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Memorie storiche della città e del territorio di Trento/Parte prima/Del regno de' Longobardi

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DEL REGNO DE’ LONGOBARDI.

I Longobardi nazione germanica non molti mesi dopo la morte di Narsete si gittarono in quella parte d’Italia, che da essi prese poi il nome di Lombardia, e la ritolsero [p. 42 modifica]prestamente all’Impero. Essi avevano prima invasa una parte della Pannonia, e condotti da Alboino loro Re partirono di là con tanta fidanza di fissare la loro sede in Italia, che trassero seco e mogli, e figliuoli, e bestiami, e quanto di mobili avevano nel nativo loro suolo. Essi si scaricarono di primo tratto sulla Venezia, la qual provincia occuparono con poco ostacolo. Alboino continuò le sue imprese, ed occupate egualmente tutte le altre città finitime, e fra queste anche Trento, fu in Milano coronato Re l’anno 569. Ucciso Alboino per cospirazione della Regina Rosmonda sua moglie, ch’era stata da lui altamente offesa, fu eletto Re Clefi o Clefone, il cui regno non durò che tre anni. Dopo la sua morte i primarj ufficiali longobardi cangiarono il governo monarchico in aristocratico o misto, e diviso il Regno in trenta sei Ducati stabilirono nelle principali città e territori un Duca per governarli. Uno di questi Ducati fu quello di Trento, ch’ebbe sempre il suo proprio e particolar Duca fino all’estinzione del Regno longobardico. Dopo dieci anni d’interregno fu eletto a nuovo Re Autari figlio di Clefi o Clefone, il quale fu il terzo Re d’Italia della stirpe de’ Longobardì.

Gl’Imperatori greci non potendo nè difendere validamente le terre, che ancor restavano all’obbedienza loro in Italia, nè ricuperare le già perdute per la debolezza, in cui trovavasi allora l’Impero orientale, sollecitarono [p. 43 modifica]con ambasciate i Principi Franchi, che signoreggiavano le Gallie, e la potenza de’ quali era allora grande, a muover guerra a’ Longobardi, ed a scacciarli d’Italia. L’anno 577 i Franchi entrarono nel paese occupato dai Longobardi, cioè nel Ducato di Trento, e presero nell’Anaunia il castello chiamato da Paolo Diacono Anagnis, che loro si arrese: per la qual cosa Regillone longobardo Conte di Lagaro si mosse verso Anagni, e lo saccheggiò; ma, mentre ritornavasene col bottino, incontrato nel campo della Rocchetta da Craminichi uno de’ Duci Franchi restò ucciso da esso con gran parte de’ suoi 1. Tal è il racconto, che ne fa Paolo Warnefrido chiamato comunemente Paolo Diacono De gestis Longobardorum lib. III. cap. 9, il cui passo latino è il seguente: His ducibus Franchis Anagnis castrum, quod supra Tridentum in confinio Italiæ positum est, se iisdem tradidit .... quam ob causam Comes Longobardorum de Lagaro Regillo nomine Anagnis veniens eum depredatus est: qui cum de præda reverteretur in campo Rotaliano ab obvio sibi duce Francorum Craminichi cum pluribus e suis peremptus est.

Craminichi dopo aver disfatto nel campo sotto la Rocchetta ed ucciso Regillone si gettò [p. 44 modifica]sopra Trento, e lo devastò; ma essendosi indi egli mosso verso le terre superiori lungo l’Adige, Evino Duca di Trento avendolo inseguito, e raggiuntolo presso Salorno l’uccise insieme con tutti i suoi, e ritoltagli tutta la preda, che aveva fatta, ed espulsi i Franchi ricuperò interamente il territorio trentino. Qui Cranichis, segue a dire il citato Paolo Diacono, non multum post tempus Tridentum veniens devastavit, quem subsecutus Evin Tridentinorum Dux in loco, qui Salurnis dicitur, cum suis interfecit, prædamque omnem, quam ceperat, excussit, expulsisque Franchis Tridentinum territorium recepit.

Ma io non debbo qui tralasciar di parlare d’una questione riguardo al castello Anagnis, il quale dal Marchese Maffei2 fu creduto, che sia Egna terra o borgo sulla riva sinistra dell’Adige, chiamata in tedesco Neumarkt. Il Marchese Maffei parlò di ciò solo incidentemente, e questa sua opinione altro fondamento forse non ebbe che quell’apparente somiglianza di nome, che sembra esservi tra Egna ed Anagni; ma il chiarissimo Abate Girolamo Tartarotti dimostrò con solidissime ragioni, che l'Anagni era il castel Nano nell’Anaunia ossia nella Val di Non, e che non era, nè poteva essere Egna 3. [p. 45 modifica]Reca maraviglia il vedere, come dopo tutto quello che ne aveva scritto quel celebre Abate, il quale esaminata aveva accuratamente cotal questione, pochi anni dopo un altro scrittore4 siasi mostrato tuttavia propenso a credere, che l’AnagnisPaolo Diacono sia Egna; e non castel Nano in Val di Non. Con tutta ragione il Tartarotti aveva detto nella sua lettera al Muratori, che il Padre Baretti5 rettamente interpreta l’Anagnis di Paolo Diacono castel Nano nella Valle di Non, e che il Marchese Maffei credendolo Egna indubitatamente s’inganna. Primieramente, dice egli, la Val di Non è chiamata da S. Vigilio nell’epistola ad Joannem Constantinopolitanum REGIO ANAGNIA, e negli atti di questo Santo pubblicati da’ Padri Bollandisti si legge: INGRESSUS CIVITATEM ANAGNEN. Secondariamente Egna dallo stesso Paolo Diacono è detta ENNE, e dagli antichi geografi, come dall’anonimo Ravenate scrittore del secolo nono è chiamata INIA. Per terzo non è punto probabile, che quella invasione de’ Franchi venisse dalla Germania; ma bensì dagli Svizzeri deve credersi passata, indi per la Valtellina nella Val di Non. I medesimi Franchi, in altra irruzione fatta pur sul Trentino pochi anni appresso, per quanto [p. 46 modifica]si raccoglie da Gregorio Turronese6, e da Paolo Diacono7 dalla Sciampagna venuti fa a Mez in Lorena passarono per gli Svizzeri, e pervenuti al monte S. Gottardo si divisero. Andualdo (uno de’ capitani Franchi) volgendosi a destra si condusse direttamente a Milano, e Cedrino (altro capitano) piegando a sinistra per la Valtellina passò nel Trentino, il che non potè succedere se non per la via della Valle di Non, e pel passo detto oggidì il Ponte di Legno.

Tredici anni dopo nuova calamità e maggior pure della prima avvenne alla Naunia ed al Trentino. I Franchi invasero un’altra volta l’Italia con forze maggiori di quelle, con cui vi vennero nella prima invasione. Due erano i principali Duci dell’esercito Franco, Andualdo e Cedrino. Giunti sulle Alpi Andualdo scese sul Milanese, e Cedrino piegando a sinistra penetrò nella Rezia, e s’inoltrò fino a Verona. Il racconto, che ne fa Paolo Diacono, è il seguente: Cedrinus autem cum tredecim Ducibus lævam Italiæ ingressus.... Per Placentiam vero exercitus Francorum usque Veronam venerunt, et deposuerunt castra plurima.... Il Marchese Maffei, e l’Abate Tartarotti hanno dimostrato, che il testo dello storico longobardo, ove dice per Placentiam, è evidentemente guasto per fallo dei [p. 47 modifica]copisti, e che in luogo di Placentiam legger deesi per Rhætiam. I Franchi dunque condotti da Cedrino, mentre Andualdo scendeva nel Milanese, volgendosi a sinistra per la Rezia, cioè per la Valtellina, e Val di Non vennero a Trento, ed indi per la valle piana s’inoltrarono fino a Verona.

Dieci furono i castelli, che i Franchi distrussero nel territorio di Trento, due nella Valsugana, ed uno nel Veronese. Lo storico nomina distintamente i castelli distrutti nel Trentino; poichè nel tessere la sua storia egli ebbe sotto gli occhi quella dell’Abate Secondo da Trento, che colla maggior diligenza avevali espressi, e che scrisse succintamente la storia de’ Longobardi fino a’ tempi suoi, storia ora perduta ma letta dal Diacono, e più volte da lui citata. Nomina autem, continua egli, castrorum, quæ diruerunt in territorio Tridentíno, ista sunt, Tesana, Maletum, Semiana, Appianum, Fagitana, Cimbra, Vitianum, Brentonicum, Volenes, Ennemase, et duo in Alsuca, et unum in Verona. Fra tutti i castelli qui nominati niuno conservò sì bene il proprio nome quanto Maleto, Cembra, Vezzano, e Brentonico. La terra chiamata nel volgar dialetto Malè chiamasi anche oggidì in latino Maletum, e si veggono tutt’ora presso di essa le vestigia d’un antico diroccato castello. Viene chiamata in italiano dal volgo Malè, come chiamasi anche Roverè, Nogarè, che in latino diconsi Roboretum, [p. 48 modifica]Nogaretum. Quali sieno gli altri castelli nominati da Paolo Diacono, varie sono e diverse le congetture degli eruditi, che commentarono quel passo; congetture che sono bensì più o meno verisimili, ma tuttavia sempre incerte. Assai probabile è quella, che Volenes sia Volano terra posta sulla strada, che conduce a Verona, poco discosta dalla città di Roveredo8. La più inverisimile di tutte le congetture, e la più improbabile è quella, per cui alcuno ha creduto, che Tesana possa esser Tisens terra tedesca nel Tirolo, affatto lontana e per ogni verso disgiunta dalle strade, che tennero i Franchi. Tesana è il primo de’ castelli nominati, e come dee credersi, che lo storico gli abbia nominati secondo l’ordine de’ luoghi, o della marcia dell’esercito, io porto opinione, che Tesana altro non sia che Osana nella Val di Sole, ov’esiste anche oggidì un antico castello forse fabbricato sulle ruine di quello distrutto da’ Franchi. Il castello d’Osana è il primo, che doveva presentarsi agli occhi de’ Franchi, allorchè pel Ponte di Legno entrarono nell’Anaunia, e Tesana è appunto il primo nominato fra i castelli presi nella loro marcia da’ Franchi, dopo il quale immediatamente viene Maletum. Nè dee far maraviglia il vedere chiamato Tesana quello che oggidì chiamasi Osana. La [p. 49 modifica]mutazione consiste solo nell’omettersi nell’odierna pronunzia la prima lettera cioè il T, e nel pronunziare o in luogo di e, onde in luogo di dire Tesana si disse Osana; ma somiglianti mutazioni ed anche maggiori in moltissimi altri nomi si trovano.

Nella seconda invasione i Franchi non contenti d’aver demoliti e smantellati i castelli, che ritrovarono nel Trentino, trassero pur seco prigioniera molta gente; per lo che il Re de’ Longobardi Agilolfo, ch’era succeduto ad Autari, mandò a procurare la liberazione de’ prigionieri in Francia Agnello Vescovo di Trento, il quale alcuni pure ne ricondusse in patria riscattati dalla pietà della Regina Brunichilde col di lei proprio danajo. Essendo poi stato spedito colà a trattare la pace tra le due nazioni Evino Duca di Trento, la quale fu pure felicemente conchiusa, ne venne l’universal liberazione de’ prigionieri.

Un altro flagello dopo quel della guerra venne sventuratamente ad affliggere il nostro paese l’anno 591, cioè quel della fame a motivo d’una lunghissima ed inaudita siccità: oltre di che una gran moltitudine di locuste più grandi dell’ordinario diede nel Trentino un orribile guasto alle biade ne’ campi, alle foglie degli alberi, ed a’ prati, guasto che si rinnovò miseramente anche l’anno seguente9.

[p. 50 modifica]Ma passiamo ora a parlare del governo de’ Re longobardi, e dello stato d’Italia, e per conseguenza pure di Trento e del suo territorio durante il loro regno. Essi introdussero in Italia la rozzezza e la rusticità dei costumi, e tra per le passate ruine, e per la nuova signoria di gente straniera, incolta, e feroce ito in bando l’antico lusso gl’Italiani cominciarono a menar una semibarbara e misera vita. I Longobardi deformarono tutto l’antico aspetto del governo, ed avendo stabilito in ciascuna città principale un governatore col nome di Duca aboliti furono tutti i cittadineschi magistrati, e si spensero perfino i nomi di colonie e di municipj, e sparì ogni idea di libero governo. I Duchi governavano i territori loro assegnati come loro più a grado tornava, e secondo il carattere di ciascuno più o meno umano o feroce. Essi fecero sparire in Italia, come gli altri barbari in Europa, quasi ogni vestigio d’umano sapere, e lo studio delle lettere e delle scienze era scomparso interamente in quegl’infelici tempi per modo, che chiunque sapeva alcun poco di grammatica latina il nome aveva di gran letterato.

I Longobardi formavano d’ordinario le loro leggi nelle diete o parlamenti, che convocavano, dei Duchi, e Baroni del Regno, e dei principali Giudici, presso i quali risiedeva la suprema podestà legislativa; ma un celebre storico osserva, che la cosa non sempre [p. 51 modifica]camminò dello stesso piede sotto tutti i Re, tra i quali altri governarono più dispoticamente, ed altri meno, e lasciarono alle diete or maggiore or minore autorità secondo lo circostanze o la situazione, in cui trovavansi 10.

Noi abbiamo ancora un codice delle leggi longobardiche, tra le quali se alcune sono per avventura sagge e giuste, alcune sono pure del tutto assurde, ingiuste, e barbare. I delitti erano pressochè tutti puniti con solo pene pecuniarie in vantaggio principalmente della parte offesa. Quegli poi, che incolpato veniva d’alcun delitto, s’egli il negava, doveva dimostrare la sua innocenza colla prova dell’acqua bollente o del fuoco, e se in quest’esperimento non rimaneva illeso, egli condannato era come reo. Le contese civili o le liti venivano decise per via di duello tra i litiganti, o per via di campioni scelti da essi a combattere in loro nome, e quegli, che nel combattimento rimaneva vincitore, otteneva in favor suo la sentenza, giusta o non giusta che fosse la sua causa. Essi credevano, che Iddio manifestasse con questo mezzo, da qual parte stesse la verità o la ragione, tuttochè più esempj si vedessero della fallacia ed assurdità di questo mezzo; poichè molti di quelli, che pel giudizio della pugna furono assolti, si conobbe dappoi, che meritavano d’esser condannati, e che molti pur [p. 52 modifica]furono per l’esito del combattimento condannati, i quali poi si conobbe ch’esser dovevano assolti: ma questo barbaro costume non potè esser abolito giammai, come attesta lo stesso Re Luitprando nelle sue leggi11. Sed propter consuetudinem, dic’egli, gentis nostræ longobardicæ legem impiam vetare non possumus.

Egli è vero, che in progresso di tempo i Longobardi, sia pel consorcio cogl’Italiani, sia per l’influenza e forza del clima, si andarono gradatamente spogliando d’una parte della natìa loro ferocia, ed imbevendosi di costumi alquanto più civili ed umani. Nel numero de’ loro Re ve n’ebbero pure di probi e saggi, che governarono il Regno con moderazione e giustizia. Il Re Autari rialzò la dignità e la maestà del trono, e tenne in ubbidienza i suoi Duchi. Egli aveva in moglie Teodelinda figlia di Gundibaldo Duca di Baviera, la quale talmente acquistata avevasi per le sue virtù la venerazion de’ Longobardi, che morto il marito la riconobbero Reggente del regno, e le diedero la facoltà di scegliere in suo secondo marito ed in nuovo Re quello, che più le piacesse. Teodelinda scelse Agilolfo Duca di Torino. I nuovi Regnanti furono costantemente addetti alla purità della religione cattolica in guisa, che poche sono le contrade di Lombardia, dove ancor non si mostrino, [p. 53 modifica]o non si sentano citati monumenti della pietà della Regina Teodelinda, e di Agilolfo. Noi non dobbiam qui tacere la singolare stima e venerazione, che questa celebre Regina ebbe pel nostro Abate Secondo. Scrive il Muratori, ch’essendo stato nell’anno 603 solennemente portato al sacro fonte in Monza il figliuolo nato al Re Agilolfo, per così magnifica funzione fu scelto il giorno santo di Pasqua .... Ottenne la piissima Regina Teodelinda dal marito, ch’esso figliuolo, a cui fu posto il nome di Adaloaldo, fosse battezzato nella fede cattolica, e tenuto al sacro fonte, o pur battezzato da Secondo Abate nativo di Trento, uomo ch’era allora in concetto di gran santità, e carissimo ad essa Regina12. Questo Abate Secondo aveva scritta, come abbiamo pur accennato più sopra, una storia del Regno de’ Longobardi, che andò poi con grave danno perduta, ma che servì a Paolo Diacono a tessere in gran parte la sua.

Agilolfo dimostrò, che la religione non indeboliva punto in lui il vigor del governo; poich’egli represse l’ardire de’ Franchi, che tuttavia scendevano di tempo in tempo ad infestare l’Italia, accrebbe il suo Reame colla conquista d’altre terre, che ancor obbedivano agl’Imperadori greci, e tenne a freno i suoi Duchi, i quali per altro nell’autorità, [p. 54 modifica]ch’esercitavano ne’ loro governi, mal soffrivano di dover esser subordinati ed ubbidienti al capo sovrano della nazione. Anche il Re Ariberto Bavaro d’origine, e nipote della Regina Teodelinda governò l’Italia con senno e moderazione. Grimoaldo pure e Bertarido regnarono con lode di giustizia e d’equità; ma il regno di quest’ultimo fu turbato da guerre civili. Troppo lungo sarebbe il narrare tutti gli avvenimenti, ch’ebber luogo durante il regno de’ Longobardi in Italia, ed io toccherò solo ciò che riguarda il nostro paese.

Alachi o Alachisio Duca di Trento aveva data una sconfitta al Duca di Baviera, il cui dominio stendevasi allora fino a Bolgiano. Gonfio Alachi per questa vittoria si ribellò dappoi al Re Bertarido suo signore, il quale volendo punirlo della sua ribellione si portò ad assediarlo in Trento; ma Alachi sortito di città colla sua guarnigione diede una rotta al Re, che dovette precipitosamente fuggire. Il Re poscia gli perdonò per intercessione del proprio figlio Cuniberto, e lo fece inoltre Duca di Brescia; ma morto Bertarido, Alachi con insigne ingratitudine e perfidia si ribellò anche al Re Cuniberto pel desiderio di salire egli stesso sul trono. Messi a parte de’ suoi disegni alcuni Longobardi suoi amici, e tra gli altri principalmente due potenti cittadini bresciani Aldone e Gramone fratelli, entrò con essi in Pavia in tempo che il Re era fuori, ed occupato il palazzo reale si [p. 55 modifica]fece gridare Re per la terra: ma Aldone e Gramone avendo dappoi abbandonato il partito d’Alachi non andò guari, ch’essendo egli assente ricondussero in Pavia il legittimo Re Cuniberto. Alachi andò qua e là per le città lombarde a sollevare le genti, e fortificato più che potè il suo esercito venne col Re a battaglia, la quale fu assai sanguinosa da ambe le parti, ma Alachi restò in essa ucciso, e colla sua morte finì quella civil guerra13.

Ma ritornando al governo dei Re Longobardi più memorabile d’ogn’altro fu il regno di Luitprando, il quale avendo sperimentata prima la buona ed avversa fortuna portò sul trono quelle virtù, che non sempre trovansi in quelli, che non vissero che nella prosperità e nella mollezza. Egli regnò per lo spazio di trenta due anni, accrebbe lo Stato con nuove conquiste in Italia contro gl’Imperatori di Costantinopoli, e l’ornò con buone leggi e costumi. Tra i buoni Re merita pure di essere annoverato Rachi amato così da’ suoi sudditi come dagli stranieri pel suo amore della religione, della giustizia, e della pace. A Rachi succedette nel regno Astolfo suo fratello, il cui genio conquistatore avendo cinta d’assedio Roma, onde poi senza ostacolo [p. 56 modifica]impadronirsi di quello che ancor restava al greco Impero, accelerò lo scoppio di quella macchina, che già avevano cominciato a fabbricare contro l’invidiata potenza de’ Longobardi la Corte di Roma, ed i Re Franchi. Morto Astolfo fu eletto Re Desiderio, il quale continuar volle le ostilità contro Roma, ma sotto di lui l’Italia cadde in potere de’ Re franchi, come vedremo nel seguente capo.


Note

  1. Oltre i Duchi posti nelle città principali eranvi in alcuni luoghi dei Conti ad essi subordinati, e tal dobbiamo credere, che fosse pur questo Regillone Conte di Lagaro subordinato al Duca di Trento.
  2. Verona illustrata Part. I. lib. 20. pag. 263.
  3. Memorie antiche di Roveredo nella lettera al Preposto Muratori.
  4. Idea della storia della Val Lagarina.
  5. Chorographia Italiæ medii ævi
  6. Lib. 10. cap. III.
  7. De gestis Longobardorum lib. 3. cap. 30.
  8. Veggansi Memorie antiche di Rovereto Lettera al Muratori §. 37. e segg.
  9. Paolo Diacono lib. 4. cap. I. e cap. 2.
  10. Denina Rivoluzioni d’Italia lib. VII. cap. 6.
  11. Lib. 6. leg. 65. et lib. I. cap. 10. leg. I.
  12. Muratori Annali, d’Italia. Anno 603.
  13. Un più diffuso racconto di questa guerra tra Alachi Duca di Trento, ed il Re Cuniberto può leggersi presso il Denina Rivoluzioni d’Italia lib. VII. cap. 4.