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La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1895)/Ricette/Piatti di pesce

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Piatti di pesce

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PIATTI DI PESCE


QUALITÀ E STAGIONE DEI PESCI

Tra i pesci comuni, i più fini sono: lo storione, il dentice, l’ombrina, il ragno, la sogliola, il rombo, il pesce S. Pietro, l’orata, la triglia di scoglio, la trota d’acqua dolce; ottimi tutto l’anno, ma la sogliola e il rombo specialmente d’inverno.

Le stagioni per gli altri pesci più conosciuti sono: il nasello, l'anguilla e i totani tutto l’anno; ma l’anguilla è più adatta l’inverno e i totani meglio l’estate. Il mugine grosso di mare, luglio e agosto; il mugine piccolo (cefalo), ottobre e novembre, ed anche tutto l’inverno. Ghiozzi, frittura e seppie, marzo, aprile e maggio. Polpi, ottobre. Sarde e acciughe, tutto l’inverno fino all’aprile. Triglie (barboni), settembre e ottobre. Tonno, dal marzo all’ottobre. Sgombero, primavera, specialmente nel maggio; questo pesce, per la sua carne dura e tigliosa, si usa cuocerlo in umido, ma se volete farlo in gratella sarà bene metterlo al fuoco sopra un foglio grosso di carta unto e condirlo con olio, sale, pepe e qualche foglia di ramerino.

Tra i crostacei, uno de’ più stimati è l’arigusta, o aragosta, buona tutto l’anno, ma meglio in primavera; e tra le conchiglie, l’ostrica, la quale ne’ luoghi di ostricoltura si raccoglie dall’ottobre all’aprile.

Il pesce, se è fresco, ha l’occhio vivace e lucido; lo ha pallido ed appannato se non è fresco. Un altro indizio della sua freschezza è il color rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad arte [p. 251 modifica] col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso, l’odore vi farà la spia. Un altro carattere del pesce fresco è la sodezza delle carni, perchè se sta molto nel ghiaccio diventa frollo e morbido al tatto.


341. - Cacciucco

Cacciucco! Lasciatemi far due chiacchiere su questa parola la quale forse non è intesa che in Toscana e sulle spiaggie del Mediterraneo, per la ragione che ne’ paesi che costeggiano l’Adriatico è sostituita dalia voce brodetto. A Firenze, invece, il brodetto è una minestra che s’usa per Pasqua d’uova, cioè una zuppa di pane in brodo, legata con uova frullate ed agro di limone. La confusione di questi e simili termini fra provincia e provincia, in Italia, è tale che poco manca a formare una seconda Babele.

Dopo l’unità della patria mi sembrava logica conseguenza il pensare all’unità della lingua parlata, che pochi curano e molti osteggiano, forse per un falso amor proprio e forse anche per la lunga e inveterata consuetudine ai proprii dialetti.

Tornando al cacciucco, dirò che questo, naturalmente, è un piatto in uso più che altrove nei porti di mare, ove il pesce si trova fresco e delle specie occorrenti al bisogno. Ogni pescivendolo è in grado di indicarvi le qualità che meglio si addicono a un buon cacciucco; ma buono quanto si voglia, è sempre un cibo assai grave e bisogna guardarsi dal farne una scorpacciata.

Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d’aglio intero. Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodoro a [p. 252 modifica] pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che sieno i pomodori, versate sui medesimi un dito d’aceto se è forte, e due se è debole, diluito in un buon bicchier d’acqua. Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l’aglio e passate il resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto, come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamansi cicale, ed altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi. Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni caso non sarà male aggiungere un po’ d’olio tenendosi piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi separati; in uno il pesce asciutto, nell’altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta.


342. - Pesce al piatto

Ritengo che il pesce, per essere alimento poco nutritivo, fosse più igienico usarlo promiscuamente alla carne anzichè cibarsi esclusivamente di esso ne’ giorni magri, ammenochè non vi sentiste il bisogno di equilibrare il corpo per ripienezza di cibi troppo succulenti. Di più il pesce, in ispecie i così detti frutti di mare e i crostacei per la quantità notabile d’idrogeno e di fosforo che contengono sono eccitanti e non sarebbero indicati per chi vuol vivere in continenza.

Meglio è il servirsi per questo piatto di qualità diverse di pesce minuto; ma si può cucinare nella stessa maniera anche il pesce a taglio in fette sottili. Quando io l’ho fatto di sogliole e triglie ho diviso le prime [p. 253 modifica] in tre parti. Dopo che avrete nettato, lavato e asciugato il pesce, ponetelo in un vaso di metallo o di porcellana che regga al fuoco e conditelo con un battuto d’aglio e prezzemolo, sale e pepe, olio, agro di limone e vino bianco buono.

Ponete in fondo metà del battuto, con un po’ d’olio, distendetegli sopra il pesce, e poi, versando dell’altro olio e il resto degli ingredienti, fate che il pesce vi sguazzi entro. Cuocetelo con fuoco sotto e sopra; se il vassoio è di porcellana posatelo sulla cinigia.

Non è piatto difficile a farsi e però vi consiglio a provarlo, persuaso che ve ne troverete contenti.


343. - Pesce marinato

Sono parecchie le specie de’ pesci che si possono marinare; ma io do la preferenza alle sogliole e all’anguilla grossa. Se trattasi di sogliole friggetele prima nell’olio e salatele; se di anguilla tagliatela a pezzi lunghi mezzo dito all’incirca e senza spellarli, cuoceteli in gratella o allo spiedo. Quando hanno gettato il grasso, date loro un’untatina coll’olio e conditeli con sale e pepe.

Prendete una cazzaruola e in essa versate, in proporzione del pesce, aceto, sapa (che qui ci sta come il cacio su’ maccheroni), foglie di salvia intere, pinoli interi, uva passolina, qualche spicchio d’aglio tagliato in due per traverso e del candito a pezzettini. Mancandovi la sapa supplite collo zucchero e assaggiate per correggere il sapore dell’aceto con un po’ d’acqua, se fosse di troppa forza. Fate che questo composto alzi il bollore e poi versatelo sopra il pesce che avrete collocato in un tegame di terra, disteso in modo che il liquido lo investa da tutte le parti. Fategli spiccare [p. 254 modifica]un’altra volta il bollore col pesce dentro, poi coprite il vaso e riponetelo.

Quando lo servite in tavola prendetene quella quantità che vi abbisogna con un poco del suo intinto, unendovi anche porzione degli ingredienti che vi sono. Se col tempo il pesce prosciugasse, rinfrescatelo con un altro poco di marinato. Anche l’anguilla scorpionata che viene in commercio, potete prepararla in questa maniera.


344. - Pesce lesso

Non sarà male avvertire che si usa cuocere il pesce lesso nella seguente maniera:

Si mette l’acqua occorrente, non però in molta quantità, al fuoco; si sala e prima di gettarvi il pesce si fa bollire per circa un quarto d’ora coi seguenti odori: un quarto o mezza cipolla, a seconda della quantità del pesce, steccata con due garofani, pezzi di sedano e di carota, prezzemolo e due o tre fettine di limone.

Il punto della cottura si conosce dagli occhi che schizzano fuori, dalla pelle che si distacca toccandola e dalla tenerezza che acquista il pesce bollendo.

Mandatelo caldo in tavola, non del tutto asciutto dall’acqua in cui è stato cotto, e se desiderate vi faccia miglior figura, copritelo di prezzemolo naturale e collocatelo in mezzo a un contorno misto di barbebietole cotte nell’acqua se piccole, o in forno se grosse, di patate lesse, tanto le une che le altre tagliate a fette sottilissime perchè prendano meglio il condimento; unite, infine, qualche spicchio di uova sode.

Non facendogli il contorno potete servirlo con le salse dei Numeri 98, 99, 101 e 102. [p. 255 modifica]

345. - Pesce col pangrattato

Questo piatto, cho può servire anche di tramesso, si fa specialmente quando rimane del pesce lessato di qualità fine.

Tagliatelo a pezzetti, nettatelo bene dalle spine e dalle lische, poi ponetelo nella balsamella N. 105 e dategli sapore con sale quanto basta, parmigiano grattato e tartufi tagliati fini. Mancandovi questi ultimi, servitevi di un pizzico di funghi secchi rammolliti. Poi prendete un vassoio che regga al fuoco, ungetelo col burro e spolverizzatelo di pangrattato; versateci il composto e copritelo con un sottile strato pure di pangrattato. Per ultimo mettete sul mezzo del colmo un pezzetto di burro, rosolatelo al forno di campagna e servitelo caldo.


346. - Pesce a taglio in umido

Il pesce a taglio di cui potete servirvi per questo piatto di ottimo gusto, può essere il tonno, l’ombrina, il dentice o il ragno, chiamato impropriamente bronzino lungo le coste dell’Adriatico. Qualunque sia prendetene un pezzo di circa grammi 600 che potrà bastare per cinque persone.

Levategli le scaglie e, dopo lavato ed asciugato, infarinatelo tutto e mettetelo a rosolare con poco olio. Levatelo asciutto, gettate via il poco olio rimasto e pulite la cazzaruola. Fate un battuto, tritato molto minuto, con mezza cipolla di mediocre grandezza, un pezzo di sedano bianco lungo un palmo e un buon pizzico di prezzemolo; mettetelo al fuoco con olio a sufficenza e conditelo con sale, pepe e un chiodo di [p. 256 modifica]garofano intero. Quando avrà preso colore fermatelo con molto sugo di pomodoro o conserva sciolta nell’acqua. Lasciatelo bollire un poco e poi collocateci il pesce per finirne la cottura, voltandolo spesso; ma vi prevengo di servirlo in tavola con molto del suo denso intinto onde vi sguazzi dentro.


347. - Nasello alla palermitana

Prendete un nasello (merluzzo) del peso di grammi 500 a 600, tosategli tutte le pinne, eccetto quella della coda, lasciandogli la testa. Sparatelo lungo il ventre per levargli le interiora e la spina, spianatelo e conditelo con poco sale e pepe. Voltatelo dalla parte della schiena, ungetelo con olio, conditelo con sale e pepe, spolverizzatelo di pangrattato, poi collocatelo supino con due cucchiaiate d’olio sopra un vassoio che regga al fuoco o sopra una teglia.

Prendete tre grosse acciughe salate o quattro, se sono piccole, nettatele dalle scaglie e dalle spine, tritatele e mettetele al fuoco con due cucchiaiate d’olio per disfarle, ma che non bollino. Con questa salsa spalmate il pesce nella parte interna e copritela tutta di pangrattato spargendovi sopra qualche foglia di ramerino piacendovi. Cuocetelo fra due fuochi e fategli fare la crosticina, ma badate non risecchi troppo, anzi perciò spargetegli sopra dell’altro olio e prima di levarlo strizzategli sopra un grosso mezzo limone.

Credo potrà bastare per quattro o cinque persone

se lo servite in tavola contornato da crostini di caviale o di acciughe e burro. [p. 257 modifica]

348. - Rotelle di palombo in salsa

Il palombo (Mustelus) è un pesce della famiglia degli squali ossia de’ pesci cani, e perciò in alcuni paesi il palombo si chiama pesce cane. Questa spiegazione serve per chi non sapesse cosa è il palombo, il quale prende grandi dimensioni e la sua carne è forse la migliore tra i pesci del sottordine dei selachi a cui appartiene.

Prendete rotelle di palombo grosse mezzo dito; se le lavate asciugatele dopo in un canovaccio, spellatele con un coltello che tagli bene, conditele con sale e pepe e tenetele per diverse ore in infusione nell’uovo frullato. Friggetele nell’olio, ma prima copritele di pangrattato rituffandole per due volte nell’uovo.

Ora fate la salsa componendola nella seguente maniera:

Prendete una teglia o un tegame largo ove possano star distese e nel medesimo ponete olio in proporzione, un pezzetto di burro intriso bene nella farina, la quale serve per legare la salsa, un pizzico di prezzemolo tritato, sugo di pomodoro, oppure conserva diluita coll’acqua e una presa di sale e pepe. Quando questa salsa avrà soffritto un poco sul fuoco, mettete nella medesima le rotelle di palombo fritte, voltatele dalle due parti ed aggiungete acqua onde la salsa riesca liquida. Levatele dal fuoco, spargete sulle medesime un poco di parmigiano grattato e mandatele in tavola ove saranno lodate.


349. - Sogliole in gratella

Quando le sogliole (Solea vulgaris) sono grosse meglio è cuocerle in gratella e condirle col lardo invece dell’olio: acquistano in questo modo un gusto più grato.

Sbuzzatele, raschiatene le scaglie, lavatele e poi [p. 258 modifica]asciugatele bene. Dopo spalmatele leggermente di lardo vergine diaccio e che non sappia di rancido; conditele con sale e pepe ed involtatele nel pangrattato. Sciogliete in un tegamino un altro poco di lardo ed ungetele con una penna anche quando le rivoltate sulla gratella.

Le sogliole per friggere, quando sono grosse, si possono spellare da ambedue le parti o anche solo dalla parte scura, infarinandole e tenendole nell’uovo per qualche ora, prima di gettarle in padella.

Una singolarità di questo pesce, meritevole di essere menzionata, è che egli nasce, come tutti gli animali bene architettati, con un occhio a destra ed uno a sinistra; ma a un certo periodo della sua vita l’occhio che era nella parte bianca cioè a sinistra si trasporta a destra e si fissa come quell’altro nella parte scura. Le sogliole e i rombi nuotano collocati sul lato cieco.

Alla sogliola, per la bontà e delicatezza della sua carne, i francesi danno il titolo di pernice di mare; è un pesce facile a digerirsi, regge più di tanti altri alla putrefazione e non perde stagione. Si trova abbondante nell’Adriatico ove viene pescato di nottetempo con grandi reti a sacco, fortemente piombate alla bocca, le quali raschiando il fondo del mare sollevano il pesce insieme colla sabbia e col fango in cui giace.

Il rombo, la cui carne è poco dissimile da quella della sogliola ed anche più delicata, è chiamato fagiano di mare.


350. - Filetti di sogliole col vino

Prendete sogliole che non sieno meno di grammi 150 ciascuna, levate loro la testa e spellatele. Poi con un coltello che tagli bene separate dalle spine la carne [p. 259 modifica]per ottenere quattro lunghi filetti per ogni sogliola od anche otto so le sogliole fossero molto grosse. Con la costola del coltello batteteli leggermente e con la lama del medesimo spianateli per renderli sottili e così conciati lasciateli per diverse ore nell’uovo frullato condito con sale e pepe. Involtateli poi nel pangrattato e friggeteli nell’olio. Dopo versate in un tegame o in una teglia, ove possano star distesi, un gocciolo di quell’olio rimasto nella padella e un pezzetto di burro, disponeteci sopra i filetti, conditeli ancora un poco con sale e pepe e quando avranno soffritto alquanto, bagnateli col vino bianco asciutto, fate bollire per cinque minuti e serviteli con la salsa che hanno spargendoci sopra un pizzico di parmigiano.

La parola asciutto applicata al vino, in questo caso è di rigore perchè altrimenti la pietanza saprebbe troppo di dolce.

Una sogliola di comune grandezza può servire per una persona.


351. - Triglie col presciutto

Non è sempre vero il proverbio: Muto come un pesce, perchè la triglia, l’ombrina e qualche altro, emettono suoni speciali che derivano dalle oscillazioni di appositi muscoli, rafforzate da quello dell’aria contenuta nella vescica natatoia.

Le triglie più grosse e saporose sono quelle di scoglio; ma per cucinarlo in questa maniera, possono servire triglie di mezzana grandezza che nella regione adriatica chiamansi rossioli o barboni. Dopo averle nettate e lavate asciugatele bene con un canovaccio e poi ponetele in una scodella da tavola e conditele con sale, pepe, olio e agro di limone. Lasciatele così per [p. 260 modifica]qualche ora e quando sarete per cuocerle, tagliate tante fettine sottili di presciutto grasso e magro larghe come le triglie e in quantità eguale al numero di esse. Prendete un vassoio o un tegame di metallo, spargete in fondo al medesimo qualche foglia di salvia intera, involtate bene le triglie nel pangrattato e disponetele in questa guisa: addossatele insieme ritte e frapponete le fettine di presciutto fra l’una e l’altra, spargendovi sopra altre foglie di salvia.

Per ultimo versate sopra le medesime il condimento rimasto e cuocetele fra due fuochi. Se volete che questo piatto riesca più signorile, levate la spina alle triglie aprendole dalla parte davanti e richiudendole dopo.


352. - Triglie in gratella alla marinara

Dopo averne estratto l’intestino, con la punta di un coltello, dalle branchie, lavatele ed asciugatele e nel posto dov’era l’intestino collocate un pezzetto d’aglio.

Conditele con sale, pepe, olio, foglie di ramerino e lasciatele così condite. Quando sarete per cuocerle involtatele nel pangrattato ed ungetele col condimento allorchè saranno sul fuoco.

Servitele con spicchi di limone.


353. - Triglie di scoglio in gratella

Questo bellissimo pesce di colore rosso vivace, che raggiunge il peso di 500 a 600 grammi, eccellente al gusto, si suole cuocere in gratella nella seguente maniera:

Conditelo con olio, sale e pepe, cuocetelo a fuoco [p. 261 modifica]ardente e quando lo levate spalmatelo così a bollore con un composto di burro, prezzemolo trito e agro di limone mantrugiato avanti.


354. - Triglie alla livornese

Fate un battutino con aglio, prezzemolo e un pezzo di sedano; mettetelo al fuoco con un po’ d’olio e quando l’aglio avrà preso colore, gettate sul medesimo pomodori a pezzi e condite con sale e pepe. Lasciate che i pomodori cuocino bene, rimestateli spesso e passatene il sugo.

Versate un velo d’olio in un tegame o in una teglia, distendeteci sopra le triglie, conditele con sale e pepe e quando l’olio comincia a grillettare, copritele col detto sugo e cuocetele. Se le triglie sono piccole non hanno bisogno d’esser voltate e se il vaso dove hanno bollito non è troppo decente prendetele su a una a una per non romperle e collocatele in un vassoio.

Popo prima di levarle dal fuoco fioritele leggermente di prezzemolo tritato.

La pesca di questo pesce è più facile e più produttiva di giorno che di notte e la sua stagione, quando cioè è più grasso, è, come si disse, il settembre e l’ottobre.


355. - Tonno fresco coi piselli

Il tonno, pesco della famiglia degli sgombri, è proprio del bacino mediterraneo. In certe stagioni abita le parti più profonde del mare, in altre invece si accosta alle spiaggie, ove ha luogo la pesca che riesce abbondantissima. La sua carne, per l’oleosità che [p. 262 modifica]contiene, rammenta quella del maiale, e perciò non è di facile digestione. Si vuole che si trovino dei tonni il cui peso raggiunga fino i 500 chilogrammi. La parte più tenera e delicata di questo pesce è la pancia, che in Toscana chiamasi sorra.

Tagliatelo a fette grosse mezzo dito e mettetelo al fuoco, sopra a un abbondante soffritto d’aglio, prezzemolo e olio, quando l’aglio comincia a prender colore. Conditelo con sale e pepe, voltato le fette dalle due parti e, a mezza cottura, aggiungete sugo di pomodoro o conserva sciolta nell’acqua. Cotto che sia levatelo asciutto e nel suo sugo cuocete i piselli, poi rimettetelo sopra i medesimi per riscaldarlo, e mandatelo in tavola con questo contorno.


356. - Tonno in gratella

Tagliatelo a fette come il precedente, ma preferite la sorra, conditelo con olio, sale e pepe; involgetelo nel pangrattato e cuocetelo, servendolo con spicchi di limone.


357. - Arigusta

L’aragosta o arigusta è un crostaceo dei più fini e delicati, comune sulle coste del Mediterraneo. È indizio della freschezza e della buona qualità delle ariguste, degli astaci e de’ crostacei in genere, il loro peso in proporzione della grossezza; ma sempre è da preferirsi che sieno vivi ancora, o almeno che dieno qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa ripiegare la coda dell’arigusta alla parte sottostante e legarla avanti di gettarla nell’acqua bollente per cuocerla. [p. 263 modifica]A seconda della sua grossezza fatela bollire dai 30 ai 40 minuti; ma prima aromatizzate l’acqua in cui deve bollire con un mazzetto composto di cipolla, carota, prezzemolo e due foglie d’alloro, aggiungendo a questo due cucchiai di aceto e un pizzico di sale. Lasciatela diacciare nel suo brodo e quando la levate, sgrondatela dall’acqua strizzandole la coda e dopo averla asciugata strofinatela con qualche goccia d’olio per renderla lucida.

Mandatela in tavola con una incisione dal capo alla coda per poterne estrarre facilmente la polpa e se non si volesse mangiare condita semplicemente con olio e agro di limone accompagnatela con la salsa maionese, o con altra salsa piccante; ma potete servirla pur anche con una salsa fatta con lo stesso pesce nel seguente modo:

Levate la polpa della testa e questa tritatela ben fine con un rosso d’uovo assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il composto in una salsiera, conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con olio fine e l’agro di mezzo limone, o aceto.


358. - Storione

Mi permetta il lettore di fare un po’ di storia su questo pesce interessantissimo.

Lo storione appartiene all’ordine dei Ganoidi da Ganus che vuol dire lucente, per la lucentezza delle squame, e al sottordine dei Chondrostei per avere lo scheletro cartilagineo. Costituisce la famiglia degli Acipenser che si qualifica appunto per questi due distintivi e per la pelle a cinque serie longitudinali di placche a smalto. È un pesce che ha la bocca posta alla faccia inferiore del capo, priva di denti e in forma di succhiatoio protrattile, con cirri nasali ossia [p. 264 modifica]tentacoli, per cercare il nutrimento sotto le acque, nel fango, che pare consista di piccoli animalucci.

Sono animali molto in pregio per le loro carni, per le uova che costituiscono il caviale e per l’enorme vescica natatoria con cui si forma l’ittiocolla o colla di pesce. In primavera rimontano i fiumi per deporre le uova in luoghi tranquilli lungo le sponde.

L’Italia ne alberga diverse specie la più stimata delle quali, come cibo, è Acipenser sturio (Storione comune) e lo si riconosce pel muso acuto, pel labbro inferiore carnoso e nel mezzo diviso, non che pei cirri nasali semplici e tutti eguali tra loro. Frequenta a preferenza le foci del Ticino e del Po ove nel luglio decorso ne fu pescato uno che pesava Kg. 215; ma la specie che prende maggior sviluppo è l'Acipenser huso il quale raggiunge fino a due metri e più di lunghezza, con ovaia grandi un terzo dell’animale ed è questa particolarmente che somministra il caviale e l’ittiocolla. Il primo è formato dalle uova crude degli storioni, passate per setaccio onde levarne i filamenti che le inviluppano, indi salate e fortemente compresse; la seconda preparasi sulle spiagge del mar Caspio o sulle coste dei fiumi che vi sboccano, ma più che altrove ad Astrachan. Non farà maraviglia la quantità straordinaria che se ne trova in commercio (servendo l’ittiocolla a molti usi) se si considera che talvolta nel Volga si pescano da quindici a ventimila storioni al giorno e di là, cioè dalle provincie meridionali della Russia, ci viene anche il caviale.

Fu annunziato che dei pescatori del Danubio presero, non ha guari, uno storione del peso di otto quintali e che la spoglia di questo enorme pesce, lungo metri 3,30 figura nel museo di Vienna.

Fra le specie estinte si annovera il Megadictis, che

raggiungeva la lunghezza di 10 a 12 metri. [p. 265 modifica]

359. - Storione in fricandò

La storione è buono in tutte le maniere: a lesso, in umido, in gratella. Quanto all’umido, potete trattarlo nel seguente modo: prendetene un pezzo grosso del peso almeno di grammi 500, spellatelo e steccatelo con lardelli di lardone conditi avanti con sale e pepe; poi legatelo in croce, infarinatelo, mettetelo al fuoco con olio e burro e conditelo ancora con sale e pepe. Quando sarà rosolato da tutte le parti bagnatelo con brodo per tirarlo a cottura e prima di levarlo strizzategli sopra un limone per mandarlo in tavola col suo sugo.


360. - Acciughe alla marinara

Questo piccolo pesce dalla pelle turchiniccia e quasi argentata, conosciuto sulle spiagge dell’Adriatico col nome di sardone, differisce dalla sarda o sardella in quanto che questa è stiacciata mentre l’acciuga è rotonda e di sapor più gentile. Ambedue le specie appartengono alla stessa famiglia, e quando son fresche, ordinariamente si mangiano fritte. Le acciughe però sono più appetitose in umido con un battutino d’aglio, prezzemolo, sale, pepe e olio; quando sono quasi cotte si aggiunge un po’ d’acqua mista ad aceto.

Già saprete che i pesci turchini sono i meno digeribili fra le specie vertebrate.


361. - Acciughe fritte

Se volete dare più bell’aspetto alle acciughe e alle sardine fritte, dopo aver levata loro la testa e averle infarinate, prendetele a una a una per la coda, [p. 266 modifica]immergetele nell’uovo sbattuto e ben salato poi di nuovo nella farina, e buttatele in padella nell’olio a bollore. Meglio ancora se, essendo grosse, le aprite per la schiena incidendole con un coltello di taglio fine e levate loro la spina, lasciandole unite per la coda.


362. - Totani in gratella

I totani (Loligo) appartengono all’ordine de’ cefalopodi e sono conosciuti nel littorale adriatico col nome di calamaretti. Siccome quel mare li produce piccoli, ma polputi e saporiti, cucinandoli fritti, sono giudicati dai buongustai un piatto eccellente. Il Mediterraneo, messe a confronto le stesse specie, dà pesce più grosso, ed ho visto de’ totani dell’apparente peso di grammi 200 a 300; ma non sono così buoni. Questi, anche tagliati a pezzi, riuscirebbero duri in frittura, quindi meglio è cuocerli in gratella ripieni. È un pesce che racchiude nell’interno una lamina allungata e flessibile, la penna, ch’altro non è se non un rudimento di conchiglia che va levato prima di riempirlo.

Tagliate al totano i tentacoli, che sono le sue braccia, lasciandogli il sacco e la testa e tritateli colla lunetta insieme con prezzemolo e pochissimo aglio. Mescolate questo battutino con molto pangrattato, conditelo con olio, pepe e sale, servendovi di tal composto per riempire il sacco del pesce, e per chiudere la bocca del detto sacco infilzatela con uno stecchino che poi leverete. Conditelo con olio, pepe e sale e cuocetelo, come si è detto, in gratella.

Tornando ai calamaretti, che è un pesce alquanto indigesto; ma ottimo in tutte le stagioni dell’anno, dopo aver loro levata la penna e strizzati gli occhi, lavateli, asciugateli, infarinateli e friggeteli nell’olio; [p. 267 modifica]ma avvertite non vi passino di cottura la qual cosa è facile se non si sta molto attenti. Stremenziscono allora e si rendono ancora più indigesti. Conditeli caldi con sale e pepe.


363. - Cicale ripiene

Non crediate che voglia parlarvi delle cicale che cantano su per gli alberi; intendo dire invece di quel crostaceo, squilla (Squilla mantis), tanto comune nell’Adriatico e colà cognito col nome di cannocchia.

È un crostaceo sempre gustoso a mangiarsi; ma migliore assai quando in certi mesi dell’anno, dalla metà di febbraio all’aprile, è più polputo del solito, e racchiude allora un cannello rosso lungo il dorso, detto volgarmente cera o corallo, il quale non è altro che il ricettacolo delle uova di quel pesce. È buono lesso, entra con vantaggio, tagliato a pezzi, nella composizione di un buon cacciucco ed eccellente è in gratella, condito con olio, pepe e sale; se lo aggradite anche più appetitoso, dopo avergli tagliate colle forbici le molte pinne ventrali e le zampe, sparatelo lungo la schiena, riempitelo con un battutino di pangrattato, prezzemolo e odore d’aglio e condite tanto il ripieno che il pesce con olio, pepe e sale.


364. - Cicale fritte

Alla loro stagione, cioò quando hanno la cera, com’è detto al numero precedente, si possono friggere nel seguente modo e ne merita il conto.

Dopo averle lavate, lessatele in poca acqua, coperte da un pannolino con un peso sopra; 15 minuti di [p. 268 modifica]bollitura ritengo sieno sufficienti. Sbucciatele dopo cotte e, messa a nudo la polpa, tagliatela in due pezzi, infarinatela, doratela nell’uovo frullato e salato, e friggetela nell’olio.


365. - Anguilla

L’Anguilla vulgaris è un pesce alquanto singolare. Per quanto lo si sia studiato non si è riesciti ancora a distinguerne il sesso, forse perchè la borsa spermatica del maschio è simile all’ovario della femmina. L’anguilla comune abita le acque dolci; ma per generare ha bisogno di scendere in mare. Questa discesa, che chiamasi la calata, ha luogo nelle notti oscure e principalmente nelle burrascose dei mesi di ottobre, novembre e dicembre, e n’è allora più facile od abbondante la pesca.

Le anguille neonate, appena grandi poco più di uno spillo, lasciano il mare ed entrano nelle paludi o nei fiumi verso la fine di gennaio e in febbraio, e in questo ingresso, che dicesi la montata, vengono pescate alla foce de’ fiumi in gran quantità col nome di cieche e la piscicoltura se ne giova per ripopolare con esse gli stagni ed i laghi, nei quali, non avendo comunicazione colle acque salse del mare, non si potrebbero riprodurre. L’anguilla, per la conformazione speciale delle sue branchie, a semplice fessura, per la sua forma cilindrica e per le squamme assai minute e delicate può vivere molto tempo fuori dell’acqua; ma ogni qual volta si sono incontrate a strisciar sulla terra, il che avviene specialmente di notte, si sono viste proceder sempre nella direzione di un corso d’acqua per tramutarsi forse da un luogo all’altro, o per cercare, nei prati circostanti alla sua dimora, il cibo che consta di piccoli animali. [p. 269 modifica]Sono celebri le anguille delle valli di Comacchio, paese della bassa Romagna, il quale si può dire che viva della pesca di questo pesce che, fresco o marinato, si spaccia non soltanto in Italia, ma si spedisce anche fuori. È talmente produttivo quel luogo che in una sola notte buia e burrascosa del decorso ottobre furono pescati chilogrammi 150,000 di anguille.

In alcuni luoghi d’Italia chiamansi capitoni quando son grosse, e bisatti quando sono piccole ed abitano tutti i fiumi di Europa meno quelli che si versano nel Mar Nero, non eccettuato il Danubio e suoi affluenti.

La sola differenza di forma che passa tra l’anguilla d’acqua dolce e di mare, conosciuta col nome di conger o congro, sta in ciò, che la prima ha la mascella superiore più breve dell’inferiore e l’individuo prende meno sviluppo, imperocchè trovansi dei conger fino di tre metri di lunghezza. Forse, da questo grosso pesce serpentiniforme, è derivata la favola del serpente di mare, sostenuta un tempo anche da persone degne di fede che ne esageravano la grandezza, probabilmente per effetto di un’allucinazione.


366. - Anguille alla fiorentina

Prendete anguille di mezzana grandezza, sbuzzatele e spellatele praticando una incisione circolare sotto alla testa, che terrete ferma con un canovaccio onde non isgusci per l’abbondante mucosità di questo pesce, e tirate giù la pelle che verrà via tutta intera. Allora tagliatele a pezzi lunghi un dito o poco meno; poi conditeli con olio, sale e pepe, lasciandoli stare per un’ora o due.

Per cuocerle servitevi di una teglia o di un tegame di ferro, copritene il fondo con un velo d’olio, due [p. 270 modifica]spicchi d’aglio interi e foglie di salvia; fate soffriggere per un poco e, presi i pezzi dell’anguilla uno alla volta, involgeteli nel pangrattato e disponeteli nel tegame uno accosto all’altro versando lor sopra il resto del condimento. Cuoceteli fra due fuochi e quando avranno preso colore, versate nel tegame un gocciolo d’acqua.

La carne di questo pesce, assai delicato e gustoso, riesce alquanto indigesta per la sua soverchia oleosità.


367. - Anguilla in umido

Meglio è che per questo piatto le anguille sieno grosse anzi che no e, senza spellarle, tagliatele a pezzetti corti.

Tritate un battuto piuttosto generoso di cipolla e prezzemolo, mettetelo al fuoco con olio, pepe e sale e quando la cipolla avrà preso colore gettateci l’anguilla. Aspettate che abbia succhiato il sapore del soffritto per tirarla a cottura con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell’acqua.

Procurate che vi rimanga dell’intinto in abbondanza se volete servirla in tavola sopra a crostini di pane arrostito.

Sentirete un manicaretto delicato, ma non confacente a tutti gli stomachi.


367bis. - Anguilla coi piselli

Mettetela in umido come quella precedente e quando è cotta levatela asciutta per cuocere i piselli nel suo intinto. Rimettetela poi fra i medesimi per riscaldarla e servitela. Qui non ha luogo sugo di pomodori, ma

acqua se occorre. [p. 271 modifica]

368. - Telline o arselle in salsa d’uovo

Le arselle non racchiudono sabbia come le telline e però a quelle basta una buona lavatura nell’acqua fresca. Tanto le une che le altre mettetele al fuoco con un soffritto d’aglio, olio, prezzemolo e una presa di pepe, scuotetele e tenete coperto il vaso onde non si prosciughino. Levatele quando saranno aperte ed aggraziatele con la seguente salsa: uno o più rossi d’uovo, secondo la quantità, agro di limone, un cucchiaino di farina, brodo e un po’ di quel sugo uscito dalle telline. Cuocetela ad uso crema e versatela sulle medesime quando le mandate in tavola.


369. - Arselle o telline alla livornese

Fate un battutino di cipolla e mettetelo al fuoco con olio e una presa di pepe. Quando la cipolla avrà preso colore unite un pizzico di prezzemolo tritato non tanto fine e dopo poco gettateci le arselle o le telline con sugo di pomodoro o conserva. Scuotetele spesso e quando saranno aperte, versatele sopra a fette di pane arrostito, preparato avanti sopra un vassoio.

Le arselle cucinate in questa maniera sono buone; ma, a gusto mio, sono inferiori a quelle del numero precedente.


370. - Seppie coi piselli

Fate un battuto piuttosto generoso con cipolla, uno spicchio d’aglio e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe, e quando avrà preso colore [p. 272 modifica]passatelo da un colino strizzando bene. In questo soffritto gettate le seppie tagliate a filetti, ma prima nettatele com’è indicato al N. 55, bagnatele con acqua, se occorre, e quando saranno quasi cotte versate i piselli grondanti dell’acqua fresca in cui li avrete tenuti in molle.


371. - Tinche alla sautè

Questo pesce (Tinca vulgaris) della famiglia dei ciprinoidi, ossia dei carpi, benchè si trovi anche ne’ laghi e ne’ fiumi profondi, abita di preferenza, come ognun sa, le acque stagnanti dei paduli; ma ciò che ignorasi forse da molti si è che esso, nonchè il carpio, offrono un esempio della ruminazione fra i pesci. Il cibo arrivato nel ventricolo è rimandato nella faringe con movimenti antiperistaltici e dai denti faringei, speciali a quest’uso, ulteriormente sminuzzato e triturato.

Prendete tinche grosse (nel mercato di Firenze vendonsi vive e sono, nella loro inferiorità fra i pesci, delle migliori), tagliate loro le pinne, la testa e la coda; apritele per la schiena, levatene la spina e le lische e dividetele in due parti per lo lungo. Infarinatele, poi tuffatele nell’uovo frullato, che avrete prima condito con sale e pepe; involgetele nel pangrattato, ripetendo per due volte quest’ultima operazione.

Cuocetele nella sautè col burro e servitele in tavola con spicchi di limone e con un contorno di funghi

fritti, alla loro stagione. [p. 273 modifica]

372. - Pasticcio di magro

Mancherei a un dovere di riconoscenza se non dichiarassi che parecchie ricette del presente volume le devo alla cortesia di alcune signore e specialmente della signora Rosina Mosquera che mi favorì anche questa la quale, benchè in apparenza accenni ad un vero e proprio pasticcio, alla prova è riuscita degna di figurare, in un pranzo qualunque, se eseguita a dovere.

Vorrei che, per la domestica felicità, molte più fossero le donne somiglianti alla detta signora la quale, oltre al tener bene ordinata e sempre pulita come uno specchio la casa sua, sa da buona massaia dirigere con abilità la cucina.

Un pesce del peso di grammi 300 a 350.
Riso, grammi 200.
Funghi freschi, grammi 150.
Piselli verdi, grammi 300.
Pinoli tostati, grammi 50.
Burro, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Carciofi, N. 6.
Uova, N. 2.

Cuocete il riso con grammi 40 di burro e un quarto di cipolla tritata, salatelo, e quando è cotto legatelo con le dette uova e grammi 30 di parmigiano.

Fate un soffritto con cipolla, burro, sedano, carota e prezzemolo e in esso cuocete i funghi tagliati a fette, i piselli, e i carciofi tagliati a spicchi e mezzo lessati. Tirate queste cose a cottura con qualche cucchiaiata d’acqua calda e conditele con sale, pepe e grammi 50 di parmigiano grattato quando le avrete ritirate dal fuoco. [p. 274 modifica]Cuocete il pesce, che può essere un muggine, un ragno o anche pesce da taglio, in un soffritto d’olio, aglio, prezzemolo, sugo di pomodoro o conserva, e conditelo con sale e pepe. Levate il pesce, passate il suo intinto e in questo sciogliete i pinoli che prima avrete abbrustoliti e pestati. Togliete al pesce la testa, la spina e le lische, tagliatelo a pezzetti, rimettetelo nel suo intinto e uniteci ogni cosa meno che il riso.

Ora che gli elementi del pasticcio sono tutti pronti, fate la pasta per rinchiudervelo, di cui eccovi le dosi:

Farina, grammi 400.
Burro, grammi 80.
Uova, N. 2.
Vino bianco o marsala, due cucchiai.
Sale un pizzico.

Prendete uno stampo qualunque, ungetelo col burro e foderatelo colla detta pasta tirata a sfoglia; poi riempitelo versandovi prima la metà del riso, indi tutto il ripieno e sopra al ripieno il resto del riso, ricoprendolo alla bocca colla stessa pasta. Cuocetelo al forno, sformatelo e servitelo tiepido o freddo.

Eseguito nelle dosi indicate basterà per 12 persone.


373. - Ranocchi in umido

Il modo più semplice è di farli con un soffritto di olio, aglio e prezzemolo, sale e pepe, e quando sono cotti, agro di limone. Alcuni, invece del limone, usano il sugo di pomodoro, ma il primo è da preferirsi.


374. - Ranocchi alla fiorentina

Togliete i ranocchi dall’acqua fresca dove li avrete posti dopo averli tenuti per un momento appena nell’acqua calda se sono stati uccisi d’allora. Asciugateli [p. 275 modifica]bene fra le pieghe di un canovaccio e infarinateli. Ponete una teglia al fuoco con olio buono e quando questo comincia a grillettare buttate giù i ranocchi; conditeli con sale e pepe rimuovendoli spesso perchè si attaccano facilmente. Quando saranno rosolati da ambedue le parti, versate sui medesimi delle uova frullate, condite anch’esse con sale e pepe e sugo di limone piacendovi; senza toccarle, lasciatele assodare a guisa di frittata e in questo modo mandate la teglia in tavola.

Ai ranocchi è bene levare sempre la vescichetta del fiele.


375. - Aringa ingentilita

Signori bevitori, a questa aringa (Clupea harengus) posate la forchetta; non è fatta per voi che avete il gusto grossolano.

Ordinariamente si ricerca l’aringa femmina come più appariscente per la copiosa quantità delle uova; ma è da preferirsi il maschio che, co’ suoi spermatofori lattiginosi, ossia borsa spermatica, è più delicato. Maschio o femmina che sia, aprite l’aringa dalla parte della schiena, gettatene via la testa e spianatela; poi mettetela in infusione nel latte caldo e lasciatevela dalle otto alle dieci ore. Sarebbe bene che in questo spazio di tempo si cambiasse il latte una volta.

Dopo averla asciugata con un canovaccio, cuocetela in gratella come l’aringa comune e conditela con olio e pochissimo aceto o, se più vi piace, con olio e agro di limone.

C’è anche quest’altra maniera per togliere all’aringa il sapore troppo salato. Mettetela al fuoco con acqua diaccia, fatela bollire per tre minuti, poi ponetela per un momento nell’acqua fresca; asciugatela, gettatene [p. 276 modifica]via la testa, apritela dalla parte della schiena e conditela come la precedente.

La Clupea harengus è il genere tipico dell’importantissima famiglia dei Clupeini, la quale comprende, oltre alle aringhe, le salacche, i salacchini, le acciughe, le sarde e l'Alosa vulgaris, o Clupea comune, chiamata cheppia in Toscana. Questa, in primavera, rimontando i fiumi per deporre le uova, viene pescata anche nel lung’Arno a Firenze.

Le aringhe vivono in numero sterminato nelle profondità dei mari dell’estrema Europa e si fanno vedere alla superficie solo al tempo della riproduzione, cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo deposte le uova scompariscono nelle profondità della loro abituale dimora. Si vede il mare talora per diverse miglia di seguito luccicante e l’acqua divenir torbida per la fregola e per le squame che si distaccano. In Inghilterra arrivano dal luglio al settembre e la pesca, che si fa con reti circolari, n’è sì abbondante sulle spiagge di Jarmuth che talvolta se ne sono preparate fino a 500 mila barili.


376. - Baccalà alla fiorentina

11 baccalà appartiene alla famiglia delle Gadidee il cui tipo è il merluzzo. Le specie più comuni de’ nostri mari sono il Gadus minutus e il Merlucius esculentus, ossia nasello, pesce alquanto insipido, ma la leggerezza delle sue carni rendendolo di facile digestione è indicato ai convalescenti, specialmente se lesso e condito con olio e agro di limone.

Il genere Gadus morrhua è il merluzzo delle regioni artiche ed antartiche il quale, dalla diversa maniera di acconciarlo, prende il nome di baccalà o stoccafisso [p. 277 modifica]e, come ognun sa, è dal fegato di questo pesce che si estrae l’olio usato in medicina. La pesca del medesimo si fa all’amo e un solo uomo ne prende in un giorno fino a 500, ed è forse il più fecondo tra i pesci, essendosi in un solo individuo contate nove milioni di uova.

In commercio si conoscono più comunemente due qualità di baccalari, Gaspy e Labrador. La prima proveniente dalla Gaspesia, ossia dai Banchi di Terra Nuova (ove si pescano ogni anno più di 100 milioni di chilogrammi di merluzzi), è secca, tigliosa e regge molto alla macerazione; la seconda, che si pesca sulle coste del Labrador, forse a motivo di un pascolo più copioso, essendo grassa e tenera, rammollisce con facilità ed è assai migliore al gusto.

Il baccalà di Firenze gode buona riputazione e si può dir meritata perchè si sa macerar bene, nettandolo spesso con un granatino di scopa, e perchè essendo Labrador di prima qualità, quello che preferibilmente vi si consuma, grasso di sua natura, è anche tenero, tenuto conto della fibra tigliosa di questo pesce non confacente agli stomachi deboli; per ciò io non l’ho potuto mai digerire. Questo salume supplisce su quel mercato, ne’ giorni magri, con molto vantaggio, il pesce, che è insufficiente al consumo, caro di prezzo e spesso non fresco.

Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con parecchio olio e due o tre spicchi d’aglio interi, ma un po’ stiacciati. Quando questi cominciano a prender colore buttate giù il baccalà e fatelo rosolare da ambedue le parti, rimuovendolo spesso perchè non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben poco previo l’assaggio, ma una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo versategli sopra [p. 278 modifica]qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro N. 5 o conserva diluita nell’acqua; fatelo bollire ancora un poco e servitelo.


377. - Baccalà alla bolognese

Tagliatelo a pezzi grossi come il precedente e così nudo e crudo mettetelo in un tegame o in una teglia unta coll’olio. Fioritelo di sopra con un battutino di aglio e prezzemolo e conditelo con qualche presa di pepe, olio e pezzetti di burro. Fatelo cuocere a fuoco ardente e voltatelo adagio perchè, non essendo stato infarinato, facilmente si rompe. Quando è cotto, strizzategli sopra del limone e mandatelo al suo destino.


378. - Baccalà dolce-forte

Cuocetelo come il baccalà alla fiorentina N. 376, meno l’aglio, e quando sarà rosolato da ambedue le parti, versate sul medesimo il dolce-forte, fatelo bollire ancora un poco e servitelo caldo.

Il dolce-forte o l’agro-dolce, se così vi piace chiamarlo, preparatelo avanti in un bicchiere, e se il baccalà fosse gr. 500 all’incirca, basteranno un dito d’aceto forte, due dita d’acqua, zucchero a sufficienza, pinoli e uva passolina in proporzione. Prima di versarlo sul baccalà non è male il farlo alquanto bollire a parte. Se vi vien bene sentirete che nel suo genere sarà gradito.


379. - Baccalà in gratella

Onde riesca meno risecchito si può cuocere a fuoco lento sopra un foglio di carta bianca, consistente, unta avanti. Conditelo con olio, pepe e qualche ciocchettina di ramerino, se vi piace. [p. 279 modifica]

380. - Baccalà fritto

La padella è l’arnese che in cucina si presta a molte belle cose; ma il baccalà a me pare vi trovi la fine più deplorevole perchè, dovendo prima esser lessato e involtato in una pastella, non vi è condimento che basti a dargli conveniente sapore, e però alcuni, non sapendo forse come meglio trattarlo, lo intrugliano nella maniera che sto per dire. Per lessarlo mettetelo al fuoco in acqua diaccia e appena abbia alzato il primo bollore levatelo chè già è cotto. Senz’altra manipolazione si può mangiar così condito con olio e aceto; ma veniamo ora all’intruglio che vi ho menzionato, padronissimi poi di provarlo o di mandare al diavolo la ricetta e chi l’ha scritta. Dopo lessato mettete in infusione il pezzo del baccalà tutto intero nel vino rosso e tenetecelo per qualche ora: poi asciugatelo in un canovaccio e tagliatelo a pezzetti nettandoli dalle spine e dalle lische. Infarinatelo leggermente e gettatelo in una pastella semplice di acqua, farina e un gocciolo d’olio senza salarla. Friggetelo nell’olio e spolverizzatelo di zucchero quando avrà perduto il primo bollore. Mangiato caldo, l’odor del vino si avverte appena; non pertanto, se lo trovate un piatto ordinario e villano, la colpa sarà vostra che l’avete voluto provare.


381. - Cotolette di baccalà

Si tratta sempre di baccalà, quindi non vi aspettate gran belle cose; però, preparato in questa maniera, sarà meno scellerato del precedente; non foss’altro vi lusingherà la vista col suo aspetto di giallo-dorato a somiglianza delle cotolette di vitella di latte. [p. 280 modifica]

Cuocetelo lesso come l’antecedente e, se la quantità fosse di grammi 500, dategli per compagnia due acciughe e un pizzico di prezzemolo, tritando fine fine ogni cosa insieme colla lunetta. Poi aggiungerete qualche presa di pepe, un pugno di parmigiano grattato, tre o quattro cucchiaiate di pappa, composta di midolla di pane, acqua e burro, per renderlo più tenero, e due uova. Formato così il composto, prendetelo su a cucchiaiate, buttatelo nel pangrattato, stiacciatelo colle mani per dargli la forma di cotolette che intingerete nell’uovo sbattuto, e poi un’altra volta avvolgerete nel pangrattato. Friggetele nell’olio e mandatele in tavola con spicchi di limone, o salsa di pomodori.

Basterà la metà di questa dose per nove o dieci cotolette.


382. - Cieche alla pisana

Vedi Anguille alla fiorentina, N. 360.

Lavatele diverse volte e quando non faranno più la schiuma, versatele sullo staccio per scolarle.

Ponete al fuoco olio, uno spicchio o due d’aglio interi e alcune foglie di salvia. Quando l’aglio sarà colorito, versate le cieche e, se sono ancor vive, copritele con un testo onde non saltino via. Conditele con sale e pepe, rimuovetele spesso col mestolo e bagnatele con un poco d’acqua se prosciugassero troppo. Cotte che sieno, legatele con uova frullate a parte, mescolate con parmigiano e limone.


383. - Cieche fritte

Cuocetele in umido con olio, aglio intero e salvia, come quelle descritte al numero precedente, poi, [p. 281 modifica]levato l’aglio, tritatele minute. Frullate delle uova in proporzione, salatele, aggiungete parmigiano, un poco di pangrattato e mescolateci dentro le cieche per friggerle a cucchiaiate e farne frittelle che servirete con limone a spicchi, e pochi, mangiandole, si accorgeranno che sia un piatto di pesce.


384. - Tinche in zimino

La tinca disse al luccio: Val più la mia testa che il tuo buccio. — Buccio per busto, licenza poetica, per far la rima. — Poi c’è il proverbio: Tinca di maggio e luccio di settembre.

Fate un battuto con tutti gli odori, e cioè: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano e carota; mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore, versate le teste delle tinche a pezzettini e conditele con sale e pepe. Fatele cuocer bene, bagnandole con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell’acqua, poi passate il sugo e mettetelo da parte. Nettate le tinche, tagliate loro le pinne e la coda e così intere, ponetele al fuoco con olio quando comincia a soffriggere. Conditele con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo versato a poco per volta. Potrete mangiarle così che sono eccellenti; ma per dare al zimino il suo vero carattere ci vuole un contorno d’erbaggi, bietola o spinaci, a cui dopo lessati, farete prender sapore nell’intinto di questo umido. I piselli pure vi stanno bene.

Anche il baccalà in zimino va cucinato in questa maniera.


385. - Palombo fritto

Tagliate il palombo in rotelle non tanto grosse e lasciatele in infusione nell’uovo alquanto salato per [p. 282 modifica] qualche ora. Mezz’ora avanti di friggerle involtatele in un miscuglio formato di pangrattato, parmigiano, aglio e prezzemolo tritati, sale e pepe. Un piccolo spicchio d’aglio basterà per grammi 500 di pesce. Contornatelo con spicchi di limone.