Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo VII

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Volume III - Capitolo VII

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO VII.


Quando Eleonora arrivò nella contea di York, sua zia non esisteva più. La nipote andò a visitarne la tomba; vi si fermò per qualche istante, ma non potè versare una lagrima. La perdita della sua parente rendeva ad Eleonora più triste e più uniforme la vita. Non usciva mai di casa a meno che non trattasse di andare a visitare e soccorrere i miserabili, e le persone infelici di quelle vicinanze. [p. 138 modifica]

Aveva ella ricevute più lettere di Margherita, che aveva lette, e poste da parte senza far loro risposta; una nuova lettera venne finalmente a trarla dallo stato di stupore, in cui ella gemeva da molto tempo: la lesse con vivo interesse e si preparò a rispondere in persona. Il coraggio di Margherita pareva, che si smentisse all’avvicinarsi dell’ora del pericolo. Dessa scriveva a sua cugina, che questa ora si avvicinava a gran passi, e la supplicava di venire a consolarla e sostenere nel pericolo che la minacciava. Aggiungeva che l’affezione di Giovanni Sandal in quel momento fatale la commoveva più che qualunque altra prova di amore che aveva ricevuta da lui: che non le reggeva il cuore di vederlo abbandonare tutti i suoi piaceri d’abitudine per rimanersene appresso di lei. Invano ella lo pressava a frequentare secondo il suo costume i castelli circonvicini, chè egli non voleva abbandonarla un istante; ma che ella sperava che la presenza di Eleonora lo costringerebbe a cedere alle sue [p. 139 modifica]preghiere, in vista che egli potrebbe esser tranquillo quando la vedesse in compagnia dell’amica della sua infanzia, le cui tenere cure le sarebbero più preziose ancora di quelle di un uomo, chiunque egli fosse.

Eleonora si mise tosto in cammino. Ciò che era seguito dopo la sua partenza dal castello aveva innalzato una insormontabile barriera fra lei e il suo amante; egli diffatti non era più per lei, che un fratello. Quando ella arrivò Margherita cominciava a sentire i primi dolori del parto; la sua gravidanza era stata molto penosa. Le sofferenze naturali del suo stato erano aumentate in lei dalla idea della responsabilità, cui andava incontro al momento, in cui stava per dare alla luce un erede della casa Mortimer. Eleonora si avvicinò al letto di sua cugina; avvicinò le sue fredde labbra a quelle ardenti di Margherita, e pregò per lei. I primi medici della provincia erano già stati sopracchiamati. La vedova Sandal camminava su e giù a gran passi negli appartamenti vicini, [p. 140 modifica]senza comunicare a veruno le inesprimibili inquietudini, che provava.

Due giorni e due notti trascorsero nell’alternativa delle speranze e dei timori. I vassalli arrivarono in folla al castello pieni di una sollecitudine onesta e sincera. Da una all’altra ora i nobili dei luoghi circonvicini mandavano a prender notizie della puerpera. Un parto a quei tempi era un avvenimento di grave importanza. Il momento finalmente arrivò. Margherita diede alla luce due bambini morti, e la giovane madre non tardò a seguirli nella tomba. In quella occasione funesta Margherita dimostrò un coraggio degno di un individuo della famiglia Mortimer. Ella cercò con le sue gelide mani quella dell’infelice suo sposo e quella di Eleonora, che amaramente piangeva; le unì insieme con un movimento, che l’uno di loro comprese, e pregò che la loro unione potesse essere eterna. Quindi desiderò di vedere la misera spoglia de’ bambini. Al vederli se le alterò la voce, gli occhi se le indebolirono, i loro ultimi sguardi sì [p. 141 modifica]rivolsero verso lo sposo; quando il loro lume fu spento, ella sentiva ancora, che le braccia di lui la stringevano: un istante appresso Margherita non sentiva più nulla.

Il misero Sandal si gettò sul letto della sua sposa; ed Eleonora perdendo ogni altra reminiscenza in una sì crudele disgrazia non potè che ripetere le sue grida, senza pensare che quella, di cui essa allora deplorava la perdita, era stato il solo ostacolo alla sua felicità. Di tutte le voci però, che in quel giorno funesto risuonarono di pianto, e fecero echeggiare le torri e le volte del castello nessuna potè uguagliare quella della vedova Sandal. I suoi pianti erano grida di rabbia; la sua afflizione, una disperazione, che nulla poteva calmare. Correndo come forsennata da una camera all’altra, si strappava i capelli e profferiva contro sè medesima le più orribili imprecazioni. Finalmente si avvicinò alla camera ove era stata collocata la defunta; i domestici volevano impedirle l’ingresso, ma non ne ebbero la forza: [p. 142 modifica]ella si avanzò loro malgrado, rivolse lo sguardo verso l’immobile cadavere, e poscia verso i muti superstiti: in seguito prostrandosi alle ginocchia del suo figlio, confessò il segreto del suo delitto, e svilluppò in tutto il suo orrore questo ammasso d’iniquità, giunto ora al suo colmo.

Il figlio la ascoltò con l’occhio fiso ed il volto immobile, e quando ella ebbe terminato, invece di rilevarla, rigettò le mani che ella verso lui tendeva, e con un riso smoderato, ma terribile ricadde sul letto, d’onde non potè esser distaccato, se non quando portarono via il cadavere per dargli sepoltura, e quelli che adempier dovettero questo dovere, non sapevano se fosse più degna di compianto quella, che era rimasta priva di vita, o egli che dava segni di aver perduta per sempre la ragione. La madre infelice e colpevole morì dopo pochi mesi, e morendo dichiarò il segreto del suo delitto al ministro di una Chiesa indipendente, il quale informato della disperazione di lei era venuto a visitarla. Ella confessò, [p. 143 modifica]che spinta dall’avarizia e più ancora dal desiderio di acquistare la importanza, che aveva perduta nella famiglia, e conoscendo d’altronde le ricchezze e le dignità, che suo figlio acquisterebbe per mezzo del suo matrimonio con Margherita, ed alle quali ella parteciperebbe, dopo aver messo in uso tutti i mezzi di persuasione, erasi decisa a fabbricare un racconto falso quanto orribile, e del quale fece parte a suo figlio la mattina stessa del matrimonio progettato con Eleonora. Ello lo assicurò, che egli non era suo figlio, ma il rampollo del commercio illecito di suo marito, il predicatore, con la madre puritana di Eleonora.

Tutto riuscì a seconda de’ suoi perfidi desiderii. Sandal non ebbe più per Eleonora, che una tenerezza da fratello, e l’immagine di Margherita trovò posto nel di lui cuore tenero e che sentiva il bisogno di amare; ma come avviene sovente ai tessitori delle frodi e delle imposture, l’apparente compimento de’ suoi voti pose il cumulo alla rovina di lei. Il [p. 144 modifica]matrimonio di Giovanni e Margherita non avendo prodotti eredi, i beni della famiglia Mortimer passarono in mano di un parente lontano, ed il figlio di lei rimasto privo della ragione si vide ridotto a vivere della tenue pensione, che i suoi servigii passati gli avevano ottenuta.

Quando la vedova Sandal fu spirata, Eleonora si ritirò nel suo villaggio della contea di York con l’oggetto sfortunato de’ suoi costanti amori e delle sue tenere cure, e consacrò il restante de’ suoi giorni ad invigilare sopra di lui, aspettando il ritorno di quella ragione che non doveva più ritornare. Dopo avere per due anni dispensata una gran parte delle sue fortune a consultare i primi medici dell’Inghilterra, rinunziò finalmente ad ogni speranza riflettendo, che la rendita di un capitale molto diminuito omai basterebbe appena a procurare un sollievo alla vita di quello, che aveva risoluto di non abbandonare giammai; ella dunque rimase imperturbata al fianco del suo misero compagno, e divenne [p. 145 modifica]l’esempio di ciò, che una donna è capace di fare.

Ella passa le giornate intiere al fianco di lui; guarda attentamente quell’occhio un tempo sì vivace e brillante; e che ora si fissa sopra di lei senza vita e senza espressione. Riflette a quel sorriso pieno di grazie di spiriti, ed ora non esprime, che un sorridere vago, che cerca di piacere, ma nulla sa dire: Talvolta si risveglia con subitaneo terrore sentendolo ridere; vorrebbe partecipare della gioia, che egli sembra provare, ma che neppur egli può spiegare. Le rimane nondimeno una qualche consolazione. Talvolta a lui ritorna la memoria per un momento; egli parla, ed è il nome di Eleonora, non già quello di Margherita, che egli pronunzia. Un raggio di speranza brilla allora nel cuore di lei nell’ascoltarlo; ma si dissipa col raggio debole ed errante, che è sembrato volere per un istante rischiarare la ragione del misero.

Fu a quell’epoca, che io feci la conoscenza..... voglio dire, che uno [p. 146 modifica]straniero il quale aveva fissata la sua dimora vicino alla casa di Eleonora, incominciò a seguire da lungi cotesti due individui nelle loro lente e solitarie passeggiate. Esso li espiava tutte le sere. Era istrutto di tutto ciò che aveva relazione a que’ due sfortunati, e pensò fin d’allora di trarne profitto. Incominciò a guadagnarsi la loro amicizia rendendo di tanto in tanto de’ piccoli servigii all’infermo. Alcuna volta egli raccoglieva de’ fiori (che Sandal, senza sapere ciò che si facesse, gettava ne’ ruscelli) e poscia stava ascoltando con un sorriso grazioso le parole interrotte, con le quali l’infelice si sforzava di testificargli la sua riconoscenza.

Eleonora gliene dimostrava ancor essa; ma si allarmava un poco allo scorgere l’assiduità con cui lo straniero se le trovava sempre d’appresso, e sia che gli facesse buon viso o lo rigettasse, egli inventava sempre qualche nuovo pretesto per insinuarsi presso di loro. Nè la nobile tristezza, che contrassegnava le maniere di Eleonora, nè il suo profondo [p. 147 modifica]abbattimento, nè i saluti accompagnati da brevi risposte poterono vincere la dolce, ma istancabile importunità dello incognito. Dopo qualche tempo egli arrischiossi a parlare dei dispiaceri da’ quali ella era tormentata; lo che è un mezzo sicuro d’ottenere la confidenza de’ disgraziati. Eleonora incominciò a prestare orecchio a’ discorsi di lui; e quantunque non potesse a meno di restar maravigliata della conoscenza, che egli mostrava d’avere, di tutte le circostanze della vita di lei, provò nondimeno una specie di consolazione all’esteriore simpatico col quale l’incognito le parlava. Gli abitanti del villaggio renduti curiosi dall’ozio non tardarono a rimarcare che lo straniero ed Eleonora erano inseparabili nelle loro serali passeggiate. Circa quindici giorni dopo che fu fatta per la prima volta cotesta osservazione, Eleonora si presentò una sera ad un ministro della sua setta, che era il predicante di que’ contorni. L’ora era avanzata; la pioggia cadeva a torrenti; Eleonora tutta [p. 148 modifica]bagnata picchiava replicatamente alla porta. Fu fatta entrare, e la sorpresa del suo ospite a quella visita inaspettata si permutò in terrore, quando ella gliene comunicò la causa. Egli conoscendo la crudele posizione in cui Eleonora si trovava aveva da principio immaginato, che la presenza ed il conversare continuo con una persona alienata avesse prodotto sopra di lei un effetto contagioso.

Dessa aveva, secondo il consueto, incontrato lo straniero alla passeggiata; egli aveva finalmente osato di farle una proposizione, che Eleonora ebbe a mala pena la forza di ripetere al suo ministro. Codesta proposizione spaventevole ed il nome quasi altrettanto terribile dello straniero cagionarono in lui una forte emozione. Dopo aver guardato per lungo tempo il silenzio dimandò ad Eleonora il permesso di accompagnarla una sera alla passeggiata. Ella vi acconsentì e stabilirono la sera dell’indomani.

È necessario permettere, che cotesto predicante era stato per alcuni [p. 149 modifica]anni sul continente, e che nel corso de’ suoi viaggi gli erano accadute delle avventure, in proposito delle quali correvano le più strane voci. Fissatosi da poco tempo in quei contorni egli ignorava le avventure di Eleonora.

L’incerto crepuscolo confondevasi omai colle ombre della notte quando il ministro lasciò la sua casa, e si diresse verso il luogo, che Eleonora gli aveva indicato, e dove ella incontrava regolarmente lo straniero. Essi vi erano già quando egli giunse. L’aspetto sconcertato di Eleonora, la severa e fredda importunità dello straniero non gli permisero d’ingannarsi sul terribile soggetto della loro conversazione. Ad un tratto egli si avanza e si presenta allo sguardo dello straniero. Essi incontanente si riconoscono. I lineamenti dello straniero offrirono una espressione, che Eleonora non aveva in essi mai riscontrata: era quella del timore. Si arrestò per un momento, e quindi si ritirò senza pronunziare un accento, nè venne più ad assediare Eleonora. [p. 150 modifica]

Dopo parecchi giorni il ministro si sentì sufficientemente rimesso dalla emozione, che codesto incontro avevagli cagionato, per poterne manifestare il motivo. Fece sapere ad Eleonora, che quando le piacesse egli avrebbe l’onore di recarsi presso di lei: Eleonora fissò quella medesima sera. Egli arrivò, e quando l’infelice infermo fu posto in letto, quando si furono assicurati, che nulla avrebbe interrotto il loro colloquio, si assisero in faccia l’uno dell’altra. Eleonora tremava involontariamente pensando al racconto, che stava per ascoltare, ed il ministro stesso commosso in sè medesimo non incominciò, che dopo un lungo silenzio, la relazione che aveva promessa.

Disse primieramente di aver in tempo della sua giovanezza conosciuto un Irlandese nominato Melmoth, la cui vasta erudizione, e lo spirito vivace e profondo gli avevano ispirato un interesse tale, che la loro unione non tardò a divenir intima e familiare. Più tardi lo aveva perduto di vista; ma al principio dei [p. 151 modifica]torbidi civili avendo cercato in compagnia della famiglia un asilo in Olanda, aveva di nuovo incontrato Melmoth, che gli propose un viaggio in Polonia, offerta che da sè era stata accettata con piacere. Quivi aveva egli fatta la conoscenza d’Alberto Alasco, l’avventuriere Polacco, del quale raccontò ad Eleonora molti tratti straordinarii.

Non tardai molto a scoprire, proseguì egli a dire, che Melmoth si era irrevocabilmente dedicato allo studio di quell’arte, meritamente abborrita da ogni cristiano. Egli aveva avuta la debolezza di prestar fede a quelli, che gli avevan promessa la conoscenza ed il potere del mondo avvenire.... ma a condizioni, che non si possono ripetere. A queste parole il volto del ministro fu agitato da una espressione di volto molto straordinaria; si calmò ciò non ostante e proseguì: A contare da quel momento la nostra intimità fu interrotta. Giudicai che Melmoth fosse onninamente in balia delle illusioni del demonio, e che fosse in potere [p. 152 modifica]del comune nemico! Io non aveva più veduto Melmoth da molti anni e mi preparava abbandonare la Germania quando la vigilia della mia partenza mi fu fatto dire, che uno de’ miei amici, credendosi sul punto di morire, desiderava di avere un ministro protestante. Noi eravamo sulle terre di un elettore ecclesiastico. Mi affrettai a portarmi dal malato. Entrando nella camera, ove fui introdotto da un domestico, che si ritirò incontanente serrando l’uscio dietro di sè, fui sorpreso nel vederla piena di libri, d’istrumenti d’astrologia ed altri, de’ quali non potei conoscere l’uso. Da un lato era un letto, al capezzale del quale non vidi nè medici, nè inservienti, nè parenti, nè amici. Rivolsi da quella parte lo sguardo, e con mia gran sorpresa distinsi la figura di Melmoth. M’inoltro con l’idea di indirizzargli qualche parola di consolazione; egli mi fa cenno con la mano, onde io taccia, e così feci. La rimembranza di ciò che egli era stato, la situazione in cui presentemente si [p. 153 modifica]trovava, mi cagionarono più spavento, che maraviglia. Dopo qualche tempo Melmoth finalmente con voce debole e fioca mi favellò con questi termini: avvicinati.... ancora un poco. Io muoio... tu sai pur troppo quale è stata la mia vita. Io ho commesso il gran peccato degli angeli ribelli... sono stato orgoglioso della mia ragione... è questo il primo de’ vizii capitali... ho aspirato a delle cognizioni, che sono interdette.... ed ora me ne muoio... Io non ricerco già le cerimonie della religione. Non ho bisogno di parole, le quali vorrei, che non avessero senso... non mi guardare con codesto occhio compreso da orrore... ti ho fatto chiamare per esigere da te che tu tenga celata la mia morte al mondo intiero. Che nessuno sappia o come o dove io ho cessato di esistere. Di mano in mano, che egli parlava la sua voce divenne si chiara, sì energica che il tuono, che io non poteva persuadermi, che egli fosse realmente nello stato che diceva, e gli risposi io non saprei persuadermi [p. 154 modifica]che tu sia prossimo a morte. La tua intelligenza è chiara, forte la voce; distinta e seguìta la loquela, e se non fosse il pallore del volto ed il vederti in questo letto, a mala pena potrei persuadermi che tu fossi malato. Avrai tu, mi rispose, la pazienza ed il coraggio necessario per attender la prova di quanto ti ho detto? Io gli risposi di non mancare di pazienza, ed in quanto al coraggio invocai in segreto, quell’Ente, che io troppo onorava per pronunziarne il nome alla presenza di Melmoth. Egli mi comprese e mi rispose con un sorriso terribile; poscia accennandomi con la mano un oriuolo posto ai piedi del suo letto mi disse: Osserva bene quest’oriuolo; la sua lancetta indica presentemente le ore undici. Le mie idee sono chiare ed io offro l’apparenza della sanità. Aspetta qui lo spazio di un’ora, e mi vedrai senza vita.

Io non abbandonai il capezzale del suo letto; gli occhi di amendue erano fissi sull’oriuolo; egli di tanto intanto m’indirizzava la parola, ed io [p. 155 modifica]vedeva le sue forze diminuire insensibilmente. Mi ripetè più volte, che un segreto inviolabile era della più alta importanza anco per me, e mi lasciava travedere, che noi potremmo ambedue rivivere. Gli dimandai la ragione per cui egli aveva giudicato conveniente di confidare a me un segreto, la cui divulgazione poteva avere tante conseguenze, mentre non avrebbe dipeso che da lui il tenerlo celato. Egli non mi rispose. Intanto la lancetta dell’orologio si avvicinava alla mezza notte. I suoi lineamenti cominciarono ad alterarsi, gli occhi ad appannarsi, la voce ad indebolirsi; finalmente la respirazione cessò in lui totalmente. Gli toccai il polso; esso più non batteva; gli approssimai uno specchio alla bocca; ma non rimase in alcun modo appannato. Dopo pochi istanti il cadavere divenne tutto freddo. Io non abbandonai quella camera, che al termine di un’ora; esso non dava più alcun segno di ritornare in vita.

Alcune mie particolari circostanze mi costrinsero a fermarmi a lungo [p. 156 modifica]sul continente; lo percorsi in tutte le sue parti ed ovunque io sentiva dire, che Melmoth era in vita. Io non prestai fede a quelle voci e ritornai in Inghilterra intimamente convinto, che egli fosse morto. Ciò non ostante quegli che parlava con voi ieri sera è Melmoth; i miei occhi lo hanno benissimo riconosciuto; e tal quale lo vidi molti anni sono, quando il mio passo era fermo e neri i capelli: io ho cambiato, ma esso è sempre lo stesso. Mi è impossibile di concepire per qual mezzo abbia egli potuto prolungare in tal modo la sua postuma esistenza, a meno che non sia vera la voce, che di lui si è sparsa nel continente. Eleonora mossa parte da terrore, parte da una vaga curiosità dimandò qual fosse cotesta voce. Non cercate di più, rispose egli; voi omai ne sapete più di quello, che orecchio umano abbia potuto ascoltare o spirito umano concepire. Vi basti di essere stata in grado, mercè la divina potenza, di respingere gli assalti del maligno spirito; la prova è stata terribile, ma il resultato ne [p. 157 modifica]sarà glorioso. Se l’inimico continua i suoi assalti, siate forte nel respingerli; esso ha potuto più volte liberarsi dalla prigionia e dal rogo, che per lui già ardeva; gli rimane da esser vinto da un avversario il più debole; un cuore cioè divenuto vittima di una passione infelice. Egli ha percorsa la terra per andare in traccia di vittime da divorare, e non ha potuto rinvenir la preda neppure ne’ luoghi, ove si lusingava trovarne. Sia per voi un soggetto di gioia e di gloria questo, che nella vostra debolezza avete potuto riportar la vittoria sopra di esse mercè l’aiuto di quel potere, dal quale sarà annientato quello di lui.


Chi è cotesta donna, che estenuata dalle sciagure sostiene a stento un malato più estenuato di lei, anzi sembra lei medesima aver bisogno di chi la sostenga? Ella è Eleonora, che da braccio a Giovanni. La serata è malinconica ed oscura; il vento di autunno sibila fra le piante; mormora il ruscello, che scorre al loro [p. 158 modifica]fianco e del quale torbide sono le acque; le foglie secche crepitano sotto i loro passi. Ad un tratto il malato indica per mezzo di un cenno di volersi assidere. La sua fedele compagna lo conduce verso un tronco e si pone a lato di lui. Egli appoggia il capo sul seno di lei, ed ella sente con una sorpresa il pianto scendere dagli occhi del suo compagno; era questa la prima volta, che egli ciò facesse dopo tanti anni. Ei le stringe affettuosamente la mano, e questo movimento sembra indicare in lui il ritorno della sua ragione. Ella lo guarda piena di una speranza, che non può esprimere. Egli alza lentamente il capo e fissa lo sguardo sopra di lei. Dio possente e consolatore! lo sguardo di lui è quello di una creatura ragionevole. Egli con un’occhiata deliziosa la ringrazia di tutte le cure di lei, de’ lunghi e penosi travagli dell’amore. Apre egli la bocca, ma labbra hanno perduta l’abitudine di pronunciare le parole. Fa uno sforzo penoso, lo ripete di nuovo.... non può riuscirvi. Le forze gli mancano; i [p. 159 modifica]suoi occhi si chiudono; il suo ultimo sospiro viene esalato nel seno della fedeltà e dell’amore; e pochi giorni appresso Eleonora disse a quelli, che attorniavano il suo letto, che moriva contenta, perchè egli l’aveva riconosciuta.