Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/II. Mantova/V. Relazione del clarissimo signor Pietro Gritti al duca Francesco di Mantoa (1612)

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V. Relazione del clarissimo signor Pietro Gritti al duca Francesco di Mantoa (1612)

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V. Relazione del clarissimo signor Pietro Gritti al duca Francesco di Mantoa (1612)
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V

RELAZIONE

del

clarissimo signor PIETRO GRITTI,

ritornato di ambasciator al duca Francesco di Mantoa

l’anno 1612

Serenissimo Prencipe, illustrissimi ed eccellentissimi signori, è stata con ottima ragione instituita dalla prudenza de’ nostri maggiori quella consuetudine, onde ogni suo rappresentante nel ritorno dal carico, che ha essercitato, è tenuto di riferire le cose che ha vedute ed osservate, poiché con questo mezo le Signorie Vostre illustrissime ed eccellentissime hanno del continuo quel lume e quella notizia delle cose dei prencipi, che gii è sommamente necessaria; ed ai publici ministri si aggiugne un perpetuo stimolo ad adoperarsi con piú attenzione e con piú vigilanza nel servizio publico, essendo certi di dover manifestar le osservazioni fatte a questo sapientissimo Conseglio; e quelli che col corso del tempo succedono a questo governo, ritrovando tra le scritture publiche de’ suoi archivi una copiosa instruzione de’ piú importanti interessi e delle piú intrinseche affezioni degli altri governi, possono ricevere molti necessari ammaestramenti. A quest’ottimo costume dovendo io obedire, se ben son certo di non poter se non imperfettamente sodisfar al mio debito, e per la ordinaria debolezza delle mie forze e per il breve tempo che mi son trattenuto nella corte di Mantoa, non devo però restar di dire brevemente quelle cose che per il mio debole senso sono degne della sua intelligenza, tralasciando le altre [p. 112 modifica]che o si possono leggere nelle istorie a stampa o per la vicinitá dei Stati sono a tutti molto ben note. Ed in questa mia relazione si sodisferanno Je Signorie Vostre eccellentissime di avere una descrizione del stato delle cose presenti di quel prencipe, la quale in quei pochi di ho potuto solamente abozzare e forse anco con molte imperfezioni.

Il dominio del signor duca si divide in due Stati: di Mantoa e del Monferato. Non devo dar tedio inutilmente alle Signorie Vostre eccellentissime nel descrivergli il Stato di Mantoa, perché questo gli è tanto vicino che cadauna d’esse può avere quella cognizione d’esso che le ha del suo dominio e dei luoghi propri: dirò solamente che questo Stato confina con spagnuoli, con la Chiesa per il Ferrarese e con la Serenitá Vostra. Il qual confine è in ogni occorrenza di guerra importantissimo; perché, quando spagnuoli avessero l’adito aperto in questo Stato di Mantoa, potriano da quella parte per molte strade venir a’ danni dell’Eccellenze Vostre, poiché averiano il modo di penetrare senza alcun ostacolo a Asola, Verona e Legnago e, ricevendo ogni sorte di vittuaria da questo paese, delle quali è molto abondante, potriano senza toccar Asola attaccar Peschiera per la via di Coito. Oltre che, essendo Mantoa 8 miglia lontana dal Po, si conduriano per il Po sino a Viadana, luogo del signor duca confinante con Casal maggior, che è del re di Spagna, ed anco potriano venir per il Mencio a Revere e Ostia, che è 18 miglia discosta da Legnago. La importanza di questo Stato consiste nella cittá di Mantoa, la quale è resa forte piú dalla qualitá del sito che da altro riparo, poiché è posta in mezo ad un lago fatto dal fiume Mencio e vien assicurata in modo dalle acque, che la circondano da ogni parte, che ha poco bisogno di altra fortificazione. Queste acque vien detto che possono esser inalzate ed anco levate, si che resti il lago asciutto. E raccontano che, passando l’imperator Carlo V per Mantoa, per darle ricreazione fu condotto un giorno nella piú amena parte di quel lago a veder a pescare; e poi il di seguente, dicono che nel luogo medesimo, essendo state levate le acque, le fosse fatta veder una bellissima caccia di sparavieri e d’altri uccelli. [p. 113 modifica]

L’aere di Mantoa è intemperato ed alquanto grosso, massime il tempo della state. La cittá è piena di buoni edifici e di conveniente numero di abitatori, che si fa conto che siano 30.000 in circa. Si lavora in essa abondantemente di guchiaria, di lana, seda ed azze. L’arte della seda fiorisce non mediocremente. Vi sono mercanti in buon numero e ricchi, e vi è del negozio assai, il quale da alcuni anni in qua è molto accresciuto, e questo augumento ha pregiudicato assai per la vicinitá alla cittá di Verona, essendole stati sviati molte artefici particolarmente di sede.

Vi sono altri luoghi considerabili in questo Stato oltre la cittá di Mantoa, come Castel GiutTré, che è fortezza di presidio, che il signor duca Vicenzo aggiunse a’ suoi Stati, avutolo in cambio per Medolo e per una torre dal giá signor Alfonso Gonzaga, zio del marchese di Castiglione; Canedo, 12 miglia lontan da Asola; la Volta, 4 miglia presso Valezo: luogo che, se bene non è pressidiato, è però di molte conseguenze per il ponte famoso sul Mencio, che dá il transito alli esserciti in Lombardia. Non parlo degli altri luoghi di casa Gonzaga pressidiati e degni di considerazione, come Sofferin, che è del fratello del marchese di Castiglion; Ostian, del vescovo di Mantova; Sabioneda, della qual terra è patrona la signora donna Isabela Gonzaga, moglie del prencipe di Stiglian, 12 miglia lontana da Asola, che ha alle spalle e 2 miglia discosto Casal maggior, luogo del re di Spagna sul Po. Dirò solamente alcuna cosa di Castiglion, che è il piú importante di tutti ed è posseduto dal marchese Francesco Gonzaga, molto ben conosciuto dalle Signorie Vostre eccellentissime. Questo è un luogo veramente di gran considerazione ed al quale è d’avere molto ben l’occhio, non meno per il sito, che è considerabilissimo, che per l’impotenza e poche forze di chi lo possedè, che molte volte ha trattato cori spagnuoli d’alienarlo, si come è ben noto alle Signorie Vostre eccellentissime. È posto Castiglione in sito tale che soprastá e predomina a molte terre grosse della Serenitá Vostra, che lo circondano da ogni parte e non le sono piú di 3, 5, 6, 8 miglia lontane: Montechiaro, Caspenedolo, Calcinedo, [p. 114 modifica]Calvisan, Chedi, Castagnedo, Pozzolengo, che è lontan 5 miglia da Peschiera; oltra che, quando capitasse in mano di prencipe grande e fosse ridotto in fortezza, averia il predominio e metteria il freno a 36 communi della Riviera di Salò, che sono in pari distanza intorno il lago di Garda. Son stato avertito per penetrare quali pensieri possi avere il marchese di alienare questo luogo di Castiglione dopo il suo ritorno di Spagna; e si tiene in Mantoa che, con tutto che lui si sia aggravato di molti debiti in quella ambascieria, continui però nel pensiero di non privarsene. Tuttavia è tale l’importanza di questo luogo e cosí grande il pregiudizio e danno che la Serenitá Vostra riceveria se capitasse in mano del re di Spagna, che è parte di cadami suo ministro star molto ben vigilante ad ogni trattazione e ad ogni motivo de’ spagnuoli.

Non devo restar di rifferire quello che mi disse il signor duca, parlando di questi luoghi de’ signori Gonzaghi, cioè che sperava col mezo de l’imperator, che se li dimostrava molto affezionato per la parentella che ha seco, di acquistarne alcuno, come Sabioneda; e, nominandole io Castiglione per scoprir alcuna cosa delli pensieri del marchese, disse che Sabioneda le tornava piú a conto. Quale poi abbia ad essere la riuscita di questi pensieri, ne rimetto il giudizio alla prudenza delle Eccellenze Vostre, le quali sanno molto bene che, avendo altre volte il signor duca Vicenzo trattato di avere l’istessa terra di Sabioneda, il conte di Fuentes, avendolo presentito, protestò e fece sapere a lui che, in caso di motivi in quelle parti, il suo re ad ogni modo vorria mettervi pressidio. In questo Stato di Mantova sono, come s’intende, descritti 10.000 fanti di ordinanze: sono questi cavati uno per casa, della maniera che si fa delle cernide della Serenitá Vostra. Vi sono inoltre 600 archibusieri a cavallo, i quali in luogo di paga godono essenzioni e privilegi, 100 corrazze e 800 lance, de’ quali si pagano li capi ed officiali.

Il Stato del Monferato poi è maggiore di quel di Mantoa, piú pieno di castelli, di nobiltá e di feudatari, e per la fertilitá e bellezza sua si può stimar non inferiore ad alcun altro paese [p. 115 modifica]d’Italia. Li suoi confini sono il Piemonte, Saluzzo, Genova e parte dello Stato di Milano. La principal cittá è Casal, nella quale vi è il castel vecchio e la cittadella, che è piazza grande e molto importante. Questa, per esser convenientemente pressidiata, doveria avere di ordinario pressidio almeno 600 fanti, oltre gli officiali; ma non ne tengono se non la mitá. Il signor duca, ragionando di questa cittadella, mi disse che suo padre l’aveva fatta piú per certa boria che perché convenisse al suo servizio di farla, poiché le fortezze non fanno per tutti li prenci pi; che con tutto ciò, se venisse occasione di travaglio, spereria di poterla difendere e portar il tempo innanzi. Molte volte spagnuoli hanno mostrato la voglia che hanno di assicurarsi di questa fortezza ed il pensiero che ne tengono; ed in tempo che il conte di Fuentes governava Milano, il duca morto ne aveva una continua gelosia. Ha questo Stato diverse altre terre pressidiate, e sono Trino, Moncalvo, Alba, San Damiano, Ponzano e Diano, nelle quali vi sono fra tutte 200 soldati in circa.

Il Monferato ed il Stato di Mantoa fanno un buon e bel corpo, ma tagliato e separato nel mezo, poiché resta il Mantoano diviso dal Monferato per la interposizione del Stato di Milano. E questa separazione è di gran momento e rende una molto considerabile opposizione alle forze di questo prencipe, poiché conviene, per ii ordinali bisogni de’ suoi Stati, di tran siti, di gente e di condotte di vittuarie, decorrere a’ ministri spagnuoli, con li quali è necessitato il signor duca d’intendersi sempre bene. Deve anco per l’istessa causa portar sempre gran rispetto al re cattolico, né li interessi suoi permettono che faccia alcuna dechiarazione per la quale resti separato e alienato da lui. E, con tutto che il duca Vicenzo in molte sue azioni mostrasse animo inclinato e quasi parziale alla corona di Francia, ben si puoté comprendere quanto rispetto avesse al re di Spagna nelle trattazioni, seguite giá pochi anni sono, di condursi al servizio del serenissimo dominio, che si legono nella sua cancelleria secreta; poiché, quando fu toccato il punto di rinonziare l’ordine del Toson, che era un discostarsi da quel re, il signor duca tolse tempo di trattar questo negozio e [p. 116 modifica]restò interrotta la trattazione. E molto piú chiaramente questo si puoté vedere, quando l’anno 1600 il duca assenti d’alloggiare 4000 spagnuoli nel Monferato a richiesta del conte di Fuentes, con tutto che piú volte avesse prima negato di riceverli. Non devo tacere a questo proposito quello che da alcuni ho sentito a dire in Mantoa, raggionandosi, come si fa, del modo che doverá tenere il duca presente con spagnuoli e come averá da governarsi. Non mancava chi dicesse che lui fosse per dechiarirsi piú apertamente per il re cattolico di quello che aveva fatto il padre, e che convenirla obligarsi di quel modo che fanno altri principi in Italia. Consideravano questi che le ragioni, che avevano persuaso il duca Vicenzo a mantenere quel temperamento ed a stare quasi di mezo tra la parte francese e la spagnuola, erano al presente fatte diverse e variate, poiché la potenza e l’autoritá del re di Spagna non era allora si grande e non doveva dare cosí ragionevole sospetto all’Italia. Che ora spagnuoli si ritrovavano liberi da ogni travaglio di guerra e per mezo de’ nuovi matrimoni restavano uniti con quel regno, che per il passato le faceva contrapeso e sempre aveva fatto ostacolo a’ dissegni loro. Che allora li prencipi di mediocre forze, li quali in Italia non volevano farsi parziali de’ spagnuoli, avevano modo di seguitare la propria inclinazione, poiché vi era chi dava animo e vigore di poterlo fare, essendovi in Francia un cosí gran re; ma che in questi tempi la Francia è mutata incredibilmente dal stato nel qual si trovava in tempo del re Enrico, e quelli che presiedono al governo dimostrano pensieri molto alieni da sostentare le aderenze che teneva in Italia il passato re. Che francesi avevano ultimamente dimostrato di fare dell’amicizia della Serenitá Vostra quasi niuna stima; e pure è principe grande, avendo un suo ministro attraversata la sua lega con Grisoni con quei termini che è molto ben noto. Che con tale operazione quelli che governano quel regno avevano publicato un gran essempio ai principi di Italia, e quasi dechiaritogli quello che potevano sperare in questi tempi dalla amicizia della Francia. Che il duca, avendo una cittadella nel Monferato cosí gelosa, un Stato diviso e da piú bande esposto [p. 117 modifica]all’offese de’ spagnuoli, doveva dubitar delle cose sue, anco per le qualitá de’ ministri spagnuoli, i quali vengono al governo di Milano, che spesso sono de’ spiriti inquieti e per il piú tengono un’autoritá grandissima e massime generali di procurar il servizio del re in questa provincia: onde molte volte per l’imprudenza o mala volontá di un solo ministro si vedono di quelle essorbitanze, che per ragione non si doveriano vedere giammai; e che anco di una essorbitanza aveva il duca da temere. Ma tutto questo sia detto incidentemente, essendomene stato parlato per via di discorso e da chi non dipende dal signor duca.

Nel Monferato si trovano descritti 18.000 fanti e 600 cavalli, la quale è molto buona gente, e dicono che sia migliore di quella delle ordinanze del Stato di Mantoa. Altre volte trattarono spagnuoli di permutar la cittá di Cremona e territorio con questo Stato del Monferato, e poco tempo innanzi la morte del signor duca Vicenzo fu rinovata la trattazione di questo negozio. Questa permuta saria con molto vantaggio de’ spagnuoli, perché, se bene niuna cittá del Monferato si può equiparar a Cremona, che dopo Milano è stimata una delle piú populate cittá di Lombardia, tuttavia il Monferato è maggior paese e fertilissimo e abondantissimo, ha tre cittá e, quello che molto piú importa, serviria per frontiera al Stato di Milano dalla parte del marchesato di Saluzzo e del Piemonte. Un altro avantaggio averiano spagnuoli, e notabilissimo, quando facessero questo cambio; ed è che necessiteriano il signor duca di Savoia a dipender da loro e quasi le metteriano il fren, serrandolo e stringendolo da quella parte a punto nella quale si trova manco gagliardo e ha lo Stato piú aperto; e saria anco di gran momento a’ spagnuoli per molestar il duca di Savoia l’acquisto, che fariano, della cittadella di Casal, che è piazza di molta importanza. Si intende però che la cittá di Cremona non assentirebbe di sottoporsi alla cittá di Mantoa; e credesi che anco il duca sia alieno da questo partito, poiché si priverebbe delli sudditi suoi naturali, che le sono affezionati, per acquistar sudditi e Stato nuovo, del possesso del quale non potria né anco restar ben sicuro, [p. 118 modifica]per le giuste pretensioni che hanno le Signorie Vostre eccellentissime sopra d’esso Stato.

Di questi Stati ricava ducati 400.000 in circa di rendita all’anno. Del Stato di Mantoa ducati 200.000; e questa consiste parte in dazi, fra’ quali il principale è quello del sai, affittato ducati 34.000; e parte in stabili e beni feudali ed alodiali propri della casa. Il Stato poi del Monferato rende altri 200.000 ducati l’anno. Un’altra entrata o utilitá estraordinaria ha il signor duca, oltre queste rendite ordinarie, la qual si cava da composizioni, suffragi, condanne e grazie. Questa entrata poteva arrivare in tempo del duca Vicenzo a 80.000 ducati: ora, procedendosi con piú riserva e con piú equitá, si fa conto che si possi cavarne la mitá.

Le spese solevano essere grandi in tempo del passato duca, spendendo lui molto in tenere una gran corte, che ascendeva al numero di 800 boche, assai in suoi gusti e privati piaceri e molto ne’ viaggi, che ben spesso faceva piú per diletto che per necessitá. Ora sono grandemente diminuite, perché sono stati licenziati tutti li alchimisti, si hanno levate molte provisioni superflue a principali donne della cittá ed a uomini, che non avevano altro carico che di servire ai gusti del prencipe. Si mostra il signor duca alieno dal far viaggi e dall’abbracciare occasioni di spese, e si spende solamente nelle cose necessarie, ed anco in queste con gran regola ed assignazione, volendo il signor duca aver, per ordinario, distinto conto di tutte le spese che si fanno, le quali il padre rimetteva all’arbitrio de’ ministri. Nelle spese poi, che servono ad apparenza ed a sostentar il decoro, non si usa l’istessa parsimonia, anzi sono queste accresciute, avendosi aggiunte due guardie a quella sola di arcieri che era tenuta ultimamente dal padre: una d’archibusieri dello Stato del Monferato, e l’altra de’ tedeschi, che erano stati licenziati; e saranno, questi, 60 per guardia. Con questo regolato ed assignato modo conviene il signor duca procedere, non avendo il duca suo padre lasciatale provisione alcuna de dinari, ma bene un carico grande di debiti. Non posso affermare all’Eccellenze Vostre Ja certa quantitá, poiché per [p. 119 modifica]riputazione del duca ognuno ne parla con rispetto. Questo è ben certo: che il signor duca Vicenzo poco tempo innanzi la sua morte, trovandosi debito di 800.000 ducati, 500.000 ne assignò a] Stato del Monferato, perché fossero pagati genovesi, che sono li creditori, e li altri 300.000 diede carico di pagarli al Stato di Mantoa, ed in questi sono compresi livelli fatti in questa cittá, debiti che si hanno in questa piazza ed anco col monte di pietá della cittá di Verona. L’assignamenti non hanno avuto effetto alcuno, si che resta il debito intiero delli 800.000 ducati e quel di piú che sará stato contratto d’allora in qua, che convien ascendere a summa considerabile. A questi debiti si dice che il signor duca pensi di sodisfare, non solo con le contribuzioni che caverá dalli suoi Stati e con l’avanzo che fará delle sue entrate mediante la spesa ordinata e regolata che fa, ma con dar anco esito a una parte delle gioie che le ha lasciato il signor duca suo padre ed anco, vien detto, a qualche parte de’ beni stabili.

Ho detto fin qui delli Stati e fortezze del signor duca, delle opposizioni che hanno, delle entrate e spese, delli debiti e dissegni di pagarli. Dirò ora con la medesima brevitá delle qualitá del signor duca e delle altre cose a questo capo attinenti, che è la parte, come io stimo, piú sostanziale e necessaria.

In questi Stati è successo ora il duca Francesco, in etá molto giovane, non avendo ancora finiti 26 anni, prencipe dottato abondantemente de’ doni della natura, avendo un proporzionatissimo corpo e tanta bellezza e grazia e nella faccia e negli occhi ed in tutto il resto, che le concilia non meno l’affezione che certo rispetto e stima d’ognuno al primo aspetto. Dá indicio di dover riuscire giusto, temperato ne’ piaceri; di natura grave, tenace; nello spendere, regolato; ed assignato in ogni sua azione: nel governo mostra attitudine grande e tanta diligenza, intervenendo a tutti li Consegli di Stato ed ascoltando prontamente cadauno, che i suoi se ne maravigliano, essendo assuefatti col padre, che lasciava tutto ’l peso de’ negozi alla moglie e di niuna cosa s’impediva. Tratta con li suoi con modo riservato e grave, né lascia scoprire in lui indignazione o affetto piú all’uno che [p. 120 modifica]all’altro de’ servitori e de’ suoi ministri. Le prime azioni, quando entrò in Stato, furono restringere in piú stretti termini e ridurre sotto leggi piú severe li ebrei, che in Mantoa sono in gran copia e ricchi ed in tempo del duca Vicenzo godevano ogni libertá. Levò anco diversi appalti e simili invenzioni di vessare la povertá, fatte da uomini, i quali, pagando un prezio limitato alla Camera, caricavano eccessivamente quella mercanzia, la quale soli restavano a poter vendere, ed ora si vende liberamente da ogni uno a beneficio commune. Pare però che nel generale i sudditi rimanessero piú sodisfatti del governo del duca Vicenzo, se bene alcuna delle sue azioni meritava piú tosto riprensione e ridondava in danno dei sudditi medesimi. E vien creduto che questo sia causato, in alcuni, perché ricevevano beneficio dalli disordini di esso e con le sue profuse spese si sostentavano; in altri poi, perché col corso del tempo si erano assuefatti ad amare e ad aver cari i difetti medesimi del suo prencipe; ed in molti ancora, perché la natura libera, affabile e piacevole del passato duca era piú conforme e piú accommodata alli naturali costumi di quei popoli, di quello che pare che sia la grave e riservata maniera che tiene il duca presente.

L’infante Margherita, moglie del signor duca e figliuola del duca di Savoia e d’una sorella del re cattolico, è di mediocre bellezza; ma riesce però molto graziosa, osserva gravitá e decoro grande. Il signor duca l’ama e la stima: non le dá però parte nel governo, non intervenendo ne’ Consegli di Stato, ma nelli soli di giustizia ed anco di grazie, e lei se ne duole assai, dicendo che la suocera vi interveniva sempre. Ma il duca stima che siano piú tosto da moderare che da fomentare li suoi pensieri, forsi perché vede l’essempio della sorella, maritata nel prencipe di Modena, che ha preso dominio sopra il marito e vuole essercitare superioritá.

Delli figliuoli non dirò cosa alcuna, essendo il prencipe Lodovico d’etá d’un anno e la principessa Maria ne ha poco piú di due. Alli quali furono dal signor duca Vicenzo fatti imponere li nomi predetti, che sono quelli con li quali si chiamano il re e la regina di Francia; e dicono che lo facesse per dechiarare [p. 121 modifica]anco in questo l’inclinazione e devozione avuta sempre da lui a quella corona.

Del signor cardinale, che è il maggiore delli fratelli del signor duca, poco averò a refferire alla Serenitá Vostra, poiché non si ritrovava in corte. È stato a Mantoa una volta dopo la morte del padre e vi ha dimorato pochi di, e si dice che tra il signor duca e lui non passi buona intelligenza. Alcuni vogliono che questo sia per le nature differenti, essendo il cardinale profuso nelle sue spese e di maggior vivacitá d’ingegno che non è il duca; e altri dicono che è ordinario costume di tutti i prencipi non si fidare ed aver sempre sospetto quello che, come piú prossimo, deve succedere nelli Stati. Si è questo appoggiato all’autoritá del regno di Francia e va avantaggiando in tal modo la sua fortuna, avendo finora ottenuto in quel regno, fra pensioni e benefici ecclesiastici, per 30.000 ducati di rendite; e si deve credere che la regina sia per beneficiarlo ogni giorno maggiormente, per renderselo piú ed obligato e dependente. Altri 30.000 ducati di entrata si fa conto che possi avere de’ benefici ecclesiastici, tra’ quali vi è il priorato di Barletta e l’abbazia di Lucedo in Monferato.

Il signor don Vicenzo, che è l’altro fratello, è di bella presenza e di costumatissime maniere, al quale il padre ha lasciato 18.000 ducati in entrata, e si pensa di provederli di qualche altro trattenimento. Averia il signor duca pensiero di mandarlo in Spagna e dedicarlo al servizio del re cattolico, ma vorria che se le presentasse occasione di poterlo fare. Mi disse parole di grand’osservanza verso la Serenitá Vostra: mi parve di poter comprendere che venirebbe al suo servizio, avendomene anco fatto motto il signor conte Francesco Brembato, cavalier de l’ordine..., suddito di Vostra Serenitá. È questo di etá di 20 anni: mostra inclinazione di andare alla guerra per acquistare esperienza in quella professione. Il signor duca ne fa buon conto, lo tiene alla sua tavola, si come anco fa del signor don Silvio, fratello naturale, che veste l’abito di cavalier di Malta ed ha 8000 ducati d’entrata, lasciatigli dal padre. A questo ancora il signor duca procura trattenimento ed ha [p. 122 modifica]mandato un suo secretano a Malta per farle avere una gran croce.

Le sorelle del signor duca sono due: una maritata nel duca di Lorena, l’altra d’etá di 13 anni. La regina di Francia, che mostra affezione a questa casa, essendo lei e il duca nati di fratello e sorella, voleva maritar questa principessa in un figliuolo del contestabile; ma il signor duca tiene la mira molto piú alta e sta non senza speranza di poterla dare al prencipe di Savoia, quando restasse escluso da altre pretensioni maggiori.

Li suoi ministri principali sono il vescovo di Diocesarea, il signor Giovanni Gonzaga, il Chieppio e l’Iberti. Il vescovo ed il Gonzaga sono stati nuovamente aggionti nel Conseglio; Liberti attende come faceva prima ai negozi di Spagna. Del Chieppio era commune opinione in Mantoa che il signor duca non si valesse, per li disgusti da lui ricevuti quando era prencipe, avendo il duca avuto concetto che fomentasse il pensiero che suo padre aveva di pigliar per moglie la sorella del signor duca di Parma, la quale giá molt’anni aveva ripudiata. Ma, successo al governo, volle anteponer a questo disgusto il beneficio che poteva sperar da lui. come quello che è instruttissimo delle cose de’ suoi Stati: le rimane tuttavia il carico piú principale de’ negozi e la maggior autoritá, se ben non ha piú il luogo di primo consiglierò che aveva inanzi, essendo preceduto dal vescovo di Diocesarea e dal Gonzaga.

Ha il governo dell’armi del signor duca il commendator Langosco, che aveva prima il signor Carlo di Rossi, figliuolo del signor Ferrante, mandato dal presente duca governator in Monferato. Di prò visioni da guerra, arme, polvere ed artigliaria, è il signor duca munito convenientemente, avendo nel suo armamento di Mantoa 12 pezzi di artigliaria grossa da batteria, e d’artigliaria da campagna 50 pezzi; e nelli suoi Stati anco dicono esser assai ben proveduto.

Passa il signor duca buona intelligenza con tutta la casa d’Austria, e con essa è da credere che procurerá d’intendersi sempre bene, ed in particolare con il re cattolico e con suoi ministri. Con l’imperatore tiene anco parentela, essendo la imperatrice [p. 123 modifica]nata di una sorella del duca Vicenzo, ed ha dato segni del contento che ha sentito della sua assunzione all’imperio con diverse publiche feste, che furono fatte in tempo ch’io mi ritrovavo in Mantoa.

Delli pensieri che possi avere il signor duca di accostarsi scopertamente piú ad una che all’altra aderenzia e di apertamente dechiarirsi o per francesi o per spagnuoli, poco posso dire alle Signorie Vostre eccellentissime oltre quanto ho detto di sopra, perché il formar questo giudizio non è opera da ridurre a fine in pochi di, ma con lungo tempo e con una continuata osservazione. È sempre cosa difficile il far giudizio degli interni pensieri de’ prencipi, ma il scovrir ed il penetrar ne’ dissegni d’un prencipe nuovo è cosa molto pericolosa, poiché questo giudizio conviene esser fondato non nelle operazioni, che dechiarano molto bene i secreti dell’animo, ma sopra conghietture, che riescono molte volte fallaci. Oltre che, il prencipe nuovo si può mutar, perché si dice communemente, e l’esperienza anco lo dimostra, che i prencipi spesse volte non hanno modo né poter da resister alla forza che usa ed alla violenza che fa il tenere superioritá sopra gli altri ed il dominar. Dirò solamente questo: che, ragionandosi in Mantoa, come si fa, di questi affari, da alcuni ho sentito a dire che credevano che il duca non dovesse tenere, in questo, modo diverso da quello che ha tenuto sempre il duca suo padre, dicendo questi che era piú verissimile che avesse a governarsi con l’essempio domestico che con quello de’ altri prencipi, che in Italia seguitano scopertamente la fazione spagnuola o che per l’avvenire la potessero seguitare. Che l’inclinazione del duca e li costumi suoi naturali ne davano buon indizio, dimostrando lui animo grande e generosi pensieri, i quali lo persuaderanno sempre a voler sostentare la sua dignitá, a non ricevere pensioni ed a non privare la sua casa di quel titolo, che professa di avere in Italia, d’indipendente. Che l’istesso le persuaderá sempre la parte che ha come prencipe italiano nell’interesse che si conservi la libertá di questa provincia. Che, avendo un Stato cosí commodo a chi aderirá in occasione di rottura, il servizio suo ricerca che [p. 124 modifica]non si privi del beneficio, che può ricevere dal mantenersi in libertá, di poter sempre determinarsi piú ad una che all’altra assoluzione, secondo la qualitá de’ tempi e degli accidenti. Che il signor duca suo padre aveva avuto a provare lui ancora tempi molto difficili per l’Italia, né mai si era mutato di proposito, ancorché avesse veduto la Francia in tante perturbazioni senza re e senza un determinato governo; ed in quelli istessi tempi avesse veduto in Spagna un re di pensieri cosí grandi e de’ fini cosí alti, che, se ben implicato in altre guerre, dava per avventura piú giusta occasione di temere all’Italia di quella che dá il presente re, che dimostra animo molto moderato e grande inclinazione alla pace, la quale vedesi che conferisce anco all’interessi di chi assiste con grandissima autoritá a quel governo. Che il duca non poteva dubitar che in occasione de’ disturbi, che le potessero essere promossi da’ spagnuoli, l’abbandonasse la Serenitá Vostra, anzi che da lei potrá sempre aspettar una sicura protezione, come da quella che è prencipe grande, che ha sommamente a cuore il bene dell’Italia e che non deve per suo interesse lasciar cadere alcuno dei prencipi italiani. Che il duca con l’ordine e con l’assignazione, con la quale fa tutte le sue spese, si libererá dai debiti lasciatigli dal padre, cumulerá dell’oro, né si lascerá mai ridurre in stato tale che il bisogno di denari lo abbia a necessitar a far assoluzione contraria alli suoi interessi. Che anco le particolari condizioni di chi governa ora in Milano daranno cuore ed animo grande al duca, poiché questo ministro è venuto al governo di quel Stato con non grande autoritá, si dimostra alieno dai rumori e dá anco alcun adito ai prencipi di profittarsi con l’usarle liberalitá. Che, se ben questo era benefizio momentaneo, potendo il ministro mutarsi, doveva però il duca stimar grandemente il poter temporeggiare, poiché tratanto si miglioravano le sue condizioni e cresceva in Francia il picciolo re; il quale, quando fosse pervenuto al governo, si poteva ben credere che, come figliuolo di cosí glorioso padre, avesse a fare operazioni grandi ed a non abbandonare l’Italia e li naturali amici di quella corona e li suoi medesimi interessi. [p. 125 modifica]Queste cose ho sentito a dire in Mantoa, ragionandosi, come occorre molte volte, di simili negozi, e vi erano varie opinioni. Di quello poi che si possi credere che abbia a succedere, sia rimesso il giudizio alla prudentissima considerazione della Serenitá Vostra.

Col signor duca di Savoia tiene ottima intelligenza. Le vecchie pretensioni furono rinunziate vicendevolmente da questi prencipi al tempo delle nozze, e tutte le ragioni che l’uno potesse avere nelli Stati dell’altro. Doveva farsi anco una permuta; per agiustare li Stati, di alcune terre e luoghi, e dicono che siano il Canavese nel piano con alcuni castelli e terre nelle montagne; ma questa però non ha avuto effetto alcuno e per le difficoltá che ha in sé il negozio, e per altre che sono state interposte da’ spagnuoli: onde resteranno tra li posteri di questi prencipi li medesimi semi di discordie e le antiche pretensioni, e stimeranno esser stata invalida ogni rinunzia fatta a loro pregiudizio. Non mostra il signor duca di laudare tutte le azioni del duca suo suocero né di commendare li suoi pensieri, ed a me disse a certo proposito che ’l duca di Savoia era un buon prencipe, ma che, per troppo desiderio di accrescere la sua fortuna, aveva spesso messo in pericolo li propri Stati; ed a lui per il contrario piú piaceva attendere a conservare il suo e contentarsi della propria condizione quale si sia.

Con tutti li altri prencipi passa il signor duca buona intelligenza, né ha differenza con alcuno, se non che con il duca di Parma. Le cause delli presenti dispiaceri mi furono comunicate dal signor duca, ed io allora con mie lettere ne diedi riverente conto. Li animi di questi prencipi anco innanzi queste differenze erano mal disposti per le discordie, che il padre del presente duca ha avuto con quello di Parma; le quali se ben furono sopite l’anno 1597 col mezo del Cardinal Tarusio, restò però viva memoria delle contese passate, né mai tra queste case si è veduto segno di vera riconciliazione.

Con tutti li altri prencipi, come ho detto, passa il signor duca buona intelligenza, ma particolarmente professa una grande osservanza verso questa serenissima republica, ed è da credere che [p. 126 modifica]tale sia in effetto quale lui dimostra, poiché li negozi delli confini passano quietamente e con commune sodisfazione e gli interessi del bene dell’Italia sono reciprochi. Ne diede segni nelle publiche dimostrazioni che fece allora, e mostrò d’aggradir molto l’ambascieria, onorando me, suo rappresentante: nell’entrar del suo Stato, con farmi prima incontrare affi confini da una compagnia di archibugieri a cavallo della sua guardia e dal signor conte Luigi Montecucoli, giá maggiordomo maggiore del duca Vicenzo, e anco un miglio fuori della cittá dalli signori don Vicenzo e don Silvio, fratelli di esso signor duca, i quali m’accompagnarono fino alle mie stanze. Mi fece anco ricevere nel suo palazzo, spesare lautissimamente, servendomi una numerosa famiglia di gentiluomini ed altri mercanti onorevoli: nel partir poi, mi fece accompagnare nelli suoi bucintori da alcuni de’suoi gentiluomini fino alli confini. Nei ragionamenti anco, che ho avuto seco doi volte che mi tenne a mangiar con lui e nell’occasioni delle feste che si fecero, trattò meco umanissimamente, dandomi sempre titolo d’«Eccellenza», come fecero anco li prencipi: mostrò di aver in grandissima estimazione questo serenissimo dominio, dicendo di conoscere che era il fondamento della libertá d’Italia ed affermando di non voler scostarsi mai da questa protezione. Capitò poi in quei di la lettera del suo ressidente, che avisava la risposta che la Serenitá Vostra aveva dato all’istanza che fece in materia del titolo; e mi fu detto da alcuni de’ suoi che ’l signor duca l’aveva intesa con qualche disgusto.

Non restai con questi di fare quelli offici che avevo in commissione. Il signor duca me ne parlò solamente nell’ultima audienza e con grand’affetto. Mostrò prima un modesto sentimento della risposta avuta e della negativa, che, come disse, era adornata di belle parole. E passò poi a dirmi con molta efficacia che la divozione, l’osservanza e l’ossequio filiale che porta a questa serenissima republica non era inferiore in lui a quello d’alcun altro prencipe, e ben meritava d’essere ricambiato e riconosciuto. Che altro dalla serenissima republica non desidera che di ricevere quell’onore da lei ancora che riceve dalli altri prencipi [p. 127 modifica]grandi; il quale, se ben potria stimare per questo che le fosse debito, vorrá però riconoscerlo sempre dalla benignitá della Serenitá Vostra, che, con questo onore che fará a lui, accrescerá riputazione ad un prencipe che dipende e vuol dipendere da essa, e, con questa dimostrazione di stimare la sua persona, le dará animo e cuore di restare separato da quelli che desiderano di averlo dalla sua parte. Che, ricevendo lui grazia che tanto desidera, la Serenitá Vostra potrá esser certa di aver sempre a disponere di lui, delli suoi Stati, de’ figliuoli e de’ fratelli, della maniera che ha in ogni tempo potuto fare di tutte le fortune di quella casa per antica volontá de’ suoi maggiori, li quali, avendo avuto occasione di essere al servizio della serenissima republica, hanno fatto quelle azioni che sapeva il mondo. E si allargò in questi concetti con affettuosa maniera. Risposi a quest’officio: che la mente della serenissima republica verso li suoi antenati si era dimostrata sempre tale, che non poteva ricever dubbio quella paterna benevolenza che la Serenitá Vostra le portava. Che lei stima molto la sua persona, e piú di quello che abbia fatto finora alcuno de’ suoi progenitori, per le dignissime sue condizioni; desidera in tutte le occasioni e grandi e picciole di sodisfarla; e le dispiace grandemente quando per gravi ed importanti rispetti publici conviene differire le sodisfazioni. E, dilatandomi in quei concetti, che si contengono nella mia commissione, procurai di lasciarlo ben impresso della sincera affezione che le porta la Serenitá Vostra e del desiderio che tiene del bene e grandezza della sua casa. Mi fece poi per il consiglier Chieppio raccomandare Antonio Callegari bergamasco, il quale desidera liberarsi dal bando col inezo d’un prigione, che ha consignato nelle forze delli illustrissimi signori rettori di Brescia, si come piú particolarmente si contiene in un memoriale che lasciai nell’eccellentissimo collegio.

Sodisfeci all’officio, che la Serenitá Vostra mi commisse, con madama di Ferrara vedova, zia del signor duca, la quale lo aggradi molto caramente. Ella fa la sua vita in un monasterio, tenendo un palazzo a quello contiguo, dove riceve le visite. E tutta occupata in fabriche di chiese ed in altre opere pie; e [p. 128 modifica]gode 25.000 ducati di entrata, dicendosi che abbia gioie per 100.000 ducati.

Ho avuto in mia compagnia sei gentiluomini veneziani: il clarissimo signor Cristoforo Surian fu del clarissimo signor Antonio, il clarissimo signor Andrea Surian, il clarissimo signor Francesco Gradenigo fu del clarissimo signor Francesco, il alarissimo signor leronimo Correr deli’illustrissimo signor Angelo, il clarissimo signor Antonio Moresini dell’illustrissimo signor Francesco, il clarissimo signor Zaccaria Priuli fu dell’illustrissimo signor Alvise. Questi signori e col splendore col quale sono comparsi, ch’è stato grande, e con una assidua e cortese assistenza che hanno voluto farmi, non riguardando alcuni all’etá ed a gradi avuti, non hanno lasciato a dietro opera alcuna per onorare un rappresentante la Serenitá Vostra. Vorrei ben 10 ancora esser atto, si come non mi conosco, ad apportargli col mio testimonio qualche ornamento ed a dargli quelle laudi che molto ben meritano per la nobiltá del nascimento e per le altre loro onoratissime e dignissime condizioni, ed anco per questo onore che cosí cortesemente hanno voluto fare ad un suo rappresentante. Messer Giovanni Francesco, mio fratello, ha voluto lui ancora esser meco del continuo, per il desiderio che tiene che io non abbia alcun riguardo alle communi facultá per poter meglio servire la Serenitá Vostra. Oltre questi, ho avuto una compagnia nobile e numerosa di gentiluomini veronesi, padoani, trivisani e di Feltre, fra’ quali in particolare il marchese Malaspina, il cavalier Papafava ed il signor conte Silvio Sanbonifacio sono comparsi con onoratissime compagnie. Non nomino tutti gli altri in particolare, perché darei troppo tedio; ma confesso però la mia grandissima obligazione alla loro cortesia.

Mi ha servito per secretario messer Marcantonio Padavin, 11 quale, in diversi altri viaggi che ha fatto con suoi illustrissimi ambasciatori con somma diligenza, integritá e fede, ha meritato che altre volte sia stata fatta tale attestazione alle Signorie Vostre eccellentissime delle onorate e degne sue condizioni, che ora non averá bisogno del mio testimonio. Di lui però dirò questo, [p. 129 modifica]e sará a sufficienza: che in ogni sua azione si fa conoscere degno fratello del signor Giovan Battista, secretano dell’eccelso Conseglio di Dieci, le onorate, degne e singolari condizioni del quale la Serenitá Vostra molto ben conosce.

Al mio partir di lá, il signor duca mi diede quell’anello, che ho presentato riverentemente a’ piedi della Serenitá Vostra, dicendomi che, se bene era una bagatella che le aveva data l’infante, voleva però che per suo amore lo godessi. Se le Signorie Vostre eccellentissime si compiaceranno di graziarmene benignamente, si come con ogni riverenza le supplico, lo conserverò tra le mie cose piú care e ne tenero quel conto e ne farò quella stima che farei d’ogni maggior dono, come segno della publica munificenza e come testimonio che gli sia stato accetto il mio devoto e riverente servizio. E se ben so che la debole opera mia in questa picciola legazione non può essere stata tale che meriti che io vegga segni della sua benigna grazia, è però effetto dell’ordinaria, somma e singolar benignitá delle Signorie Vostre eccellentissime aver piú riguardo all’affetto, all’ardor ed alla devozione dell’animo di chi le serve, che alle opere ed agli effetti medesimi.