Memorie di famiglia (Guicciardini)

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Francesco Guicciardini

Roberto Palmarocchi Indice:Guicciardini, Francesco – Scritti autobiografici e rari, 1936 – BEIC 1843787.djvu storia Memorie di famiglia (Guicciardini) Intestazione 16 gennaio 2021 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Scritti autobiografici e rari
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I

MEMORIE DI FAMIGLIA

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L’avere notizia de’ maggiori suoi e massime quando e’ sono stati valenti, buoni ed onorati cittadini, non può essere se non utile a’ descendenti, perché è uno stimulo continuo di portarsi in modo che le laude loro non abbino a essere suo vituperio; e per questo rispetto io ho disposto fare qualche memoria delle qualitá de’ progenitori nostri, non tanto per ricordo mio, quanto etiam per coloro che hanno a venire; e faccendolo non per pompa ma per utilitá, dirò la veritá delle cose che mi sono venute a notizia, etiam de’ difetti ed errori loro, acciò che chi leggerá s’accenda non solo a imitare le virtú che hanno avute, ma etiam a sapere fuggire e’ vizi. Holle ritratte con gran fatica e diligenzia, non tanto per cose che io abbi udite quanto per ricordi e molto piú per lettere loro, le quali mi sono state specchio a conoscere non solo le cose fatte da loro, ma etiam le qualitá ed e’ costumi loro. E perché qui dirò la veritá, prego e’ discendenti nostri a chi le verranno alle mani, non le mostri a alcuno fuora di casa, ma serbile per sé e sua utilitá, perché io l’ho scritte solamente a quello fine, come quello che desidero due cose al mondo piú che alcuna altra: l’una la esaltazione perpetua di questa cittá e della libertá sua; l’altra la gloria di casa nostra, non solo vivendo io, ma in perpetuo. A Dio piaccia conservare e accrescere l’una e l’altra.


Io non ho notizia certa, con tutto n’abbi ricerco assai, donde abbi avuto origine la famiglia nostra, ma truovo ebbe el priorato circa al milletrecento, circa a otto anni poi che fu [p. 4 modifica]cominciato quello magistrato; ed e’ primi di casa che avessino questa dignitá furono Simone e Lione, e’ quali etiam furono gonfalonieri di giustizia. Non ho notizia delle qualitá loro, e stettesi la casa nostra poi buon tempo, cioè circa a ottanta anni, in grado mediocre di ricchezze e di stato, e come volgarmente si dice, buoni popolani. Di poi è cresciuta in modo, prima di ricchezze e poi di stato, che è stata sempre, massime per stato, ed ancora oggi è delle prime famiglie della cittá; ed ha avuti abondantissimamente tutti li onori e gradi della cittá, ed insino a oggi quindici volte el gonfaloniere della giustizia, che a Firenze non è se non cinque case l’abbino avuto piú volte. E questo basti in genere della casa. Dirò ora in particulare di alcuno uomo, cioè di quelli che sono stati in piú qualitá e grado.


Messer Piero, da chi siamo discesi noi, fu cavaliere, ma non ho notizia da chi fussi fatto e per che conto; fu ricco uomo e curò le faccende che aveva in Toscana messer Niccola Acciaiuoli gran siniscalco del reame, ed attese per lui alla muraglia di Certosa; e parmi facile a credere, considerati gli altri portamenti sua, che vi arricchissi drento, perché e’ fu quasi manifesto usurario ed infame. Fu gonfaloniere di giustizia una volta, e per altro ebbe poco stato. Ebbe un solo figliuolo maschio, chiamato Luigi, del quale subito si dirá.


Messer Luigi, unico figliuolo di messer Piero, morto el padre, per paura che el corpo suo non fussi staggito a petizione del vescovo come di usuraio, ebbe a convenirsi con detto vescovo ed a tassarsi degli incerti, e così a restituire a quegli certi a chi messer Piero avea prestato a usura. È vero che non restituí le somme intere, ma una certa parte, secondo che si convenne con loro; e fu consigliato da frate Luigi Marsili frate di Santo Augustino, che era grandissimo teologo, che questa satisfazione gli bastava etiam in foro conscientiae; e di questo ne fece particularmente un lungo ricordo a uno suo libro di sua mano, al quale io mi rimetto. Fu di poi [p. 5 modifica]uomo ricchissimo, e forse così ricco come uomo che fussi allora nella cittá. Nello stato ebbe molte degnitá e fu piú volte imbasciadore di fuora, ed al Papa, ed a Giovan Galeazzo duca di Milano, ed a Lodovico duca d’Angiò, quando passò in Italia per la impresa di Napoli contro al re Carlo. Ebbe ancora degli uffici di fuora, benché io non so particolarmente el numero, ma fra gli altri fu vicario di San Miniato, el quale uficio esercitò con tanta grazia e benivolenzia de’ sudditi, che alla partita gli feciono onori grandissimi e nuovi, e fecionlo dipignere al naturale in una loro sala, benché el suo successore per invidia la fece loro scancellare.

Fu gonfaloniere di giustizia tre volte, e la prima volta trovò la cittá in gran tumulto, perché el popolo, a tempo di Salvestro de’ Medici suo antecessore, aveva arse e saccheggiate le case a molti de’ primi uomini della cittá; ed attendendo egli a quietare queste turbazione, el popolo minuto ed e’ Ciompi, dubitando che tranquillata la cittá non fussino castigati de’ furti ed incendi avevano fatti, e stimolati ancora dagli otto della guerra, che erano inimici degli ottimati ed avevano gran credito col popolo, e da Salvestro de’ Medici ed alcuni altri cittadini che andavano alla medesima via, feciono una certa congiurazione; la quale sendo venuta a notizia de’ signori, ed avendo fatti sostenere alcuni di loro da chi intesono el trattato e di poi Salvestro, la moltitudine si levò ed arse la casa del gonfaloniere e di molti altri cittadini; di poi prese per forza el palagio del podestá, ed in ultimo, entrata nel palagio de’ signori, gli cacciò di palagio, cassògli del magistrato ed in luogo loro elesse altri. Ed in questo tumulto el gonfaloniere Luigi fu fatto cavaliere da loro, e poi confinato a Poppiano in villa sua, sì che in uno tempo di dua o tre dì gli fu da’ medesimi uomini arsa la casa, toltogli el magistrato, cacciato della cittá, e fatto cavaliere.

Tutti coloro che hanno scritto questo movimento dánno carico grande alla signoria e massime al gonfaloniere per esserne capo, e biasimangli come uomini vili e dapochi, che non dovevano mai abandonare el palagio. Io non intendo [p. 6 modifica]ora giustificare particularmente questa accusa, ma la conclusione è che ogni uomo savio non arebbe fatto altrimenti; perché avevano la moltitudine inimica e gli otto della guerra, e’ quali gli tradirono; erano abbandonati da’ collegi e da’ buoni cittadini, in modo che quel partito fu necessario, e furonne ancora confortati e pregati da’ collegi per minore male. Perché e’ non è dubio, se avessino voluto fare resistenzia, ne sarebbono usciti in ogni modo con qualche detrimento loro grande di morte o di altro, e con piú danno della cittá, perché la moltitudine si mitigò alquanto vedendogli cedere in qualche cosa. Ma la veritá è bene questa, che e’ meritano di essere biasimati in due cose: l’una, che non punirono rigidamente, o per misericordia o per poco animo, quegli che avevono sostenuti e spezialmente messer Salvestro, il che se avessino fatto, sarebbe suto facile cosa che la moltitudine, spaventata e vedutasi tôrre e’ capi, si fussi quietata; l’altra, che quando ebbono notizia di quello che apparecchiavano e’ Ciompi, non feciono e’ rimedi potevono, e di levare su e’ cittadini che gli arebbono favoriti, che tutti poi stettono fermi, e di fare venire fanterie di fuora, che era loro facile. Ma fidoronsi degli otto e raportoronsi a’ preparamenti loro, e’ quali quasi tutti avevano caro ed erano quasi autori di questo movimento e gli tradirono; sí che el gonfaloniere non merita di essere biasimato di avere a ultimo abandonato el palagio, perché questa deliberazione fu necessaria e di meno danno alla cittá che se violentemente ne fussi stato cavato e morto. Ma bene può essere caricato di essergli mancato l’animo o vero abondato la misericordia, che è spezie di dapocaggine, a punire e’ tristi, e cosí d’avere avuta troppa fede in chi non doveva. Tornò poi da’ confini presto perché si mutò lo stato della cittá, e fu, come è detto, onorato cittadino. Benché fussi fatto cavaliere da’ Ciompi, non ritenne el titolo; ma preselo poi, credo per una legge generale che si fece, che qualunque era stato fatto cavaliere da’ Ciompi e volessi ritenersi la cavalleria, dovessi essere fatto da uno Esecutore.

Ebbe sempre gravezze grandissime, ed una delle maggiore [p. 7 modifica]brighe o forse la maggiore che gli avessi, fu ripararsi da quelle. Morì circa al 1400, e morì essendo de’ dieci di balìa per la guerra che si fece con Giovan Galeazzo Visconti duca di Milano. Morì con gran dolore del populo; perché dubitando el populo come è sua usanza, che parecchi cittadini potenti per qualche loro particulare affezione non mantenessino la guerra, quando fu fatto de’ dieci promisse al popolo che in questo magistrato gli accerterebbe se la pace si potessi avere o no; di che la morte sua dispiacque assai, benché alcuni cittadini ne facessino gran festa. Ed in luogo suo fu eletto allo uficio de’ dieci Niccolò suo primo figliuolo.

Morì sendo di anni..... e lasciò tre figliuoli: Niccolò, Piero e Giovanni che fu poi cavaliere, de’ quali Niccolò morì giovane. La moglie sua ebbe nome madonna Gostanza e fu degli Strozzi. Secondo posso ritrarre, fu uomo che ebbe un poco la lingua lunga, e dovette essere di poco animo; e non credo anche fussi el piú savio cittadino del mondo, ma dovette essere ordinario uomo, massime nelle cose dello stato. Può bene essere che nelle mercatantie fussi valente, e gli effetti lo dimostrorno; perché quando el padre morì ebbe a restituire tanto che non gli avanzò molta roba, e nondimeno fu poi ricchissimo; e la ricchezza e lo essere uomo di buona natura e di buona casa e credo liberale, gli dettono riputazione anche nello stato.


Piero1, secondo figliuolo di messer Luigi, fu da giovane ed innanzi morissi el padre, sviato e disubidiente; in modo [p. 8 modifica]che messer Luigi aveva fatto fermo giudicio avessi a fare cattiva riuscita; intanto che sendogli rubati certi arienti e cose di valuta in casa, insino a tanto non ritrovò chi era stato, tenne sempre per certo fussi stato Piero suo figliuolo; e di questa sua opinione del furto e del giudicio faceva in universale della riuscita avessi a fare Piero, ne fece ricordo a uno suo libro, di che di sopra è fatto menzione, e nondimeno, come di sotto si dirá, la riuscita sua fu ottima. Il che dimostra che e’ trascorsi de’ giovani sono fallaci, e non procedono sempre da mancamento di cervello ma da uno certo fervore di etá, el quale raffreddandosi cogli anni, non sono punto peggio di quegli che in gioventú sono stati moderati.

Andò di poi in compagnia di certi imbasciadori contro alla voluntá di messer Luigi, e sendo assaliti per la via dalla compagnia di messer Otto Buonterzo da Parma, fu preso lui solo per la fama della ricchezza del padre, e gli altri lasciati [p. 9 modifica]a loro viaggio. Fugli posta una taglia grande, la quale non si pagando perché a messer Luigi pareva troppa somma, e massime sendovi ito a suo dispetto, e sperava forse che col tempo sarebbono contenti a minore quantitá, accadde che messer Luigi amalò e morì; e nella infermitá sua non ricordava altro che Piero, e ordinò fussi riscosso; e così fu di poi che si pagò di taglia ducati tremila, e’ quali credo andassino a conto di tutta la ereditá di messer Luigi per suo ordine, non a conto proprio di Piero; pure questo non so certo.

Tornato a Firenze, in spazio di qualche anno fallì; e secondo ritraggo, ne fu piú tosto cagione la negligenzia sua che altra avversitá improvisa gli sopravenissi, perché era uomo magnifico e di grande animo, e non rivedeva e’ conti sua, ma lasciavasi governare da altri, e però ebbe quello fine che suole communemente avere chi non vede e’ fatti sua da se medesimo. Nondimeno le avversitá feciono conoscere la natura sua generosa e da bene, perché nello accordo fece co’ creditori volle pagare soldi venti per lira, ma ebbe solo grazia di tempo, e così a’ tempi convenutosi satisfece la intera somma, vendendo de’ sua beni. Ho inteso ancora ed è vero, che volle vendere la casa sua di Firenze, che era quella che fu poi di messer Luigi e di messer Rinieri; e perché la stava per sodo di dota della donna sua che era de’ Buondelmonti, come di sotto si dirá, non si poteva vendere sanza licenzia di lei; e sendo giá rimasto d’accordo col comperatore e menatolo in casa sua con un notaio per rogare el contratto e pigliare la licenzia della moglie, lei non volle mai dire sì, anzi cacciò di casa el notaio e chi comperava, e lui veduta la ostinazione della donna, e forse piaciutagli quella animositá, ebbe pazienzia.

La natura sua fu di uomo da bene, magnifico e generoso, e continuamente e da giovane e da vecchio tenne sempre pratica con grandi maestri e stretta familiaritá; come furono tutti questi signori di Romagna, el duca di Urbino, el signore di Camerino, el marchese Niccolò da Ferrara e Lionello suo figliuolo, Niccolò Piccinino, Niccolò Fortebracci, el conte Francesco Sforza; e sopra tutti col signore Braccio del Montone, di chi fu familiarissimo. [p. 10 modifica]

Nelle cose dello stato ebbe grandi onori e grande autoritá, e degli uffici del territorio nostro, fu capitano di Volterra, di Arezzo, di Castracaro, podestá di Prato, vicario di Lari, capitano di cittadella di Pisa, che durava tre mesi ed accettavasi per ogni uomo di autoritá. Nel principio della guerra che mosse Filippo duca di Milano a’ fiorentini, andò imbasciadore al signor Braccio, che era a campo alla Aquila, per ridurlo in Toscana, sendo le obbligazioni aveva co’ fiorentini di venire in loro aiuto con certo numero di gente quando e’ fussino molestati; e cosí gli promisse di venire, benché poi non ebbe effetto, per essere detto signore rotto e morto dalle genti della Chiesa e della reina e dagli aquilani. Sendo di poi state rotte le genti nostre a Zagonara in Romagna, e nelle avversitá nostre sendosi accordato con noi Guidantonio Manfredi signore di Faenza, e sendo volta lá la furia della guerra, vi fu mandato commessario per difesa di quello stato insieme con Averardo de’ Medici, e stettevi piú mesi, insino a tanto che el forte della guerra si transferí verso el Borgo a San Sepolcro ed Anghiari. Di poi nel..... fu mandato imbasciadore a Sigismondo re di Ungheria e di Boemia ed imperadore, insieme con Luca di messer Maso degli Albizzi; el quale sendo ammalato per la via e però tornandosi a Firenze, lui solo esequí la legazione.

La causa di questa imbasceria fu perché, sendo la cittá in lega co’ viniziani ed insieme in guerra col duca Filippo, si pretendeva che Sigismondo, sendo amico del duca ed inimico de’ viniziani per causa della Dalmazia ed altre terre apartenenti allo imperio occupate da loro, voleva passare in Italia a’ favori del duca e contro alla Lega, e per questo a Piero fu commesso molte cose in carico del duca, e che trattassi la concordia fra lo imperadore e viniziani. Stettevi piú d’uno anno e finalmente non si conchiuse nulla.

Di poi nel 1430 fu mandato imbasciadore a Vinegia, in compagnia di Bernardo Guadagni e di Nerone di Nigi, per cagione che molte cose occorrevano trattarsi rispetto alla guerra che durava col duca di Milano; e perché ancora la [p. 11 modifica]lega fra noi e viniziani finiva, la quale si rinnovò per piú tempo, stettevi stanziale forse uno anno.

Passando di poi lo imperadore Sigismondo in Italia in favore del duca e per pigliare la corona, e sendo venuto a Lucca, e sendosi la cittá ristretta col papa a tenere che le sue genti non potessino passare piú innanzi, fu mandato commessario nel campo; e di poi sendo lo imperadore passato a Siena e dando qualche intenzione volersi accordare colla cittá con condizioni oneste, vi fu mandato imbasciadore, prima solo, e di poi vi tornò in compagnia di Agnolo di Filippo Pandolfini; stettevi pochi dí e sanza conclusione. Fu ancora intorno a questi tempi mandato commessario a Volterra, per essere Niccolò Piccinino e le genti del duca in quelle bande.

Successe di poi la novitá del 1433, quando fu cacciato Cosimo de’ Medici; ed a lui, per essersi poco innanzi congiunto con Cosimo e fatto parentado seco, sarebbe forse stato fatto villania, se non che messer Giovanni suo fratello e che era colla parte contraria a Cosimo, lo difese ed aiutollo; e sendo in quello anno tratto podestá di Pontasieve, accettò per levarsi di Firenze, dove oltre a non avere faccenda era sospetto ed esoso allo stato che reggeva. Attese in quello tempo insieme con piú altri, de’ quali furono e’ capi Neri di Gino, che era suo amicissimo, ed Alamanno Salviati e Luca di messer Maso, a praticare di rimettere Cosimo, e tanto operorno che l’anno sequente la signoria lo rimesse; e sollevandosi la parte avversa, lui insieme co’ sopranominati riprese le arme.

Ebbe poi nella cittá grandissima autoritá, e doppo Cosimo e Neri di Gino fu el primo uomo della cittá, e truovo molte lettere di usciti che raccomandavono, e di altri che avevono a fare colla cittá, diritte a Cosimo, Neri e lui; e come messer Giovanni suo fratello aveva difeso lui, cosí lui non gli lasciò fare male alcuno, né di confini né di essere ammunito, con tutto che non solo e’ capi di quella parte, ma etiam quasi tutti gli attinenti furono mandati via.

Andò di poi nel 1437 imbasciadore e commessario a Reggio al conte Francesco Sforza, che vi era andato a instanzia [p. 12 modifica]de’ viniziani, acciò che el duca, insospettito di Parma, revocassi le gente sue di Bergamasco che premevano e’ viniziani; e perché si era veduto che questa andata non aveva fatto frutto, e dubitavasi che e’ viniziani non l’avessino procurata piú tosto perché noi non avessimo Lucca che per altro respetto, e però la cittá desiderava che el conte tornassi a campo a Lucca, e per detta cagione vi fu mandato Piero. E perché e’ viniziani non si contentavano che e’ ritornassi in Toscana, andò insino a Vinegia per persuader loro: e non vi si faccendo frutto alcuno, finalmente tornato al conte, operò tanto che lo condusse in Toscana contro alla voluntá de’ viniziani.

Di poi nel 1440, sendo Niccolò Piccinino a campo a Castel San Niccolò in Casentino, e trattandosi di soccorrere el castello, vi fu mandato insieme con Neri di Gino a vedere el modo; e’ quali si risolverono essere cosa troppo pericolosa e da non farla in modo alcuno. Di poi sendo stato rotto Niccolò Piccinino dalle genti del papa e nostre, e rivoltandosi lo esercito in Romagna, vi fu mandato commessario, e riebbe Portico, Doadola e San Casciano, ed insieme col legato del papa andò a ricuperare le terre della Chiesa.

Poco di poi strignendosi le cose in Lombardia fra la lega ed el duca2, essendo a rincontro el conte e Niccolò Piccinino, e parendo dovere seguire presto vittoria di una delle parte, fu mandato lá commessario, dove in brievi amalò, e morí in Martiningo castello del Bresciano nell’anno 1441. Oltre agli onori detti di sopra e la autoritá grande ebbe nella cittá, [p. 13 modifica]massime dal 34 al 41, fu tre volte gonfaloniere di giustizia: una innanzi al 34 e dua poi, e molte volte de’ dieci di balia.

Fu uomo di animo grande ed ancora manesco, che eziandio vecchio adirandosi arebbe dato delle busse a chi si adirava seco; benché credo tal cosa fussi secondo la natura della cittá, che allotta era piú fiera che non è oggi, che è corrotta da mille delicatezze e lascivie feminile, non da uomini. Fu netto ne’ casi della roba, e vedesene lo effetto, che benché fussi in stato e riputazione grande morì povero, che non lasciò quello valessi fiorini cinquemila. Fu eziandio vecchio lussurioso e feminacciolo forte, e truovo lettere assai che quando era fuora e massime nel 37 che era vecchio, scriveva alla dama dirizzandole a un suo di casa, chiamato lo Spagnuolo.

Ebbe per donna prima una figliuola di messer Donato Acciaiuoli, che allora era el primo cittadino di Firenze, di quale non ebbe figliuoli e non so se la menassi; ebbe poi una figliuola di Bartolomeo Valori, uomo molto riputato, e non ebbe figliuoli; ebbe di poi una figliuola di messer Andrea Buondelmonti chiamata Agnola, della quale ebbe tre figliuoli maschi: Luigi, Niccolò ed Iacopo, e tre femine: una fu moglie di Niccolò Corbinelli per nome Maddalena, una di Antonio de’ Ricci chiamata Laudomina, un’altra chiamata Gostanza fu donna di Francesco di Giuliano di Averardo de’ Medici, el quale morì sanza figliuoli pochi mesi poi che l’ebbe menata; di poi fu moglie di Daniello degli Alberti, del quale ebbe figliuoli, e rimanendo vedova si maritò a messer Donato Cecchi, del quale ebbe figliuoli e stette poi molto tempo vedova. Tutti e’ figliuoli di Piero furono bellissimi, e lui fu uomo bello, grande e gagliardo, e morì di etá di anni.....

Messer Giovanni3 fu el minore figliuolo di messer Luigi, e per quanto ritraggo fu uomo baldanzoso e sanza rispetto, [p. 14 modifica]e diceva si liberamente male quasi di ognuno, che per detta cagione fu avuto in odio da molti. Ebbe molte degnitá nella cittá e fu de’ dieci di balia, ed andò commessario in Lombardia colle genti della lega contro al duca di Milano, e quivi per non so che vittoria ebbono, fu fatto cavaliere; e credo lo facessi volentieri, perché sendo emulazione fra lui e Piero, che ognuno desiderava essere el primo nelle cose dello stato, e sendo Piero di piú etá, lo volle avanzare col grado. Andò di poi nella guerra di Lucca commessario a Lucca; e non succedendo le cose bene, furono constretti a ritirarsi col campo; di che dicendosi, come è costume del popolo, nella cittá molto male di loro, uno Migliore di Giunta passaggiere a Santa Gonda, a stanza di Nerone di Nigi e della parte di Cosimo, venne a Firenze dicendo che da Santa Gonda era passato uno mulo carico di grossoni che erano di messer Giovanni Guicciardini, che gli aveva avuti da’ lucchesi perché si discostassi col campo. Di che sparlandosene in Firenze molto publicamente, messer Giovanni, per sentirsi innocente, non potendo sopportare tale infamia, venne alla signoria e pregolla volessi ritrovare la veritá di questa cosa; e quando pur lei per altre occupazioni non vi potessi attendere, fussi contenta commetterla al capitano, che era un figliuolo di messer Ruggieri da Perugia; e così fu commesso. Di che Averardo de’ Medici venne a Cosimo, ed incitollo a volere attendere alla ruina di messer Giovanni, dicendo che non era uomo a Firenze piú baldanzoso né piú per opporsi a ogni loro impresa; e per questo Cosimo parlò di notte al capitano e feciongli scrivere da’ Baglioni di Perugia incitandolo contro a messer Giovanni. La cosa durò molti giorni, perché el capitano desiderava servire Cosimo, e nondimeno male si poteva procedere contro a messer Giovanni per [p. 15 modifica]essere pure innocente ed uomo di qualitá; e finalmente sendosi messer Giovanni rapresentato in prigione e statovi parecchi dí, fu di poi licenziato, e cosí si posò la cosa non con molto onore di messer Giovanni: perché sendo innocente, a purgare la fama sua si richiedeva che si punissino quegli che gli avevono data tale infamia, e certificassisi ognuno della innocenzia sua.

Seguí di poi la novitá del 33, che fu confinato Cosimo, Lorenzo ed Averardo de’ Medici, e messer Agnolo Acciaiuoli; e lui, sendo della parte contro a Cosimo, fece riguardare Piero suo fratello che era della altra parte. Di poi nel 34 sendo tornato Cosimo, fu per opera di Piero conservato sanza pregiudicio alcuno; nondimeno rimase sospetto allo stato e non adoperato piú in nulla; e cosí durando quello stato sarebbe sempre stato, ma morí poi in capo circa di uno anno. La donna sua fu degli Albizzi, ed èbbene molti figliuoli maschi, cioè Michele, Francesco, Gabriello, Luigi, e piú femine, le quali tutte maritò in case del 33, e che pel 34 furono mandati in esilio, come Bischeri, Peruzzi, Guadagni. Fu poco aventurato de’ maschi, perché alcuno ne impazzò, cioè Luigi, e gli altri furono di poco cervello.


Luigi, primo figliuolo di Piero, che fu poi messer Luigi e cavaliere, nacque nel 1407; ebbe moltissimi onori e dignitá e nella cittá e nel territorio nostro ed eziandio fuora delle nostre iurisdizione. E prima, vivente el padre, sendo ancora giovane, fu podestá di Fermo a dí..... eletto dal conte Francesco allora signore della Marca; ne’ quali uffici andò piú tosto per guadagnare che per onore, perché el padre sendo povero si ingegnava mantenersi a questo modo. Ebbe nel contado nostro molti ufici e fu consolo del mare e capitano di cittadella di Pisa, capitano di Volterra, vicario di Vico Pisano, vicario di San Miniato, vicario di Pescia, capitano della montagna di Pistoia, vicario di San Giovanni, vicario di Poppi dua volte, e dua volte vicario di Certaldo, capitano del Borgo a San Sepolcro e capitano di Arezzo, vicario di [p. 16 modifica]Scarperia4. Pochi anni poi la morte del padre andò imbasciadore a Milano al duca Filippo, cioè nel 1444, dove stette poche settimane, e di poi nella Marca al conte Francesco che faceva allora guerra con papa Eugenio e col re Alfonso. Andò di poi nel 47 imbasciadore al doge di Genova, che era allora messer Giano da Campo Fregoso, perché si era inteso [p. 17 modifica]che detto doge si era collegato a offesa nostra col re Alfonso nostro inimico, e fu la commessione sua in sustanzia in ricordargli la amicizia che la casa sua aveva sempre avuta colla cittá nostra; ed e converso la continua inimicizia del re di Ragona contro alla cittá, casa e stato suo, e confortarlo a non volere essere in favore degli inimici contro agli amici. Trovò detto doge molto bene disposto a questi effetti; e gli [p. 18 modifica]promesse che in qualunque convenzione facessi col re Alfonso, non si obligherebbe mai a offendere e’ fiorentini, perché con loro intendeva conservarsi in amicizia.

Tornato poi a Firenze fu mandato commessario a Pisa a guardia di quella cittá per e’ sospetti s’avevano per e’ movimenti del re Alfonso. Stettevi parecchi mesi; e di poi lo anno seguente, sendo el re a campo a Piombino, e sendosi rubellata a noi gran parte della Maremma di Volterra, ed attendendo le genti nostre a recuperarla, che vi era capi messer Gismondo da Rimino e messer Federigo conte di Urbino e commessario Neri di Gino Capponi, vi fu mandato commessario in luogo di Neri che volle partire, e poco poi vi fu ancora mandato Luca di messer Maso degli Albizzi; ed avendo recuperato Bolgheri, Guardistallo e Monteverdi ed alcuni altri luoghi, ed attendendo a ordinare lo esercito per levare el re da campo a Piombino, el re impaurito non gli aspettò ed andossene verso e’ paesi sua. Di che sendo finite le fazione, di quello anno tornò a Firenze.

Successe di poi che l’anno sequente 1450 el conte Francesco prese Milano, con favore ancora de’ fiorentini e massime di Cosimo de’ Medici, e volendosi uno podestá fiorentino di chi si potessi fidare, e massime quando accadessi avessi a stare fuora di Milano per la guerra dubitava avere co’ viniziani, scrisse a Cosimo gli mandassi uno sufficiente; el quale vi mandò Luigi, e stettevi tre anni, cioè insino al 1453, con grandissima satisfazione del duca, el quale molto male volentieri gli dette licenzia, perché voleva vi stessi durante la guerra aveva co’ viniziani.

Tornò a Firenze el giugno 1453 e fu mandato el novembre commissario insieme con Luca di messer Maso a rassettare le gente nostre che erano in quello di Arezzo, e ricondurle alla volta di Pisa. Di poi el marzo sequente andò imbasciadore al signor messer Sigismondo di Rimino a ricondurlo ed accordarlo colla cittá nostra; e cosí seguí lo effetto. Di poi fu mandato commessario in quello di Arezzo a dare el guasto a Foiano; fu etiam..... gonfaloniere di giustizia. E di poi sendo [p. 19 modifica]seguito pace e lega tra viniziani da una parte e duca Francesco e fiorentini dall’altra, e perché a Napoli si trattava col re Alfonso che lui ratificassi quella lega e pace, e facessisi una pace e lega universale per tutta Italia; e perché si intendeva che e’ viniziani licenziavano da’ soldi loro el conte Iacopo Piccinino, e dubitavasi che o per ordine de’ viniziani o da sé non riscompigliassi un’altra volta Italia non ancora bene posata; e perché quando si cominciò la guerra e’ viniziani avevano fatta proibizione che e’ panni nostri non potessino andare a Vinegia, e si desiderava per la cittá che tale proibizione si levassi, però a cercare questi effetti fu mandato in detto 1454 Luigi imbasciadore a Vinegia. Dove stette tanto che si conchiuse quello si trattava a Napoli, e che el conte Iacopo usci de’ terreni loro, che non vollono mai disporsi a ritenerlo rispetto alla spesa e disagio grande dava loro; e della proibizione de’ panni non si fece nulla.

Fu di poi nel 57 gonfaloniere di giustizia una altra volta, e trovò la cittá in grande alterazione per le discordie drento e disunione de’ cittadini per le cose dello stato, che erano tanto multiplicate, che gli amici di Cosimo pareva loro di essere in pericolo di qualche novitá; ed eziandio per essere necessario di trovare nuovo modo di gravezza che non si poteva anche fare sanza alterazione del popolo. E sendo tratto lui gonfaloniere, la intenzione degli amici di Cosimo era, parendo loro avere un gonfaloniere a proposito, volersi assicurare delle cose di drento e percuotere gli avversari loro; e lui ancora era di questa medesima volontá e molto bene disposto a darvi drento; e perché Cosimo era a Cafaggiuolo colle gotte, ne scrisse a lui offerendosi a questi effetti, e richiedendolo del parere suo. A Cosimo non parve tempo per piú rispetti, e massime perché le cose di fuora non erano molto quiete, e la cittá stava in timore del re Alfonso; e del medesimo parere fu Neri che si trovava infermo a Pistoia, dove pochi di poi morí: e per questi rispetti el gonfaloniere non eseguí questi disegni.

Successe nell’anno sequente 1458 la morte di papa Calisto, ed in suo luogo fu eletto papa Pio, e Luigi fu mandato [p. 20 modifica]in compagnia di piú altri imbasciadore a fargli la ubidienzia; e perché don Ferrando figliuolo di re Alfonso, morto el padre, si era nuovamente fatto re, fu commesso a messer Agnolo Acciaiuoli, che etiam era del numero di detti imbasciadori, ed a lui, che fatte le visitazioni di Roma andassino a Napoli a visitare el re Ferrando, e rallegrarsi seco ed offerirgli le cose della cittá.

Seguí nello anno 1464 la morte di Pio, ed in suo luogo fu eletto Paulo, alla creazione di chi fu mandato oratore con piú altri a dargli la ubidienzia; ed avendo fatto el papa loro grandissima raccoglienza, fece del numero di detti imbasciadori cavalieri in San Giovanni Laterano, la mattina di san Salvadore, Tommaso Soderini e lui, e pochi di poi messer Otto Niccolini. E perché a messer Tommaso fu commesso rimanessi a Roma, messer Otto e lui entrorno in uno medesimo di in Firenze colle cerimonie, onori e doni consueti. E pochi mesi poi fu mandato oratore a Napoli, dove stette poco tempo, e credo fussi piú tosto legazione di cerimonia che di sustanza.

Successe lo anno sequente 1465 la morte del duca Francesco, e perché si dubitava, per essere gli Sforzeschi nuovi in quello stato, e Galeazzo figliuolo del duca molto giovane, e per la vicinitá de’ viniziani, che quegli popoli non facessino qualche movimento, il che sarebbe dispiaciuto sommamente alla cittá per la amicizia, coniunzione ed interessi aveva con quello stato, e volendo favorire Galeazzo e dargli quella riputazione si poteva, vi fu diputati imbasciadori, messer Bernarno Giugni e lui a condolersi della morte del duca, ed a offerire largamente tutte le forze della cittá e tutto quello che cadessi a beneficio di quello stato. E perché gli aveva a andare vicario di Certaldo, si vinse per provvisione che Giovanni di Niccolò Guicciardini suo cugino pigliassi ed esercitassi lo uficio per lui insino a tanto che tornassi. Quando furono giunti a Milano e fatte le prime cerimonie, sendo suto fatto loro onore grandissimo, e ritrovandosi quello stato in grande disordine di danari ed in sospetto di guerra, massime de’ viniziani, furono richiesti gli imbasciadori scrivessino a Firenze e richiedessino per parte di quegli signori, essere [p. 21 modifica]serviti di danari in presto, pigliando quegli assegnamenti volessino in sulle entrate loro. A Firenze se ne fece pratica, e fu dato loro commissione promettessino ducati quarantamila; il che sendo seguito e sollecitandosi poi lo annoverargli, si levò su messer Luca Pitti, messer Agnolo Acciaiuoli e messer Dietisalvi di Nerone, e per tôrre la riputazione a Piero di Cosimo, operorno tanto che detta promessa non ebbe effetto, biasimando molto gli imbasciadori che l’avevano fatta. Di che seguí vergogna grande alla cittá ed in particulare agli oratori, e’ quali avendo aspettato piú settimane questo messia e non venendo, giustificata la cittá el meglio potettono, si tornorono a Firenze. E messer Luigi di quivi andò a finire el suo uficio di Certaldo; dove sendo, venne la novitá del 1466, e lui, sendo le cose sollevate, innanzi la parte di Piero di Cosimo avessi vittoria, venne a Legnaia con fanteria in favore di Piero e poi venne in Firenze al parlamento.

Venne lo anno seguente el movimento di Bartolommeo da Bergamo, che si intendeva farsi occultamente per opera de’ viniziani; e che lo intento loro era per acconciare le cose di Italia a loro proposito, percuotere prima o lo stato di Milano quale riputavano debole avendo un signore nuovo e giovane e non vi sendo piú la riputazione del duca Francesco, overo fare forza di rimettere in Firenze Dietisalvi, messer Agnolo e Niccolò Soderini. La quale impresa era sollecitata assai da’ detti usciti, ed etiam pareva facile, riputandosi che la cittá fussi alterata per la novitá fatta e vi fussi molti male contenti. E per questi sospetti sendosi fatta una nuova lega a difesa degli stati fra re Ferrando, stato di Milano e fiorentini, e fatta sovvenzione di danari allo stato di Milano, perché mettessino in ordine le loro gente di arme che erano numero assai, ed intendendosi el movimento di Bartolommeo andare innanzi ed ogni dí crescere, e le difese dal canto della lega farsi fredde, fu deputato oratore a Milano per riscaldare que’ signori alla difesa commune, e sollecitare e’ provedimenti disegnati. La quale legazione esequí molto bene, perché el duca Galeazzo, non solo messe a ordine quelle genti aveva [p. 22 modifica]promesso, e ne mandò duemila cavalli a Parma perché fussino presti quando accadessi, a ogni requisizione de’ fiorentini, ma eziandio, quando intese Bartolommeo avere passato Po ed adirizzarsi verso Romagna, lo sequitò coll’altre genti e si congiunse in Romagna col signore Federigo di Urbino capitano della lega; ed a messer Luigi fu commesso rimanessi in campo commessario. Dove stato qualche settimana, chiese con grande instanzia licenzia, ed ottenutola se ne venne a Firenze; e credo ne fussi cagione perché dubitassi el campo non avessi qualche sinistro, e massime rispetto a’ portamenti del duca Galeazzo, quale era giovane e portavasi come giovane.

Sendo di poi succeduto el fatto d’arme alla Mulinella, e la furiosa ritornata del duca verso Milano con gran dispiacere ed alterazione di tutta la lega, e stando e’ bolognesi molto male contenti, vi fu mandato messer Luigi a confortargli ed a tenergli fermi a’ favori della lega, e secondo la commessione sua vi stette pochi dí, e lasciògli molto male disposti.

L’anno sequente 1468 fu mandato imbasciadore a Siena a dolersi che davano ricetto agli usciti nostri, che era cagione di suscitare materia di qualche scandolo, ed a confortargli volessino bene vicinare, e stettevi pochi dí.

Successe lo anno 1469 in Italia novitá, e questo è che sendo Ruberto signore di Rimino condotto a’ soldi della lega, cioè re, duca e fiorentini, e loro avendogli promessa la protezione del suo stato, e questo sendo sommamente dispiaciuto a papa Paolo che del continuo cercava insignorirsi di quella cittá, e dubitandosi che col favore de’ viniziani non mandassi le genti sue a campo a Rimino, come di poi fece; fu mandato messer Luigi a Milano per intendersi con quello signore alle difese di Rimino, ed a pensare modo che quando gli avversari si movessino, avessino a difendersi in casa loro, non a infestare quelle di altri. Fu veduto da quel signore molto allegramente, e volle fussi suo compare al primogenito che gli nacque, non in nome di oratore, ma come messer Luigi, e trovando poi quel signore circa agli effetti perché vi era stato mandato, in opinione diversa colla cittá, e freddo alla [p. 23 modifica]difesa di Rimino, e molto piú a volere muovere nuova guerra, non satisfece punto in questa legazione, e non parve fussi vivo in mostrare al duca la opinione della cittá, e mantenere sanza rispetto l’onore di quella. Potette esserne piú cagione: o perché conoscessi che sendo quel signore di natura sdegnoso, lo eseguire le commissione in quel modo gli era commesso, fussi per fare piú danno che frutto, o pure perché si ingegnassi di farsi quel signore benevolo per avere da lui qualche beneficio per un suo figliuolo non legittimo, prete; come ebbe di poi l’anno sequente subito fu tornato a Firenze, che gli détte una badia in Cremona, di entrata di trecento ducati o meglio. Insomma e’ tornò a Firenze con nome di essere affezionato al duca, e cosí era con effetto. Ed in quegli tempi medesimi, pe’ dispareri nascevano in queste cose del papa, si fece in Firenze una dieta, che vi furono gli imbasciadori del re e del duca, dove lui molto favorí la parte del duca; il che intendendo il re dal suo imbasciadore, cominciò a volergli male; e poco di poi sendo lo imperadore Federigo a Ferrara che tornava da Roma per sua boti, e cercando el duca Galeazzo ottenere da lui la investitura del ducato, e richiedendo el favore della cittá, vi fu mandato a Ferrara imbasciadore messer Luigi per aiutare questa materia, la quale non ebbe effetto.

Sendo poi a San Miniato vicario, e sendo la cittá nelle pratiche fra re e duca, e sendosi deliberata a Napoli allo imbasciadore una lettera di natura che esequendosi, la cittá si congiugneva col re e spiccavasi dalla amicizia di Milano, sopragiunse messer Luigi innanzi che la lettera fussi andata, e tanto operò che la si revocò e non andò. Messer Tommaso Soderini era allora di piú autoritá che alcuno dello stato, ed aveva insino allora, doppo la morte di Piero di Cosimo, governato Lorenzo; ma allora Lorenzo, non piacendogli questa sua grandezza, cominciò a ristrignersi piú con messer Luigi, e lui lo favori forte, in modo che nel 1470 si affaticò piú che altro cittadino per la grandezza e sicurtá di Lorenzo, e tanto che si ristrinse per cinque anni el modo di creare gli accopiatori. Il che détte a Lorenzo una riputazione grandissima, [p. 24 modifica]e credo che messer Luigi, vedendo urtare messer Tommaso, si pensassi avere a disporre assai di Lorenzo; il che non gli venne fatto, rispetto a essere Lorenzo uomo che volle e seppe governarsi da sé. Sendo di poi pacificate per qualche tempo le cose di Italia, fu gonfaloniere el marzo 1472, e perché la cittá era in quiete ed el magistrato con poche faccende, attese a fare legge nuove e rinnovare le antiche apartenente a’ costumi, come circa alle pompe di nozze e mortori, circa agli ornamenti delle donne ed uomini, circa a’ giuochi e cose simili.

Sendo di poi di nuovo perturbate le cose di Italia, ed el re Ferrando ristrettosi con papa Sisto e di qui seguitata una lega fra viniziani, Milano e fiorentini, e parendo necessario per le cose che tuttodí si agitavano apartenenti ed alla difesa della fede per la guerra faceva el turco a’ viniziani ed altri cristiani, ed alla difesa di questa lega particulare, tenere a Vinegia uno imbasciadore di autoritá, vi fu mandato l’anno 1474 messer Luigi, che allora era vicario di Poppi, e stettevi piú di uno anno, ed in questa legazione satisfece molto alla cittá. Ed a Vinegia fu onorato grandissimamente e tanto piacque, che quando intesono cercava licenzia, scrissono a Firenze pregando ve lo sopratenessino ancora qualche tempo, il che non si fece, perché messer Luigi sentendolo, fece ogni instanzia di tornare, acciò che a Firenze non si credessi che questo scrivere de’ viniziani fussi stato procurato da lui.

Di poi lo anno 1476 sendo stato morto in Milano el duca Galeazzo, e desiderandosi a Firenze in ogni modo che quello stato rimanessi ne’ figliuoli, vi fu mandato subito imbasciadori messer Tommaso Soderini e messer Luigi, non solo per dare riputazione a Madonna ed al figliuolo, ma etiam per trovarsi con messer Cecco e col signore Ruberto da Sanseverino al governo e consiglio delle cose occorrevano. Stettevi messer Luigi tre mesi, e partissi rimanendovi messer Tommaso, perché vi aveva a rimanere un solo; ed ognuno sarebbe volentieri stato quello per el guadagno grande vi si faceva, che oltre al salario ordinario, avevono cento ducati di provisione el mese per uno da Madonna, ma rimasevi messer [p. 25 modifica]Tommaso perché era di piú autoritá e piú savio. Di poi poco, avendo Ercole duca di Ferrara tolto per donna madonna Elionora figliuola del re Ferrando, e celebrandosi le nozze, parve vi si dovessi mandare legazione che fussi almeno uno uomo di autoritá massime per rispetto del re; e però vi fu mandato messer Luigi insieme con Pandolfo Rucellai.

Seguitò lo anno 1478 la novitá di Firenze per conto de’ Pazzi, colla morte di Giuliano de’ Medici e la ferita di Lorenzo, e però subito messer Luigi fu fatto de’ signori nuovi per favore di Lorenzo se nuovo caso accadessi. E di poi lo anno medesimo venendo el duca di Calavria insieme col duca di Urbino collo esercito del papa e re a assaltarci, fu mandato messer Luigi commessario generale per difesa delle cose nostre al Poggio, dove innanzi era stato mandato Iacopo suo fratello, e quivi stettono tutt’a dua quella state; cosa accaduta in questa cittá rare volte e forse non mai, che in uno esercito di quella natura fussi commessari generali solo dua fratelli. E perché e’ non avevono gente di qualitá da stare a petto a’ nimici, el duca prese ciò che e’ campeggiò e massime la Castellina; di che a Firenze benché a torto ma secondo el costume de’ popoli, si détte grande carico a chi aveva el governo del campo.

L’anno seguente poi 1479, continuandosi questa guerra e la cittá trovandosi tuttavia al disotto, massime per essere quasi abbandonata da’ collegati, perché Milano, sendovi rientrato a governo con favore del re el signore Lodovico Sforza ed el signore Ruberto da Sanseverino, si stava a vedere, ed e’ viniziani benché aiutassino pure procedevano freddamente; e sendo rotte le genti nostre al Poggio Imperiale, e poi gli inimici andati a campo a Colle e quasi espugnatolo, si fece risoluzione a Firenze che se la guerra durava lo anno seguente, non avendo la cittá altro soccorso, era necessario cedere a quello volessino gli inimici. E però bisognava o pigliare ora la pace da loro come si poteva e con disavvantaggio, o veramente vedere di avere tali sussidi che fussino potenti non solo a difendere le cose nostre, ma a cacciar gli inimici de’ [p. 26 modifica]terreni nostri e divertire la guerra in sul loro; perché e’ si giudicava el paese nostro essere tanto offeso ed indebolito dagli inimici ed etiam da’ soldati nostri, che se la guerra vi si continuava piú, era andare a una perdita manifesta. E conoscendosi che questi aiuti bisognava si facessino da’ viniziani, e che loro pigliassino la impresa e la difesa nostra e della lega in altro modo non avevono fatto pel passato; però per intendere l’ultimo della loro intenzione e narrare loro tutte queste cose e chiarirsi che fondamento si poteva fare in loro, vi fu mandato imbasciadore messer Luigi; el quale subito andato via ed esposto la commissione, e trovato e’ viniziani molto freddi a questi effetti, ne détte aviso alla cittá, e molto piú largamente a Lorenzo, confortandolo, poi che di quivi non si poteva sperare, a volere pigliare la pace come si poteva, e che egli era meglio perdere un dito solo che insieme tutta la mano. E però Lorenzo quasi disperato della difesa andò a Napoli a gittarsi nelle braccia del re; e messer Luigi sapendo essere mal voluto dal re, perché a tempo del duca Galeazzo aveva sempre tirato a’ favori sua, e di poi morto lui a’ favori de’ viniziani, entrò in gran sospetto che tra l’altre condizioni della pace el re non volessi si cavassi di Firenze messer Tommaso e lui, ed alcuni altri cittadini che erano iti alla via medesima. Fatta la pace tornò a Firenze, ed in compagnia del vescovo di Volterra, Piero Mellini, Maso degli Albizzi, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer Piero Minerbetti, messer Guidantonio Vespucci, Iacopo Lanfredini, Domenico Pandolfini, Gino Capponi ed altri, fu mandato a chiedere la assoluzione delle censure e perdono del papa.

Di poi l’anno 1483 fu mandato insieme con Francesco Dini commessario a pigliare la tenuta di Colle ed altri luoghi che el re ci restituí. E di poi l’anno 1484 andò imbasciadore a Urbino a capitolare con quel signore a’ soldi di Milano, re e noi; che fu la ultima legazione e commessione avessi dalla cittá, che per essere vecchio non fu piú adoperato; e di poi lo anno 1487 sendo vicario di Scarperia morí in Firenze, sendo di etá d’anni ottanta. [p. 27 modifica]

Fu uomo animoso e di buono cervello ma un poco furioso e volonteroso nelle cose sue, che fu causa di fargli pigliare molte imprese di che riuscí con poco onore. Nelle cose dello stato fu partigiano de’ Medici, e per loro si sarebbe assai adoperato, massime innanzi agli ultimi tempi ne’ quali non si tenne molto bene contento di Lorenzo. Circa alla conscienzia fu netto ne’ fatti della roba di altri, e veddesene lo effetto che benché avessi quattro moglie, non avessi figliuoli legittimi, avessi lo stato grande ed assai fattorie che erano di piú utile che oggi, e godessi etiam molti anni le entrate del figliuolo prete, nondimeno lasciò poche sustanzie. Circa allo stato arebbe per sua grandezza fatto ogni cosa: fu uomo molto liberale e magnifico; fu molto servente e tanto che n’aveva gran carico, perché gli aiutava e raccomandava a’ magistrati sanza distinzione o de’ casi o delle persone. Fu uomo di corpo bello, statura grande e bianco, e gentile aria, e di complessione molto robusta, che si vedde ed in tutta la vita che fu sanissimo, e nella morte, che benché fussi di ottanta anni morí con grandissima fatica e passione come se fussi giovane. Fu libidinosissimo etiam vecchio circa le femine, e sarebbesi posto a scherzare colle sue fante, ed a motteggiare etiam per la via con qualche vile donna avessi riscontro, sanza rispetto alcuno o della etá o della degnitá sua.

Ebbe tanti onori quanti poteva avere uno cittadino, perché oltre alle commesserie, legazioni ed uffici di fuora, e lo essere stato tre volte gonfaloniere di giustizia, fu etiam tre volte de’ signori, de’ dieci infinite volte, accopiatore molte volte, di tutte le balie si feciono a suo tempo, e nello 80 fu de’ trenta che ebbono a riformare lo stato, e fuvi ancora Iacopo suo fratello. Ebbe amicizie con molti gran maestri e massime col duca Galeazzo, e prima col duca Francesco, col quale ebbe anche familiaritá assai. Fu etiam grande amico del conte Iacopo Piccinino, ritenendo la amicizia con lui che era stata fra Niccolò Piccinino e Piero di messer Luigi loro padri. Ebbe lungo tempo strettissima dimestichezza con Federigo duca di Urbino, ed insieme spesso si scrivevano; ma di poi per [p. 28 modifica]essersi el duca in tutto dato al re Ferrando, e messer Luigi sendo in Firenze di contraria via al re, ed el re avendolo per inimico, el duca etiam gli cominciò a volere male. Cominciò negli ultimi tempi a cercare la amicizia del re, e solo per avere da lui un vescovado per messer Rinieri suo figliuolo; ma sendo giá molto vecchio e dependendo allora le cose della cittá piú da Lorenzo solo, che non avevono fatto prima né da lui né da Piero né da Cosimo, el re non fece quel conto di lui che arebbe fatto altra volta.

Ebbe quattro moglie, delle quali la prima chiamata Cosa fu de’ Peruzzi; la seconda chiamata Pippa fu figliuola di Nofri Parenti; la terza chiamata Nanna fu figliuola di Giovanni Vespucci; la quarta chiamata Lodovica fu de’ Venturi, e questa solo si maritò a lui che aveva giá piú di 75 anni sendo vedova, che era stata prima donna di Bartolommeo da Verrazzano. Non ebbe figliuoli di nessuna, se non della seconda, che n’ebbe tre figliuole femmine: la prima, Cosa per nome, maritò a Piero di Gino Capponi, la seconda per nome Agnola maritò con poca ventura a Piero di Andrea Velluti, la terza per nome Bianca maritò a Filippo di Filippo di messer Luca Pitti contra a sua voglia; ma fecelo per importunitá di messer Luca che era allora grande, ed a instanzia di Piero di Cosimo, che per satisfare a messer Luca ne lo strinse assai. Non ebbe figliuoli maschi se non un non legittimo chiamato Rinieri, che fu poi doppo la morte sua vescovo di Cortona. Ebbelo sendo a Pisa consolo del mare, di una schiava di Bindo Galletti cittadino pisano, ed a lui quando morí lasciò tutta la sua roba.


Iacopo di Piero Guicciardini5 nacque nel 1422, e sendo di etá sedici anni tolse per donna Guglielmetta figliuola di [p. 29 modifica]Francesco de Nerli, allora piccola fanciulla, con dota di fiorini 3500 di suggello, che erono allora come di grossi o poco meno; e benché la ventura della dota fussi grande, rispetto alle poche facoltá gli avevano a rimanere del padre, nondimeno non fu minore anzi molto maggiore per la qualitá della fanciulla, che non solo ebbe compiutamente tutte quelle parte si aspettano a una donna, e di forma che fu piú che mediocre [p. 30 modifica]e di governo di casa in che fu eccellente, ma ancora ebbe ottimo ingegno e giudicio in quelle cose che si aspettano agli uomini. Lei sapeva giucare commodamente a scacchi e sbaraglino; leggere benissimo; non era sì forte ragione di abaco, che datogli un poco di tempo, non avessi fatta, non colle regole ordinarie della aritmetica e che si insegnono per le scuole, ma col cervello suo. Ebbe buona notizia delle cose dello stato, e tale che molti uomini che vi sono drento adoperati non hanno forse tanta, e volentieri parlava ed udiva parlare di tutte quelle cose che sono proprio ragionamento da uomini; ebbevi accompagnata la bontá in modo che visse e morì santamente. E se alle parte sopradette si fussi aggiunto uno animo conveniente, sarebbe stata da ogni banda eccellentissima; ma la fu piú timida ancora che non si aspetta a una donna. Honne voluto fare menzione, perché rispetto a queste virtú io sono affezionatissimo alla memoria sua; amá’la assai mentre era in vita, sendo io ancora fanciullo, perché la morì nel 98, e piú la amo così morta, perché la etá mi fa piú gustare le sue virtú.

Sendo Iacopo di etá di anni diciannove, morì Piero suo padre a Martiningo, e lui che era seco stette in pericolo gravissimo di morte, che ebbe una malattia grande. Toccògli di patrimonio fiorini 1500, ma messe in su una bottega l’avanzo della sua dota e cominciò a fare capitale con quella, perché allora gli esercizi guadagnavano molto bene. Attese mentre fu giovane a darsi bel tempo, e sendo bellissimo e liberale e di buona natura era universalmente molto amato. Giostrò due o tre volte ed ebbe l’onore una volta, che era gagliardissimo. Nelle cose dello stato ebbe molti onori e degnitá; e sendo di ventiquattro o venticinque anni fu eletto podestá a Fermo, che vi era allora signore el conte Francesco; ma disegnando poi menare la donna, si fece prolungare el tempo della andata, e non ho notizia se alla fine vi andassi. Fu nel territorio nostro capitano di Pisa, di Arezzo e del Borgo a San Sipolcro; vicario di Anghiari, di Certaldo e San Giovanni; ebbe molte legazioni e commesserie. E prima l’anno 1465, andandone a [p. 31 modifica]marito madonna Ipolita figliuola del duca Francesco a Alfonso duca di Calavria che fu poi re di Napoli, e trovandosi a Napoli per la cittá nostra oratore Pandolfo di messer Giannozzo Pandolfini, e parendo si convenissi trovarsi dua oratori a tanta festa, vi fu mandato Iacopo, el quale solo esegui la commessione e fece le altre cerimonie, perché el dí che egli entrò in Napoli, Pandolfo amalò. Fatte le nozze, tornò a Firenze e di quivi ne andò vicario a Anghiari, el quale uficio finito, sendo divisa la cittá fra la parte di Piero di Cosimo e messer Luca Pitti, favorí Piero molto gagliardamente e sanza alcuno rispetto.

Di poi lo anno seguente intendendosi che messer Dietisalvi e gli altri usciti sollecitavano ed a Venezia ed a Bartolommeo da Bergamo si facessi qualche impresa, furono eletti imbasciadori a Vinegia per intendere la mente de’ viniziani, e se erano in animo di conservare la pace, messer Tommaso Soderini ed Iacopo; con commessione che parlato prima a Ferrara col duca Borso, degli andamenti del quale si dubitava, ed espediti delle commessione di Vinegia, se ne andassino a Milano e communicassino a quel signore quello avessino ritratto da Vinegia; e quando paressi dubbio di guerra nuova, mostrogli quel pericolo essere commune, intendessino lo animo suo circa provedimenti communi. Furono a Ferrara col duca Borso, el quale con tutti e’ modi seppe, si ingegnò loro persuadere non solo essere dispostissimo a conservare la pace di Italia, ma desiderare sommamente essere amico della cittá. Seguitorono el cammino a Vinegia, dove le parole furono buone ma generali, e veddono quella signoria non volere venire a alcuno particolare pel quale potessino avere sicurtá di futura pace. Parlorono ancora con messer Dietisalvi che era lá molto stimato, el quale andò loro a dolersi di Piero e di messer Luca e chiedere gli fossino mutati e’ confini; ed in effetto parve loro che la intenzione sua fussi non ubbidire a’ confini assegnatigli. Feciono giudicio per queste cose che lo animo de’ viniziani fussi male disposto e che Bartolommeo da Bergamo fussi per fare nuova impresa, nonostante che le parole di quella signoria fussino in contrario, e cosí le dimostrazioni che feciono loro [p. 32 modifica]in Vinegia, e per tutte le loro terre uno onore supremo. Vennonne a Milano, ed esaminato lo animo di quel signore che era bonissimo, e le sue forze e le gente di arme, raportorono a Firenze; di modo si fece convenzione seco sovvenirlo di certa quantitá di danari, e lui fussi obligato mandare a’ soccorsi nostri come nostri soldati almeno duemila cavalli.

Venendone poi l’anno 1467 Bartolommeo da Bergamo in Romagna, e mandando el re Ferrando per li oblighi della lega gente di arme in soccorso de’ fiorentini, di che era capo don Alonso, Iacopo, sendo capitano di Arezzo, fu mandato commessario a condurre queste gente in Romagna e congiugnerle con lo esercito della lega.

L’anno poi 1468, sendo morta madonna Bianca madre del duca Galeazzo, fu mandato Iacopo oratore a Milano a dolersi con quel signore, ed insieme ebbe commessione vedere di comporre certe differenzie erono in Lunigiana fra sudditi nostri e sua. Giunto in Milano e volendo andare a visitare quel signore, vestito di pagonazzo come era in commessione, perché non pareva conveniente avere a vestire di nero per la morte di una donna, ed intendendo come el duca ne faceva pazzie, gli parve per minore male vestire di nero. Stettevi pochi dí, perché trovò el duca molto renitente a volere comporre le cose di Lunigiana.

L’anno 1469 fu gonfaloniere di giustizia, e di poi sendo intorbidate le cose di Italia per la impresa fece papa Paulo ed e’ viniziani contro a Ruberto Malatesti signore di Arimino, e preparandosi el re Ferrando, duca Galeazzo e noi, secondo gli oblighi della lega avevano insieme alla difesa di quello signore, parve che ciascuna di queste tre potenzie dovessi mandare oratori a Roma a fare intendere al papa, come loro erano desiderosi conservare la pace di Italia, e che per questo rispetto pochi mesi innanzi, come sapeva Sua Santitá, avevano tolto a soldo el signore Ruberto e promessogli la protezione del suo stato, perché non lo faccendo vedevano quella cittá andare in mano de’ viniziani, che sarebbe stato cagione mettere in fuoco tutta Italia; ed ora per osservare la fede erano necessitati [p. 33 modifica]a difenderlo; e però pregare Sua Santitá volessi levare le offese da quello signore, altrimenti protestargli farebbono la difesa con ogni modo a loro possibile, eziando di offendere chi offendeva lui. Deputò la cittá messer Otto Niccolini e lui, e’ quali vi andorno insieme cogli altri della lega, ed appiccandosi qualche pratica di pace vi stettono piú mesi; e di poi sendo morto Piero di Cosimo, Iacopo se ne tornò a Firenze, lasciato messer Otto a Roma.

Successe in fine di quello anno la rinnovazione della lega fra re Ferrando, duca e noi, e per questo rispetto, per rallegrarsi ed essere quivi per le cose occorrevano, furono deputati imbasciadori a Napoli Iacopo e Pier Francesco de’ Medici, e perché Iacopo aveva a entrare capitano di Pisa, si mise per provvisione la sua entrata si differissi mesi sei; e sendo stati pochi di a Napoli dove furono visti molto volentieri, e trattandosi a Roma di fare una lega generale fra tutti e’ potentati di Italia per potere poi difendere e’ paesi de’ cristiani contro al turco, e trovandosi per questa cagione messer Otto a Roma, gli fu dato in compagnia Pier Francesco de’ Medici, ed Iacopo rimase solo a Napoli. Ma pochi dí poi seguí la morte di messer Otto, e però fu comandato a Iacopo che n’andassi a Roma per espedire quella commessione; e fu la andata sua molto grata al duca, perché rispetto alla amicizia aveva con lui e molto piú con messer Luigi, si persuase avervi imbasciadore a suo proposito. Fu ancora gratissimo al re che desiderava sommamente si conchiudessi questa lega, e lui nelle cose si ebbono a maneggiare si seppe portare in modo che si conservò la amicizia dell’uno e l’altro insino al dí della partita sua.

Ebbe questa pratica molte difficultá, perché questi della lega non avevano commessione di conchiudere la lega generale se non con riservazione della lega particulare, e questo in fatto dispiaceva al papa sommamente, ma simulava e nondimeno metteva difficultá ne’ modi del riservarla. Durò questa pratica parecchi mesi: e finalmente risolvendosi e’ viniziani a conchiuderla in ogni modo perché era el bisogno loro per la guerra [p. 34 modifica]aveano col turco, e speranza che faccendosi questa lega, e’ potentati di Italia fussino per concorrere a qualche provisione, el papa etiam fu constretto a entrarvi drento; e cosí si conchiuse una lega generale di tutta Italia, riservata la particulare fra re, duca e fiorentini. Ma sendo in segreto el duca malcontento di questa conclusione, nacque che nel distendere le scritture gli oratori sua vollono vi s’aggiugnessi alcuna parola che non vi aveva a essere; di che venutone contenzione, el duca non volle ratificare la lega. Iacopo la ratificò per nome de’ sua signori, ed avendosi poi a soscrivere le scritture che si erano estese, sanza le parole vi volevano gli oratori ducali, ed Iacopo avendo fatto intendere a Firenze gli fussi scritto dalla signoria quello avessi a fare, la intenzione di Lorenzo e degli altri dello stato era, per compiacere al duca, che queste scritture non si soscrivessino; e nondimeno non ne parlavano nelle pratiche per fuggire carico col popolo che si era sommamente rallegrato della conclusione della lega, ma facevano che la signoria non rispondeva nulla a Iacopo circa alla parte del soscrivere, e loro privatamente, e massime messer Luigi, lo avisavano le lasciassi sospese. La intenzione di Iacopo era altrimenti, e scrisse largamente che si soscriverebbe a ogni modo, se giá la signoria non gli scrivessi espressamente el contrario; pure finalmente tirato dalle loro spesse lettere, alla partita aveva a fare di Roma, per essere a tempo entrare a Pisa, avendo licenzia dalla signoria, partí e non si soscrisse; di che in Firenze ebbe carico, in modo stette parecchi mesi a vincere gli stanziamenti, e credo ne dispiacessi assai al re. Venne in quegli giorni el duca a Firenze, e partendosi fece la via da Pisa, dove Iacopo stette con lui parecchi ore, e confortollo assai a volere dare effetto a questa lega. El duca lo vedde molto volentieri e carezzollo assai, benché circa alla lega si rimanessi nella opinione sua.

Successe lo anno 1472 la ribellione di Volterra che détte che pensare assai alla cittá, e però risolvendosi a fare impresa gagliardissima, fu mandato messer Bongianni Gianfigliazzi a Urbino pel duca, che aveva a essere capitano di questa [p. 35 modifica]impresa, ed Iacopo fu mandato in quello di Volterra a assettare le nostre gente, recuperare el contado ed ordinare quello che fussi necessario allo accamparsi. El quale riebbe tutto el contado innanzi che el duca giugnessi, e di poi rimase commessario in campo insieme con messer Bongianni insino a tanto che si ebbe la vittoria e presesi la terra.

L’anno 1476, sendosi poco innanzi fatto lega fra viniziani, duca di Milano e noi, e però sendo la cittá congiunta collo stato di Milano, oltre gli antichi interessi ed amicizia, con questo vinculo nuovo, e tenendovisi di continuo uno imbasciadore, e sendo diventata quella imbasceria di piú importanza per e’ sospetti aveva quello stato di Luigi re di Francia e di Carlo duca di Borgogna, vi fu mandato imbasciadore Iacopo, el quale vi stette circa a otto mesi e fu molto grato e bene veduto dal signore, ed alla cittá non potette piú satisfare in questa legazione. Tornò a Firenze di settembre, ed el marzo sequente fu creato gonfaloniere di giustizia, ed in questo suo uficio fece la legge sopra e’ testamenti, che fu fatta contro a’ Pazzi a instanzia di Lorenzo de’ Medici e dello stato, benché contra alla sua voluntá; e lui molto la dissuase, non solo per essere amicissimo di messer Iacopo de’ Pazzi, ma perché gli parve la cosa in sé disonesta, e un seme da generare scandolo come poi fu.

Andò poi l’anno 1478 insieme con messer Antonio Ridolfi commessario a Fivizzano a pigliare la possessione di quegli luoghi venuti nuovamente sotto la iurisdizione nostra; dove non stettono molto, e sollecitorno spedire quello avevono a fare per ritornarsene presto a Firenze, rispetto alla novitá seguita per conto de’ Pazzi. El medesimo anno venendo a’ danni nostri lo esercito ecclesiastico e regio guidato dal duca di Calavria e di Urbino, Iacopo fu mandato in campo commessario; e poco poi gli fu aggiunto per compagno messer Luigi suo fratello, e quivi stettono quella state con poco successo, perché non sendo tanti potessino stare alla campagna contro gli inimici, loro presono Rencine, Radda, Brolio e Cacchiano e la Castellina, di che fu piú romore. E di poi in fine della [p. 36 modifica]state sendo gli inimici accampati a Monte a San Sovino, e deliberandosi per la importanza del luogo dargli soccorso, tornandosene messer Luigi a Firenze, Iacopo vi fu mandato colle genti, ed accozzossi con messer Bongianni che vi era andato prima per difesa del paese. Stettonvi molti dí ed in vari pareri circa al modo del soccorso ed e’ luoghi dove dovessino alloggiare; feciono una triegua cogli inimici per parecchi dí, e finalmente quello luogo si dette agli inimici. E benché el capitano duca di Ferrara ed e’ commessari n’avessino gran carico in Firenze, pure la veritá fu che quegli uomini si potevano tenere un pezzo, e dettonsi per tristizia.

L’anno seguente 1479, sendo venuto all’improviso el signore Ruberto da Sanseverivo insino in sulle porte di Pisa ed alloggiato in val di Serchio, Iacopo fu mandato subito a Pisa, dove poi sopraveune el duca di Ferrara nostro capitano, ed in compagnia sua messer Bongianni. Dove sendo stati alcuni dí, ed espedito quella parte di guerra felicemente perché cacciorono gli inimici, el duca e messer Bongianni se ne andorono al Poggio Imperiale nel campo si faceva dalla banda di Siena, ed Iacopo andò in val di Chiana nel campo si disegnava contro a Perugia, dove aveva a intervenire el signore Ruberto Malatesta nostro capitano, ed el signore Carlo da Montone soldato de’ viniziani, nel quale si faceva grande fondamento per essere fuoruscito di Perugia, ed avervi pure drento amici assai e credito grande rispetto alla memoria del padre e la riputazione sua. Venne el signore Ruberto, e conte Carlo si morí; e nondimeno seguirono nella impresa faccendo scorrerie e pigliando luoghi di poco momento, perché come volevono sforzare un luogo grosso, ne veniva el duca di Calavria in aiuto, el quale avendo uno esercito piú gagliardo che non era alcuno de’ nostri dua da per sé, si era alloggiato in un luogo in mezzo fra Perugia e Siena, e come uno de’ dua eserciti si moveva, subito si gli volgeva contro, in modo che era forzato a ritrarsi; e però Iacopo con parere etiam del signore Ruberto ne scrisse a Firenze, confortando a volere unire insieme questi dua eserciti, che sarebbono stati piú forti che [p. 37 modifica]quello del duca, il che non piacque. Di poi venendo in aiuto di quella banda el signor Matteo da Capua con forse trentacinque squadre di ecclesiastici, feciono in quello di Perugia fatti di arme insieme, ed in effetto e’ nostri furono superiori ed ebbono una bellissima vittoria; di che sendo e’ perugini indeboliti ed in pratica stretta di pigliare qualche accordo, il che arebbe avuto effetto fra due o tre giorni che dava la vittoria di tutta la guerra, seguí la rotta dello altro esercito al Poggio Imperiale, benché Iacopo avendo sentore vi tenevano trattato, avessi prima per due o tre lettere dato aviso a Firenze vi provedessino. Udita questa nuova, che l’ebbono quasi alle porte di Perugia, subito sanza aspettare aviso da’ dieci, s’aviorono verso Arezzo per venirne presto colle genti verso Firenze; e per la via ebbono lettere da’ dieci che facessino el medesimo, e per loro ordine ne vennono a San Casciano, dove si unirono colle reliquie dello esercito rotto; e di poi sendo e’ nimici andati a campo a Colle di Valdelsa, Iacopo chiesta licenzia ed ottenutala se ne ritornò a Firenze.

Seguitò la andata di Lorenzo de’ Medici a Napoli, e perché gli era lá a discrezione del re, ed era opinione di molti non avessi mai piú a tornare, el popolo cominciò forte a mormorare dello stato presente, e molti uomini da bene mal contenti a destarsi e parlare di fare mutazione; a che Iacopo, avendo oltra alla riputazione, grazia grande cogli uomini da bene, si oppose sempre forte, in modo che per uno uomo solo mantenne forse lo stato a Lorenzo piú che alcuno altro cittadino. Fatta la pace, per riformare lo stato che era scosso, si détte la balia a trenta uomini, dove non intervenne piú che uno per casa; eccetto e’ Ridolfi che vi fu messer Antonio e Tommaso di Luigi, e noi che ne fu messer Luigi ed Iacopo, che fu ancora allora creato degli otto della pratica, che fu la prima volta si feciono.

Successe poi nello 148[2] la guerra de’ viniziani contro a Ferrara, nella quale era loro collegato papa Sisto; e sendosi accordati alla difesa di Ferrara, Napoli Milano e noi, ed avendo e’ fiorentini rimesso in Cittá di Castello messer Niccolò Vitelli, [p. 38 modifica]e sendo stata tolta dagli ecclesiastici in Romagna la bastia di Saturano, parve si dovessi attendere a recuperarla ed etiam di fare qualche impresa contro a Imola e Rimino, per potere poi piú espeditamente volgersi alla difesa di Ferrara; fu mandato Iacopo commessario in Romagna per questi effetti. Dove non si potette colorire alcuno disegno, perché el conte Girolamo che era in terra di Roma, ne venne colle gente della Chiesa a soccorso del paese. Lo anno medesimo, faccendosi per questi principi collegati, co’ quali si aggiunse ancora el pontefice, una dieta a Cremona per consultare in che modi e con che forze si avessi a difendere Ferrara ed offendere e’ viniziani, vi fu mandato Iacopo imbasciadore per la cittá. E di poi sendosi transferiti a Ferrara l’anno sequente el cardinale di Mantova legato del papa, ed el duca di Calavria, Iacopo vi fu mandato con titolo di imbasciadore e commessario; e di poi andando loro in Lombardia per rompere guerra a’ viniziani dalla banda dello stato di Milano, Iacopo se ne tornò a Firenze; e benché molto fussi pregato dal duca e cardinale volessi andare con loro in campo, ed e’ dieci l’avessino caro, e lui lo desiderassi assai non tanto per compiacere a quegli signori, quanto per trovarsi in questa espedizione quale riputava dovessi essere bellissima, nondimeno lo recusò per sentirsi male a una gamba.

L’altro anno, vegghiando continuamente la guerra in Lombardia, e sendo superiore le gente della lega, Iacopo vi fu diputato a stare apresso al duca di Calavria come imbasciadore, e trovarsi alle deliberazione della guerra come commessario generale delle nostre gente, ed ebbe comandamento fare la via di Lunigiana, e quando gli paressi che la impresa di Serezzana fussi per riuscire colle genti che vi erano, porvisi a campo; quando non gli paressi da ottenerla, dare il guasto, ed espedito di queste fazione andarsene in Lombardia alla sua principale commessione. Venne in Lunigiana e non gli parendo potere colle genti che vi erano ottenere Serezzana, se ne andò in Lombardia, dove quello anno si acquistò Asola ed alcune terre de’ viniziani; e stettevi tanto che le genti d’arme andorono alle stanze. Di poi tornato a Firenze ritornò a Milano [p. 39 modifica]per pochi di a una altra dieta vi si fece per consultare questa guerra commune.

Sendo di poi fatta la pace universale di tutta Italia, nella quale fu fra gli altri uno capitolo che a’ fiorentini fussi lecito fare la impresa di Serezzana, e che eziandio potessino pigliare qualunque terra o luogo proibissi loro questo acquisto; e disegnandosi fare la impresa e porvi campo, vi fu mandato Iacopo commessario generale. E perché la impresa era difficile per essere molto discosto a’ luoghi nostri, ed avere in mezzo Pietrasanta, terra de’ genovesi, gli fu dato commessione che vedessi pigliare qualche occasione per la quale, lasciata Serezzana, si potessi giustamente porre el campo a Pietrasanta; e però lui fece un di passare certi muli carichi di vettovaglie per la volta di Serezzana, e messevi a guardia Pagolo del Borgo nostro connestabole con parecchi fanti; di che e’ pietrasantesi usciti fuora presono e’ muli e svaligiorono e’ fanti. E per questo Iacopo partitosi da Serezzanello dove aveva lasciate le gente, ne venne subito a campo a Pietrasanta, ed avendo piantate le bombarde e stretta molta la terra, e’ genovesi vi messono drento gran numero di fanti, e molti ne raccozzorno ne’ luoghi vicini; in modo che sendo el campo ridotto in gran pericolo, furono per migliore partito costretti levare el campo. Ma a Firenze si deliberò seguitare la impresa, ed ingrossato lo esercito di fanterie che n’aveva prima mancamento, e mandatovi nuovi danari e commessari, insieme con Iacopo, messer Bongianni ed Antonio di Puccio, e sendosi di nuovo accampati alla terra e strettola in modo non poteva avere piú soccorso, e vedevasi di necessitá s’aveva a dare fra pochi di, Iacopo ammalò gravemente e funne portato a Pisa, dove sendo, s’ebbe Pietrasanta; ed el medesimo, innanzi s’avessi, avenne a messer Bongianni ed Antonio di Puccio, e’ quali sendo portati a Pisa amendua fra pochi di morirono. Iacopo ebbe male molti dí, ma pure finalmente guarí. Sendo di poi e’ genovesi venuti a campo a Livorno e di poi partitisi, e disegnandosi con una armata e con favore di loro fuorusciti fare qualche insulto allo stato di Genova, furono mandati a Pisa [p. 40 modifica]commessari a ordinare queste cose Iacopo e Pier Filippo Pandolfini; le quali poi non ebbono effetto per non si potere bene valere delle galee ed armata disegnata.

Seguitò l’anno 1485 la guerra de’ baroni e di poi di papa Innocenzio contro al re Ferrando, e per lo stato di Milano e fiorentini si prese la difesa secondo e’ capitoli della lega; e perché da Milano, che era allora a governo del signore Lodovico, venivano e’ provedimenti molto tardi, in modo che la impresa si ridusse piú volte in gran pericolo, vi fu mandato imbasciadore a sollecitargli Iacopo, el quale con le ragioni vive che occorrevano riscaldò ed importunò in modo, che finalmente ne uscirono e’ soccorsi pronti e gagliardi, di che finalmente risultò una onorevolissima pace, ed Iacopo ne satisfece assai al re e duca di Calavria ed alla cittá mirabilmente. Fatta la pace, tornò a Firenze e sendo entrato vicario di Certaldo ebbe comandamento subito andarne a Pisa, e quivi ordinate le genti transferirsi al soccorso di Serezzanello, dove e’ genovesi erano a campo e molto l’avevano stretto. Partissi da Pisa colle nostre genti, che ne era capitano el conte di Pitigliano, ed appiccornosi col campo inimico, e ruppongli molto onorevolmente; e di poi ordinandosi andare a campo a Serezzana, Iacopo sendo stracco per la etá e ricordandosi del male aveva avuto a Pietrasanta, benché giudicassi la impresa riuscibile, chiese licenzia la quale non ottenne; anzi ebbe comandamento andarne alla espedizione di Serezzana, dove etiam fu deputato commessario in compagnia sua Piero Vettori. Presonla onorevolmente.

L’anno seguente per qualche movimento de’ genovesi fu mandato commessario a Pisa lui e Bernardo del Nero; e di poi l’anno 1489, andandone a marito madonna Isabella figliuola del duca di Calavria, che era maritata a Giovan Galeazzo duca di Milano, ed avendo a uscire di nave a Livorno, parve, rispetto alla congiunzione s’aveva coll’uno stato e l’altro, doverseli fare onore grandissimo, e però furono mandati a onorarla Iacopo Guicciardini, Pier Filippo Pandolfini, e Pagolantonio Soderini. Questa fu la ultima commessione avessi, perché poco poi amalò di una infermitá che durò qualche mese e male [p. 41 modifica]cognosciuta da’ medici, perché aveva guasto drento el petto; e finalmente a di 18 dì maggio 1490 passò dalla presente vita con tanto buono intelletto e tanta divozione e buona disposizione che non si potrebbe desiderare piú. Parlò insino allo ultimo, ed ordinò le faccende sue non per via di testamento, ma le commisse a Piero suo figliuolo a parole confidandosi in lui, quale cognosceva buono. Fece la ultima dipartenzia co’ figliuoli e nipoti e co’ parenti, dando loro ricordi secondo si conveniva alla etá e qualitá loro.

Considerate bene tutte le parti sua, fu uomo degnissimo e molto bene dotato de’ beni dello animo, natura e fortuna, e’ quali quando si congiungono in uno lo fanno felice. Fu di buono cervello, animoso, liberale, servente e buono, almeno netto di quegli vizi che sono piú maligni; perché benché e’ fussi libidinoso ed anche un poco piú studioso de’ cibi che non si aspetta a uno uomo di quella qualitá, nondimeno fu netto ne’ casi della roba, e fu di buona natura e non volta al male né vendicativa. Perché benché di patrimonio gli rimanessi poco, che gli toccò fiorini millecinquecento, nondimeno ebbe una dota grande, col capitale della quale guadagnò molto bene rispetto a quegli temporali, che erano buoni pe’ mercatanti, come apparisce per un libro tenuto da lui, dove sono brevemente notati tutti e’ saldi facevano. Esercitossi eziandio navigando, come di sotto si dirá, e di poi quando détte donna al figliuolo, che eziandio ebbe buona dota, aperse una bottega di seta colla quale in circa a venti anni avanzò undicimila ducati. Guadagnò eziandio col comune lecitamente in imbascerie e rettorie, in modo che si vede cavò delle sopradette cose la roba che lasciò insino in uno quattrino; e però si dimostra che con tutto avessi stato grande, non se ne valse in arricchirvi drento collo usurpare la roba di altri, né eziandio col farsi porre gravezza meno che si richiedessi allo stato suo, ma sempre n’ebbe molto bene la sua parte.

Attese sempre a spegnere el male né volse mai essere bargello dello stato. Nel 66 sendo molto bene voluto da Piero di Cosimo e volendolo fare degli otto di balia, ricusò per non si [p. 42 modifica]volere trovare a confinare cittadini. Era Piero di Cosimo clementissimo, e nondimeno in quella novitá per satisfare agli amici sua lasciò condannare e segnare molti piú cittadini che da se medesimo non arebbe fatto. Concorreva Iacopo in quella voluntá, e operò di poi tanto che ne fece molti restituire, e fra gli altri Piero Minerbetti che fu poi cavaliere; e perché era molto amico di messer Agnolo Acciainoli, tenne pratica con Piero di Cosimo che fussi restituito, e Piero era disposto al farlo secondo la sua benigna natura, ma aspettava qualche occasione di poterlo fare sanza dispiacere troppo a’ sua amici; ma morendo poi Piero, benché Iacopo continuassi con Lorenzo la medesima pratica, nondimeno non ebbe effetto, perché a Lorenzo non piacque.

Quando Piero morí, che fu nel 1469, Iacopo era oratore a Roma e scrisse a Lorenzo una lettera, confortandolo a pazienzia e dandogli sopratutto due ricordi: l’uno a conservare gli amici del padre e dello avolo, la fedeltá e prudenzia de’ quali si era esperimentata in molti pericoli e novitá; l’altro a volere imitare la clemenzia del padre e non usare el ferro o rimedi aspri se non ne’ bisogni e necessitá urgentissime. Di poi nella novitá de’ Pazzi sendo Lorenzo molto incrudelito contro a loro, o per sua natura o inasprito per la morte del fratello, la ferita sua, e pel pericolo grande aveva portato, ed avendo condannati in carcere e’ giovani de’ Pazzi innocenti e non conscii di quella congiura, e fatto decreto che le fanciulle loro che si trovavano con poca dota non si potessino maritare in Firenze, Iacopo sempre confortò Lorenzo a volere fare uscire di carcere quegli giovani innocenti e piú tosto confinargli del territorio nostro, e cosí a levare via la proibizione de’ matrimoni; tanto che finalmente Lorenzo, benché doppo piú anni, o mitigato da se medesimo, o vinto da’ prieghi di Iacopo e di qualcuno altro cittadino che lo confortavano al medesimo, cedé all’una e l’altra cosa.

Fu Iacopo al tutto sanza lettere, la qual cosa benché tolga la perfezione de’ beni dello animo, pure dimostra el suo naturale buono, col quale sanza accidentale di lettere si [p. 43 modifica]esperimentò in molte legazioni e pesi grandi. El suo parlare non fu copioso o elegante, piú tosto grave e naturale, e come communemente suole essere negli uomini savi e che sono sanza lettere. De’ beni della natura fu eziandio molto bene dotato, perché fu grande, bianco e bellissimo uomo, e forse cosí bello come uomo che fussi a’ sua tempi in Firenze, fu gagliardissimo e sanissimo, ebbe solo difetto nella vista che l’ebbe corta. Né gli mancorono e’ beni della fortuna, perché con tutto el patrimonio fussi piccolo, nondimeno colla dota cogli esercizi e cogli ufici avanzò tanto e tutto lecitamente, che lasciò forse fiorini ventimila. Gli onori n’ebbe tanti quanti uno cittadino privato può avere a Firenze; perché oltre alle commessione e legazione ed ufici detti di sopra, ed oltre allo essere stato dua volte gonfaloniere di giustizia, era disegnato fussi creato una [terza] volta: senonché tornando di villa si roppe una gamba, della quale benché poi guarissi, nondimeno lo tenne impedito al tempo aveva a essere. Fu tre volte de’ signori, accopiatore, de’ dieci, nel quale uficio stette una volta forse tre anni continuo, degli otto della pratica; e gli altri onori della cittá copiosissimamente. Andò in Levante padrone di una galeazza che andava sola e sanza esservi capitano; andò in Fiandra capitano di dua galeazze. Negli ultimi anni della etá sua avendosi a porre una gravezza e disegnandosi al porla cinque de’ primi cittadini con emolumento grande, ricusò, non gli parendo doversi impacciare in cosa che non si può uscirne sanza fare dispiacere a moltissimi. Fu bene poi contento trovarsi a fare uno sgravo, cosa che viene in beneficio di molti.

Déttesi all’ultimo della sua vita una pienissima autoritá e balia, e quanta ha el popolo di Firenze, a diciassette cittadini, nel numero de’ quali fu lui, e morí sendo ancora in quello magistrato; ed in suo luogo fu eletto Piero suo figliuolo. Con tutto che messer Luigi gli fussi maggiore fratello, e rispetto alla etá ed al grado e’ primi onori si dessino prima a lui che a Iacopo, nondimeno dal 75 massime insino all’ultimo, lo stato nelle cose sustanziali faceva piú conto di [p. 44 modifica]Iacopo, ed in lui si confidava piú, per essere tenuto piú savio, non giá perché fussi piú servile; anzi fra l’altre sue proprietá ebbe questa di dire liberamente quello gli pareva, di che Lorenzo si adirò qualche volta seco, ma el piú delle volte lo sopportò, conoscendo veniva da bontá di natura. La autoritá sua, massime dallo 83 al 90, fu grandissima, e puossi dire arditamente che in quello tempo doppo Lorenzo e’ fussi el primo uomo della cittá. Fu molto bene voluto universalmente dal popolo e dagli uomini da bene, ed ancora fuori della cittá da’ soldati e condottieri nostri, de’ quali assai quando e’ morí lo piansono come padre. Ebbe etiam amicizie con molti principi, ed infra gli altri el duca Galeazzo nel 76 che vi fu imbasciadore lo amò assai, benché etiam prima gli volessi bene. Ebbe grande amicizia col duca di Calavria e col cardinale di Mantova, la quale negli ultimi tempi non tratenne molto per non ne dispiacere a Lorenzo, a chi veniva in sospetto ogni grandezza di cittadino troppo eminente. Ebbe una sola moglie, Guglielmetta figliuola di Francesco de’ Nerli, della quale come sopra è detto fu felicissimo, e morí vivente ancora lei. Èbbene uno solo figliuolo maschio per nome Piero, del quale innanzi morissi vide nati sei o sette nipoti. Ebbe una sola femina per nome Maddalena, la quale maritò a Bernardo di Francesco Vettori; e però oltre alla felicitá della vita passata morí eziandio felicissimo, lasciando figliuoli, nipoti, ricchezze, stato, onori; e quello che è di piú conto la integritá della conscienzia.


Messer Rinieri Guicciardini fu figliuolo bastardo di messer Luigi Guicciardini, el quale acquistò sendo a Pisa consolo di mare, di una schiava di Bindo Galletti, chiamata Margherita. Costui si fece prete sendo ancora piccolo fanciullo, e per essere abile al canonicato si fece per rescritto ancora fanciullo dottore di ragione canonica; e perché el padre gli aveva giá fatti avere qualche benefici e degnitá, ed aveva el modo a fargliene avere degli altri, desiderando accompagnarlo colle virtú, lo mandò essendo lui di anni ventuno a studio a Pavia e poi doppo qualche anno lo transferí a studio a Pisa che si era [p. 45 modifica]cominciato di nuovo; e nell’uno e l’altro luogo attendendo a andarsi a spasso ed a’ piaceri, fece poco profitto, e fu in ultimo fatto rettore dello studio a Pisa, che soleva essere a’ nostri cittadini nello studio pisano la carta della legittima degli ignoranti. Uscito di studio, attese a’ piaceri ed andarsene ai benefici sua, che era canonico di Santa Liperata, commendatario della badia di San Tommaso a Cremona, e valse negli ultimi tempi sua piú di quattrocento ducati; ed el canonicato aveva avuto dalla arte della lana, la badia dal duca Galeazzo; era piovano di Castelfalfí che l’ebbe da’ capitani di parte guelfa che ne erano padroni; aveva la canonica di Montevarchi, che l’ebbe da papa Paolo per contemplazione di Iacopo Guicciardini imbasciadore allora a Roma. Aveva una prioria a Lucardo che gliene déttono e’ Machiavelli che ne erano padroni; aveva una chiesa chiamata e’ Fraticelli in Vergigno; aveva una capella a Loro in Casentino, e cosí si stette insino alla morte di suo padre.

Morí di poi messer Luigi nel 1487 sendo lui giá di etá di 38 anni, e lasciollo erede in solido d’ogni cosa; di che risentendosi assai Iacopo, e parendogli che questo giudicio di messer Luigi fussi non ragionevole, perché messer Rinieri aveva tale entrata che non aveva bisogno del patrimonio suo; e cognoscendo certo che questo non era stato instinto di messer Luigi, ma averlo fatto importunato e stimolato da lui, e massime che per la etá messer Luigi aveva diminuito assai lo intelletto; considerando inoltre che per essere la natura di messer Rinieri viziosa e poco amorevole de’ sua parenti, era facile cosa che e’ lasciassi doppo la morte queste sustanzie fuora di casa, cominciò a dargli ad intendere di non volere stare contento a questo testamento. E benché messer Rinieri stessi da principio molto renitente, pure lo effetto fu che doppo molti dibattiti, considerando la autoritá di Iacopo e quanto e’ potessi valersi di lui, fu contento che la casa di Firenze, una possessione presso a Firenze chiamata le Cave, la casa di Poppiano ed uno podere detto alla Massa, rimanessino a lui durante la vita sua e ne [p. 46 modifica]usufruttuario, e doppo la morte venissino per la metá a Iacopo e sua eredi, per l’altra metá agli eredi di Niccolò che era stato l’altro fratello di messer Luigi; gli altri beni che non erano molti si dividessino de presenti fra detti sua parenti.

E fatta questa composizione, essendo poco poi nel 89 morto messer Girolamo Giugni arcidiacono di Firenze, gli fu per favore di Iacopo data quella degnitá. Desideroso di poi e morendo di voglia d’avere uno vescovado, fu cortigiano insino al 94 di messer Giovanni cardinale de’ Medici, seguitandolo a Roma ed in ogni luogo dove andava; e per servirlo piú onorevolmente volendo compiacerne a Lorenzo de’ Medici si vestí in abito di protonotario. Mutato poi lo stato nel 94, parendogli che e’ favori soli e la riputazione non bastassi piú a dargli vescovado, cominciò per potere comperarlo a accumulare danari, ed avendosi nel 98 a porre decime di licenzia del papa al clero, fu deputato solo dal papa commessario a porle ed a riscuoterle; il che conseguí con favore del duca di Milano e monsignore Ascanio, e per opera di messer Francesco Gualterotti oratore allora a Roma. La quale cosa sendogli di utilitá grandissima, gli recò anche adosso invidia e carico grande, in modo che per averci drento meno noia ed assicurarsi piú di questo uficio, consentí pochi mesi poi che gli fussino dati in compagnia due canonici fiorentini. Era stato ancora molti anni e cominciando innanzi al 94 commessario insieme con messer Pandolfo della Luna alla imposizione dello studio: in modo che fra le entrate aveva ordinarie e questi due ufici raunò in poco tempo piú di tremila ducati, con tutto che largamente e magnificamente spendessi.

E parendogli fussi tempo a colorire el disegno suo, doppo molte pratiche tenute di uno vescovado, delle quali lasciò qualcuna massime Fiesole sconfortatone da Piero di Iacopo suo cugino, in ultimo sendo vacato el vescovado di Cortona, lasciatosi traportare dalla ambizione, contro alla voluntá di tutti e’ sua parenti, ed el parere di quegli che gli volevano bene, lo ottenne l’anno 1502 da papa Alessandro. La quale cosa gli costò tra el pagamento ne fece al papa e le dispense di essere [p. 47 modifica]abilitato, nonostante che fussi bastardo, e di potersi ritenere e’ benefici, e le spese necessarie ed onorevole vi fece drento, ducati quattromila o circa; e nondimeno quello vescovado non rendeva ducati trecento. E però lui doppo el fatto considerando che pazzia fussi stata la sua, e parendogli strano trovarsi sanza uno quattrino ed in debito di molte e molte centinaia di ducati, adolorato deliberò ristrignere tutte le spese faceva, ed andarsene a Cortona al vescovado, e quivi tanto stare che non solo avessi pagati e’ debiti ma ancora si trovassi rinsanguinato di qualche centinaia di ducati. Ma come volle la sorte sua, occorrendogli per sue faccende, andò la state del 1503 a Cremona, e quivi o stracco da’ caldi o da’ disordini, venutogli una febre lenta e tornandosene, fu per morirsi per uno accidente ebbe a Ferrara; ma riavutosi ne venne a Firenze, ed essendo el male suo convertito in quartana, si stette cosí insino apresso alla fine di gennaio; nel quale tempo sendo libero dalla febre o avendola sí sottile che era fatica a discernerla, gli saltò adosso una tossa la quale aggravandogli e destandogli febre grande, finalmente a dí..... di febraio si morí, sendo prima confessato e communicato, ed essendo in atto di fare testamento, nel quale voleva lasciare el suo mobile a’ parenti piú prossimi di casa, ma non avendo, prevento dalla morte, potuto finirlo, rimase la sua ereditá alle figliuole di messer Luigi, sua sorelle, e loro eredi: della quale pagati e’ creditori vi fu di avanzo ducati seicento in circa.

Fu uomo di cervello ed ingegno assai commodo, ma furioso e mutabile e di poco animo; ebbe una memoria profonda colla quale teneva a mente tutti fatti e le cose sua, benché non ne scrivessi nessuno. Furono e’ costumi sua cattivi, perché e’ fu dedito assai alla lussuria e massime co’ maschi, nel quale vizio fu notato publicamente ed èbbene carico grandissimo non solo da giovane ma da vecchio ed insino al tempo che morí. Nella gola seguitò l’uso degli altri preti che si stanno a Firenze a poltroneggiare, che el pensare a mangiare è una delle maggiore faccende che abbino. Circa allo spendere fu liberale, e magnifico in vestire, in tenere buona ed [p. 48 modifica]onorevole corte, in convitare spesso e bene; ma avaro nel distribuire le sue entrate secondo le opere della pietá, così in tutto quello che tornassi utile e beneficio a’ parenti, co’ quali volle sempre vedere le cose minutamente, in modo che né in vita né in morte non giovò mai loro. Così fu avaro co’ sua servidori, a chi non fece in ultimo tempo mai né bene né rimunerazione alcuna o rarissime volte. Fu di natura molto collerico, tanto che era quasi intollerabile. La vita sua fu molto prospera, perché essendo bastardo e non avendo lettere o virtú, conseguitò tanti benefici e tante degnitá, che innanzi al vescovado aveva di entrata piú di mille ducati; e tutti gli furono dati non per industria e fatica sua, ma per opera ed autoritá di messer Luigi suo padre e di Iacopo suo zio, sanza che avessi a spendervi drento uno quattrino: solo el vescovado acquistò da sé comperandolo con simonia, cosa che gli fu di danno e pregiudicio assai non solo all’anima ma ancora nel mondo, nel quale non ne ebbe consolazione perché visse vescovo poco piú di uno anno, malato e malcontento la maggiore parte del tempo, né mai fu al suo vescovado.

Fu di corpo bellissimo, perché era grande di statura, bianco e bella aria; fu sanissimo e gagliardissimo. Ebbe alla morte tutti e’ sacramenti della Chiesa, non so giá con che disposizione gli pigliassi, ma aveva gran paura e dolore della morte. Morì essendo d’etá di anni 54, e visse talmente che io n’ho fatto menzione piú tosto per fare memoria di quella dignitá che ebbe, che innanzi a lui non solo non fu mai vescovo in casa, ma né ancora forse prete alcuno, che per tenere conto delle qualitá e costumi sua.


Piero, unico figliuolo di Iacopo Guicciardini, nacque a’ di 9 di giugno 1454, ed essendo di etá di anni 18 vel circa, tolse per donna con buona dota la Simona figliola di messer Bongianni Gianfigliazzi che era in quel tempo riputato cittadino. Attese da giovane sempre alli studi e si nutrí nelle lettere ed in gravi e buoni costumi, e benché sendo di etá di anni 20 giostrassi, non per voluntá propria che non era suo [p. 49 modifica]esercizio, ma a satisfazione di Lorenzo e Giuliano de’ Medici che ne feciono una instanzia estrema quando Giuliano giostrò, non per questo lasciò li studi; anzi seguitandoli insino alla etá piú virile fece buono profitto nelle cose di umanitá, nelle lettere greche ed in qualche notizia di filosofia. Morí Iacopo suo padre sendo lui di etá di anni 36 e rimase uno maschio, e con bonissime facultá e bello essere ed in una buona riputazione, perché sempre dalla sua puerizia era vivuto con opinione di prudente e buono. Fu nel territorio nostro essendo giovane, vicario di Vico Pisano e di poi di Mugello; altri ufici non esercitò se non consolo di mare, benché ne rifiutò alcuni, tra’ quali rifiutò podestá di Pisa.

L’anno 1489, avendosi a mandare di prossimo uno imbasciadore a Napoli al re Ferrando per risedere apresso a quello re come si usava ordinariamente, aveva Lorenzo de’ Medici disegnato che lui vi andassi; ma seguitando nel principio del 1490 la morte di Iacopo suo padre, fu interrotto dalle occupazioni sue private. Vegghiava in quel tempo uno uficio di diciassette cittadini, tutti e’ primi della cittá, e con autoritá pienissima quanto tutto el popolo, tra’ quali era Iacopo; in luogo di chi fu eletto Piero, che li dette reputazione grande, vedendosi che Lorenzo de’ Medici che allora era capo del governo, poi che lo tirava in tale grado, disegnava di adoperarlo assai. Successe una gravissima infirmitá di papa Innocenzio l’anno 1491; e perché messer Giovanni de’ Medici figliuolo di Lorenzo era stato eletto da detto papa, cardinale, ma per essere minore di anni 18 era differita la publicazione e potere portare el capello sino a certo tempo, con condizione nondimeno che morendo interim el papa si intendessi publicato ipso iure; Lorenzo desideroso che la cosa non avessi difficoltá, e che lui in sulla morte del papa potessi entrare in conclave, per dare piú autoritá disegnò vi si mandassino in nome della cittá due imbasciadori, e’ quali trovandosi in sul fatto potessino aiutare e favorire la cosa secondo fussi di bisogno. E cosí furono eletti messer Guidantonio Vespucci e Piero con disegno cavalcassino subito, e cosí si messono in [p. 50 modifica]ordine; ma sopravenendo di poi nuove che el papa di chi a ogni ora si aspettava la morte, era migliorato ed andava alla salute, non accadde andassino. Di poi l’anno medesimo avendosi a mandare uno imbasciadore a Milano per risedervi ordinariamente, ed inoltre disegnando Lorenzo volere riformare le cose di Pisa e nel contado quanto allo estimo e nella cittá quale disegnava volere rassettare ed aiutare e fare viva quanto potessi, deliberò vi si mandassino tre consoli per elezione con pienissima autoritá; e però propose a Piero che eleggessi dove volessi andare piú tosto, o a Milano imbasciadore, o a Pisa consolo per uno anno. Lui elesse piú tosto Pisa e cosí vi andò insieme con Lorenzo Morelli e Filippo della Antella; dove sendo stato poco piú che mezzo el tempo, morí Lorenzo, in modo che ogni disegno di reformare quella cittá si interruppe.

Tornato l’anno sequente, che fu el settembre 1492, a Firenze, ed essendo in ottime condizioni con Piero de’ Medici, fu mandato imbasciadore a Milano, legazione che era ordinariamente di momento assai per le condizioni, potenzia ed oportunitá di quello stato alle cose nostre, e per la autoritá del signore Lodovico che ne era allora governatore; ma era di maggiore momento per nuovi dispareri e nuovi moti che cominciavono a surgere. Stettevi uno anno, ed avendo trovato el signore Lodovico male disposto, non restò di persuadere a Piero per lettere, che si pensassi a placare ed assicurare el signor Lodovico; ma tutto fu vano, perché Piero, tirandolo e’ fati alla ruina sua, si era gittato in collo del re di Napoli e degli Orsini, in modo che le cose andorono tanto in lá che ne segui la passata de’ franzesi, e tante tribulazione che hanno stracco Italia.




Note

  1. In margine:
     Nel 1418 andò commessario al papa, credo a accompagnarlo ed onorarlo nel passare per el nostro. Fu podestá di Prato nel 1424 e vi era quando fu la rotta di Zagonara.
     Andò nel 1418 a Mantova, che vi era el papa, credo, non so a che fare né se publico o privato.
     Nel 1399 Per uno furto fatto a messer Luigi che credeva fussi stato lui ma non era, fu sostenuto in palagio del podestá, lui, messer Luigi Niccolò e Francesco.
     Andò nel 1423 capitano d’Arezzo.
     A di 26 di ottobre nel 1400, essendo Piero fuggito a Bologna per la peste, Bartolomeo Valori gli fece scrivere sanza saputa di messer Luigi da Guidetto Guidetti che al podestá era preso che aveva a essere esaminato sopra cose di stato, e che di Piero si bucinava qualcosa, e confortalo in caso sia netto a venire insino a Firenze.
     Nel 1422 andò capitano delle galee grosse al viaggio di Levante: erano due galee grosse.
     Nel 1424 di gennaio andò imbasciadore a Siena.
     Nel principio dell’anno 1425 andò commessario a Faenza, per essersi accordato nuovamente el signor Guidantonio co’ fiorentini, e la guerra ridotta di lá. Di poi perché la riusciva pericolosa e si desiderava a Firenze assai non tentare la fortuna, gli fu del mese di..... sopragiunto Averardo de’ Medici sanza suo carico. Vi fu anche in quel mezzo mandato messer Giovanni d’Agobbio, per conto di madonna Gentile e per assettare certe differenzie con Niccolò da Tollentino e con Niccolò Piccinino. Andò capitano di Castracaro nel 1409.
     Di luglio 1427 andò imbasciadore allo imperadore, ed essendovi Giovanni si fece cavaliere, il che si interpretò avessi fatto per andargli innanzi: però si ragunorono messer Luigi Ridolfi, messer Matteo Castiglioni, Niccolò da Uzzano, Astore Gianni, Niccolò di Gino, Giovanni e Niccolò Barbadori, ser Pagolo di ser Landò, Simone Buondelmonti, Batista Guicciardini, Bindo da Ricasoli, Ridolfo Peruzzi e molti altri, e scrissongli si facessi cavaliere anche lui; non volle farlo.
     Nel 1429 alla fine dell’anno andò capitano della cittadella di Pisa.
  2. In margine:
     A dí 17 di giugno 1441, la signoria mandò per bullettino uno comandamento a Piero che per tutto di 26 dovessi essere a cammino alla imbasceria sua al conte Francesco Sforza.
     La causa vera dell’andata sua fu per vedere di recuperare e’ diecimila ducati che pagò di taglia a Otto Buonterzo, di che aveva alla mercatantia sentenzia contro al duca Filippo: iinbarcossi a Rimini, donde andò a Ferrara e poi a Vinegia per commissione della signoria, e di quivi in campo che era a Martinengo; dove ammalato el di medesimo o el sequente che arrivò, che fu circa 20 di luglio, fu portato a Brescia, e quivi mori a pochi dí di agosto.
  3. In margine:
     Giovanni fu commessario nel campo della lega con Francesco Tornabuoni nel 1427, e si trovò alla rotta di Maclodo che fu a’ 12 d’ottobre, ed a’ 9 di novembre el marchese di Mantova lo fece cavaliere presso a Brescia quattro in cinque miglia, innanzi che le bandiere entrassino in Brescia: disse era stato sforzato, e Francesco scrisse a Piero crederlo. Alla entrata sua in Firenze gli fu fatto piú onore si facessi mai a cavalieri, ed in gran parte per fare dispetto a Piero, perché la cittá era divisa. ed a di 9 di novembre, el di di san Salvadore, fu fatto cavaliere dal papa in San Giovanni Laterano insieme con Tommaso Soderini.
     Andò di gennaio a Napoli con Pandolfo Pandolfini, dove stette pochi dí, ed al ritorno fu fermo a Roma etiam per pochi dí.
     Alla fine dell’anno 1465 andò con messer Bernardo Giugni a Milano per la morte del duca Francesco: tornò di giugno.
     D’aprile nel 1466 entrò vicario di Certaldo e perché era a Milano.
     Nel 66 di gennaio andò imbasciadore a Milano e poi venne col duca Galeazzo, e fu deputato lui ed Agnolo della Stufa commessari in campo.
     Tornò poi a Firenze e fu rimandato a Bologna di agosto 1467 per intrattenere e’ bolognesi disperati per e’ danni, e messer Giovanni. Andò di settembre 1468 a Siena per pochi di per dolersi del ricetto davano a’ fuorusciti.
     Di gennaio 1468 a Ferrara allo imperadore che tornava da Roma, con commissione di favorire la investitura del duca di Milano.
     Nel 1469 imbasciadore a Milano, donde tornò di dicembre.
     Andò al principio del 1470 o alla fine del 1469 vicario di San Miniato.
     Al principio del 71 capitano d’Arezzo, e di giugno commessario al Gorgo con Iacopo Lanfredini per certe differenzie.
     Andò nel 1472 vicario di Certaldo.
     Andò nel 73 con Pandolfo Rucellai imbasciadore a Ferrara a onorare le nozze del duca Ercole. Era prima nel 1463 andato a Mantova con Pier Francesco de’ Medici a onorare le nozze del marchese.
     Andò nel 74 vicario di Poppi.
     Di gennaio nel 74 andò imbasciadore a Vinegia: tornò di febraio nel 75.
     Andò nel 76 commessario a Pistoia per certe differenzie.
     Di dicembre nel 76 messer Tommaso e lui a Milano per la morte del duca Galeazzo; restòvi messer Tommaso, e lui tornò alla fine di febraio.
     Nel 78 sendo de’ dieci andò commessario in sul Poggio, dove giá era Iacopo suo fratello.
     Andò nel 79 di..... imbasciadore a Vinegia.
     Andò nel’80 di dicembre a Roma con undici altri imbasciadore, a dimandare la venia secondo e’ capitoli.
  4. In margine:
     Nel 1441 morto Piero, andò capitano a Volterra.
     Niccolò suo fratello morí di gennaio nel 1442.
     Nel 1444 andò vicario di Poppi.
     Nel 44 imbasciadore al duca Filippo.
     Nel 1445 di ottobre fu mandato al conte Francesco per vedere e’ progressi suoi e consultare seco le occorrenzie.
     Di aprile nel 1446 andò vicario di San Giovanni e poi al dicembre capitano della cittadella di Pisa.
     Di dicembre nel 47 andò imbasciadore al doge di Genova, e di febraio commessario generale a Pisa.
     Andò nel 48 d’agosto commessario in campo contro al re, e di ottobre vicario di Pescia.
     Andò di maggio nel 1449 podestá di Milano per ordine di Cosimo, dove stette due anni.
     A di 16 di maggio 1453 commessario in Val di Chiana, tornò a 8 di luglio.
     A di 7 di novembre ritornò commessario in campo, che era verso Poggibonizzi; eravi Piero di messer Maso: ma fra pochi dí le gente andorono alle stanze.
     Di marzo 1453 andò a Rimini al signor Gismondo nostro capitano, per intendersi con lui del danaio ed altre cose necessarie a uscire in campagna.
     Di gennaio 1454 andò imbasciadore a Vinegia per conto del conte Iacopo; stettevi tutto aprile 1455 e di novembre andò a Pisa consolo del mare per sei mesi.
     Fu nel 53 e poi nel 57 gonfaloniere di giustizia.
     Andò nel 58 a dare l’ubidienzia a Pio, e poi con messer Agnolo Acciaiuoli a visitare el re Ferrando.
     Andò nel 59 di aprile, lui e Guglielmo Rucellai, a incontrare ed onorare el papa che andava a Mantova.
     Andò alla fine del 1459 capitano della Montagna di Pistoia. Di luglio 1464, andando el conte Iacopo Piccinino a Milano, fu mandato a incontrarlo ed onorarlo su per el nostro.
     Di ottobre 1464 andò oratore a Roma alla ubidienzia di papa Paolo,
  5. In margine:
     Giostrò di febraio 1446 in su la piazza di Santa Maria Novella ed ebbe l’onore; aveva giostrato prima e non avuto l’onore, diceva lui, per colpa d’altri. D’ottobre nel 1456 andò padrone di una galea in Levante che vi andò sola; tornò di giugno. Andò nel 59 capitano del Borgo a San Sepolcro.
     Andò nel 62 di ottobre capitano delle galee di ponente con tre galee; tornò d’agosto 1463.
     D’aprile nel 65 andò a Napoli per le nozze del duca di Calavria dove etiam era Pandolfo Pandolfini, ma per la sua malattia Iacopo solo fece le cerimonie.
     Di gennaio nel 65 andò vicario di Anghiari.
     Al principio d’ottobre 1466 andò a Vinegia ed a Milano con messer Tommaso Soderini.
     Al principio del 1467 andò capitano d’Arezzo, e passando don Alfonso con le gente del re a unirsi col duca di Urbino, l’ebbe a incontrare in su’ confini ed accompagnarlo insino in campo.
     Di settembre 1468 al duca di Milano per la morte della madre, ed ebbe certa commissione sopra le cose di Lunigiana.
     Nel 1469 imbasciadore a Roma dove era messer Otto, e furonvi insieme: tornò di dicembre, lasciatovi messer Otto.
     Andò imbasciadore a Napoli nel 1470 con Pier Francesco de’ Medici, ed essendo restato a Napoli solo, fu per la morte di messer Otto mandato a Roma dove era Pier Francesco per la pratica della lega universale; partissi alla fine dell’anno per andare capitano di Pisa dove era stato prima; ma per mandarlo a Napoli gli fu prolungato lo entrare in ufizio per sei mesi; innanzi che andassi a Napoli era al principio dell’anno andato lui e Donato Acciaiuoli in quello di Pistoia per sedare certe differenzie.
     Andò nel 72 con messer Donato Gianfigliazzi commessario alla impresa di Volterra; e nel tempo medesimo entrò vicario di San Giovanni: che andò di campo a pigliare l’uficio e tornò in campo subito, e poi finita la impresa tornò a San Giovanni.
     Di luglio nel 74 lui e Donato Acciaiuoli commessali a Pistoia per loro differenzie.
     Di febraio nel 75 andò imbasciadore a Milano; tornò di dicembre nel 76. Andò nel 1478 commessario generale in campo.