Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/II. Mantova/IV. Relazione di Francesco Morosini (1608)

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IV. Relazione di Francesco Morosini (1608)

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IV

RELAZIONE

di

FRANCESCO MOROSINI,

ritornato ambasciatore da Mantova,

presentata e letta nell’eccellentissimo senato

a’ 21 zugno 1608

Serenissimo Principe, piacque alla Serenitá Vostra e alle Signorie Vostre illustrissime ed eccellentissime di eleggermi all’ambascieria di Mantova il mese di marzo prossimo passato e di comandare che per il seguente mese io fossi all’ordine di partire per dare al signor duca la sodisfazione che richiedeva. Io, riconoscendo l’onore e il favore che ricevevo da questo eccellentissimo Consiglio e obedendo con la prontezza che devo agli ordini publici, mi providdi con diligenza delle cose necessarie e ridussi insieme una compagnia molto nobile e numerosa fameglia per comparere, con la onorevolezza che conviene, al tempo statuito; e, se ben per gli accidenti noti a cadauno si è andato ora accelerando ora differendo de’ giorni la partita, io nondimeno, senz’altro riguardo di mio privato interesse, ho tenuto le cose si ben disposte che ad ogni minimo cenno di lei ho potuto prestarle il mio devoto e riverente servizio.

Da questa legazione ora ritorno; e, osservando le leggi e consuetudini sapientissime di questa ben instituta republica, per ultimo compimento del carico impostomi, dirò brevemente quelle cose, la notizia delle quali, secondo il mio debole senso, stimo necessaria. Sarò breve: mi accommodarò alla riverenza che si deve a questo luogo, tralascierò tutte quelle cose, che o dalle istorie sono chiaramente espresse o per la vicinanza de’ Stati [p. 88 modifica]sono a tutti notissime, e mi restringerò a quel solo che tocca il ricevimento di quest’ambascieria e il stato delle cose presenti di quel principe.

Quanto al primo capo, posso affermare che l’ambascieria al signor duca è stata carissima e accettissima: nell’ingresso del suo Stato e cittá essendo io incontrato prima alli confini da una compagnia de cavalli, poi dal signor Mario Gonzaga maggiordomo maggiore e, discosto piú di un miglio dalla cittá, dalli signori don Vincenzo e don Silvio, figlioli del signor duca, che mi accompagnarono sino alle mie stanze; nel tempo della dimora, che è stata 24 giorni, col spesarmi lautissimamente nell’alloggio di un nobilissimo palazzo e col farmi servire da una numerosa fameglia di gentiluomini e mercanti onorevoli e coll’onorarmi del continuo egli e gli altri principi con titolo di «Eccellenza»; e nel partire lo ha dimostrato nelle publiche apparenze, onorando non solo me e la mia casa, con restituirmi la visita lui e il principe, ma ancora tutta la nobiltá veneta, che ivi si ritrovava, con ogni maggior termine di amore e favore; sendo anco nelli ragionamenti privati, che piú volte ho avuti seco, passati tutti gli offizi con segni di molta sodisfazione e contento suo, si come allora particolarmente avisai.

E, venendo al secondo capo, dico che si trova il signor duca in etá di 46 anni, poco ben disposto della sua salute, anzi con molte indisposizioni che ben spesso lo travagliano, augumentate assai dalla poca regola del vivere e dal continuo senso, che tuttavia mantiene nelle cose di suo gusto e piacere: in tanto che con gran ragione si può dire essere verissimo il detto del signor granduca di Toscana: che la gioventú del signor duca sia lunga, poiché non intermette ora niuno delti gusti e piaceri che pigliava nelli suoi primi anni. È principe di spirito grande, di generosi pensieri e cosí largo nel spendere che sempre si trova in bisogno e necessitá; affabile, benigno e clemente con suoi sudditi, gli animi de’ quali si ha conciliati talmente con questa umanitá, che, se bene alcuna volta li aggrava piú dell’ordinario, nondimeno sopportano il tutto volentieri per il particolar amor che gli portano. [p. 89 modifica]

Ha questo principe tre figlioli maschi legittimi, nati di Leonora Medici, nipote del granduca di Toscana, figliola del giá granduca Francesco e sorella della regina di Francia: cioè Francesco il principe, Ferdinando il cardinale e don Vincenzo. Di piú ha un figliol natural, nominato don Silvio, nato della marchesa della Grana, che fu moglie del marchese Carretto. Di femine ne ha due: una, moglie del duca presente di Lorena; l’altra, ch’è in corte, di etá di 9 anni in circa. Il principe è di anni 22, giovine di bellissimo aspetto, di nobilissimi e umanissimi costumi e, per quello che fin qui si può conietturare, assai diverso di natura dal padre, affermandosi che lui debba essere ristretto nel spendere e sia per imitare il duca Guglielmo suo avo (che mediante il buon governo lasciò al figliol un milione d’oro in contanti, 400.000 in crediti e 300.000 in grani da servirsene nelle occorrenti necessitá), raccontandosi ch’esso principe piú volte si doglia delle azioni del padre e loda quelle dell’avo, che sopra tutto attese a governar il suo, procurar abondanza a’ sudditi, administrarli buona giustizia e rispettar le loro donne: stimando egli cosa poco conveniente alienar con tal mezzo gli animi de’nobili ed esser lui l’instrumento della loro infamia. Di maniera ch’ognuno si promette di lui ottimo e giustissimo governo. Questo sará erede universale dopo la morte del padre, e per ora ha avuto assiguramento di 40.000 scudi l’anno per le spese della sua corte e dell’infante sposa.

Il signor cardinale, secondogenito, è di etá di anni 21, di faccia amabilissimo, dedito alle lettere e alla musica e di vivacissimo ingegno. Possiede il priorato di Barletta, l’abbazia di Lucedo in Monferrato e altri benefizi ecclesiastici per la suinma di ducati 25 in 30.000; e a questo ancora si pensa di dare tanto assegnamento che abbia con le sue entrate 50.000 ducati l’anno. Dicono che ’l padre lo deve fare per scarico di coscienza, avendo sino a quest’ora goduto e consumato le sue entrate. Egli andará a Roma al Natal prossimo e vi si fermará per 4 o 5 mesi; e sperano che l’andata sua debba essere di poco interesse alla casa, poiché si ritrovano avere tutti li mobili e argenti, che furono del Cardinal Gonzaga vecchio, de’ quali si [p. 90 modifica]possono servire. Il maggior incomodo sará provedergli di stalla conveniente al stato suo di principe: cosa che, se ben in altro tempo era facile da fare, al presente nondimeno riesce assai difficile, atteso che, in questi ultimi giorni e mentre mi trovavo in Mantova, è entrata nelle stalle del signor duca certa indisposizione contagiosa, che in poco piú de 2 o 3 giorni faceva morir quelli animali, e ne sono morti piú di 100 di qualitá e molto prezzo, oltre altri assai da carrozza e di minor condizione, con danno molto rilevante. Ma nondimeno, questo non ostante, egli andará a Roma. Mostrasi il Cardinal rissolutissimo di viver neutrale: né dipendere da francesi né da spagnuoli, e per questo non voler accettar pensione né benefizi da alcuna delle dette parti. Se poi abbia a conservarsi tale, il tempo e l’occasione lo dimostrerá. Dirò ben questo: ch’il Cardinal Pii, il quale è intervenuto a queste nozze, forse spinto dal cardinale Aldobrandino, ha procurato di unirlo con esso Aldobrandino, ma non ha potuto conseguirlo, poiché ha risposto di voler star unito con Borghese; e, se ben Pii ha procurato metterlo in diffidenza con Borghese, dicendo ch’è spagnuol e che nelle sede vacanti le fará protestare da’ spagnuoli che aderisca alli soli loro dipendenti, egli però non ha voluto consentire, dicendo che, come principe, sará libero del suo volere e fará ciò che conviene ad uomo di buona coscienza. E le è tanto dispiaciuto questo offizio che, dubitando che Borghese possa penetrarne alcuna cosa, ha fatto dire a Roma che Pii è venuto qui senza essere invitato e con poco suo gusto, affine di sincerare l’animo del Cardinal Borghese: azione che, sapendosi da chi dipenda Borghese e come stia congiunto con Montalto e col granduca, dipendenti da’ spagnuoli, è degna di considerazione per indagare e discorrere dove finalmente, in caso di necessitá, debba inclinare l’animo del detto signor cardinal Gonzaga.

Il terzogenito è il signor don Vincenzo, di anni 15, di bell’ingegno e costumatissime maniere. A questo è stato assegnato il marchesato di Ancisa nel Monferrato di rendita de 10.000 scudi l’anno, e si dissegna di inviarlo in Francia, con speranza che di lá debba essere proveduto a lui e anche a don Silvio, [p. 91 modifica]figliol naturale di poco maggiore etá e che veste l’abito de’ cavalieri di Malta. E vivono questi due insieme, vestono d’una istessa maniera, senza alcuna distinzione fra di loro in alcuna benché minima cosa, cosí volendo il signor duca suo padre. Si ragiona che ’l signor duca abbia qualch’altro figliol naturale con donne della medesima casa Gonzaga, ma non lo dechiari per non lo far decader da qualche feudo che ora gode.

Le femine sono due: una maritata nel signor duca di Lorena, che finora non ha figlioli; l’altra, come ho ditto, di etá tenera di 9 anni, della quale per ora non si parla cosa veruna.

Li piú prossimi parenti ch’abbia il signor duca di Mantova sono il signor duca di Nivers, poi il signor don Ferrante Gonzaga, e di mano in mano, secondo l’ordine di ciascuno, tutti li marchesi del sangue, ritrovandosi altri di casa Gonzaga nobili e ricchissimi, che non sono del sangue, se ben di molta stima e riputazione. Ma in ogni modo la posteritá del signor duca è si ben fondata e stabilita, che poca speranza ci può essere nelli suoi congiunti di succedere nel Stato e che debba mancare la sua linea.

Possiede il signor duca due Stati: di Mantova e del Monferrato. In questo di Mantova la principal cittá è Mantova, forte per la qualitá del sito, in mezzo il lago fatto dal fiume Minzo, e assicurata in modo dalle acque che ha poco bisogno di altro riparo: è benissimo fabricata, e anco abitata convenientemente da 30.000 anime in circa. L’aere è alquanto grosso e li tre mesi del calore assai nocivo per li vapori dei palude, perché, pei difetto d’acque, in questa stagione resta assai scoperto. Fiorisce l’arte della cucchiaria, principalmente di lana, seda e azze, in tanto che con questa si nutrisce gran numero de’ poveri: si lavorano anco delle sede in quantitá. Vi sono ebrei in gran copia e ricchi, e si trovano delli mercanti cristiani assai commodi de’ beni di fortuna, e vi è negozio ragionevole: altre volte dubitorno di perdere il negozio per causa di un canale navigabile, che di ordine di Vostra Serenitá si cominciò a fare l’anno 1390 dal lago di Garda al Po; ma non si continuò poi, né so per qual ragione. Continua però nel signor duca certo suo pensiero di fare un alveo che venga a sboccare nelle acque di Ostia, [p. 92 modifica]per condurre col mezzo di esso mercanzie, sali e altre robbe con maggior facilitá e commodo di Mantova: tutto affine di favorire il negozio di quella cittá.

Di questo Stato cava il signor duca ducati 200.000 in circa di rendita all’anno, le quali rendite consistono in dazi e in stabili e beni alodiali propri della casa. Fra’ quali beni si connumerano alcuni molini situati nella stessa cittá di Mantova, de’ quali cava meglio di ducati 30.000. Fra li dazi vi è quello del sale, ch’è stato appaltato al signor Pietro Capponi per... scudi, che sono ducati nostri correnti 34.000 l’anno, per anni 9 prossimi venturi da principiare a Natal prossimo. Li sali saranno levati da Cervia, pagati in ragion di ducati 8 correnti il sacco e con obligo di darne 10.000 sacelli l’anno, condotti in Mantova al detto prezzo e dispensati tanto nel Mantovano quanto nel Monferrato, secondo che piú particolarmente potrò mostrare alli illustrissimi signori al sai, quando averano piacere di veder il partito. E forsi che il farlo non sará male, perché intendo ch’il sai di Cervia non è troppo buono, e facilmente potria occorrer che tagliassero il partito, quando sperassero poter concludere con sali di qua di miglior condizione.

In questo Stato non vi sono altre fortezze di presidio che Castel Giufredo. Vi sono ben degli altri luoghi di casa Gonzaga presidiati e degni di considerazione [come Castiglion, Solferin, la Volta, Canedo, Ostia, Sabioneda, tutti de’ signori di casa Gonzaga, confinanti alla Serenitá Vostra] e di essere stimati assai; de’ quali, e particolarmente di Castiglione, direi alcuna cosa, se l’eccellentissimo signor procurator generai Moro non avesse pienamente sodisfatto a questa parte, si che non saprei dir altro che replicar le cose medesime dette da Sua Signoria eccellentissima. Solo dirò riverentemente due cose. L’una ch’il conservarsi amorevoli e ben affetti questi signori Gonzaghi, padroni delli detti luoghi confinanti e, dove convenientemente si possa, gratificarli, credo che debba essere di gran servizio e benefizio del serenissimo dominio. L’altra che, potendo occorrer che per le rivoluzioni di Germania cessi l’occasione al marchese di Castiglion di andar in Spagna, dove è destinato ambasciatore [p. 93 modifica]per l’imperator Ridolfo, ogni volta che si aprisse la strada di qualche trattazione, come se ne ragiona in Mantova, con che si potesse assicurarsi che Castiglion restasse overo alla Serenitá Vostra overo al signor duca di Mantova, dovesse esser ottima risoluzione il facilitare e coadiuvare il negozio, per divertire in ogni maniera ch’il detto luogo di Castiglion non capiti in mano de’ spagnuoli; perché, quando ciò seguisse, il che Dio guardi, sarebbe con notabile pregiudizio e danno della Serenitá Vostra. Altre volte ancora il signor duca ha trattato d’aver Sabioneda con permute di terre in Monferrato; ma il conte di Fuentes, avendolo presentito, se ne dolse e fece sapere che, in caso de’ moti in quelle parti, il suo re ad ogni modo vorria porvi presidio.

In questo Stato di Mantova il signor duca ha descritti 10.000 fanti di ordinanze, 600 archibuggeri a cavallo, i quali non hanno paga ma solo esenzioni e privilegi, 100 corazze e 80 lanze per la sola guardia del duca, de’ quali ultimamente è stato rissoluto di pagar li capi e offiziali. E, per quello che potei veder nel giorno dell’intrata della sposa in Mantova, è assai buona gente, se ben potria essere meglio armata e meglio montata di ciò ch’è.

Del Stato del Monferrato cava il signor duca altri 200 fin 230.000 ducati l’anno di rendita. Di qual modo questo Stato sia pervenuto in casa Gonzaga per via di donne, quali pretensioni vi abbia il signor duca di Savoia, li termini e confini suoi: sono cose tante volte riferite in questo eccellentissimo Consiglio, notate nelle relazioni de’ suoi archivi e descritte nelle istorie a stampa, ch’io le tralascierò per minor tedio. Mi ristringerò in dire che nel Monferrato vi è la cittá di Casale, il castello vecchio e la cittadella. Le terre pressidiate sono Trino, Moncalvo, Alba, San Damiano, Lonzono e Diano. In queste terre vi sono fra tutte 200 uomini in circa. La spesa c l’importanza consiste in Casale, dove per ordine vi doveriano essere 600 fanti almeno, cioè 50 nella cittá, 36 nel castello, e 450 nella cittadella, senza gli offiziali; ma, se ben l’ordine è che vi siano e che si voglia far credere che si mantengano, [p. 94 modifica]in effetto però non se ne trova la metá. Il signor duca è pentito di aver fatto quella cittadella, e massime in forma si grande come ella è. E dicono che madama se ne dolesse piú volte col marchese Germanico Savorgnan, perché la consigliasse; ma che egli si escusava con dire d’aver proposto diverse forme di fortificazioni, e ch’a lui non s’apparteneva poi passare piú oltre nelle considerazioni della spesa e della possibilitá di mantenerla e delli rispetti che miravano altri principi, poiché il considerare questo toccava ad altri e non a lui. Ora ella è fatta e di essa il signor duca vive sempre con gelosia, perché in caso di travaglio a questa tutti averiano gli occhi, e particolarmente gli spagnuoli, che piú volte hanno mostrato il pensiero che ne tengono e la voglia che hanno di assicurarsene. Per questo il signor duca conviene pensar a tutto quello che le potesse incontrar, quantunque lontanissimo da ogni ragione, non si dechiarando piú affezionato ad una che ad un’altra parte e ben intendendosi con tutti, e particolarmente con li ministri spagnuoli, ancorché di spiriti inquieti; poiché l’imprudenza o mal animo d’un solo ministro fa veder molte volte delle esorbitanzie, che per ragione non si doveriano veder giá mai, e però anco di una esorbitanzia si ha da temere. E ben si vide con quanto rispetto il signor duca di Mantova procedesse con spagnuoli l’anno 1600; poiché, se ben negò piú volte di dar alloggiamento a 4000 spagnuoli nel Monferrato, nientedimeno, rinovando il conte di Fuentes l’ufficio, assenti alla richiesta per il rispetto, come disse, che doveva aver alla Maestá cattolica. E ciò che avesse fatto in queste ultime turbulenze, se fossero procedute piú oltre, sia rimesso alla prudentissima considerazione di Vostra Serenitá e di Vostre Signorie illustrissime ed eccellentissime. Si discorre però che, non avendo egli danari, ma si bene delli debiti, averia convenuto dechiarirsi immediate: cosa che averia potuto e potrá sempre differire, quando si trovi con danari, di portar il tempo avanti e assolversi poi secondo le qualitá de’ tempi e degli accidenti; e il suo Stato è si commodo a chi aderirá, che, in evento di travaglio, sará ottimo consiglio il procurar con ogni mezzo di acquistarselo in qualche modo. [p. 95 modifica]In Monferrato sono, come s’intende, descritti 16.000 fanti e 600 cavalli. È paese fertilissimo e bellissimo, pieno di nobiltá de’ feudatari. E a questo proposito voglio dire ch’il signor duca, per provedere alle sue spese, è assai facile a vendere e alienare delli feudi e marchesati; cosa che dispiace grandemente al principe suo figliol, il quale si lascia liberamente intendere che vorrá a tempo e luogo riveder meglio queste vendite, in modo che li possessori hanno gran causa di dubitare overo ch’elle gli siano levate, overo che per il minor male siano astretti ad esborsare qualche summa di danaro per poterseli conservare.

Tratta il signor duca con genovesi l’aver da loro un luogo vicino al Monferrato che bagni il mare, per aver commoditá a qualche tempo di armar qualche galea, ora che ha instituito l’ordine de’ cavalieri del Tabernacolo o altrimenti del Salvatore, del quale parlerò piú a basso. Ma ciò che debba riuscire di questa trattazione e quanto sia facile la riuscita delli dissegni del signor duca, è cosa incerta e il tempo la maturerá.

In questi due Stati il signor duca ha pròvision conveniente da guerra: di arme, polvere e artigliaria. Nel suo armamento di Mantova si trovano 12 pezzi d’artigliaria grossa da batteria: 6 sono canoni grossi fatti fare dal presente duca, e gli altri 6 sono stati fatti da’ suoi maggiori, ma non si grandi. Ha 50 pezzi d’artigliaria da campagna con li suoi apprestamenti necessari; e in generale dicono che sia ragionevolmente proveduto, e nelle occasioni di queste nozze si sono vedute sopra le muraglie e in alcune piazze della cittá molti pezzi d’artigliaria, grossi e piccoli, da esserne fatta stima.

E capo generale delle armi del signor duca il signor Carlo di Rossi, figliolo del signor Ferrante, generale dell’artigliaria della Serenitá Vostra; il quale è provisionato dal re cristianissimo, ma Sua Maestá si è contenta’ che venghi a servire al signor duca per modo d’imprestido.

Oltre l’entrate ordinarie, il signor duca ha un’altra entrata o utilitá estraordinaria in ambidue li Stati, che si cava da composizioni, grazie e altre cose simili, le quali, a procedere con una equitá tolerabile, ascenderiano a 40.000 ducati l’anno; [p. 96 modifica]ma, al modo che si usa ora, passano li 70.000, che pervengono al signor duca, e altri 70.000 restano in ministri: in modo che tutta l’entrata del signor duca, nell’uno e nell’altro Stato e per tutte le sopradette ragioni e modi, venirá ad essere 500.000 ducati l’anno in circa.

La corte del signor duca è di 800 bocche in circa, tutte salariate e spesate, e tra questi 100 gentiluomini che lo servono: ha 50 arcieri in sua guardia, pagati a 15 scudi il mese per uno e l’abitazione; di piú 60 tedeschi, con 6 fiorini di stipendio al mese, la stanza e gli vestimenti, e a quelli che sono di guardia si fanno le spese. Ministri e consiglieri suoi principali sono il Chieppio, Pedrazano e Limberti. Il primo ha la cura del Stato di Mantova e supera tutti in autoritá, il secondo ha li negozi del Monferrato e il terzo li negozi di Spagna; e con questi carichi si sono fatti molto ricchi: particolarmente il Chieppio, di povero ch’era, ora possiede piú di 6000 scudi d’entrata, un nobilissimo palazzo in Mantova e ogni giorno accresce la sua fortuna. Li pressidi che si pagano nell’uno e nell’altro Stato saranno di 600 fanti in tutti, non compresi gli officiali. Si fa qualche spesa in forestaria. Quella de’ agenti nelle corti non è molta, non tenendo il signor duca ministri altrove che in Roma, Germania, Spagna, Francia e presso Vostra Serenitá. In modo che si fa conto che, quando volesse regolarsi nelli gusti e spese de’ privati piaceri e non spendere in tanti viaggi, fatti piú per diletto che per necessitá, potria commodamente metter cadaun anno da parte 100.000 ducati in circa; ma tanto manca che lo faccia che, oltre lo aver speso quello che gli è stato lasciato dal padre, si trova debito di 800.000 ducati, oltre quello che possa aver contratto per le spese fatte nelle nozze, che si dice communemente ascendere a 270.000 ducati. Quanto al debito delli 800.000 ducati, questo è stato diviso in due parti, come doi sono li Stati. Il Monferrato ha tolto sopra di sé di pagarne 500.000 e estinguer l’interesse loro con genovesi, che sono li creditori. Gli altri 300.000 saranno pagati dal Stato di Mantova, e fra questi si comprendono livelli fatti in questa cittá e debiti che si hanno in questa piazza di Venezia. Per il [p. 97 modifica]sopra piú poi delli debiti e per assicurarsi delli assegnamenti fatti alli principi figlioli, ha commesso il signor duca che si riveda il maneggio e l’administrazione del patrimonio, che finora è stato in mano de’ ministri; il che dará in ogni modo occasione di travagliar alcuno e di cavar qualche danaro per via di composizione. Di piú credesi che sopra ogni lira di vino si rimetteranno doi soldi di gravezza, giá diminuiti, delli quattro che si pagavano in tempo del duca Guglielmo, e furono levati dal presente duca Vicenzo, quando successe nel Stato; e forsi anco si aggiungerá alcuna cosa alla macina, per far una entrata de’ 40 in 50.000 ducati; e al sicuro si vorrá almeno io overo 15.000 ducati dalli ebrei: che tutto però è in voce e nel discorso di ognuno, aspettandosi qualche assoluzione simile per sopplire alle necessitá momentanee del signor duca.

Fin qui ho parlato della persona del signor duca e de’ figlioli, delle qualitá loro, rendite, fortezze, gente descritta e pagata, delle spese, de’ debiti, del modo di pagarli e di ciò che si dissegni di fare per regolare e accrescere l’entrata. Ora con la medesima brevitá parlerò dell’infanta sposa. Questa è figliola del signor duca di Savoia e di una sorella del re cattolico presente, di etá de anni 19, senza difetti che si vedano nella sua persona, del color delli fratelli, con belli occhi e di conveniente bellezza. È allevata all’usanza spagnuola sotto il governo di donna Mariana de Tassis spagnuola, che la tiene in tanta obedienza, che non ardisce partirsi in conto alcuno dalli suoi cenni: e per questo sta con gran sussiego, pare immobile e di sé non dá intiera sodisfazione. Spera però il principe di ridurla in breve alli termini convenienti e propri del viver italiano, e giá ha dato qualche disgusto alla detta donna Mariana, la quale indubitatamente partirá in breve di corte. E il signor duca e madama hanno detto publicamente che, partita che sia la forestiera, la domesticaranno e vorranno che ella sia simile alle altre. E di questo non si ha da dubitare, massime essendo ella, come è, inamorata del principe, ch’è bellissimo e graziosissimo giovene, al quale si diè credere che vorrá compiacere e che insieme non si vorrá privar della libertá ordinaria di Lombardia, quando [p. 98 modifica]cominci a goderla. E io confesso di aver conosciuto mutazione dalla prima alla seconda volta che le parlai: perché nella prima andata parlò poco, non si mosse punto del suo luogo, non occorreva ch’io aspettassi che la mi facesse coprire; dove alla seconda si allargò nel parlare, si mosse dal suo luogo, mi faceva segno con la mano che coprissi, e insomma si vidde gran diversitá e il frutto delle parole del principe suo marito: e io rimasi di essa grandemente satisfatto. Delle qualitá del suo animo e de’ suoi costumi è conveniente e debito offizio dirne ogni bene, perché ha condizioni degne del suo stato e nascimento.

Questo matrimonio cominciò a trattarsi giá tre anni sono e ha incontrato l’indugio e le difficultá dell’imperatore, che lo trattenne, dicendo di voler lui l’infanta per moglie; de’ spagnuoli, che, sotto li pretesti de’ concambi che si trattavano nel Monferrato, hanno procurato disturbarlo; e difficultá accadute nel convenire nella dote, come giornalmente Vostra Serenitá è stata avvisata dagl’illustrissimi suoi ambasciatori, che si sono ritrovati alla corte. Ed è opinione universale in Mantova che le nozze non si sariano concluse mai, se l’impedimento si palese, e dirò cosí ingiurioso, posto da’ spagnuoli, non avesse indotto il duca di Savoia a concluderle per punto di onore, non per sua natural disposizione: che per altro è tanto incerta e variabile, che non è chi possa o debba in alcun conto fidarsene; in tanto che affermano che il re cristianissimo piú volte abbia consigliato il signor duca a non vi attendere e non fidarsi di Savoia. Del qual consiglio piú volte si sono ricordati. E madama, dolendosi di tante dilazioni e proroghe, che pur dopo concluse le nozze s’interponevano all’effettuazione, ha detto a molti ch’essi hanno avuto una mala sorte e invidiavano il duca di Modena, ch’in un mese aveva trattato, concluso e spedito le nozze: quello ch’essi non avevano potuto né potevano fare in tre anni continui. La dote è stata de ducati 300.000: 100.000 di contanti, gli restanti pagherá il re di Spagna a 50.000 ducati l’anno, li quali saranno pagati sopra le flotte. Savoia e Mantova renonciano vicendevolmente a tutte le ragioni e pretensioni che l’un principe potesse avere nelli Stati [p. 99 modifica]dell’altro; e per aggiustare gli Stati, si permutano alcune terre: il che diè farsi un mese dopo condotta la sposa. E dicono che la permuta sia del Canavese al piano con alcuni castelli e terre nelle montagne, sopra di che pare che nascano molte difficultá per parte de’ spagnuoli. Onde si crede che l’essecuzione sará difficile e lunga e forse anco impossibile, per la qualitá delle investiture e oblighi con che sono possedute le dette terre e luoghi; e, secondo la comun opinione, dannosissima a Mantova, perché sminuirá entrate ferme in piano e senza peso, e accresceria in confini e negli oblighi che portano seco castelli e luoghi di confine; e universalmente si tiene che non debba seguire. E, non commutandosi li luoghi, restano le antiche pretensioni, se non fra li presenti principi, che le renunciano, fra li posteri almeno, i quali stimeranno che niuno possa averli pregiudicato.

Il duca di Mantova è stato disgustato del duca di Savoia che non sia venuto a Mantova, non le abbia atteso la parola data: è entrato in sospetto che si gusti di farlo spendere, che si voglia essercitar superioritá sopra di lui. È stato disgustato del procedere delli principi, poiché hanno tutti voluto il luogo superiore a lui, hanno tentato di tuorlo al Cardinal Gonzaga suo figliolo: ha convenuto il signor duca far le feste a gusto lor e non secondo il suo proprio volere. E insomma non vi sono state quelle satisfazioni e contenti, che si richiedevano per ristringer quella unione e perfetta intelligenza, che dal canto di questi principi si è preteso di conciliare col mezzo de’ matrimoni per benefizio d’Italia e per il ben particolare de’ loro Stati propri. E, per quanto s’intende, li spagnuoli, dove possono, nutriscono le zizanie e si sforzano di metter qualche gelosia anco fra il signor duca di Savoia e li principi suoi figlioli: visitano questi, lassano l’altro e dánno causa de’ disgusti e scontentezze. E, se ben il signor duca di Mantova ha voluto dissimular tutto e gustar in ogni cosa il duca e principi di Savoia, non è però che non si conosca il sentimento interno che ha patito per questi modi di procedere. E li sudditi mantovani dicono ch’egli abbia mostrato troppo voglia di aver questa principessa, che si sia [p. 100 modifica]gettato, che non doveva mai andar lui personalmente in Turino, che era conveniente che la sposa fosse condotta nella propria casa e quivi si consumasse il matrimonio, e che si osservasse l’uso degli antecessori, che se le facevano condur vergini in casa, ancorché levate di casa imperiale e superiore a questa di Savoia. Tutti questi particolari ho voluto raccontare distintamente, parendomi che la notizia di essi sia non solo utile ma necessaria per penetrare gl’interni affetti e passioni de’ principi, per tutto quello che potesse alla giornata occorrer concernente l’interesse di questo serenissimo dominio.

Io andai a Mantova anticipatamente al bisogno, perché cosí fui comandato dalla Serenitá Vostra, e fui chiamato dal signor duca, come fu parimente chiamato l’ambasciatore di Gratz. E non son fuor di opinione che fosse artificio del signor duca; poiché, scoprendo l’intenzione di Savoia essere di non venire a Mantova e di non attendere alla promessa, e stanco delle spese che per queste irressoluzioni faceva, volse con qualche color di sua riputazione coprir questo mancamento e uscirne. E però, valendosi del pretesto dell’arrivo degli ambasciatori, della sua rissoluzione di andar in Fiandra, mostrò di non poter differir l’essecuzione delle feste, come desiderava il signor duca di Savoia, e diede l’ordine rissoluto al secretano Striggio, che spedi in Piemonte per le poste, che la sposa venisse, come segui, senza ritardo. In modo che la mia andata, ancorché prematura, è stata per altro grata, poiché ha giovato si bene all’intenzione del signor duca.

Le feste sono state fatte sontuosissime e con magnificenza veramente regale e che supera la credenza di cadauno, cosí quanto agli apparati delle comedie, fuoghi, giostre, tornei e balletti, come alle spese di vivere, che si è dato a tanta forestaria concorsavi, che per la maggior parte è stata spesata dal duca e gran parte anco da’ particolari, con interesse notabilissimo e per il numero della gente e per la penuria di ogni cosa, pagandosi il pan in ragion di 6 ducati il staro di nostra misura e il vino di 30 ducati la botta. E, se ben il signor duca è stato sovvenuto da’ sudditi del dono di molte vettovaglie, però e lui [p. 101 modifica]e particolari se ne sono grandemente risentiti; oltre le spese eccessive fatte in vestiti, livree e cavalli, che sono tali che e il principe e li particolari se ne risentiranno grandemente per molti anni. Non dico di particolari delle feste, perché sono stati posti alla stampa e cadauno leggendoli può sodisfarsi. Si diede però principio ad esse dall’instituzione di un ordine di cavalleria, introdotta novamente dal signor duca, che si chiama del Tabernacolo del sangue di nostro Signore, in onore e per testimonio della venerazione in che si tiene tre gocciole del sangue di nostro Signore, che si conservano e custodiscono nella chiesa di Sant’Andrea di Mantova. Scrissi li particolari con le mie lettere, e il repeterli è cosa soverchia. Ha procurato il signor duca ottener grazia dalla Sede apostolica di poter disponer di ducati 10.000 all’anno dell’entrate delli monaci di San Benedetto, da essere divisi e applicati a’ cavalieri con titolo di «comende»; ma il papa non vi ha consentito. Ben si può credere che debba tentarlo di nuovo con qualche opportunitá, e che forsi col tempo possa ottenerlo, massime se gli riuscisse il dissegno di aver quel luogo da’ genovesi alla marina e che, col pretesto di armar galee contra li communi nemici, onestasse la sua dimanda.

Sono intervenuti a queste feste, oltre l’ambascialore di Vostra Serenitá, il signor conte Lunardo Valmarana per l’arciduca Ferdinando di Gratz; il quale, si come non ha potuto far di meno di non sostentare con debita riputazione la carica ch’egli teneva, cosí ha trattato meco con ogni termine di onore. Vi è stato anco il signor Alessandro Ridolfi per l’arciduca Mattia, che per le presenti turbolenze di Praga è stato da quell’Altezza mandato al pontefice, e giá deve esser in camino per Spagna. Vi sono anco stati ambasciatori di Baviera e di Lorena e il signor don Antonio de’ Medici per il granduca di Toscana; il quale però nelle lettere credenziali è stato chiamato come ambasciatore e come nipote, e, come tale, lo hanno anco trattato ora come ambasciatore e ora come parente. Fra tutti io ho avuto sempre il luogo superiore, né mai son stato retirato, come hanno fatto tutti gli altri. Convengo però replicare quello che ho scritto: che di volta in volta son stato necessitato assicurarmi del luogo che [p. 102 modifica]mi si doveva dare, perché ogni giorno, secondo la diversitá delle feste e delli siti del sedere, era necessario certificarsene prima, massime che, sotto colore delle pretensioni delli rappresentanti di arciduchi, o vere o immaginarie che fossero, sempre ci era che dire. Nondimeno sempre si parlava dal signor duca di un medesimo tenore: ch’il luogo saria mio. E certo che questa è stata una mia continua mortificazione, che, cominciando dal principio che entrai in Mantova, ha continuato sino al partire. In questa però e in ogn’altra azione e publica e privata il signor duca, come ho detto, ha dimostrato di aggradire l’ambascieria, di onorare li rappresentanti Vostra Serenitá e tutta la sua nobiltá: non ha tralasciato offizio né dimostrazione alcuna, da che si possa pigliar argomento del suo animo devoto e filiale verso la serenissima republica, che non l’abbia usata; in modo che, se dalle dimostrazioni estrinseche si può far giudizio dell’intrinseche affezioni, non è possibile imaginarsi non che desiderare cosa d’avantaggio, e merita questa sua buona volontá essere corrisposta per tutti li rispetti.

È stata presentata la sposa in questa occasione da tutti gli altri ambasciatori, eccetto che da quello della Serenitá Vostra: ed era desiderata dal signor duca questa dichiarazione di amore della republica. L’Udine, ch’in suo nome risiede qui e che del continuo, cosí nell’andare come nel ritorno, mi ha accompagnato, piú volte me ne ha fatto mòto; piú altri n’hanno parlato. Io prima del partire lo ricordai riverentemente nell’eccellentissimo Collegio: fu consultata spesse volte la materia e, non trovandosi buono il farlo, fu dalla maggior parte deliberato di no; onde ho stimato soverchio far nuovo esperimento, né dar occasione di credere che in ciò vi potesse essere fine mio privato, che non è né sará mai dove si tratta del publico servizio e dell’obedienza dovuta alli comandamenti suoi, che saranno da me sempre ricevuti e prontamente essequiti.

Il signor duca non mi ha parlato mai, né da sé né col mezzo d’altri, di pensiero ch’abbia di condursi al servizio del serenissimo dominio; e quali intorno a ciò potessero essere li suoi pensieri, Vostra Serenitá ne è bastantemente informata dalle [p. 103 modifica]trattazioni seguite giá pochi anni sono e che si leggono nella sua cancellarla secreta; le quali restarono imperfette, perché, quando si devenne al punto di rinunziare l’ordine del Tosone, ch’era un separarsi da Spagna, il signor duca prese tempo di trattar questo e altri suoi affari, né di poi si è trattato altro in questo proposito. E chi considera la qualitá del suo Stato, tanto vicino ed esposto, in occasione di rottura, alli primi pericoli, massime dalla parte del Cremonese, che non vi è altro di mezzo che ’l fiume Oglio, difficilmente può credere che lui debba devenir mai ad alcuna dechiarazione, la quale possi far credere ch’egli pieghi piú ad una che all’altra parte, overo lo astringa a rissoluzioni contrarie al commodo e alla sicurtá propria; ma ben è da supponer ch’egli debba proceder in modo che sia in sua libertá e dipenda dal proprio arbitrio il determinarsi piú ad una che ad un’altra rissoluzione, secondo la qualitá de’ tempi e degli accidenti, che sono soliti succedere vari e multiplici. E discorrendosi pur con alcuno, come si fa per discorso, come di cosa altre volte venuta in considerazione, è tenuto communemente da tutti li suoi che ’l servizio suo ricerchi di mantenersi in buona opinione con tutti, temporeggiare senz’altra dechiarazione, né, col aderirsi apertamente ad alcuna parte, dar occasione a chi ora lo rispetti di fargli alcuna offesa. E questo sia detto incidentemente, perché non me ne è stato parlato se non per via di discorso; ma il ragionamento ha portato cosí che se ne faccia menzione. Per questo e per tanti interessi che ha con la casa d’Austria si deve credere ch’egli s’intendi e debba procurar d’intendersi sempre bene con la casa d’Austria e specialmente con la Maestá cattolica, né sia per fare cosa che lo alieni da quella in alcun conto.

Con tutti li principi il signor duca passa buona intelligenza, né ha differenze con alcuno; e, se ben viva ancora la differenza con il papa per il Polesine di Po, spera nondimeno che fra pochi giorni sará finita. Si vede come stia unito con Borghese e Montalto, specialmente contra Aldobrandino, avendomi detto il signor duca, in un ragionamento, che con lui non può in alcun modo accomodarsi, avendolo promesso a questi e al granduca, e che, se il duca di Savoia lo avesse voluto condurre seco, [p. 104 modifica]come si ragionava, lo averia ricevuto come cardinale e come persona condotta dal signor duca, ma che però conserverá sempre memoria delle passate sue operazioni contro di lui, dovendo Aldobrandino ricordarsi che alli nepoti de’ pontefici conviene tener conto de’ principi, poiché i papi non vivono sempre. Ora, sapendosi da qual parte dipendono Borghese e Montalto, si può da ciò giudicare dove principalmente si appoggino li fondamenti del signor duca.

Con Parma, se ben l’anno 1597 furono levati li disgusti col mezzo del Cardinal Tarusio, nientedimeno vive tuttavia la riminiscenza delle discordie passate, né si vede segno di vera e leale riconciliazione, né il principe e la sposa, nel viaggio c’hanno fatto, hanno voluto sbarcare, tutto che il duca di Parma fosse a questo effetto venuto e di molti giorni fermato in Piacenza con gran apparato.

Con Modena se la passa bene; e il principe di Modena si porta si cortesemente con tutti, che saprá molto ben conservare cd accrescere la benevolenzia. Con me si è portato cortesissimamente, come anco la sposa sua moglie, la quale ha preso dominio sopra il marito: ha licenziato la famiglia vecchia e presane di nuova a suo gusto; vuole esser visitata prima del marito e il medesimo feci ancor io a sua sodisfazione. E Dio voglia che non riesca vero quello che disse il granduca di Toscana: che questo matrimonio apporta alla casa d’Este spese eccessive e tali che non vi possa resistere per la sua debol fortuna. Fin qui però il duca di Modena nelle spese è andato moderato, e con li danari della dote ha disimpegnato alcune sue gioie e certi beni nel Ferrarese, e mostra di volersene servire a svio profitto. È entrato in speranza di poter con Io appoggio di questo parentado vivificar le sue ragioni sopra Comacchio e ottener la giustizia che vi pretende, e di poter goder con maggior vantaggio i suoi beni di Ferrarese e di poter andar a suo beneplacito a vederli; ma quanto ciò sia riuscibile, sia rimesso alla singoiar prudenza della Serenitá Vostra, che ben conosce ciò ch’importi la gelosia di Stato e le difficultá che s’incontrano, quando un principe inferiore tenta di ricuperare da un superiore [p. 105 modifica]uno Stato goduto da lui da molto tempo quietamente e pacificamente. Potria piú tosto riuscire quello che ora li principi di Savoia sono per tentare: di accommodare la differenza di Sassuol con la casa Pii, il che saria di gran commodo e satisfazione del signor duca di Modena.

Con tutti gli altri principi passa il signor duca, come ho detto, buona intelligenza; ma particolarmente professa egli sincera e filiale devozione verso la Serenitá Vostra. Li negozi de’ confini passano quietamente, gl’interessi sono communi della reciproca conservazione, e si può tener per fermo che questa mutua corrispondenza debba non solo conservarsi ma augumentarsi sempre piú.

Partendo di lá, il signor duca mi ragionò de due negozi. Il primo fu di certo credito ch’il capitolo e congregazione della cattedrale di Mantova pretende sopra il Monte vecchio, sestiero di San Polo, secondo che piú distintamente si contiene in un memoriale che mi ha fatto dare dal consiglier Chieppio, facendomi gagliarda instanza di essere gratificato di certi «prò» decorsi e non pagati, poiché questi danari, in virtú di alcune cessioni e oblighi fra lui e il capitolo, sariano tutti suoi, e che, essendo Vostra Serenitá abondante di danari, confidava che graziosamente faria seco alcuna di quelle cose che non si fariano con altri. Io le risposi di dover rappresentare il tutto, ma che questo è negozio ricomandato ad un particolar magistrato, deputato a terminar il tutto per giustizia; e che il mettervi mano per via graziosa e introdur pagamenti giá decaduti è materia di gran conseguenza e momento, e assoluzione da esser maturamente considerata per l’essempio ch’altri piglieriano di pretender lo istesso; e che, quanto all’abondanza del danaro, ognuno per regola di buon governo vuol conservar il suo, ché pur troppo spesse volte sono le occasioni di spenderlo; ma che tuttavia rifferirei il tutto, certificandolo dell’ottima volontá di Vostra Serenitá in desiderar di gratificarlo dove convenientemente si possa. L’altro negozio, del quale mi parlò con straordinario affetto ed efficacia, è questo: che lui non cede a qualunque principe si sia in osservare, riverire e onorare la [p. 106 modifica]Serenitá Vostra e stima di meritare presso di lei che questo suo affetto debba essere ricambiato e riconosciuto. Ch’egli è trattato nei titoli dalla serenissima republica con lo stesso termine che si veniva con li suoi antecessori giá 200 anni; e pur questa materia de’ titoli si trova oggidí in tanta corruttela, ch’egli, con li titoli che riceve, viene ad essere trattato del pari con privatissimi cavalieri, i quali si onorano con titolo di «Eccellenza». Ch’il papa lo onora con titolo di «diletto figliol» e con le preeminenze che si dánno a Toscana e Savoia; il re di Spagna le scrive «illustrissimo»; l’imperatore fa il medesimo ed era per darle il luogo in capella; e che spera aver il medesimo dall’arciduca Mattias, se entrerá al governo; ch’il re cristianissimo non usa titoli, ma lo chiama «suo parente». Che Vostra Serenitá, onorandolo, non disgusta alcuno, perché a Savoia lui cede, con Toscana è cognato amorevolissimo, li duchi di Ferrara non ci sono; in maniera che, onorando lui, non si fará cosa che disgusti altri, ma ben si obligherá lui e la sua casa perpetuamente. Ch’egli non pensava a questo, ma è stato eccitato dalli suoi buoni servitori, i quali non possono persuadersi che debba esserle negata una dimanda si giusta, onesta e ragionevole. E che tutto ciò mi diceva confidentemente e perché lo rapportassi alla maniera che meglio mi paresse, perché in luogo di gusto non ricevesse disgusto; e che, quando si scoprisse inclinazione di sodisfarlo, egli, quando cosí fosse grato, faria T instanza piú formalmente, onde si avesse piú causa ed occasione di graziarlo. E si allargò in questi concetti con gran affetto, che ben se le scopriva l’interno del cuore. A questo offizio risposi brevemente: di non sapere quali rispetti potessero altre volte aver detenuta la Serenitá Vostra dal rissolversi in questa materia con altri principi e con lei medesimamente, né meno quali ci potessero esser al presente: ben poteva credere che si fosse mossa con fondatissime ragioni. Che riporterei questo offizio con la medesima confidenza e secretezza che veniva da lei; e di due cose la potevo assicurar: l’una ch’ogni sua proposta è ascoltata con attenzione e con amore; l’altra che Vostra Serenitá ama e stima grandemente la sua persona, desidera darle [p. 107 modifica]sodisfazione, in modo che mai si potrá revocar in dubio la sua ottima e perfettissima volontá. Passarono nella medesima sostanza alcune repliche; e credo che la cosa gli premi infinitamente, e la desidera intensissimamente non solo lui, ma il principe suo figliolo ancora. Il quale, quando io andai alla sua prima visita, dopo essermi partito, volse legger la lettera, e subito mandò a chiamare l’Udine e si dolse di quel titolo; ma l’Udine rispose che il medesimo si dava a suo padre; e lui replicò che s’informasse di qual maniera si trattava col principe di Savoia e, avendole l’Udine riportato che si trattava dell’istesso modo, non disse altro. Ma si vede c’hanno la cosa a cuore. Intorno a questo a me non occorre discorrer cosa veruna, e mi rimetto in tutto alle prudentissime e savie deliberazioni di questo eccellentissimo e gravissimo Consiglio.

Ho scritto li onori che questi principi m’hanno fatto, che certo meritano essere stimati. Né dubito punto che l’essempio loro non sia stato, appresso gli altri rispetti, gran eccitamento alli principi di Savoia di venir personalmente a visitarmi, come fecero, ancorché il conte di Verua e il conte Guido San Giorgio, col cui consiglio e parere si governano, vogliono che si creda che tal rissoluzione sia provenuta da loro e se ne gloriano. Ma in ogni modo è stata rissoluzione di gran riputazione e dignitá di questo serenissimo dominio. Si trattenero meco per mezz’ora continua, e nelli ragionamenti loro, cosí in questa occasione come in altre che mi sono trovato con loro alle feste, il principe maggior, venendomi a trovar particolarmente, ha procurato di farmi palese l’obligo che tengono alla Serenitá Vostra per gli onori e favori ricevuti in questo Stato. Il principe di Mantova procura di domesticar questi principi di Savoia, e un giorno disse loro: — Io son principe di Mantova e ho il cuore non solo de’ miei sudditi ma di tutta la nobiltá di Lombardia; e questo perché tratto seco con affabilitá e amore. E questo vostro stile non piace ad alcuno, e niuno vi ama. — Avendo di sopra fiuto menzione del conte Guido San Giorgio, voglio dire che questo è principal cavalier nel Monferrato per séguito e per ricchezze, e per questo rispetto il signor duca di Savoia lo [p. 108 modifica]trattiene e onora, non senza gelosia e con non intiero gusto del signor duca di Mantova.

Alle feste non sono venuti altri cardinali che Pii, secondo che ho detto. Aldobrandino ci saria venuto, se il signor duca avesse mostrato di riceverne sodisfazione. Il cardinale di Trento ha mandato un suo gentiluomo. Si era mosso lui medesimo per venirci, e portava breve pontificio di poter dar la benedizione alli sposi in nome di Sua Santitá; ma per camino fu sconsigliato dal signor Gaudenzio Madruccio, il quale, non sapendo come spagnuoli fossero per intender la sua venuta, non volse discontentarli: e cosí il cardinale se ne astenne sotto pretesto d’indisposizione. Vi è stato anche di passaggio il signor Cardinal Melline legato, col quale feci un complimento generale con l’occasione di essersi noi veduti alla bariera che si fece.

Visitai madama di Ferrara, vedova sorella del signor duca, che ricevè l’offizio carissimamente. Ella vive ritirata in un palazzo e fa vita piú tosto monastica ch’altrimenti, tutta intenta a opere pie. Gode 25.000 ducati d’entrata e dicono che abbia 150.000 ducati di gioie.

Il vescovo di Mantova, di casa Gonzaga e fratello del principe di Bozolo, venne a visitarmi. Non parlò cosa veruna delle cose passate, ma stette sopra soli termini di complimento; e io feci il medesimo, giá che non si poteva parlar seco in quei propositi senza qualche risentimento. Ma in generale sopra quei affari in Mantova si lauda la generositá di Vostra Serenitá nelle assoluzioni fatte e la gloria che ne ha acquistato, ma niente meno la prudenza nell’aver mandato a Roma monsignor patriarca con indicio di non voler piú cimentare la gloria avanzata e di doversi astenere da maneggi che la potessero minuire.

Ho avuto in mia compagnia quattro nobili veneti, de’ molti che ho richiesti a venir con me: cioè il clarissimo signor Zuan Corner mio cognato, del quale non dirò cosa veruna, acciò la veritá di quello che giustamente dovrei e potrei dire non ricevi pregiudicio dalla stretta parentela che tengo seco; — il signor Mattio mio fratello e Antonio mio nepote: l’uno che si è contentato di accompagnarmi del continuo per il vivo desiderio che tiene [p. 109 modifica]di aiutarmi con le communi facultá, perché io possa meglio servire alla Serenitá Vostra nelli carichi impostimi; l’altro, ch’è di etá di 12 anni, ho condotto volentieri, perché in questi primi anni cominci ad osservare e acquistare qualche sperienza da valersene poi in servizio della sua patria; — il clarissimo signor Marco Antonio Bragadin dell’illustrissimo signor Antonio, figliolo di quel padre e zio che si onoratamente servono alla Serenitá Vostra, e del nome che porta dell’avo di gloriosa e per sempre venerabile memoria, giovene di ottimi costumi, creanze e maniera di conversare, intendente sopra la sua etá, diligente in onorar la Serenitá Vostra nella persona mia, ed insomma laudatissimo e tale che la Serenitá Vostra può promettersi da cosí nobil pianta nobilissimo frutto, essendo soggetto di grandissima speranza ed espettazione.

Oltre questi, sono stati meco diversi gentiluomini veronesi, padovani e trivisani, fra’ quali in particolar il signor conte Ieronimo Pompei, comparso con nobile ed onoratissima compagnia per onorare un rappresentante la Serenitá Vostra. Questi erano con me; ma in Mantova si sono ritrovati sino a 50 nobili veneti, li quali e li clarissimi signori Michel Grimani ed Andrea Contarini, che ivi si ritrovano molto amati dal signor duca e stimati da quei cavalieri per li loro nobilissimi portamenti, ed altri assai gentiluomini del Stato della Serenitá Vostra, ed in particolare li signori conti Canossa e Brembato, che sono al servizio del signor duca, mi hanno sempre onorato e favorito in tutte le occasioni di andar a corte e de visite, che mi erano fatte; in modo che del continuo ho avuto una molto nobile, onorevole e numerosa compagnia. Non faccio menzione di tutti in particolare, perché sarei troppo tedioso; ma confesso però la veritá e la mia perpetua obligazione alla loro cortesia. Sono stati essi favoriti e onorati dal signor duca e da me serviti con ogni affezione dove ho potuto. Il signor Ferrante de Rossi è stato sempre assiduo alla mia persona, e ha voluto far il medesimo c’hanno fatto gli altri; e, se ben per la sua etá e grado e per altre occupazioni si saria potuto dispensar da questa assidua assistenza, non ha però voluto farlo, gloriandosi di esser [p. 110 modifica]conosciuto buon servitor della Serenitá Vostra, in modo che anco per questo si è reso ben degno della publica protezione.

Messer Marco Ottobon, mio secretano, è molto ben conosciuto da questo eccellentissimo Consiglio: questo è il vigesimoquinto viaggio fatto in servizio della Serenitá Vostra con somma diligenza, integritá e fede della sua persona. Mi son chiamato altretanto onorato, quanto confesso esserli tenuto dell’incommodo preso per amor mio; e, con tutto ch’egli si trovi in etá piú tosto atta al riposo che al travaglio, assicuro nondimeno che sará tuttavia pronto, ad ogni minimo cenno di lei, di impiegarsi in ogni carico, dove sará giudicato buono, senza alcun risparmio, come ha fatto per si lungo corso di anni, né di spese né di fatiche né di pericolo.

Di me non ho altro che dire alla Vostra Serenitá ed alle Signorie Vostre illustrissime ed eccellentissime, se non che gli onori fatti all’ambasciata sono tutti proceduti dalla grande stima e riputazione in che si attrova presso tutte le genti questa serenissima republica; ed io, onorato di questo grado e dignitá, ho potuto molto facilmente coprire le mie imperfezioni. E si come son obligato di rendergliene, come faccio, umilissime e devotissime grazie, cosí doverei dar segno maggiore della recognizione delie mie obligazioni; ma, non avendo io modo di poterlo fare né anco con l’imaginazione, non bastando offerire alla Serenitá Vostra ed alle Signorie Vostre eccellentissime quello che prima di ora li è offerto, cioè la devozione della mia casa, la continuazione del mio servizio, senza alcun riguardo di spesa, viaggi, incommodi e patimenti, ed anco di impiegarvi la propria vita, la supplico solo a ricevere ed aggradire il pronto e devoto affetto della mia volontá, della quale faccio anco questa volta solenne sacrificio aH’eccellentissimo senato. E se per altro non è accettabile, confido però, come umilissimamente prego, che sará reso meritevole di questa grazia dall’ordinaria, somma e singoiar benignitá della Serenitá Vostra e delle Signorie Vostre illustrissime ed eccellentissime.