Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo VI.

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CAPITOILO VI.

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CAPITOLO V. CAPITOLO VII.
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CAPITOLO VI.
CHIESE DEL GRUPPO ARCAICOS — S. GAVINO DI TORRES.


Al periodo arcaico della nostra architettura medioevale, contradistinto da forme decorative semplici, severe e per lo più inspirate ai primi monumenti medioevali di Pisa, possiamo assegnare un gruppo non indifferente di chiese, fra le quali eccelle per mole, per grandiosità di linee e per le vicende storiche, che ad essa si connettono, l'antica cattedrale di Torres sotto l'invocazione di S. Gavino.

Sulla fondazione di questo, che certamente è il maggior tempio che la pietà delle popolazioni sarde abbia eretto in Sardegna, si scrisse molto e non sempre a proposito. Una cronaca scritta nell'antica lingua logudorese ci narra che a Donno Comida, eletto giudice di Torres e d'Arborea per le sue doti d'animo e per la sua benignità, apparve in visione S. Gavino, ordinandogli di costrurre una Chiesa ad unu logu qui si clamat môte Argellu e di trasportarvi i corpi dei tre santi.

Il buon giudice di Torres, che dall'erezione della Chiesa si riprometteva la guarigione di una violenta malattia, che lo tormentava, aderì di buon grado al divino invito e senz'altro fece venire da Pisa XI mastros de muros e de pedra sos plus fines et megus qai potirmt acatare in Pisa e li adibì alla costruzione della bella basilica. [p. 92 modifica]

Comida morì, secondo la cronaca1, prima d'aver compita l'opera: dai magnati di Torres e d'Arborea venne eletto a giudice suo figlio, donnicello Orgotorio e sotto il giudicato di questo principe la Chiesa venne consacrata con grande pompa. con l'intervento di un cardinale e di molti vescovi e con larga concessione d'indulgenze. L'anonimo scrittore di questa cronaca termina la sua narrazione colla data della consacrazione (517): Consecrata fuit ecclesia Sancti Gavini de Turribus die iiiy Madii anno Domini CCCCXVII, la quale diede origine a tante sconclusionatezze per parte di una pleiade di scrittori del XVII secolo, i quali, come scrisse il Siotto Pintor2, o per la tenuità del soggetto che presero a trattare o pel modo con cui ne scrissero o per entrambi questi rispetti, di storici non ne hanno che il nome.

Fra questi il Vico3 non si peritò d'asserire che sin del sesto secolo Torres era governata dai suoi giudici, mentre nella sua Costituzione Giustiniano nel 534 ridonava all'isola i presidi per governarla e creava i duci delle milizie alla dipendenza gli uni e gli altri dal prefetto del pretorio dell'Africa.

Altri scrittori sardi espressero ed affermarono consimile opinione ma l'errore è così madornale, che non vale l'opera il discuterlo, tanto facilmente si riconosce per tale.

Dovremo per questa grossolana inesattezza e per le tante altre che si riscontrano nella prolissa cronaca far completa estrazione di quanto in essa è contenuto? Il Dottor Giuliano Bonazzi, che nella illustrazione del Condaghe4 di S. Pietro di Silchi5: tratta estesamente e con critica, sciolta dai veli delle leggende e libera da preconcetti, l'origine del giudicato di Torres, combattè l'autenticità di questa cronaca come pure quella di altri condaghi, pubblicati dal Tola nel suo Codex Diplomations [p. 93 modifica]Sardiniae6, in difesa dei quali o meglio del loro contenuto il Besta7, scrisse ampiamente e con grande acume, benchè, pur ammettendo i criteri de lo inducono a non rigettare queste cronache, debba da lui dissentire nelle conclusioni ed in special modo sui presunti anacronismi, nei quali incorsero il Manno, il Tola e tanti altri scrittori delle vicende storiche della nostra isola.

In mezzo a tanta diversità di pareri, ritengo che sia utilissima una spassionata disamina della cronaca turritana che tanto intimamente si connette alle prime memorie del giudicato di Torres e che per la storia dell'arte medioevale in Sardegna costituisce uno dei capisaldi cronologici. Per quest'esame critico ci serviremo non solo di quanto ci possono dire le vecchie carte e le antiche storie ma usufruiremo anche di quelli elementi stilistici, che dello studio della basilica e dell'altra, dedicata a S. Maria del Regno, ci possono esser forniti. I monumenti hanno un linguaggio che raramente falla, per chi sappia scrutarne le vicende artistiche ed approfondirne le forme architettoniche.

Il Bonazzi fu il primo a levar la voce, certamente autorevole, contro [p. 94 modifica]il condaghe di S. Gavino, che definisce una pia scrittura del secolo XV, dove sur un fondo puramente leggendario staccano anacronismi i più grossolani, e che insieme alla modernità della lingua ed all'inverosimiglianza del contenuto toglie, secondo il dotto bibliotecario, qualsiasi valore d'autenticità a questa scrittura.

Premetto anzitutto che nessuno degli storici ch'ebbe a giudicare esatta tale cronaca, sognossi mai di ritenerla contemporanea ai fatti, che vi sono indicati, giacchè in essa la stessa lingua sarda è più colta, più armonica e meno barbara di quella che si riscontra in altri documenti del giudicato e specialmente nel condaghe di S. Pietro di Silki, che è un testo preziosissimo del più antico e più puro logudorese ed una miniera inesauribile per gli studi linguistici.

Ma il ritenerla posteriore alla fondazione della Chiesa di S. Gavino e il riscontrare in essa elementi che non si possono conciliare con una critica rigorosa, non deve senz'altro togliere ogni valore alla cronaca, compilata indubbiamente servendosi di antichi documenti e di originari condaghi, quando dovea esser ancora viva la memoria di un fatto, che segnò la fase più alta nella storia e nei fasti della Chiesa Turritana.

Ma quanti anacronismi e quante leggende non troviamo anche negli storici, che scrissero di fatti a loro coevi?

Seguendo questa troppo rigida teoria non ci si dovrebbe giovare del materiale storico che in rapporto alla nostra isola ci offrono le prime storie pisane e genovesi, quali il Fragmentum auctoris incerti, il Vetus Chronicon Pisanum di Bernardo Marangone, il Breviarium Pisanae Historiae di Michele de Vico, la Cronaca Pisana di Ranieri Sardo e gli Annali di Genova di Caffaro e dei suoi continuatori fino al 1292, poichè quale più, quale meno contengono molte e gravi inesattezze. dovute per lo più ad amor di patria, che indusse questi istoriografi a magnificare. ad accrescere e talvolta a modificare gli avvenimenti che presero a trattare.

Quindi come dalla storiografia pisana e genovese è necessario sceverare quanto a ciascun cronista piacque aggiungere ad esaltazione della sua patria, per le cronache, alle quali il Bonazzi nega qualunque valore storico, è conveniente non ripudiarle a priori per qualche inesattezza, ma, facendo opportune comparazioni e mettendole in confronto con documenti e con fonti d'insospettabile autenticità, investigare fino a quel punto meritino d'esser credute, separando le vicende storiche [p. 95 modifica]dagli elementi leggendari e considerandole come antiche e pie scritture, nelle quali su una ossatura storica si svolge un contorno di leggende. e di tradizioni e di anacronismi messi pour cause dagl'ignoti annalisti.

A mio parere nella cronaca di S. Gavino la fondazione della chiesa, l'esistenza dei due giudici Comita e Orgotorio nonchè la costruzione del castello d'Ardara e della Chiesa di S. Maria del Regno per opera di Donna Giorgia, sorella di Comita, sono i fatti storici, su cui l'annalista ricamò la leggenda ed i miracoli compiuti dal martire turritano e svolse ad esaltazione del santuario venerato dalle genti del Logudoro i fasti della consacrazione.

La data della consacrazione è una di quelle falsità, che si possono spiegare collo spirito religioso di quei tempi.

Il cronista riferì gli avvenimenti, che trasse da vecchie carte, quale il condaghe di S. Pietro di Bosa, ad un'epoca molto lontana, il che non poteva non tornare a grandissimo decoro alla sua chiesa, sicuro d'altra parte che la coltura storica dei suoi contemporanei non avrebbe permesso di contradire e di smentire questa grossolana bugia. che fu accolta come verità sacrosanta da molti storici sardi del XVI e XVII secolo.

Dovremo quindi per una esatta C rigorosa disamina del nostro documento considerarlo come non datato ed in base ai fatti ed ai nomi in essa contenuti accogliere ciò che è essenza storica, determinando l'epoca da attribuirsi ai fatti, che in esso sono descritti.

Una delle ragioni, che indussero il Bonazzi a ritenerlo compilato [p. 96 modifica]colla fantasia più che su fonti autentiche, è la cronologia dei regoli, non ammettendo egli che nel secolo XI abbia potuto governare il giudicato di Torres un Comita, mentre coll'ausilio dei documenti del Codice Diplomatico del Tola e del condaghe di S. Pietro di Silki potè stabilire una geanologia di giudici, che s'inizia con Gonnari I, seguitando con Dorgotori de Kerchi, Barisone I, Mariano I, da cui ha principio la serie storicamente accertata e non interrotta dei giudici di Torres, fimo ad Adelasia, ultima della famiglia Lacon, colla quale termina il giudicato di Torres.

Questo dubbio fu sollevato da altri scrittori e francamente non dovrebbe non impressionare, se non si sapesse che molto spesso i giudici assumevano negli atti di potestà un nome, che non era quello di famiglia.

Salusio II del giudicato di Cagliari prende il nome di Costantino, come Torchitorio III si denomina Mariano nei documenti latini del monastero di S. Vittore di Marsiglia, che sono redatti per lo più da monaci e secondo le formule della diplomatica occidentale. La moltipli[p. 97 modifica]cità dei nomi dei giudici sardi la trascinato gli storici antichi e moderni, fino ai più recenti, in una rete inestricabile di equivoci e di errori.

Queste particolarità vennero studiate colla consueta diligenza dal Solmi nei documenti del giudicato cagliaritano e dopo accurate indagini rese più convincenti da inediti documenti storici ed epigrafici, potè stabilire una regola onomastica, per cui nella serie dei giudici s'avvicendano i due nomi sovrani di Torgotorio e di Salusio, lasciando ad alcuni atti speciali i nomi di battesimo, Mariano, Costantino, Guglielmo ecc.8.

Non sono lungi dal vero ritenendo che a consimile regola dovea attenersi l'onomastica dei giudici di Torres, e questo spiega che il Gonnario del condaghe di S. Pietro di Silki non sia altro che il Comita della cronaca di Portotorres. [p. 98 modifica]Portotorres — Chiesa di S. Gavino (fianco e portale aragonese). [p. 99 modifica]In questa cronaca oltre che del giudice Comita si fa menzione di suo figlio Orgodori o Dorgotori, che gli succedette nel trono, Di questi non si ha menzione in alcuno dei documenti trascritti dal Tola, tanto che questi per metter d'accordo la cronaca di S. Gavino con le altre carte sarde dovette supporre che Dorgotorio non fosse altro che il nome primitivo o di famiglia di Barisone I.

Orbene la conferma dell'esistenza di questo giudice è data dallo stesso condaghe di S. Pietro: Infatti ai N.° 293 e 294 troviamo menzionato questo giudice immediatamente dopo Gonnario e prima di Mariano: Ego iudike Dorgotori de Kerki....9. Questo riscontro basterebbe da solo a dimostrare la storicità dei due regoli, nominati nella cronaca di S. Gavino e l'epoca approssimativa del loro governo, poichè un documento di non dubbia autenticità menziona un giudice, di cui non si avevano altre notizie se non nella cronaca di S. Gavino. Nè a menomare quest'autenticità è sufficiente l'indicazione del casato Kerchi invece di quello dei Lacon, poichè chi ebbe a studiare le vicende genealogiche dei nostri giudici sa per prova di documenti originari che essi ne assumevano differenti.

Ciò nell'ipotesi che Kerki si riferisca ad un casato e non ad una località, il che a me sembra più probabile tanto più che una villa Kerki è menzionata tanto nella cronaca di S. Gavino quanto ai N. 111, 104 del condaghe di S. Pietro, da cui si deduce ch'era in prossimità a Portotorres. Quindi culla sola scorta di documenti originari possiamo ritenere che Gonnario e Comita erano nomi di una stessa persona e che la basilica di S. Gavino venne fondata da questo giudice e consacrata sotto il governo di Torgotorio successogli nel giudicato di Torres nella prima metà del XI secolo.

Questi sono gli elementi storici della cronaca di S. Gavino: altri come la guerra a Baldo di Gallura, che niente c'induce a ritenere che fosse l'Ubaldo, figlio di quel Lamberto, che accampo dritti sul giudicato di Gallura ai primi del secolo XIII, possono accettarsi condizionatamente per mancanza di altre fonti più esatte. Infine i fatti riguardanti i miracoli e le solennità del rinvenimento dei corpi santi sono ricami di fantasia, quali si trovano in tutte le antiche cronache medioevali ed in [p. 100 modifica]special modo in quelle che furono scritte ad esaltazione d'idee e di avvenimenti religiosi.

Nè la fondazione della basilica Turritana, il maggiore tempio non solo di Torres ma dell'isola tutta, era tale fatto da potersi travisare sostanzialmente dopo due o tre secoli nei fatti che la originarono e nelle persone che la vollero, per indurci a ritenere col Bonazzi che la costruzione ex novo della Chiesa debba risalire ad un'epoca più remota del XI secolo, unicamente poichè dai primi secoli della Chiesa Torres fo sede vescovile. L'antichità dell'episcopato Turritano non implica eguale antichità nella Chiesa di S. Gavino, che per la sua struttura si palesa costrutta non saltuariamente in epoche diverse ma tutta di getto dal basamento alla sommità dei due frontoni. E poichè i caratteri stilistici e le forme costruttive sono tali come vedremo più innanzi da poter asserire che non poteano aver svolgimento se non dopo il mille. ne verrebbe di conseguenza, accettando il ragionamiento del chiaro compilatore del condaghe di S. Pietro, che molto prima del mille in Sardegua, dove tutte le forme d'arte si svolsero più che altrove in ritardo, si costruiva con caratteri stilistici, in uso dopo il mille.

Altri risultati confermano la storicità di molti fatti della cronaca di S. Gavino. Infatti la Chiesa di S. Maria d'Ardara, che il condaghe menziona come eretta da Donna lorgia, sorella del giudice Comita, [p. 101 modifica]presenta tali forme architettoniche da poterla ritenere coeva alla basilica Turritana. Abbiamo in ambedue le forme arcaiche dello stile romanica prima che la genialità degli artisti pisani avesse portato nei fastigi delle chiese la gaiezza delle loggie sovrapposte, svolgentisi ora in piani orizzontali ora per mezzo di eleganti archeggiature secondo la pendenza del tetto. Che sia ad ogni modo anteriore al XIII secolo fa fede un'iscrizione dell'altare, secondo la quale questo daterebbe dal 1107, il che è in esatta corrispondenza con quanto ci narra la cronaca di S. Gavino.

Noi abbiamo proceduto a ricercar le origini di questo importantissimo monumento indipendentemente da quanto ci venne riferito dagli annalisti sardi ed in special modo dal Fara, di cui nessuno può mettere in dubbio la scrupolosità e la cura, con cui vagliava le fonti, alle quali attinse per scrivere il suo libro De Rebus Sardois.

Per la compilazione delle quattro serie dei giudici di Sardegna il Fara si riferì, come ci fa conoscere egli stesso, ad un piccolo libro manoscritto Liber Indicum Turritanorum, compilato nell'antico idioma sardo da ignoti autori, ai condaghi di molte chiese e ad altri monumenti del tempo dei giudicati.

Ora, non essendo a noi pervenuta che una copia del XVIII di detto libro con pochi condaghi, dovremo tenere in gran conto, considerato anche la scrupolosità del Fara, quanto a questo riguardo scrisse il dotto annalista. Secondo questi Gunnarius, sen Gonarius, dictus Comita, fuit primus Turritanus judex e secondo fu Torquitorius, alias Dorgalorius, vel Orgetorius Gunale. Abbiamo dunque che l'elenco dei [p. 102 modifica]giudici quale venue compilato nel XVI dal Fara, almeno per i primi due, collima con quanto su di essi ci viene riferito non solo dalla cronaca di S. Gavino ma anche dal condaghe di S. Pietro di Silki.

Che la Chiesa di S. Gavino sia stata eretta da artefici pisani, come ci narra la cronaca della sua fondazione, e cioè da XI mastros de muros e de pedras sos plus fines et megus qui potiruumt acatare in Pisas, risulta con molta evidenza, come vedremo più avanti, dai caratteri stilistici ed architettonici del bel tempio e trova la sua spiegazione nei rapporti d'amicizia che intercedevano sin d'al lora fra i gindici di Torres e i pisani, Tutti questi elementi, tutte queste concordanze, che prese isolatamente non avrebbero che un valore molto relativo. nel complesso non possono non stabilire in modo da non lasciar dubbi di sorta che la Chiesa di San Gavino venne eretta verso la prima metà del XI secolo da Comita o Gonnario di Torres e consacrata sotto il giudicato Dorgotorio.

La chiesa sin dalla sua consacrazione dovette esser elevata a dignità episcopale se ai primi del XII secolo troviamo menzionati i canonici ed i chierici di S. Gavino di Torres nel lodo che Uberto, arcivescovo di Pisa c legato pontificio in Sardegna, pronunziò nel concilio tenuto ad Ardara nel 113510.

Alla Basilica di S. Gavino erano annesse molte chiese filiali quali le chiese di S. Giovanni d'Usine11, di S. Giorgio di Basui12. Era dotata di cospicui censi ed un diploma dell'arcivescovo di Torres del 1170 ci riferisce che si rimetteva ai priori del monastero di Nurchi [p. 103 modifica]dell'ordine Benedettino di Monte Cassino il censo di una libbra d'argento e di venti soldi di denari ch'essi doveano pagare alla basilica di S. Gavino per le chiese di S. Giorgio di Baraci e di S. Maria d'Eenor in occasione della venuta del legato pontificio in Sardegna13. Il nome di un suo amministratore, armentariu, Ithocorre Manata, è ricordato nel condaghe di S. Pietro.

Per la grandiosità e ricchezza della basílica i santi, ai quali essa è dedicata. e cioè S. Gavino, S. Proto e S. Gianuario. ebbero una speciale venerazione nel Logudoro e sin dai primi del XII secolo i giudici di Torres nei loro atti implorarono l'ausilio di Dio, di Maria e dei suddetti martiri, sub cuius protectionem in hanc insula Sardinee nos credimus esse salbatos.

Alle conclusioni cui siamo pervenuti per considerazioni storiche esser cioè la chiesa opera del XI secolo — fanno esatto riscontro i caratteri architettonici e stilistici dell'edificio.

Splendido esempio d'architettura frammentaria, la Basilica di Torres fu eretta in parte con avanzi tolti dalle rovine d'edifici romani dell'antica Turris Libyssonis, che dalla collina, in cui sorge la Chiesa, estendevasi nel piano fino alla spiaggia.

Negli assaggi da me eseguiti per constatare la consistenza in fondazione delle strutture murarie rinvenni diverse tombe romane, per cui non è improbabile che quivi fosse la necropoli povera di Torres.

Dalle rovine di questa città si tolsero molte delle colonne e dei capitelli sostenenti la navata centrale e nella cripta si conservano tuttora due pregevoli sarcofagi romani, uno dei quali reppresenta Orfeo in tunica e clamide, tenendo colla destra il plettro, mentre ai suoi piedi sono accovacciate due tigri rese dome dalle armoniche note, il lenire tigres d'Orazio. Da un fondaco, annesso alla sagrestia. mi fu possibile durante i recenti lavori di restauro togliere e rimettere in sito più adatto due frammenti istoriati di sarcofagi con belle ed eleganti rappresentazioni della vendemmia e di un banchetto.

Non tutti i capitelli delle colonne sono romani; alcuni vennero [p. 104 modifica]ritenuti tali per esser modellati su forme corinzie o composite, ma le particolarità ornamentali e la tecnica della scalpellatura mostrano una lavorazione medioevale su classici modelli. Sono inoltre notevoli due capitelli con simboliche colombe abbeverantisi in un vaso ansato, un sorriso d'arte cristiana in tanto sfolgorio di forme pagane.

Sopra i capitelli poggiano direttamente all'uso romanico gli archi mediante un gran lastrone in pietra concia, che costituisce il pulvino delle chiese bizantine e che permette l'appoggio delle arcate per l'intero spessore delle muraglie.

A tre navate la Chiesa di San Gavino ha le forme iconografiche delle basiliche erette nei primi secoli del cristianesimo, le quali nell'isola perdurarono fino al XIII secolo. Avvicinandosi ancor più all'originario tipo basilicale romano, di cui è splendido esempio la basilica Ulpia, che l'imperatore Traiano cresse nel foro che da lui prende il nome, ha due absidi, ciascuna ad una estremità della navata centrale.

Questa disposizione planimetrica a due absidi è rarissima in Italia e le analogie colla Chiesa di S. Pietro in Grado in quel di Pisa, che a prima vista appaiono evidenti, sono invece superficiali, giacchè nella chiesa di Torres le due absidi sono coeve e sono così concepite dall'architetto, che diede i piani della chiesa, mentre in S. Pietro in Grado originariamente si avea una sola abside, essendo stata costrutta l'altra nelle successive modificazioni che subì l'insigne monumento.

La navata centrale di S. Gavino è sostenuta da ventidue colonne monolitiche e da sei massici pilastri in pietra concia, che non possono considerarsi come un restauro posteriore, poichè incardinati anche come tecnica murale alla restante costruzione. L'armatura del testo è a vista [p. 105 modifica]ed è composta di cinquantotto cavalletti di rovere, sui quali è inchiodato il tavolato sostenente la copertura di piombo.

Non si hanno elementi per stabilire se questo coperto sia originario o non; certo esso è anteriore al XVI secolo, poichè l'annalista Fara nel De Chorographia Sardiniae scrisse che in Torres fuit sede archiepiscopi Turritani in maximo eiusdem urbis templo a Comita Iudice magnificentisoima fabbrica extructa columnis marmoreis teretibus et striatis, suffulto, tegnlisque plumbeis tecto quod S, S. M, M. Gavino Romano, Protho et Ianuario, Sardis Turritanis dicatum.

È pur tuttavia questa copertura plumbea posteriore all'erezione della chiesa, poichè la statuetta di S. ancor essa fusa in piombo e collocata ad un estremo del colmo del tetto. è senza dubbio opera più moderna, riscontrandosi in essa vivacità di movenze, e correttezza di linee e di plasticità, non concepibili nella scultura goffa e puerile del XI secolo.

Forse questa copertura costituisce una delle tante modificazioni portate all'antichissimo tempio nel secolo XIV e delle quali si tratterà in appresso.

Le navate laterali sono coperte da volte a crociera divise fra loro da archi poggianti sui pulvini delle colonne e su mensoline incastrate nei muri laterali.

Sotto la nave centrale si estende la cripta, in fondo alla quale havvi la cappella, in cui si conservano le reliquie dei tre martiri, ai quali è dedicata la basilica.

Non poche modificazioni ed aggiunte vennero portate nell'interno della basilica: sopraelevandolo di una diecina di gradini si costrusse il coro con ornamenti in marmo ed in legno seicentisti, terminandolo con un poco pregevole altare. Altri quattro altarini — ancor essi lavori mediocrissimi — vennero addossati ai muri terminali delle navate laterali.

Le volte a spigoli sagomati, intersecantisi in gemme anulari, che si svolgono nell'interno delle absidi sostenute da colonnine bizzarramente decorate con flora e fauna gotica, palesano un'ornamentazione anteriore al coro ed agli altarini e posteriore all'erezione della chiesa. mentre i sovradetti caratteri ornamentali inducono a ritenerli coeve alle altre. [p. 106 modifica]aggiunte eseguite nella monumentale basilica durante la dominazione d'Aragona.

Gradevole di proporzione ed elegante nella sua severità si presenta l'edificio all'esterno. Le pareti sono rivestite con pietre concie esattamente [p. 107 modifica]combacianti senza interstizi di calce, per cui il paramento riesce unito e di effetto pittoresco tanto più ora che su di esso è soffusa una bella patina dorata. Nei fianchi e nei muri della navata centrale svolgesi il consueto motivo architettonico romanico degli archetti ciechi impostantisi in parte su strette lesene ed in parte su mensoline e questo motivo si svolge anche nelle due absidi. Nei frontoni terminali della navata centrale abbiamo la serie ascendente di arcate cieche poggianti su strette lesene non aventi nè capitelli nè basi.

Sono in questi frontoni le primordiali strutture di quelle loggette, di cui un secolo dopo si ornarono le Chiese di Saccargia, di Tergu, di Bulzi, di Sorres e tante altre erette sotto l'influenza dell'architettura toscana nel secondo periodo.

In vicinanza all'abside di ponente le due navate laterali sono sopraelevate di qualche metro ed a questa sopraelevazione corrispondono alcuni gradini all'interno ed una maggiore altezza nelle volte a crociera.

La chiesa è debolmente illuminata da finestrine feritoie aperte nei muri laterali senza fascia od ornamentazione alcuna. Sono strette e a doppia strombatura, con che s'ottiene il vantaggio d'ammettere una maggiore copia di luce diretta e di luce diffusa.

Le acque meteoriche scorrono sui canali di gronda eseguiti nella sommità dei muri per scaricarsi nel suolo per mezzo di doccioni sagomati ed elegantemente raccordantisi alla cornice superiore.

I profili delle sagome e dei capitelli sono semplici; per lo più una gola rovescia preceduta e susseguita da un listello. Nelle absidi e nei frontoni conservansi ancora gl'incavi, in cui erano le coppe iridescenti ispano-moresche.

Alla chiesa si accede usualmente da un grandioso portale. aperto nel cortile della Metropoli. Esso è uno splendido saggio di quell'architettura romanica che si svolse nel mezzodì della Francia e più estesamente nella Catalogna, colla quale la Sardegna anche prima della dominazione aragonese ebbe rapporti politici e commerciali. Un arco riccamente sagomato con alternativa di tori e di cavetti contorna una lunetta, forse originariamente dipinta o scolpita.

La parte rettangola dell'apertura è divisa in due mediante un pilastrino sagomato con esili colonnine dai capitelli a foglie di cardo e [p. 108 modifica]di vite, Lateralmente sotto l'estremità dell'arco sagomato sono due mensole, ornate con figure d'angeli sostenenti l'arme della città di Torres (una torre merlata).

Non si hanno documenti che ci dicano da chi e quando venne eseguito questo portale, ma la sagomatura con cavi, tori e listelli, lo sguancio dell'arco ed il pilastrino centrale sono chiari segni di una architettura non toscana e posteriore all'erezione della chiesa.

Infatti l'architettura toscana non accettò mai interamente le forme architettoniche e la tecnica delle chiese romaniche dell'alta Italia e del mezzodì della Francia; anche i maestri chiamati in Toscana a costrurre chiese ed a scolpire ornamenti dovettero uniformarsi al gusto ed alle tendenze locali, abbandonando nelle sculture le bizzarrie demoniache dei bestiari, e nelle gallerie decorative l'essenza organica e statica dei monumenti di schietta architettura lombarda.

Nelle porte poi i riscontri e le differenze sono più rimarchevoli: il tipo romanico quale ci venne dall'alta Italia, dalla Normandia e dalla Spagna è la porta a smussi ed a sguanci con cordoni, con esili colonnine e con cavetti ripetentisi nell'arcata. contornante la lunetta. In queste porte la struttura organica dell'ingresso è l'arco a cordonate concentriche e di raggio decrescente verso l'interno, struttura esclusivamente romanica, che dovrà poscia sviluppare una delle più maestose e ricche forme dell'architettura a sesto acuto.

Le porte invece nelle chiese toscane ed in tutte quelle erette nell'isola dal XI al XIV secolo sono senza sguanci con piedritti costituiti da due o tre pezzi monolitici a fior di muro e sormontati da capitelli, in cui predominano i motivi derivati dall'ornamentazione classica. Sopra i capitelli poggia l'architrave quasi sempre monolitico, quache volta decorato. ma per lo più liscio, sul quale s'imposta l'arco di scarico ancor esso a fil di muro o direttamente oppure mediante due piedritti più meno [p. 109 modifica]alti. Queste parti costruttive ed in special modo l'arco di scarico sono contornate da cornici a fascie decorate più o meno ricche a seconda dell'importanza dell'edificio.

Ora la porta di S. Gavino non solo s'allontana da questo tipo, ma, riassumendo tutti i caratteri dei portali romanici, presenta l'altra caratteristica dello porte di molte chiese di Francia e di Spagna, della suddivisione cioè in due vani della parte rettangola mediante un pilone centrale.

A ritenere il portale di S. Gavino non coevo all'erezione della chiesa ci confortano altre considerazioni d'indole costruttiva. Osservando infatti la sua disposizione con gli archetti pensili poggianti su mensole e su lesene, costituenti la consueta forma decorativa romanica all'esterno, si rileva che questa per l'apertura della porta venne rotta malamente in modo che due archetti rimangono mozzati.

Che sia opera eseguita nel XIV secolo sotto la dominazione d'Aragona e probabilmente da artefici catalani oltre che dalle sovraccennate ragioni si può desumere dallo stemma coi pali d'Aragona, sormontante l'arcata di un'altra porticina della basilica che presenta la stessa lavorazione e le stesse forme costruttive in modo da non lasciar dubbio alcuno sulla coevità di ambedue.

Pochi anni or sono mi fu possibile rimettere allo scoperto una delle porte originarie della basilica, in cui predomina il tipo costruttivo toscano colle caratteristiche precedentemente accennate. L'architrave in marmo poggia sovra due mensole — aventi scolpite due colombe — sporgenti lateralmente dai piedritti marmorei vagamente arabescati. Un arco sagomato contorna una lunetta, ancor essa in marmo, con sculture eseguite in piccolo e rozzo rilievo con arte goffa e puerile.

A lato della porta cd in alto nel paramento calcareo è scolpito alla porta un leone dilaniante un mostricciatolo, scultura simbolica, che frequentemente riscontrasi negli ingressi delle porte medioevali. Inoltre nell'asse della porta viene a cadere una mensola degli archetti pensili [p. 110 modifica]raffigurante una testa di leone, che completa adunque la struttura decorativa della porta. Questi fatti mostrano un coordinamento fra le linee decorative della basilica e quelle della porta e quindi comprovano ancor più l'originaria esecuzione di questa.

La chiesa è sorta tutt'intera secondo un unico disegno ed in modo continuo, giacchè gli accurati rilievi e scandagli, che due anni di restauri mi permisero d'eseguire intensivamente, non palesano alcuna costruzione anteriore, nè alcun pentimento, nè alcun indizio di sospensione. I capitelli della porta rievocano le antiche forme della decorazione pisana, quando questa ben poco differiva dai nobili modelli lombardi cui s'era inspirata. Anzi più che le prime ricordano i frammenti decorativi che si conservano della romanica Chiesa di S. Celso di Milano, d'attribuirsi al nono od al decimo secolo, il che rende sempre più attendibile l'assegnazione della basilica alla prima metà del XI secolo.

L'ipotesi, espressa però in forma molto dubitiva dal Besta che la chiesa sia stata eretta ai primi del XIII secolo da un altro giudice Comita è smentita dall'iscrizione incisa in una base attica di una lesena del muro esterno: HIC REQUIESCIT GUIDO DE VADA . . . . . . . . MCLXXVI . . .

Del resto è mai conecpibile che nel XIII secolo quando le chiese vicine e molto meno importanti di Saccargia, di Sorres, di Cerigo, di Bulzi s'erigevano con forme nuove e scintillanti di ornati, di colonnine, di loggie d'intarsi in pietre dure, si costruisse il più vasto tempio dell'isola dedicato al santo protettore del giudicato e nella capitale di questo con forme rudi ed antiche?

  1. Questa cronaca venne pubblicata per la prima volta in Venezia nel 1497, poscia a Ruma nel 1547 ed infine trascritta in un opuscoletto del Canonico Rocca: Istoria del tempio di S. Gavino edito a Sassari nel 1620.
  2. Siotto Pintor, Storia letteraria di Sardegna.
  3. Don Francisco Vico, Historia General de la Isla y Reyno de Sardena, Barcellona, 1639, Vol. II, pag. 21.
  4. Colla parola sarda condaghe (χοντὰχιον condacium), si significò l'atto col quale si costituiva un lascito, una donazione a favore di chiese e di monasteri. Inesattamente questa parola venne attribuita ad antiche cronache.
  5. Dr. Giuliano Bonazzi, Il Condaghe di S. Pietro di Silchi, Sassari-Cagliari, Tip. Dessì 1900, pag, XI.
  6. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, Sec. XI, Vol. 1, pag. 150.
  7. Besta, Nuovi studi nei Giudicati Sardi in archivio Storico Italiano, Ser. V. T. XXVII.
  8. Arrigo Solmi, Le carte volgari dell'archivio arcivescovile di Cagliari. Estratto dal Archivio Storico Italiana, Firenze, 1905, pag. 78
  9. Bonazzi, Op. cit., pag. 68-69.
  10. Tola, Op. cit. Vol. 1, Sec. XII, pag. 209.
  11. Tola, Op. cit. Vol. 1, Sec. XII, pag. 219.
  12. Tola, Op. cit. Vol. 1, Sec. XII, pag. 209.
  13. Tola, Op. cit. Vol. 1, Sec. XII, pag. 240.