Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo VII

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Volume II - Capitolo VII

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
Volume II - Capitolo VII
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CAPITOLO VII.


Per sette mattine e sette sere consecutive Immalia percorse le rive della sua isola solitaria senza rivedere lo straniero. Ella per consolarsi andava sempre ripensando all’asseveranza con cui aveale promesso, che lo rivedrebbe nel mondo delle sofferenze, e non cessava di ripetere a sè medesima le ultime parole uscite dalla bocca di lui nell’abbandonarla: ci rivedremo. In questo intervallo, ella si sforzava di [p. 149 modifica]formare la sua propria educazione pel mondo in cui doveva entrare, e niente poteva essere più ammirevole ed interessante, quanto il vedere i tentativi che ella faceva per trarre dal regno vegetale o animale una qualche analogia, che potesse darle un’idea dell’incomprensibile destino degli uomini. Ora ella guardava un fiore e diceva fra se stessa: Questo fiore sì brillante oggi, sarà appassito dimani; ma esso non sente dolore; muore pazientemente, e quelli che lo avvicinano non sentono alcun dispiacere nel perdere il loro compagno: se fosse così i loro colori non sarebbero già così risplendenti. Ma potrà esser così nel mondo, che pensa? Potrei io veder lui appassire e morire insieme con esso? Oh no! Quando cotesto fiore appassirà, cercherò, a guisa della rugiada, di rianimarlo col mio pianto.

Ella si studiò in seguito di allargare la sfera delle sue idee facendo delle osservazioni sul regno animale. Una giovine lossia era caduta morta dal suo nido sospeso. Immalia [p. 150 modifica]guardando per mezzo dell’apertura, che questi augelli pieni d’intendimento fanno alla estremità inferiore del loro nido per difenderli dagli augelli di preda, vide le vecchie lossie con delle lanternarie nel becco intanto che la giovane giaceva morta avanti ai loro occhi. A questa vista Immalia pianse amaramente dicendo: Ah! voi non potete piangere! Qual bel vantaggio ho io sopra di voi! Voi mangiate non ostante che il figlio vostro sia morto! (Noi non abbiamo bisogno di osservare, che lo straniero nella sua conversazione con Immalia le aveva somministrata alcuna idea dei legami di parentela.) Potrei io continuare a bere il latte che si estrae dalla noce del cocco, se egli non fosse più in istato di gustarne? Comincio ora a comprendere, che egli mi disse.... Pensare dunque è soffrire!.... Ed il mondo dei pensieri deve essere ancora il mondo delle sofferenze! ma quanto deliziose sono codeste lagrime!... un tempo io piangeva di piacere; ah! veggo ora, che vi ha una pena più [p. 151 modifica]piacevole ancora dello stesso piacere, e questa pena io non l’aveva mai sperimentata prima di averlo veduto. Oh! chi potrebbe, rinunziando al pensiero, rinunziare al piacere di piangere?

Frattanto però Immalia non passava unicamente immersa nelle riflessioni l’intervallo che lo straniero frappose alle sue visite; ma incominciò ad essere agitata da una inquietudine di una nuova specie; e nei momenti che le lasciavano liberi le sue meditazioni, le sue lagrime, andava con avidità rintracciando le più belle conchiglie per adornarsene le braccia ed i capelli. Ella cambiava ogni giorno il suo vestimento di foglie e di fiori, ed al termine di un’ora non le sembravano più freschi e vivaci abbastanza. Quindi ella riempieva una larga conchiglia dell’acqua la più limpida, e posava le frutta più deliziose e squisite, che aveva cura di frammischiare con delle rose, sopra una pietra della pagode rovinata. Ma il tempo trascorreva senza che lo straniero venisse a vederla. [p. 152 modifica]L’indomani rivedendo il banchetto, che ella aveva nell’antecedente giorno preparato, piangeva sulle frutta, che avevano perduta la loro freschezza; ma quindi cercava incontanente di rasciugarsi le pupille ed imbandire un nuovo convito.

Tali erano state le sue occupazioni di sette giorni consecutivi, quando la mattina dell’ottavo vide tutto ad un tratto comparirsi davanti lo straniero. L’allegrezza ingenua ed innocente con la quale essa corse ad incontrarlo, eccitò per un momento nel cuore di lui un sentimento di rimorso, del quale Immalia si accorse al rallentare del passo di lui, non meno che al rivolger degli occhi altrove. Ella si arrestò piena di un’amabile timidezza, come sembrando volergli dimandar perdono di una involontaria offesa, e sollecitando il permesso di avvicinarglisi, per mezzo dell’atteggiamento stesso, che aveva preso per astenersene. Dagli occhi se le vedevano già le lagrime prossime a cadere, se egli avesse fatto un semplice moto per [p. 153 modifica]respingerla. Cotesta vista restituì il coraggio allo straniero, e pensò fra lui medesimo: Bisogna che ella apprenda a soffrire per rendersi degna di essere mia allieva.

Voi piangete, Immalia? le disse avvicinandosele. — Oh! sì, rispose ella sorridendo quantunque avesse gli occhi bagnati di lagrime, come una bella mattina di primavera. Voi dovete insegnarmi a soffrire, ed io sarò tantosto preparata ad entrare nel vostro mondo; ma voglio piuttosto pianger per voi, che sorridere alle rose. — Immalia, la interruppe lo straniero soffocando i sentimenti di tenerezza, dai quali si sentiva suo malgrado commuovere. Immalia, sono venuto per mostrarvi qualche cosa del mondo de’ pensieri, che tanto ardentemente bramate di abitare, e dove non tarderete di fatti a fissare la vostra dimora. Salite sopra quella collina, ove vedete un boschetto di palme. — Ma io vorrei vederlo tutto in una volta, disse Immalia con l’avidità propria di una intelligenza ardente, che crede di poter tutte le [p. 154 modifica]cose ad un tempo abbracciare. — Tutto intiero ad un tratto! riprese sorridendo lo straniero. Io immagino, che la porzione che ne vedrete oggi sarà piucchè sufficiente a soddisfare la vostra curiosità di qualunque genere questa esser possa.

Dicendo queste parole trasse fuori un tubo di sotto le sue vesti e le disse applicarvi l’occhio. La giovane Indiana obbedì, dopo un istante esclamò con somma vivacità: Sono io là, o sono essi qui? e si lasciò cadere in terra in un’estasi inconcepibile; ma quasi all’istante medesimo si rialzò, e prendendo di nuovo il telescopio volle da se sola servirsene, e se lo avvicinò all’occhio per la parte contraria. Non scorgendo più nulla disse con tristezza: tutto è scomparso! Questo mondo sì bello non ha vissuto che un brevissimo istante! Tutto ciò che io amo pure così. Le più gradite fra le mie cose non vivono tanto quanto quelle di cui faccio poco conto. Voi siete stato assente per sette giorni, e questo mondo magnifico non ha vissuto, che un momento! [p. 155 modifica]

Lo straniero diresse un’altra volta il telescopio verso la spiaggia delle Indie, d’onde non erano essi molto distanti, ed Immalia fuori di sè dallo stupore esclamò di nuovo Ah! tutto torna a rivivere e più bello di prima? Veggo dappertutto delle creature viventi e pensanti. Ma che sono quelle roccie magnifiche, che veggo e che non rassomigliano punto alle rupi della mia isola? I loro lati sono puliti; la loro volta è tagliata e liscia come quella de’ fiori. Oh! quanto deve esser bello codesto mondo! E forse il pensiero, che ha fatto tutto ciò? Sentite, Immalia, le disse lo straniero togliendole di mano il telescopio; per godere di questo spettacolo fa d’uopo, che voi lo comprendiate. Senza dubbio, rispose Immalia, presso cui il mondo sensibile perdeva appoco le sue attrattive in paragone del mondo intellettuale novellamente da lei scoperto; oh! sì... lasciatemi pensare.

Immalia, avete voi una religione? le disse allora lo straniero, al quale frattanto una sensazione di dolore [p. 156 modifica]accresceva il pallore del volto. Immalia, l’intelligenza della quale era aperta e pronta, e la quale simpatizzava con tutte le sensazioni che vedeva, lo abbandonò celeremente ad un tratto, e dopo un breve istante ritornò tenendo in mano una foglia di banano, con cui gli rasciugò le gocciole del sudore che calavano dalla fronte scolorata di lui: quindi essendoglisi assisa ai piedi nell’atteggiamento di un’avida e profonda attenzione ripetè, una religione? e che significa questa parola religione! sarebbe questo un nuovo pensiero? — È la conoscenza di un Ente superiore a tutti i mondi ed ai loro abitanti, poichè è Desso che li ha tutti creati, e li deve tutti giudicare; di un Ente, che noi non possiamo vedere, ma nella sovrana possanza del quale dobbiamo credere, quantunque Egli sia invisibile; di un Ente che è presente per tutto, senza che si vegga in nessun luogo; che agisce sempre, quantunque non sia mai in movimento, che ascolta tutto, e non fa mai ascoltare la sua voce. [p. 157 modifica]

Immalia lo interruppe con una specie di smarrimento dicendogli: Fermate! troppi pensieri in una volta mi ucciderebbero: lasciatemi riposare un momento: ho veduto la pioggia, che cadeva per rinfrescare i rosai ed abbatterli a terra. E dopo uno sforzo penoso, come per richiamare una lontana rimembranza, aggiunse: La voce de’ sogni mi ha detto qualche volta alcuna cosa di questo genere prima che io nascessi; ma è tanto tempo!.... Qualche volta ho avuti in me de’ pensieri, che rassomigliavano a questa voce. Mi sembrava di amar troppo le cose, che mi attorniavano e che avrei dovuto amare cose ben lontane da me; de’ fiori che non appassissero ed un sole che non tramontasse giammai. Dopo tali pensieri avrei voluto innalzarmi in aria come un augello, ma non aveva nessuno che m’indicasse il cammino.

Egli è giusto, riprese a dire lo straniero, non solamente di aver de’ pensieri intorno a questo Ente, ma ancora di esprimerli con degli atti esteriori. Gli abitanti di cotesto mondo, [p. 158 modifica]che voi dovrete tra non molto vedere, danno a ciò il nome di adorazione, e ne hanno adottati differenti modi. (Mentre favellava così un sorriso satanico gli spuntava sulle labbra.) Questi modi son tanto differenti, che la maggior parte non si accordano che in un sol punto, quello cioè di fare della religione un tormento. — Ciò non è possibile! esclamò Immalia; essi deggiono esser persuasi, che quegli che è sempre lo stesso non può con piacere vedere delle differenze nella maniera di adorarlo. — Ed è appunto in ciò, che consistono i loro errori.

Intanto Immalia, aveva preso ed accostato di nuovo l’occhio al telescopio. Ebbene! che cosa vedete? le disse lo straniero. Immalia descriveva ciò, che vedeva in una maniera molto imperfetta, ma che diventerà più intelligibile pel lettore in forza delle parole dichiarative dello straniero. Voi vedete, le disse, le coste delle Indie, la riva del mondo, che a noi è più vicino. Cotesto edifizio enorme sul quale il vostro sguardo [p. 159 modifica]primieramente si fissa, è la nera pagode di Juggernaut. Al fianco di cotesta pagode vedete una moschea turca; questa si distingue per mezzo dell’emblema della mezza-luna, che sormonta il tetto. Non lungi di là è un edifizio poco elevato, coronato di un tridente; questo è il tempio di Mahadeva, una delle antiche dee del paese. Ma che importa a me degli edifizii! disse Immalia; fate che io vegga le creature viventi, che vi conconcorrono. — È giusto, soggiunse il tentatore; ma coteste fabbriche indicano la differente maniera di pensare di quelli, che le frequentano. Se voi desiderate esaminare i loro pensieri, fa d’uopo vedere come essi li esprimono per mezzo delle loro azioni. Nel commercio, che essi hanno l’uno con l’altro, gli uomini sono sovente di mala fede; ma sono assai sinceri nelle loro adorazioni, conformemente al carattere, che attribuiscono alle loro divinità: se questo carattere è formidabile, essi esprimono il timore; se è crudele, fanno soffrire de’ tormenti; se è malinconico [p. 160 modifica]l’immagine del nume si riflette fedelmente sul volto de’ suoi adoratori. Del rimanente osservate e giudicate.

Immalia si pose a guardare attentamente, e vide una vasta pianura ricoperta di sabbia, all’estremità della quale scorgevasi l’oscura pagode di Juggernaut; i dintorni di essa erano seminati di scheletri intanto che migliaia di creature appena viventi trascinavano i loro corpi mezzo bruciati sulla sabbia, a fine di perire all’ombra del luogo sacro, del quale non osavano sperare di poter toccare le mura. Un gran parte di essi morivano per la via, altri appena potevano alzar la mano, onde discacciar gli avvoltoi, che già si apprestavano a divorarli.

A lato di questa spaventevole scena si presentava uno spettacolo molto magnifica. La statua di Juggernaut si avanzava sopra un enorme carro trionfale, tirato da una folla innumerevole di sacerdoti, di vittime, di bramini e di fachiri. A misura che il corteggio procedeva alcuni infelici si gettavano volontariamente avanti le [p. - modifica]L’uomo errante la fissava

Rom. Fasc. XIII.

[p. 161 modifica]ruote del carro, che li schiacciavano passando. Altri che non riputavano sè medesimi tanto degni d’incontrare una morte cotanto illustre, si facevano delle larghe ferite, e si contentavano di lasciar arrivare il sangue sulle ruote del nume. Tale è la mescolanza del culto, che dappertutto caratterizza il paganesimo: parte orribile, parte brillante e maestoso, invocando la natura nel momento stesso, che l’oltraggia; mescolando i fiori col sangue, e gettando avanti il carro dell’idolo ora un bambino piangente ora una fresca ghirlanda.

Il tempio di Mahadeva non le offrì uno spettacolo meno orribile; noi risparmieremo ai lettori la descrizione delle madri, che sagrificano i loro figli, e de’ figli che i loro decrepiti e renduti inutili genitori, espongono alle tigri ed ai coccodrilli. Basterà il dire, che Immalia dopo averlo per qualche tempo guardato coprendosi gli occhi con ambedue le mani restò muta di dolore e di terrore.

Volgetevi verso quest’altra parte, le disse lo straniero; le cerimonie di [p. 162 modifica]tutte le religioni non sono egualmente sanguinolenti. Immalia alzò gli occhi, e vide una moschea turca adorna di tutto lo splendore che accompagnò la prima introduzione della religione maomettana presso gl’Indiani. Essa alzava le sue cupole dorate, i suoi minaretti sculti con sommo artifizio e le sue torri sopra ciascuna delle quali vedevasi l’emblema della mezza-luna; dessa in una parola era arrichita di tutti gli ornamenti, che la fervida immaginazione degli Orientali prodiga alla sua architettura, leggiera e brillante ed allo stesso tempo pomposa ed aerea. Un gruppo di Turchi avanzavasi gravemente verso la moschea. I lineamenti del loro volto nobili ed espressivi, il loro maestoso vestire, la loro statura alta formavano un contrasto considerevole con i poveri Indiani mezzo ignudi, i quali, assisi in terra facevano un leggiero e frugal pasto con un poco di riso cotto nell’acqua. Immalia guardava i Turchi con rispetto e piacere, ed incominciava a pensare, che vi potesse esser qualche cosa di buono nella [p. 163 modifica]religione professata da creature di un aspetto così nobile. Ma ad un tratto ella vide che essi prima di entrare nella loro moschea rigettavano con disprezzo gli Indiani, tranquilli e spaventati, e sputavan loro in faccia. Ed oltre a ciò li percuotevano col piatto delle loro sciabole, li trattavano da cani d’idolatri, e li maledicevano in nome di Dio e del Profeta. Quantunque Immalia non potesse intendere il suono delle parole, che accompagnavano questa azione, non ne rimase meno scandalizzata, e dimandò il motivo di quel poco umano loro procedere.

La loro religione, disse lo straniero, ordina ad essi di odiare tutti quelli, che non adorano Dio alla loro maniera, — Ahimè! quest’odio, che la loro religione insegna, non è forse una pruova convincente, che cotesta religione non è la vera?..... Ma perchè, aggiunse con maraviglia, io non iscorgo fra loro nessuna delle amabili creature, che voi chiamate femmine? Non adorano elleno Dio, ovvero hanno una religione più dolce e [p. 164 modifica]niente al loro sesso? — Questa religione non è molto favorevole a coteste creature, delle quali senza contraddizione voi siete la più amabile. Dessa insegna, che l’uomo avrà delle altre compagne nel mondo delle anime, e non dice chiaramente, se le femmine vi arriveranno giammai. Perciò voi dovete vedere alcune di queste creature derelitte errare fra le pietre, che indicano il luogo ove riposano i trapassati, e ripetere delle preghiere per quelle anime, che non isperano di rivedere. Altre avanzate in età e ridotte alla estrema indigenza assistono alle porte della moschea; e leggono ad alta voce alcuni passi di un libro, che essi appellano il Corano non con l’idea di eccitar divozione, ma colla speranza di ottenere una piccola elemosina.

A queste desolanti parole, Immalia, che aveva indarno cercato in quei differenti sistemi quella speranza e quelle consolazioni, delle quali il suo spirito sì puro e la sua immaginazione sì viva le dimostravano ugualmente la necessità, provò una [p. 165 modifica]ripugnanza invincibile per ogni sorta di religione; perchè tutte le erano dipinte con colori tali, che non le offrivano, se non un ributtante quadro di sangue e di crudeltà, e che col rovesciare tutti i principii della natura troncava affatto i legami del cuore. Ella si gettò per terra e gridò: No, non vi è Dio, se non ve ne ha un altro dissimile a questi; quindi rialzandosi per gettare un’altra volta lo sguardo su ciò, che aveva veduto, nella speranza che non fosse illusione, ella scoprì un altro piccolo edifizio oscuro, cui facevano ombra alcuni palmizii, e sopra del quale scorgevasi una croce. Maravigliata della semplicità della sua apparenza, ugualmente che del piccol numero e dell’esteriore pacifico di quelli che vi si avvicinavano, disse che quella era senza dubbio un’altra religione, e ne dimandò il nome ed i riti. Lo straniero che aveva fatto quanto aveva potuto per impedire che ella scorgesse quel tempio modesto dimostrò una tal quale inquietudine per la scoperta, che ella aveva fatta, ed una ripuguanza [p. 166 modifica]maggiore a rispondere alle questioni, che cotesta scoperta le suggeriva; ma Immalia insistette sì vivamente, e pose in uso una sì amabile importunità nel reiterarle, passo sì schiettamente da un dolore profondo e grave, ad una curiosità infantile ed intelligente, che era impossibile di resisterle e non appagarne le brame.

Può darsi ancora, che un’altra cagione agisse su quel profeta di mal augurio e lo costringesse a pronunziare una benedizione, quando egli non avrebbe voluto, che maledire: egli è però questo un mistero che non ci è permesso di approfondare, e che non sarà conosciuto, se non nel memorando giorno, in cui tutti i segreti saranno fatti manifesti. Checchè ne sia, egli sentissi forzato a dire, che cotesta religione della quale vedeva in quell’atto i riti ed i seguaci, era quella di Cristo. Ma quali ne sono i riti? gli dimandò Immalia. Fanno essi morire i loro figli o i loro genitori per contestare ch’essi amano il loro Dio? Li sospendono essi nei panieri perchè vi periscono, o li espongono sulle rive [p. 167 modifica]de’ fiumi perchè sieno divorati da animali feroci e spaventevoli? — La religione ch’essi professano loro proibisce ciò, disse lo straniero pronunziando a malincuore parole di verità. Essa comanda loro al contrario di onorare loro genitori, di aver cura della loro prole. — E perchè non discacciano essi dal loro tempio quelli che non pensano come loro? — Perchè la religione che professano dice loro di esser caritatevoli. Essi deggiono cercare d’istruire quelli che non sono stati ancora rischiarati dal loro lume, ma non possono nè rigettarli nè sdegnarli. — Essi dunque non immolano al loro Dio vittime umane? — No: perchè sanno, che Iddio non può esser ben servito, che dai cuori puri e da mani esenti da delitti. Nel tempo che egli parlava, costretto forse da un poter superiore, Immalia diventando accesa in volto, chinava gli occhi verso la terra, e poi rialzandoli con la grazia di un angiolo, esclamò: Il Cristo sarà il mio Dio! Io voglio esser cristiana. Ella chinò di nuovo da fronte con quella profonda umiltà, [p. 168 modifica]che indica ad un tempo la sommissione del corpo e dello spirito, rimase lungo tempo in tale positura. Quando la rialzò cercò lo straniero..... egli era scomparso.