Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano/Capo XVIII

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Capo XVIII. Lago di Como. Osservazioni generali

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Capo XVII Capo XIX
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CAPO XVIII.

LAGO DI COMO.

Osservazioni generali.


Il viaggiatore che vuol vedere le cose rimarchevoli del lago di Como, vassene alla Cadenabbia, comodo, ben situato e ben servito albergo finchè usano ospitalità i Brentani, che, se pur non è il solo in questi contorni, è fin ora certamente il migliore.

Dopo la prima edizione del mio libretto, l’erudito ed elegante scrittore comasco sig. Giambattista Giovio che m’onora della sua amicizia, parendogli che troppe cose io avessi omesse intorno alla sua patria, scrisse, per supplirvi, un grosso volume, intitolandol Como e ’l Lario, Commentario. A questo libro, alle sue Lettere Lariane, ed agli Opuscoli Patrii che pubblicò in appresso, può ricorrere il curioso: io pur men varrò per fare a quanto già scrissi alcune aggiunte e correzioni.

Per render ragione di alcuni nomi de’ paesi, che greci sono o romani, giova qui [p. 189 modifica]premettere che i contorni del lago di Como, detto latinamente Larius (da Lar, che in lingua etrusca significa principe, o piuttosto dai lari, cioè gabbiani, uccelli acquatici de’ quali il lago abbonda), abitati pria furono dagli Etruschi e Orobj, che vuol dire abitatori de’ monti, indi da’ Galli; e questi furono soggiogati da’ Romani che colonie de’ suoi e de’ Greci vi condussero. Cinquecento nobilissimi Greci, al dire di Strabone, v’inviò Pompeo padre del Magno per ripopolare questo paese afflitto dai Reti; e a loro certamente dobbiamo i greci nomi rimastici di molti paesi. Sì questi che i latini verranno indicati sulla testimonianza di Giovio1 e di Boldonio2, quantunque sian tratti sovente dalle apocrife antichità di Frat’Annio, e talvolta sembrino anche un po’ troppo stiracchiati. Alcuni nomi sono ancora un avanzo de’ Celti. Ne’ secoli posteriori tutti gli abitatori di questo paese, siccome del resto dell’Italia, considerati furono come Romani, finchè se ne impadronirono i Goti, e gli altri popoli settentrionali che l’Italia inondarono e sconvolsero. Nacque quindi l’anarchia, e quindi le guerre civili, in tempo delle quali dominarono in Como i Rusca ed altri potenti signori, [p. 190 modifica]finchè sottoposto fu nuovamente il paese all’Impero, ai Torriani, ai Visconti, agli Sforza e alla casa d’Austria, ed ora fa parte del regno d’Italia, di cui capitale è Milano; e Como è ora capoluogo del Dipartimento del Lario.

Un’altra generale osservazione qui faremo sulla forma de’ monti che contornano il lago, la quale anche a quelli de’ laghi precedentemente descritti deve applicarsi. Già si parlò del masso calcare nudo che corona la vetta di quasi tutti questi monti con una leggera inclinazione ora al mezzodì, ora al settentrione. Questo sasso verso il N. non estendesi oltre Menagio all’O., e oltre Bellano all’E. succedendo quindi i monti di breccia silicea, (detta ora Grauvake, ed ora Psammite) granitosi o di scisto micaceo, ne’ quali frequenti son i cristalli di rocca, i granati, i feldspati ed i quarzi; e trovasi anche a luogo a luogo il marmo, or in filoni entro profonde spaccature, or appoggiato allo scisto micaceo e al granito. V’abbonda pure in molti luoghi l’argilla, e l’arena quarzosa, di cui non ben spiegasi l’origine, se non rimontando a lontanissime epoche. Sebbene la pietra ollare dicasi da’ naturalisti Lapis comensis, pur non trovasi a strati, o almeno non lavorasi, in questi monti, ma bensì sopra Chiavenna: ed ebbe forse il nome di ' [p. 191 modifica]Comense perchè a Como principalmente si lavorava e vendeasi. De’ minerali parleremo più sotto.

I monti calcari hanno de’ bei marmi. Scopoli ne descrive dieci varietà da lui raccolte presso Varese: molte più ve n’ha intorno al Lario; e i principali sono il nero di Varena, il bianco di Muso e d’Olgiasca (che in gran quantità trasportasi ora a Milano pel grand’arco del Sempione) e le lumachelle della Tramezzina sinora trascurate. De’ varj marmi tratteremo ai proprj luoghi.

Questi monti hanno sovente nel loro seno delle caverne, in cui raccolgonsi le acque delle montagne più elevate, le quali hanno dei piani, e in essi de’ fori che ne sono i colatoi. Fra i piani summentovati due sono i più distinguibili: uno ad un terzo e l’altro a due terzi all’incirca dell’altezza de’ monti più elevati. I secondi diconsi le alpi, ove conduconsi nella state le gregge e le mandre. I primi meglio distinguonsi, ed hanno forma di promontorj. Ve n’ha poscia de’ più bassi, ma tutti disposti con certa regolarità, e generalmente ad un livello. Per distinguerli basta vedere ove sono fabbricati i paesi, poichè il sono sur un piano o lì presso, a motivo della coltivazione; e può questo cominciare ad osservarsi alla Cadenabbia stessa, salendo in alto per amena via a Grianta. [p. 192 modifica]Rimarchevoli sono su que’ monti e alle sponde, ove dai monti precipitano, i massi enormi di granito di varie maniere e sovente di tal qualità, per cui credonsi venuti dalle più sublimi e lontane alpi. Così il granito a grossi cristalli di feldspato bianco, detto da noi scerizzo ghiandone che è il più comune, non trovasi, come nocciolo di monte e a grandi strati, se non al San Gottardo.

Chi, in vista di ciò, ama formare sistemi, immaginar può che una grande catastrofe, cagionata da troppo vicina cometa, abbia portata dal N. al S. un’immensa quantità d’acqua, la quale abbia seco strascinati sui monti comaschi e su gli altri, che allora erano un piano, tutti que’ massi; che abbia scavato il lago colla sua caduta, e siasi per lungo tempo sostenuta altissima, al segno d’aver presso Como un emissario che le acque del lago gettasse nell’alveo attuale dello Sceveso, il quale gran fiume esser doveva, siccome dimostralo l’ampiezza del suo antico letto. Allora le terre e i sassi che cadeano da’ monti per le piogge, arrestavansi, come pur ora fanno, al giugnere al contatto del lago, e formavano de’ torrenti d’alluvione, e de’ bassi fondi sporgenti entro il lago stesso. S’abbassò questo per qualche rottura fatta o sopra Como, o sotto Lecco, o presso Malgrate, [p. 193 modifica]o sapra Menagio, luoghi tutti ove minore altezza hanno i monti che servon di sponda al lago. Que bassi fondi allora rimasero promontorj, onde i torrenti piegaronsi ai loro lati; e tali deviamenti veggonsi di fatto. Simili abbassamenti più d’una volta avvennero, e quindi a diverse altezze v’ha de’ promontorj e de’ piani. Gli ammassi di ciottoli fluitati, appoggiati alle alte sponde delle valli e de’ laghi, principalmente al S. e al S. O.; e ’l farsi questi ciottoli generalmente più minuti nel progredire al S., cosicchè presso Como, e per lungo tratto in quella direzione, alla breccia molare succede l’arenosa mollegna, sono argomento evidente che l’acqua ve gli ha portati dal N. al S. In questo lago, come nel Maggiore, vedonsi frequentemente gli angoli entranti corrispondere ai salienti.

Che, anche prima di quest’epoca, i nostri monti fossero coperti dal mare, non ne lasciano dubitare i marmi conchigliferi, e le conchiglie d’ogni maniera, fra le quali abbondantissimi sono gli ammoniti (detti ora discoliti) di varie specie e d’ogni grandezza dalle microscopiche sopra Trammezzo, alle bipedali presso Moltrasio. È noto che i corni d’ammone sono conchiglie che non trovansi ne’ nostri mari, se non microscopiche sui lidi adriatico e ligustico, portatevi senza dubbio dai torrenti che gli svelsero dai monti; e [p. 194 modifica]che certe lenticolari appartengono ad insetti marini de’ morri del sud, i quali formano a migliaja il cibo de’ cetacei. De’ corpi marini de’ nostri monti riparleremo a’ proprj luoghi.

Importanti sono e moltiplici ne’ monti che contornano il lago di Como, le miniere metalliche. Queste furono coltivate ne’ tempi antichi, ma poi trascurate quasi sino ai nostri dì; onde Vandelli applicò a’ nostri monti quello che parlando della Gallia Cisalpina, scritto avea Strabone, cioè = Non vi si ha più oggidì quella cura dei metalli che una volta si aveva; forse perchè maggior vantaggio ora si trae dalle miniere della Gallia Transalpina e della Spagna3. È rimarchevole però che Strabone, facendo menzione delle antiche nostre miniere, non rammenta che quelle di Vercelli e d’Ictomulo, cioè di valle Anzasca, (come vedemmo alla pag. 72) e non parla punto di quelle che abbiamo intorno al Lario. Non sarebbe pertanto strano che allora fossero ignote: tanto più che Plinio dice chiaramente che a Como, sua patria, non vi sono miniere di ferro, ma che vi si dà a questo metallo ottima tempra4. Non furono però ignote ne’ tempi di mezzo, giacchè il nome di monte d’oro trovasi anticamente dato a quello per cui [p. 195 modifica]dall’Agnedina varcasi in val Malengo; e nel secolo xiii un vescovo di Como cercò ed ottenne da Federico II in dono alla sua chiesa tutte le miniere metallifere della diocesi sua. Giovio parla delle miniere d’argento di Valsassina, ora a noi sconosciute. Ma, checchè siane degli antichi tempi, è certo che i premj e i sussidj e le istruzioni date dal Governo, che a tal oggetto ha istituito un Consiglio delle Miniere, fecero sì che ora siano queste ben lungi dall’essere trascurate.

Qui soltanto indicheremo in generale le miniere de’ monti intorno al Lario, riserbandoci a parlarne particolarmente a luoghi proprj. Facemmo già menzione della miniera di ferro di Valcavargna. Questo attraversa tutta la Lombardia nostra, cominciando dalle valli Anzasca e Antrona. Scavasi anche presso Dungo (trovato nel secolo xv da certo Giacomo Antonio di Desio), a Vercana sopra Domaso, e alla Gaeta all’O. sul lago; all’E. a Pagnona, e al monte Varrone nella Valsassina superiore; a Introbbio fra Bajedo e Pasturo nella inferiore, e persin sopra Mandello, e ad Acquate non lungi da Lecco. In Valcavargna e a Dungo v’è pur del rame. Vedemmo già come del piombo argentifero si scavi attualmente presso il Ponte di Tresa e in valle Marcolina. Se ne scavò pure presso Mandello, e non ha molti anni che si [p. 196 modifica]sono abbandonate altre miniere di piombo negli alti monti dello stesso distretto, e sopra Canzo. Riferisce Vannuccio Biringucci5 che da’ contorni di Como traevasi a’ tempi suoi la giallamina, con cui cangiavasi il rame in ottone: ora questa non si sa più indicare; dicesi però esservi dello zinco sopra Campione al Ceresio. Di molte miniere che attualmente lavoransi ne’ dipartimenti del Lario e dell’Adda parleremo poi.

Notizie più estese delle miniere nostre ci ha lasciate il mentovato Vandelli (nel ms. di cui già parlai nella Prefazione) dopo d’avere percorsi i contorni del lago di Como. Secondo lui, il monte che sta a N. del lago sopra Domaso ha in più parti indizj di miniera di ferro, ed in alcuni luoghi ne vide egli i cunicoli abbondanti. Stendesi la miniera di là sino a sopra Menagio. All’est del Lario ne ha trovati indizj dal forte di Fuentes sino a Dervio. Questa stendesi in Valsassina lungo il Legnone sino al monte Varrone. Un filone inferiore, che comincia presso Canzo in Vallassina, corre sopra Lierna, e attraversa, per Bajedo e Vimogno, la Valsassina sino al laghetto del sasso. E’ noto che le miniere stesse protendonsi nelle valli del Bergamasco e del Bresciano.

Numerosi del Pari ha trovati gli antichi [p. 197 modifica]cunicoli e gl’indizj delle miniere di piombo sopra Argegno, nel monte che sta sopra Varena, a Pra san Pietro, a Cortabbio, e a Bindo in Valsassina sino al Sasso del rotto; e quindi venendo al sud per tutto il tratto della Valsassina sin presso Ballabio, e lungo il ramo di Lecco fin presso Mandello. Indizj di rame, oltre quello di Dungo, ha trovati a Domenza sul Legnone, e di vetriolo di rame presso Canzo in Vallassina.

Miniere particolari d’oro e d’argento nativo non n’abbiamo: ma del primo se n’è trovato nella pirite, e del secondo nel piombo. Alcuni hanno riputati miniera di stagno certi bei granati di Valsassina. Questi granati che frequenti sono ne’ nostri monti, una specie di falso topazio di cui ve n’ha uno strato sopra Sorico, e le tormaline che trovansi a Sasso acuto sopra Gravedona, e in molti altri luoghi, sono le sole gemme che abbiamo in questi contorni. Minozzi6 attribuisce ai monti comaschi anche i rubini e i carbonchi. Dell’adularia e del cristallo di rocca parlammo 7, e a luoghi proprj indicherannosi i bitumi, le lignite e le torbe.

Qualche cosa giova pur dire, a fin di evitare le ripetizioni, del metodo generale di coltivazione che qui tiensi. Questi montanari [p. 198 modifica]sogliono andar a vendere la loro industria altrove, e convien dire che sian essi de’ più ingegnosi, poichè in generale essi sono che costruiscono i barometri, i termometri ed altri stromenti di fisica, anche nuovi, alla portata comune, a misura che vengono inventati. Non si limitano però a questo solo, ma abbracciano, a norma delle circostanze e delle loro forze, ogni genere di commercio. Quindi è che tornando alla patria, or con poche or con molte ricchezze, vogliono acquistare ivi de’ fondi, e a tenuissima rendita impiegano i loro capitali; e molto spendono inoltre per rendere fruttiferi i loro terreni, perlochè con gran cura sono coltivati. Vero è che appena un decimo de’ maschj resta in paese, tranne l’inverno che vengonvi a passare ad ogni biennio; ma le donne laboriose e forti ai lavori campestri suppliscono, poco estesi essendo i loro fondi. E’ da notarsi però che dopo la rivoluzione francese, cominciata nel 1789, minore è divenuta l’emigrazione degli abitatori de’ nostri monti.

Le vette sono a boschi e a prati, sovente comunali. Il mezzo, nelle buone esposizioni, è a castagni, e nella parte più bassa è a viti, ad alberi fruttiferi, a gelsi, ad ulivi e ad agrumi. Questi però vogliono essere coperti e riparati nell'inverno. Gli ulivi erano negli scorsi secoli molto più abbondanti che ora [p. 199 modifica]nol sono. Il freddo del 1494, quello del 1709, e l’introduzione de’ gelsi hanno fatti trascurare gli uliveti, il prodotto de’ quali altronde non è nè si grande nè sì buono com’esserlo dovrebbe, pel cattivo metodo d'estrarre l’olio dalle olive. Un prodotto considerevole più che nol pare danno pur qui li allori, per l’olio laurino che spremesi dalle loro bacche, riputato utilissimo nella mascalcia, e che talora più caro vendesi del miglior olio d’olive.

Non solo ben vi allignano i gelsi, ma grandissimo e superiore a quello della pianura è sempre il prodotto de’ bozzoli, e migliore n’è la seta. I grani provano a maraviglia negli alti piani; ma negli altissimi, ove la segala si preferisce al grano, gioverebbe forse preferire alla segale l’orzo di Siberia. La canapa vi riescirebbe bellissima, se meglio fosse preparata. Ai tempi di S. Ambrogio grossi erano e ricercati i tartufi de’ monti Comaschi, e pur ora il sono.

Parleremo qui pure degli animali. Negli alti monti vi stanno i camozzi, gli orsi, le marmotte, le lepri bianche, i tassi, i lupi, e nella palude di Colico anche le lontre. Si è creduta sin qui favolosa l’esistenza e la storia di lucertoni alpigiani, lunghi due e più metri, benché descrittici e disegnatici da varj autori, e specialmente dallo Scheutzero. [p. 200 modifica]Ma alcune ricerche da me ultimamente fatte m’hanno dimostrato che sì fatti animali, della specie degli Iguani, esistono tuttavia ne’ nostri monti, ove non di rado sono uccisi o gravemente feriti; e rare ne sono le spoglie, perchè essendo essi riputati velenosi collo sguardo, coll’alito e col puzzo, nessun osa toccarli, e si lasciano in preda agli animali carnivori e agl’insetti entro i burroni e le grotte, nelle quali per vecchiaia o per ferite muoiono. Questi lucertoni vengono a deporre le uova nell’arena presso i laghi nel maggio. Essi sono innocui, se non che furtivamente succhiano le vacche; e potrebbono qui, come gl’iguani in America, somministrare un ottimo cibo. I galli di montagna, i fagiani, i francolini, le aquile, il gran gufo e l’avoltoio pur vi si veggono. Talora i venti hanno portati sui nostri laghi i pelicani, i cigni, le gru, le ardee e i fenicotteri. Plinio narra che a’ tempi suoi i corvi teneansi lungi otto miglia da Como; ma oggidì gracchiano là, come altrove. E′ molto probabile, se non certo, che nelle grotte de’ più alti monti vadano a passare l’inverno intormentite le rondini. Volgarmente si crede ch’esse volino a cercare oltre mare i caldi climi, ma, se bene si osservino al tempo della loro emigrazione nel settembre, si vedranno avviarsi verso il nord-ovest. [p. 201 modifica]

I pesci del lago sono:

L'agone, Cyprinus agone.
-- del Lario, Cyprinus Lariensis.8
L'anguilla, Murena anguilla.
L'arborella, Cyprinus albor.
Il barbo, Cyprinus barbus.
Il botrisio)
o bottatrice,)
Gadus lota.
La carpina, Cyprinus carpio.
Il cavezzale,)
o cavedano,)
Cyprinus capeto.
9Il gambero, Cancer astracus.
Il pico, o )
l'encobia,)
Cyprinus rutilus, o idus.
Cyprinus pico, encubia Plin.
La lampreda, Petromizon branchialis.
Il luccio, Esox lucius.
Il persico, Perca fluviatilis.
Lo strigio, Cyprinus leuciscus.
La scardola, Cyprinus brama.
La trota, Salmo fario.
Il temolo, Salmo thymallus.
La tinca, Cyprinus tinca.
Il vairone, Cyprinus forinus.

La trota, il luccio, il persico sono i migliori; ma tutti amano mangiare gli agoni freschissimi cotti all’uso de’ barcaiuoli: e [p. 202 modifica]n’hanno ragione. Giovio, il quale pretende che la trota sia il mulo degli antichi, scrive altresì trovarsi ne’ seni più profondi del lago de’ burburi, pesci che oltrepassano la grossezza d’un uomo; ma nè egli dice d’averli veduti (anzi nega che possano prendersi, perchè lacerano le reti, e sono impenetrabili alla fiocina), nè alcuno ne ha parlato dopo di lui come testimonio di vista. Lo stesso dicasi d’altri enormi pesci attribuiti al Verbano. Le più grosse trote o carpine, che bulberi pur diconsi sul Benaco (e che Morigia medesimo chiama bulgari, attribuendo loro la grossezza d’un maiale), e i più lunghi lucci possono aver fatta illusione. Plinio sin da’ giorni suoi trovò mirabile il pesce pico, che al tempo degli amori, cioè in primavera, ricopriasi di scaglie rosse e rialzate, e chiamavasi allora encubia; e lo stesso succede oggidì.

Prendonsi i pesci con ogni maniera di reti; se non che le finissima son proibite, come lo è la calcina: la quale permessa è solo o tollerata ne’ garui, che sono ammassi artificiali di pietre e legni, ove i comodi nascondigli e l’abbondante cibo invitano i pesci. Al tempo degli amori, che pe’ diversi pesci è in tempi differenti, tendonsi loro le maggiori insidie presso le sponde arenose; e prendonsi infinite trote all’imboccatura dell’ [p. 203 modifica]Adda, della Breggia ec. Gran pesca pur si fa nelle escrescenze del lago, per le quali sale talora sino ad otto braccia sopra il livello ordinario, in cui la sua elevazione della superficie del mare è di braccia 356 2/3, (metri 212. 1. 9.), delle quali ve n’ha 141 ½, (poco più di 60 metri) da Lecco a Milano10 Il commercio del lago è poca cosa. Vi si trasporta ciò che perla via de’ Grigioni viene in Lombardia, e ciò che da qui colà si [p. 204 modifica]manda, sì per la via di Como, daddove le mercanzie trasportansi a Milano per terra, che per la via di Lecco, daddove trasportansi per acqua (V. Capo XXII). Il lago, oltre il molto ferro, poco piombo e rame, somministra legna, carbone, calce, gesso, sassi e marmi, majoliche, vetri, corteccia di quercia, seta, pesci, agrumi e poco olio. Dalla pianura riceve i grani, il sale e tutto ciò che vien dal mare, e che mandasi per quella via in Germania, o serve alle manifattura di cotone e di lana colà introdotte.

Quando regolare è la stagione, regolare è il vento, che segue in certo modo le impressioni del Sole, poichè alla notte spira la tramontana detta il Tivano, che all’alzarsi del Sole cessa, e tranquillo è il lago sino al mezzodì, dopo il quale soffia sud-ovest, detto la Breva: nome probabilmente derivato da Brivio sull’Adda, daddove spira tal vento riguardo al ramo di Lecco; onde pare che dagli abitanti di questo paese, anzichè dai Comaschi, sia stato dato tal nome al vento di sud-ovest. Questa alternativa di vento, che nelle ore calde portasi al nord, e al raffreddarsi dell’ammosfera torna al sud, devesi al dilatamento che il caldo fa dell’aria al piano, ond’è costretta a portarsi nelle valli verso nord; e ritorna poi al piano, quando, cessata essendo l’azione del Sole, l’aria ivi si condensa, e [p. 205 modifica]ristrignesi. Un annuvolamento, una pioggia o una grandine che cada in una parte del lago, disordina tosto la regolarità del vento, e mano da un improvviso soffio, spavento de’ barcaiuoli; e quindi i più cauti, all’udir del tuono (che chiamasi colà rumata), ritiransi a un qualche porto, o in un luogo riparato. Alterano pure la regolarità del vento le valli che nel lago immettono, e il vario andamento delle creste de’ monti fa cadere, secondo le diverse inclinazioni, sul lago que’ venti che diconsi montivi, e che giugnendo improvvisi, non lasciano d’essere pericolosi.

Il pericol però nasce più dalla forma delle barche e delle vele, che dai venti e da’ flutti. Convien dire ciò non ostante che pochi sono i naufragj, e derivati sempre da barca o troppo o mal carica, o da barcaiuoli ubbriachi.

Quantunque il lago di Como riceva un solo grosso fiume, cioè l’Adda, che per sè forse non agguaglia nè il Ticino, nè la Tosa del Verbano, pur a molto maggiori escrescenze, che talora oltrepassano i 15 piedi, è soggetto, principalmente nel ramo di Como; il che nasce da l’essere questo senza un emissario. I venti a ciò molto cooperano, poichè il nord accumula le acque verso Como, e il sud impedisce loro di portarsi verso Lecco, onde a Como refluiscono. E poichè le acque [p. 206 modifica]da Como devono pur tornare addietro per livellarsi, quindi v’hanno in quel ramo due correnti sensibili, l’occidentale cioè che tende a Como, e l’orientale che da Como torna a Bellagio, ove piega verso Lecco. Talora s’è veduto il lago gonfiarsi e agitarsi repentinamente senza esterna cagione; il che (se non fu contraccolpo di lontano terremoto) deve attribuirsi ad una frana subacquea, cioè alla caduta d’uno di quegli ammassi subacquei di ghiaia che i torrenti depongono alla loro foce nel lago. Le striscie che vi s’osservano in tempo di calma e di regolare elettricità ammosferica, derivano da subacquei elettromotori. Le acque uscenti da fori del monte provano i laghi interni.


Note

  1. Pauli Iovii Comensis Descriptio Larii lacus.
  2. Sigismundi Boldoni Patr. med. Larius.
  3. Geograph. Lib. V.
  4. Hist. Nat. lib:. xxxiv. n. 41.
  5. Pirotechnia.
  6. Delizie del Lario. Como, 1638
  7. Pagina 122.
  8. Questo agone, particolare al lago di Como, è più piccolo, ha squame più bianche, ed è più saporito che l’agone degli altri nostri laghi.
  9. Il gambero non è pesce propriamente detto.
  10. .Indicherò qui le piante più rimarchevoli dei monti Comaschi.
    Campanula spicata. Scabiosa columbaria.
    Arabis turrita. Celtis australis.
    Campanula bononiensis. Clora perfoliata.
                   glomerata. Chironia ramosissima.
    Centaurea splendens.                Hoffmann.
                   jacea.                intermedia.
                   paniculata.                Merat.
                   coriacea. Ki- Gentiana pneumonante.
                   taibel.                cruciata.
    Ononis columnae. Allioni. Chrysanthemum corym-
              natrix.           bosum.
              antiquorum. Trifolium hybridum.
    Gallium rubrum. Cytisus nigricans.
                verum. Linnaei. Daphne laureola.
    Adianthum capillus ve-
    neris.

    Piante particolari al Monte Legnone.

    Allium ursinum. Lonicera caerulea.
    Hypericum androsemum. Saxifraga cuneifolia.
                   quadrangulare.                stellaris.
                   humifusum. Senecio abrotanifolius.
    Inula hirta.             carniolicus.