Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo VI

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Volume III - Capitolo VI

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO VI.


Un anno dopo questo terribile avvenimento si vedevano due femmine passeggiare, o piuttosto errare tutte le sere ne’ contorni di un piccolo villaggio situato nella parte più solitaria della contea di York. La campagna era piacevole e pittoresca, ma le due donne che avevano conservati gli occhi per contemplare la natura, non avevano più cuore per gustarne le delizie. L’una di esse magra, estenuata e giovane ancora, ma con la [p. 116 modifica]fronte ricoperta di rughe; gli occhi neri brillano di uno splendore maraviglioso sopra un volto freddo e bianco come quello di una statua; dessa è Eleonora Mortimer. L’altra cammina al fianco di lei con un passo sì misurato, che sembra muoversi in forza di un ingegnoso meccanismo. I suoi occhi si dirigono tanto dirittamente al davanti di lei, che non iscorge nè il cielo, nè la terra, nè gli alberi o i campi, che sono intorno alla strada. È una zia puritana di Eleonora, una sorella di sua madre, presso la quale ella ha fissata la sua residenza.

A contare dal giorno del suo matrimonio deluso Eleonora piena del sentimento del verginale orgoglio, sentimento, che neppure il dolore poteva soffocare, non aveva avuto altro desiderio che di abbandonare il luogo, che stato testimone della sua sciagura. Invano cercarono di distorla dal suo proposito e madamigella Anna e la sua cugina Margherita, che ricolme di errore a tal funesto avvenimento, del quale non potevano [p. 117 modifica]indovinare la cagione, la scongiurono a non voler abbandonare il castello, impegnando la loro parola, che non riammetterebbero giammai dentro le sue mura il traditore, che l’aveva abbandonata. Eleonora non rispose alle loro suppliche, che stringendo le loro fra le sue gelide mani, ed alzando su di loro gli occhi pregni di lagrime, le quali non aveva la forza di sgorgare.

Rimanete con noi, le andava sovente ripetendo la nobile e generosa Margherita, noi non vi abbandoneremo. — Mia cara cugina, le rispose alla fine un giorno Eleonora, io ho tanti nemici dentro queste mura che non mi credo in nessun modo sicura. — De’ nemici!... — Sì, mia amata cugina, tutti i luoghi che conservano le tracce de’ suoi piedi, le prospettive che egli amava di contemplare, l’eco che ripeteva il suono della sua voce, mi trafiggono con tante pugnalate il cuore; le persone, che mi amano non possono desiderare, che venga il mio supplizio prolungato.

Margherita non potè rispondere [p. 118 modifica]se non con le lagrime ai gemiti dolorosi, che accompagnavano queste parole, ed alcuni giorni appresso Eleonora si mise in viaggio per andare da sua zia, puritana molto divota, che abitava nella contea di York. Quando la vettura che doveva condurla arrivò alla porta del castello. Madamigella Anna sostenuta dalle sue cameriere si avanzò fino alla metà del ponte levatoio per prender congedo da sua nipote, lo che fece con una nobile ed affettuosa cortesia. Margherita affacciata ad una finestra non cercava di nascondere le sue lagrime. Madamigella Anna conservò la sua tranquillità fintantochè fu alla presenza de’ domestici; quando questi si furono allontanati, rientrò nel suo appartamento per piangere con libertà.

Il luogo di ritiro, che Eleonora aveva scelto non le offrì il riposo e la tranquillità, di cui ella era andata in traccia o che almeno sperava in esso trovare. Eleonora era ritornata nella famiglia della sua genitrice, ma la vita monotona che in essa si [p. 119 modifica]conduceva lungi dall’apprestare un balsamo salutare al suo cuore piagato, non faceva che sempre più inaspirlo; onde passava de’ giorni ben tristi. Quando nell’eccesso del suo dolore correva verso il piccolo giardino, che circondava l’umile abitazione della zia, era seguita da lei, che con un aspetto tranquillo e senza affrettare il passo, le offriva per confortarla qualche nuova produzione mistica. Eleonora pur troppo abituata alla fatale irritazione del cuore, che ammorza in noi ogni altro sentimento, restava fredda e si maravigliata come una creatura sì distratta potesse sopportare l’immobile sua esistenza. Sua zia si levava tutti i giorni alla medesima ora, faceva le sue preghiere alla medesima ora riceveva alla medesima ora i divoti amici che venivano a visitarla, e la cui maniera di vivere era tanto monotona ed apatica quanto quella di lei. Le ore del pasto erano similmente regolate in modo da non preterire un minuto: dessa pregava senza unzione, mangiava senza appetito, e ponevasi in letto senza [p. 120 modifica]avere la più piccola inclinazione al sonno. La sua vita era puramente macchinale; ma la macchina era tanto ben montata, che pareva sapersi rendere conto delle sue azioni e provarne una sorta di compiacenza.

Eleonora indarno si sforzava d’imitare cotesta vita di fredda mediocrità, e lottava contro il suo destino fatale; ma presto un nuovo combattimento venne ad aggiungersi a’ suoi mali. A quell’epoca le lettere circolavano difficilmente, e non era costume di scrivere, se non nelle occasioni di grave importanza. Eleonora però dopo pochi mesi, che si trovava nel suo ritiro ne ricevette due ad un intervallo brevissimo: queste erano scritte dalla sua cugina Margherita che a lei le inviò per mezzo di un espresso. La prima annunziava l’arrivo di Giovanni Sandal al castello, e l’altra la morte di M. Anna Mortimer. Ad ambedue erano aggiunti dei post-scriptum, ne’ quali si parlava in termini enimmatici intorno alla interuzione della cerimonia dello sposalizio, e facevano intendere, che la [p. 121 modifica]cagione non ne era conosciuta, che dalla serivente, da Giovanni Sandal e dalla madre di lui. Finalmente in ambedue le lettere vi erano pressantissime istanze, perchè Eleonora volesse ritornare al castello, ove poteva esser sicura, che sarebbe ricevuta da Margherita e da Giovanni Sandal con un’amicizia fraterna. Le lettere le caddero di mano mentre le leggeva. Ella non aveva mai cessato di pensare a Sandal, quantunque avesse fatto ogni sforzo per dimenticarsene; il solo suo nome cagionavale una sensazione tanto dolorosa che non poteva nè tener celata nè esprimere.

Ella riflettè lungo tempo nel leggere le particolari circostanze della morte di Madamigella Anna, la quale però non era stata indegna della di lei magnanimità ed eroismo. Madamigella Anna aveva abbracciata con ardore la causa della infelice Eleonora, ed alla presenza di Margherita giurò, che non avrebbe più ammesso nel castello l’uomo, che aveva sì indegnamente abbandonato colei, che lo attendeva all’altare. Una sera [p. 122 modifica]mentre madamigella Anna stava leggendo alcuni manoscritti di que’ tempi, le fu annunziato, che un cavaliere (i domestici sapevano l’incantesimo che questa parola aveva nelle orecchie della loro padrona) aveva passato il ponte levatoio, era penetrato fino nel vestibolo, e si avanzava verso l’appartamento si trovava. Fattelo passare, rispose in fretta, e levandosi dalla sua poltrona si mise in atteggiamento da riverire l’annunziato cavaliere, quando con sua maraviglia estrema vide comparire Giovanni Sandal. Gli occhi di lei, che malgrado l’età avanzata non avevano perduto niente della loro vivacità, lo riconobbero incontanente. Ritiratevi! ritiratevi esclamò ella mossa da nobile ira; ritiratevi e non vogliate profanare questa soglia oltrepassandola. — Ascoltemi per un momento, signora, si fece a dirle Giovanni; permettete, che vi indirizzi la porola piegando a terra le ginocchia. Questo è un omaggio ch’io rendo al vostro rango ed alla nostra parentela. Non vogliate già immaginare, che sia una confessione [p. 123 modifica]la mia; io non mi sento in nulla colpevole. — Alzatevi, alzatevi, signore, e ditemi quanto a dire avete; ma non entrate in un appartamento, in cui vi siete renduto indegno di penetrare. Giovanni Sandal si levò ed indicò col dito il ritratto di Ruggero Mortimer, al quale egli era somigliante. Madamigella Anna comprese ciò che egli voleva con ciò arguire, ed uscendo dalla soglia del suo appartamento, si avanzò di alcuni passi nel vestibolo, rimase in piedi ed esclamò: quegli, al quale voi vi vantate di assomigliare e del quale reclamate la protezione, non ha mai, come voi, disonorate queste mura con una viltà o con un indegno tradimento. Disleale! rivolgete ora di nuovo gli sguardi sul ritratto di lui!

L’espressione di madamigella Anna nel favellare così aveva un certo che di sublime; un istante appresso fu sorpresa da una forte convulsione, voleva parlare, ma le labbra non si prestavano a quell’uffizio. Restò per qualche tempo in quell’atteggiamento, e quindi si sforzò di [p. 124 modifica]muoversi per partire, ma le sue membra erano totalmente irrigidite. Dopo alcuni inutili sforzi ella cadde senza conoscimento a’ piedi di suo nipote. Non sopravvise lungo tempo a quel fatale colloquio nè ricuperò più l’uso della parola. Conservò nulladimeno tutta la cognizione fino all’alito estremo facendo incessantemente intendere co’ suoi gesti di non volere ascoltare alcuna giustificazione della condotta di Sandal. Egli però ne diede ciò non ostante la spiegazione a Margherita, la quale quantunque commossa ed afflitta per quello, che scoprì, terminò coll’accostumarsi all’idea, che le fece nascere cotesta scoperta.

Poco tempo dopo aver ricevute queste lettere Eleonora prese la risoluzione istantanea, ma da non rimanerne maravigliati, di recarsi immediatamente al castello di Mortimer. Nè era già il desiderio di togliersi ad una vita monotona, o di goder di nuovo la pompa e la manignificenza, che regnava nel castello, nè il cambiamento del luogo, che la facessero [p. 125 modifica]decidere a questo viaggio; ma era una voce quasi impercettibile, che le gridava in fondo del cuore: Va, e forse....

Eleonora si mise dunque in viaggio, e lo terminò con tanta celerità, quanta poteva permetterne lo stato delle comunicazioni verso metà del secolo diciassettesimo. All’approssimarsi del castello se le affacciò alla mente l’immagine dell’estinta madamigella Anna, e mille pensieri diversi le riempierono lo spirito. Ella, così diceva seco stessa, aveva un anima sempre immersa in pensieri gloriosi, nelle azioni più nobili della umanità, nelle più sublimi idee della eternita. Il magnanimo cuore di lei non poteva accogliere, che due ospiti; l’amore di Dio cioè, e quello del suo paese: questi effetti rimasero con lei fino alla morte, perchè in esso trovarono una degna dimora. Il mio all’incontro accolse un altro abitante, e come è stato esso ricompensato della data ospitalità! il perfido lo ha devatasto!...

Entrando nella sala del castello vi [p. 126 modifica]trovò Margherita, che l’accolse col più tenero affetto, e Giovanni Sandal, che le indirizzò la parola con quella benevolenza placida e fraterna, che non lascia nulla a sperare. Le strinse la mano, le diede a conoscere la più viva sollecitudine per la salute di lei, la sforzò ritirarsi per prendere un poco di riposo dopo la fatica del viaggio. Eleonora quasi fuori di sè prese le mani di Margherita e di Sandal e con un movimento involontario le unì una dentro l’altra. La vedova Sandal era presente a quella scena; al primo entrar di Eleonora aveva ella provata una grande emozione, ma sorrise a quel movimento straordinario e spontaneo.

Eleonora si ritirò nell’appartamento che aveva altre volte occupato. Margherita con una previdenza tenera, e delicata ne aveva fatti cambiare tutti i mobili, nè vi si trovava più cosa alcuna, che potesse richiamare le antiche rimembranze. Ella si assise, riflettè all’accoglimento che le era stato fatto: più vi pensava più sentiva svanire la speranza dal [p. 127 modifica]suo cuore. L’espressione del disprezzo o dell’odio le sarebbe sembrata meno desolante: perchè ella sapeva, che le più forti passioni si riducono sovente ai loro estremi opposti, mentre la semplice benevolenza non diviene giammai una passione. Per tal modo ella rimase convinta, che perse tutto era perduto.

Per più giorni ella ebbe a soffrire la pena intollerabile di vedersi trattare con fredda indifferenza dall’uomo, che unicamente ella amava. Quelli, che hanno provata una simil pena, possono soli farsene un’idea. Eleonora per mezzo di penosi sforzi cercava di assuefarsi alle nuove abitudini del castello; in esso era tutto cambiato dopo la morte di madamigella Anna. I numerosi pretendenti alla mano della nobile e ricca ereditiera si presentavano in folla, e secondo l’uso del tempo di allora vi erano sontuosamente trattati, e con delle feste invitati a prolungarvi il soggiorno. In tutte queste occasioni Giovanni dimostrò ad Eleonora delle particolari attenzioni. Essi [p. 128 modifica]danzavano insieme, e terminato il ballo Eleonora diceva fra sè stessa, che Sandal avrebbe ballato in quella precisa maniera, se si fosse trovato ad essere compagno della persona la più indifferente agli occhi di lui.

Una sera Sandal essendo uscito per andare a visitare un signore di quelle vicinanze, Margherita ed Eleonora si trovarono sole. Ambedue pareva che desiderassero ugualmente una spiegazione, e nessuna delle due voleva esser la prima ad entrare in proposito. Eleonora rimase alla finestra, per dove aveva veduto partire Sandal fino a che l’oscurità non le permise di più distinguere gli oggetti. Margherita fu la prima a rompere il silenzio dicendo: Eleonora non vi occupate più di lui, non lo cercate più; egli non può giammai esser vostro! Cotesto discorso imprevisto, ed il tuono di convinzione, con cui fu pronunziato, fece sopra di Eleonora l’effetto di un avvertimento celeste, nè ebbe ella la forza di dimandare come Margherita avesse acquistata cotesta certezza. Si allontanò dunque [p. - modifica]Fui portato in trionfo sul dorso del Bue

Rom. Fasc. XV.

[p. 129 modifica]dalla finestra e dimandò con una tranquillità spaventevole, se egli era sì irrevocabilmente spiegato con lei, ed aggiunse: Non v’ha dunque più speranza? — No, rispose Margherita. — E ve lo ha detto egli... egli medesimo? — Sì, mia cara Eleonora, e vi prego di non parlare più su questo soggetto. — Mai più, no... mai più!...

La sincerità e la dignità del carattere di Eleonora erano un pegno irrefragabile della verità di quanto ella diceva, ed era forse perciò che Eleonora faceva sì grandi sforzi per non cedere ad una convinzione, che suo malgrado le opprimeva lo spirito. Nelle malattie del cuore noi non possiamo soffrire la verità, ed amiamo piuttosto la menzogna, che almeno ci soddisfa per un momento.

De’ nuovi argomenti se le offrivano di tanto in tanto onde sempre più persuadersi dell’attaccamento di Giovanni verso Margherita; e nulladimeno ella pensava sempre a degli ostacoli imprevisti, ad una spiegazione; [p. 130 modifica]e diceva fra sè, forse chi sa! Cotesta è l’ultima parola, che cessa di sortire dalla bocca di un amante. Pare Eleonora abbandonando le sue pretensioni al cuore del suo amante si contentava degli sguardi di lui soltanto, e diceva a sè medesima: Purchè io lo vegga sorridere, quand’anco non dovesse esser per me! Mi basta di vivere alla presenza di lui: il suo cuore sia pure d’un’altra, non m’importa; uno de’ suoi sguardi potrà talvolta rivolgersi verso di me: questo mi basta.

Intanto la zia puritana d’Eleonora credette opportuno verso quest’epoca di fare uno sforzo per ritrarre la nipote da ciò che ella chiamava aguati del nemico. Le scrisse, non senza difficoltà, una lunga lettera onde scongiurarla a ritornare presso di quella, che aveale servito di guida nella sua giovinezza. Dopo aver essa impiegati tutti gli argomenti spirituali, che potè immaginare, aggiunse che la mano che vergava quelle linee, presto non sarebbe più in grado di reiterare l’invito; e forse [p. 131 modifica]sarebbe già nella tomba al momento che sua nipote leggesse la lettera. Eleonora versò delle lagrime, ma queste non furono cagionate che da una commozione fisica, non già da un morale sentimento. Niente indura tanto il cuore, quanto l’amore, benchè sembra, che dovrebbe piuttosto addolcirlo. Ella rispose, che quanto prima avrebbe cercato di fare una tal risoluzione; parlava in seguito del suo infelice amore, del quale deplorava la forza invincibile, e terminava coll’esprimere la speranza ed il voto di riposarsi in fine in un porto di salute.

Tutta la famiglia rimarcò l’alterazione della salute di Eleonora a segno che Margherita si pentì di averla invitata a ritornare al castello. Eleonora lo sentiva come gli altri ed avrebbe voluto risparmiar loro cotesto dispiacere. Un giorno spinta alla disperazione dalla pena insopportabile, cui era in preda, aprì il suo cuore a Margherita, dicendole: Mi è impossibile di sopportare più a lungo questa mia esistenza; [p. 132 modifica]di calpestare il suolo, in cui s’imprimono le orme di lui, di vedere tutti gli oggetti, che mi circondano, riflettere la sua immagine, senza mai vederne la realità; di sentire, quando lo veggio, che è, e non è più il medesimo; il medesimo all’occhio, un altro al cuore. O Margherita, cotesta pugna continua tra i sogni della immaginazione, e la funesta vigilia della realità immerge nel mio seno un pugnale, che nessuna mano umana è capace di estrarre, e per la cui ferita la medicina non ha balsamo o lenitivo! Margherita versò delle lagrime ascoltandola e quindi con suo dispiacere acconsentì alla partenza di Eleonora, se ella lo giudicava necessario al suo riposo.

La sera medesima che ebbe cotesto colloquio con la sua cugina, Eleonora, che aveva il costume di errar sola ne’ boschetti, da’ quali era circondato il castello, incontrò Giovanni Sandal. Il tempo era bello; la stagione quella medesima, in cui si erano veduti la prima volta; nulla era [p. 133 modifica]cambiato nella natura; i loro cuori soltanto non erano più d’accordo. Sandal andandole incontro le parlò con una voce tanto melodiosa e con que’ sì teneri accenti, che non avevano mai cessato di risuonarle alle orecchia. Una vana speranza fece palpitare il cuore ad Eleonora. Proseguirono la passeggiata insieme, ed ambedue tenevano lo sguardo rivolto agli ultimi raggi del sole che rivestivan di porpora le prossime montagne, ed in mezzo al profondo della selva una voce eloquente parlava al cuore di entrambi. Eleonora arrischiossi ad alzar le pupille verso quella fronte, che un tempo parevale quella di un angiolo. Questa aveva lo stesso splendore, lo stesso sorriso de’ tempi trascorsi, ma lo splendore non era più che il riflesso del sole, che tramontava; il sorriso non era diretto che alla natura. Quando essa fu di ciò ben convinta, lagrime copiose le aspersero il volto; l’espressione della tenera sorpresa per parte di Sandal, e le parole di consolazione che le furono per lui indirizzate, non fecero, che [p. 134 modifica]aumentare le di lei sofferenze. Dessa aveva riposta l’ultima speranza nella natura e questa speranza ancora le mancò! In quello stesso momento il suo orecchio, venne percosso dall’armonico suono d’una musica pastorale; cotesto suono, che si partiva dal flauto d’un giovane pastore, sembrava che le dicesse: no, no, giammai! giammai! Tutto sembra profetico agl’infelici: il cuore disperato di Eleonora accettò il presagio di questo suono lugubre.

Dopo pochi giorni Eleonora si accinse a partire: Margherita ne pianse amaramente, e Sandal le dimostrò la più viva sollecitudine. Arrivata ad una certa distanza dal castello rimandò indietro la carrozza di famiglia dicendo di voler andare a piedi in compagnia della sua cameriera fino al prossimo villaggio, ove una vettura la stava attendendo. Vi si recò diffatti, ma invece di proseguire il cammino si fermò in esso nascostamente. Il progetto di un matrimonio tra Margherita e Giovanni Sandal, che aveva [p. 135 modifica]presentito, fu cagione di questa sua risoluzione.

Il giorno delle nozze non tardò ad arrivare. Eleonora si levò di buon mattino, gli amici ed i congiunti degli sposi novelli si portavano alla Chiesa, in quel medesimo numero e con quello sfarzo medesimo che il giorno in cui avevano accompagnata lei all’altare. Ella vide da lungi il brillante corteggio ed udì le voci di gioia della metà della provincia; si figurò il timido sorriso di Margherita, e la figura risplendente di lui, che un tempo era destinato a ricevere la sua mano. Ad un tratto cessò il clamore, ed ella immaginò, esser già cominciato il sacro rito; quindi che le irrevocabili parole fossero omai state pronunziate. Le acclamazioni di gioia risuonarono un’altra volta quando lo splendido corteggio fece ritorno al castello. Allorchè fu tutto cessato, Eleonora a caso gettò lo sguardo sulle sue vesti; queste erano bianche siccome quelle del giorno che era stato destinato per le sue nozze: le permutò fremendo con [p. 136 modifica]una veste da lutto, e proseguì un viaggio, che doveva, per quanto ella sperava, condurla al termine del suo destino.