Pencroff pensando al molare che gli era costato.

— Dunque, che cosa argomentate? domandò il reporter.

— Questo, rispose l’ingegnere, che tre mesi sono al più una nave, volontariamente o no, ha approdato.

— Come! ammettereste, Cyrus, che siasi som[p. 55 modifica]mersa senza lasciare alcuna traccia? domandò il reporter.

— No, no, caro Spilett, ma osservate che se è certo che una creatura umana ha posto il piede su quest’isola, non è meno certo che oramai l’ha lasciata.

— Dunque, signor Cyrus, disse Harbert, la nave sarebbe ripartita?

— Evidentemente.

— E noi avremo perduto senza rimedio un’occasione di rimpatriare? disse Nab.

— Senza rimedio, lo temo.

— Ebbene, poichè l’occasione è perduta, in cammino! disse Pencroff, il quale si sentiva prendere dalla nostalgia trovandosi assente dal Palazzo di Granito.

Ma si era appena levato in piedi, quando i latrati di Top echeggiarono forte, ed il cane uscì dal bosco tenendo in bocca un lembo di stoffa sporco di fango.

— Era un pezzo di tela robusto, e Nab lo strappò dalle zanne del cane.

Top latrava sempre e co’ suoi andirivieni sembrava invitare il padrone a seguirlo nella foresta.

— Vi è colà qualche cosa che potrebbe spiegare il mio grano di piombo! esclamò Pencroff.

— Un naufrago! rispose Harbert.

— Ferito forse! disse Nab.

— O morto! aggiunse il reporter.

E tutti si precipitarono dietro al cane fra quei gran pini che formavano la prima cortina della fo resta. Cyrus Smith ed i compagni avevano per ogni occorrenza preparato le armi.

Dovettero addentrarsi di molto nel bosco, ma con loro gran rammarico non videro alcuna impronta di passi. I cespugli e le liane erano intatti, e bisogno anzi reciderli coll’accetta come si aveva fatto nel fitto della foresta. Era adunque difficile immaginare che una creatura umana fosse già passata di là: eppure Top andava e veniva non già alla guisa d’un [p. 56 modifica]cane che cerchi a casaccio, ma come un essere dotato di volontà il quale segua un’idea. Dopo sette od otto minuti di cammino, Top s’arrestò; i coloni, giunti ad una specie di radura circondata da grandi alberi, si guardarono tutt’intorno, e non videro nulla nè sotto i cespugli nè fra i tronchi d’albero.

— Ma che c’è, Top? disse Cyrus Smith.

Top abbajò più forte balzando ai piedi d’un gigantesco pino.

D’un tratto Pencroff esclamò:

— Ah, buono, magnifico!

— Che cosa è stato? chiese Gedeone Spilett.

— Noi cerchiamo un rottame in mare o sulla terra....

— Ebbene?....

— Ebbene, eccolo invece per aria.

Ed il marinajo mostrò una specie di cencio bianchiccio aggrappato alla vetta del pino e di cui Top aveva portato un brandello caduto al suolo.

— Ma quello non è un rottame! esclamò Gedeone Spilett.

— Vi domando scusa, rispose Pencroff.

— Come! gli è....

— Gli è tutto quanto rimane del nostro battello aereo, del nostro pallone, che si è arrenato lassù in cima all’albero.

Pencroff non s’ingannava, e dopo un sonoro evviva, aggiunse:

— Eccone della buona tela, ecco di che fornirci di biancheria per anni interi! Quanti fazzoletti e quante camicie! Che ve ne pare, signor Smith, d’un’isola in cui le camicie crescono sugli alberi?

Era veramente una lieta combinazione per i coloni dell’isola Lincoln questa che l’aerostato, dopo d’aver fatto il suo ultimo balzo in aria, fosse ricaduto sull’isola e che essi avessero avuto la fortuna di trovarlo. Potevano ora serbare l’invoglio in quella forma, se mai volessero tentare un nuovo viaggio per aria, [p. 57 modifica]od impiegare con frutto alcune centinaja d’aune di tela di cotone di buona qualità, dopo d’averle tolto la vernice. È facile immaginare che la gioja di Pencroff fu da tutti vivamente divisa.

Ma quell’invoglio bisognava toglierlo dall’albero da cui penzolava, per porlo in luogo sicuro, e non fu già lieve fatica. Nab, Harbert ed il marinajo, essendo saliti in cima all’albero, dovettero fare prodigi giganteschi per staccare l’enorme aerostato sgonfiato.

L’operazione durò circa due ore, e non solamente l’invoglio colla sua valvola e le sue molle, ma anche la rete, vale a dire un grosso mucchio di cordami, il cerchio e l’ancora del pallone, erano sul suolo; l’invoglio, salvo la frattura, era in buono stato, solo la sua appendice inferiore era stata lacerata. La era una fortuna caduta dal cielo.

— Tuttavia, signor Cyrus, disse il marinajo, se mai ci decidiamo a lasciar l’isola, non sarà già in pallone, non è vero? Non vanno dove si vuole codeste navi aeree, e ne sappiamo qualche cosa! Vedete, se date retta a me, costruiremo un buon battello d’una ventina di tonnellate, e mi lascerete tagliare in questa tela una vela di trinchetto ed un fiocco: il resto servirà a vestirci.

— Vedremo, Pencroff, rispose Cyrus Smith, vedremo.

— Frattanto bisogna mettere tutto al sicuro, disse Nab.

Di fatto, non si poteva pensare a trasportare al Palazzo di Granito codesto carico di tela e di corde il cui peso era grande, ed aspettando un veicolo acconcio per caricarlo importava di non lasciare più oltre quel tesoro alla mercè degli uragani.

I coloni, riunendo i loro sforzi, riuscirono a trascinare il tutto fino alla spiaggia, dove scoprirono un ampio cavo roccioso che nè vento, nė pioggia, nè ondate potevano visitare, grazie alla sua positura. [p. 58 modifica]

— Ci occorreva un armadio, ed eccolo, disse Pencroff, ma siccome non chiude a chiave, sarà prudente nasconderne l’ingresso. Non dico questo per i ladri bipedi, ma per i ladri quadrupedi.

Alle sei pomeridiane il tutto era nascosto, e dopo aver dato al piccolo seno il nome di porto Pallone, fu ripigliata la via del capo Artiglio. Pencroff e l’ingegnere cianciavano dei diversi disegni che conveniva porre in atto nel più breve termine possibile. Bisognava innanzi tutto gettare un ponte sulla Grazia affine di stabilire una comunicazione facile col sud dell’isola. Poi il carro doveva tornare a prendere l’areostato, perchè il canotto non avrebbe potuto bastare a trasportarlo. Poi si doveva costrurre una scialuppa, che Pencroff attrezzerebbe, e si potrebbero così intraprendere viaggi di circumnavigazione intorno all’isola, ecc.

Frattanto veniva la notte, e il cielo si era già oscurato, quando i coloni giunsero alla punta del Rottame, nel luogo medesimo in cui avevano scoperta la preziosa cassa. Ma colà pure non si vedeva nulla che indicasse un naufragio qualsiasi, e bisognò pur tornare alle conclusioni già fatte da Cyrus Smith.

Dalla punta del Rottame al Palazzo di Granito rimanevano ancora quattro miglia, che furono presto percorse, ma era più della mezzanotte quando, dopo aver seguito il litorale fino alla foce della Grazia, i coloni giunsero al primo gomito formato dal fiume. Colà il letto misurava una larghezza di ottanta piedi, che era difficile superare; ma Pencroff s’incaricò di vincere quella difficoltà, e fu richiesto di farlo.

Bisogna convenirne, i coloni erano molto estenuati; la tappa era stata lunga e l’incidente del pallone non aveva certo lasciato in ozio le loro gambe e le loro braccia. Avevano dunque fretta di tornare al Palazzo di Granito per cenare e dormire, e se il ponte fosse stato costrutto, in un quarto d’ora si sarebbero trovati a domicilio. [p. 59 modifica]

La notte era oscurissima, Pencroff cominciò dal fare una specie di zattera che permettesse di passare la Grazia; Nab ed egli, armati d’accetta, scelsero due alberi vicini alla ripa ed incominciarono a tempestarli di colpi alla base. Cyrus Smith e Gedeone Spilett, seduti sull’argine, aspettavano che fosse venuto il momento di venire in ajuto ai compagni, intanto che Harbert andava e veniva senza allontanarsi molto.

D’un tratto il giovinetto, che avea risalito il rivo, tornò frettoloso, e mostrando la Grazia a monte, esclamò:

— Che cosa è quell’arnese che va alla deriva?

Pencroff interruppe il suo lavoro e vide un oggetto mobile che appariva confusamente nell’ombra.

— Un canotto! esclamò egli.

Tutti s’accostarono, e videro con somma maraviglia una scialuppa che seguiva il corso dell’acqua.

— Oh, del canotto! gridò il marinajo, per un resto di abitudine di professione, non pensando che meglio forse sarebbe stato serbare il silenzio.

Nessuno rispose. La barca andava sempre alla de riva ed era solo ad una decina di passi, quando il marinajo esclamò:

— Ma è la nostra piroga! ha rotto l’ormeggio ed ha seguito la corrente; bisogna confessare che viene a proposito.

— La nostra piroga?... mormorò l’ingegnere.

Pencroff aveva ragione; era proprio il canotto il cui ormeggio si era spezzato senza dubbio e che se ne tornava dalle sorgenti della Grazia. Importava adunque afferrarlo al passaggio prima che fosse trasportato dalla rapida corrente al di là della sua foce, ed è quanto Nab e Pencroff fecero assai bene con una lunga pertica.

Il canotto s’accostò alla spiaggia; l’ingegnere, imbarcandovisi per il primo, ne prese l’ormeggio e si assicurò che era stato veramente logorato dallo strofinío sugli scogli. [p. 60 modifica]

— Ecco, gli disse a bassa voce il reporter, ecco una cosa che si può dire....

— Strana! rispose Cyrus Smith.

Strana o no, era una combinazione fortunata. Harbert, il reporter, Nab e Pencroff s’imbarcarono alla loro volta.

Essi non ponevano menomamente in dubbio che l’ormeggio si fosse logorato, ma il più maraviglioso era che la piroga fosse giunta proprio al momento in cui i coloni si trovavano là per fermarla al passaggio, perchè un quarto d’ora più tardi la sarebbe andata a perdersi in mare.

Al tempo dei genii, quell’incidente avrebbe dato il diritto di pensare che l’isola fosse abitata da un essere soprannaturale, il quale poneva la sua potenza al servizio dei naufraghi.

In pochi colpi di remo i coloni giunsero alla foce della Grazia; il canotto fu tirato sul greto fin presso ai Camini, e tutti si diressero verso la scala del Palazzo di Granito. Ma in quel momento Top abbajò con collera, e Nab, che cercava il primo gradino, mandò un grido....

Non vi era più scala.