Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos/Capitolo IV

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Capitolo IV

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IV.


Massaua, sua posizione, suo aspetto. — Fisonomia degli abitanti. — Bottegai, facchini, acquaiole di Moncullo. — Cimitero. — La fortezza. — La missione. — Schiavitù. — Raccolte zoologiche nel mare di Massaua. — La vita animale sui banchi madreporici. — Fiori e spine. — Relazioni esistenti tra la fauna marina eritrea e la mediterranea. — Pesca. — Gita alle tombe dei re.


L’isoletta di Massaua, occupata por la massima parte dalla città dello stesso nome, è un banco di madrepore, poco elevato sul livello del mare, situato nel golfo d’Archiko, presso Ras Gerara. Il canale che da quella parte divide la terraferma dall’isola, ne costituisce propriamente il porto, principale sbocco marittimo dei prodotti dell’Abissinia, stazione assai frequentata dalle barche arabe che esercitano il cabotaggio sulle due rive dell’Eritreo. Questo porto, in cui l’arte non ha quasi migliorate le condizioni naturali, è efficacemente difeso dalle mareggiate e dai venti dominanti, ed offre buoni ancoraggi; ma, a cagione della sua poca profondità, i bastimenti di grande portata vi sono confinati in un’area ristretta, nella quale convien loro manovrare con molta cautela, tanto più che i numerosi bassifondi disseminati in quelle acque, non sono indicati da alcun segnale. Accade però assai di rado che vi approdino grandi navi 1. I piccoli moli della costa di Ras Gerara e la banchina che trovasi [p. 46 modifica]sull’opposta riva insulare sono le sole opere di cui il porto sia stato munito dalla mano dell’uomo.

Verso ponente, non più lungo d’un tiro di schioppo dalla estremità di Massaua, v’ha un’altra isoletta denominata Tau-el-hud, nata come questa dal paziente lavorìo dei polipi. Quivi è sepolto Hemprich, morto innanzi tempo per la scienza, una delle più nobili vittime della celebro spedizione tedesca, di cui Ehrenberg è illustre superstite.

Dalla parte di mezzogiorno, Massaua è assai discosta dalla terraferma e non lontana da Scech-Said; altra isoletta, bassa, arenosa, che deve il suo nome ad un santone musulmano, la cui tomba sorge sulla spiaggia. Entrambe queste isole sono deserte, e servono di asilo a stormi innumerevoli di uccelli marini e principalmente gabbiani, sule, sterne, ardee. Scech-Said, a differenza di Tau-el-hud, che è quasi sprovvista di vegetazione arborea, ha i suoi lidi assiepati di folte rizofore ed avicennie, i cui tronchi rimangono in parte sommersi dall’alta marea.

La città di Massaua risulta di un gran numero di capanne in paglia, di forma generalmente rettangolare, tra le quali sorgono qua e là alcuni edifizi in pietra, di recente costruzione. Dalla banchina fabbricata di fronte al porto, per facilitare le operazioni di imbarco e di sbarco, si passa in una sorta di piazza irregolarmente quadrangolare, sempre ingombra di legnami e di varie merci. Dessa è limitata, a destra, da uno steccato, sorta di magazzino doganale, e dal contiguo ufficio della dogana (anche a Massaua ha attecchito codesto bel trovato dalla sapienza europea), a manca da una vecchia baracca di paglia, abituale ritrovo della gente di mare e da un fabbricato di fresca data, sede di parecchi pubblici uffizi. Quest’ultimo si connette col palazzo del governatore, casone nudo, alto e massiccio, d’un bianco abbagliante, che occupa quasi tutta la fronte della piazza. Attraverso ad un angusto passaggio, praticato nel palazzo stesso, si penetra in un laberinto di chiassuoli luridi, in parte coperti di stuoie sfilacciate, che pendono a brani tra le sconnesse impalcature e lasciano infiltrare i raggi ardenti del sole e chiazzar di luce il suolo polveroso.

Il lettore vuol egli seguirmi? Io gli sarò guida per alcun poco nell’interno della città; lo avverto però che, se non possiede [p. 47 modifica]quel senso arcano che muove l’artista ad ammirare estatico certe cose volgarissime agli occhi dei più, la passeggiata non gli riuscirà per nulla gradita.

A tutta prima entriamo nella via del commercio, in quella ove si aprono i principali negozi di manifatture, di mercerie e simili, e nella quale regna la maggiore attività. Vi si incontrano, nelle ore degli affari, numerosi mercanti e marinai qui venuti da lontane provincie per far incetta di tele, di conterie, di armi. Il bottegaio arabo accovacciato nel suo bugigattolo aspetta gli avventori snocciolando gravemente tra le dita una coroncina di Gedda ed intanto si avvolge nei fumi d’un scisc (specie di pipa), ovvero nei vapori di certi strani profumi che va spandendo un fornelletto di terra cotta 2. Gli sta d’accanto il pingue Baniano, economo, astuto, intento sempre al guadagno, il quale non lascia sfuggir occasione di spacciar la sua tela, o di accaparrare presso i suoi clienti l’avorio e le pelli che egli si propone di spedire a Bombay. Però la sua bottega è sempre più frequentata di quella del vicino Arabo. Ad ogni tratto dobbiamo scostarci per lasciar libero il passo ai facchini che recano al porto fasci di zanne d’elefante, balle di capelli, sacchi di caffè, o alle donne, la cui schiena si curva sotto il grave peso di un’otre piena d’acqua.

Tra la gente qui raccolta domina l’elemento abissino, rappresentato da begli uomini, alti, ben fatti, prestanti della persona, il cui profilo riproduce talvolta quello dei più nobili tipi della razza semitica. Il loro colore varia di molto fra tribù e tribù, famiglia e famiglia, ed in generale si osserva che gli individui di alto lignaggio sono più chiari degli altri. Hanno capelli abbondanti e nerissimi, alla sommità del capo raccolti in ciuffo, e nel rimanente cadenti in ricci fin sul collo. Gli abitanti di alcune provincie si distinguono tanto per il colore più intenso, quanto per le forme più grossolane, che manifestano, a mio credere, un miscuglio col sangue negro.

Il celebre viaggiatore e naturalista Rüppel distingue in Abissinia due diversi tipi, i quali sono così caratterizzati dal Nico[p. 48 modifica]lucci 3. «All’uno (ch’ei chiama europeo) appartengono quelli che hanno fattezze nostrane, e rassomigliano a’ Beduini d’Arabia; hanno ovale la forma del volto, profilato il naso, la bocca mezzana con labbra moderatamente grosse e non rovesciate, gli occhi neri, i capelli un po’ ricciuti, la statura mezzana. In questa classe si contano gli abitatori delle alte montagne di Samen e dei piani che circondano il lago Tzana, gli Agavi, i Bilen, gli Avavi, gli Uarasi, i Camti e le popolazioni littorane intorno a Mussava (Massaua) che appellansi Saho, e sono sparse in parecchie tribù, la più grande delle quali, detta Aasaorta, si reputa discesa da un lione.

«Le donne di questa classe son belle, piene di grazia e di delicatezza. Un volto regolare e dolcemente malinconico, occhi grandi, un naso profilato, denti di bianchezza senza pari, un corpo ben proporzionato, un taglio di vita svelto e garbato, un andar facile, nobile ed elegante ha valuto ad esse una riputazione di bellezza ben meritata, onde sono ricercate in Egitto da’ Turchi che le fanno educare con molta cura negli harem.

«Il secondo tipo, che Rüppel chiama etiopico, si avvicina molto ai Copti, e si distingue principalmente pel naso men profilato e un po’ piatto in tutta la sua lunghezza, le labbra grosse, i capelli neri, folti e si crespi che si tengono ritti sulla testa. A questo tipo appartengono i nativi della provincia di Hamasen e di altri cantoni vicini alle provincie settentrionali dell’Abissinia.»

Gli Abissini di bassa condizione sono solamente coperti da un paio di brache a guaina o da un semplice pezzo di tela. Quelli di grado più elevato, i capi, i doviziosi da me veduti, portavano inoltre una camicia e s’avviluppavano con maestà in un manto bianco, talvolta ornato di striscie scarlatte alle vivagne. Quanto ai Massauini ed agli abitanti dell’adiacente littorale, non hanno caratteri proprii, ma partecipano degli Arabi e degli Etiopi. Essi sono abbigliati il più delle volte alla foggia araba, e presso i facoltosi un bianco turbante ed una tunica finissima e candida formano i capi principali del loro vestiario.

Inoltriamoci ora nelle vicine stradicciuole, ove si tiene il mercato dei commestibili, e vi osserveremo una scena del pari [p. - modifica]Paesaggio con euforbie arboree ed acacie. [p. 49 modifica]animatissima. Da una banda e dall’altra donne e ragazzi esibiscono cinguettando nel bastardo loro dialetto, misto d’arabo e di tigrinio, datteri secchi dell’Egias, intorno a cui si radunano mosche a miriadi, latte contenuto in recipienti di paglia spalmati di sterco bovino, burro fuso in bottiglie, idromele, pani di tamarindi, ecc.; altri presenta agli avventori cocomeri, corbe di patate dolci od un cestino d’insalata. Più lungo sono esposte, sopra un banchetto, focacce di dura ancora calde, il pane del paese, e di contro un friggitore ritto alla porta della sua capanna, circondato dai fumi penetranti del burro bollente che crepita in un gran vaso di rame, immerge in quello lunghe filze di pesci, e ne li trae fuori appena cotti. Tra molte botteguccie in cui si esitano granaglie, farina, miele ed altro, merita speciale osservazione quella del semplicista, nella quale sono ostensibili in tanti vasetti di legno: un pugillo di garofani, alquanto pepe, alcun poco di henna, che serve a tingere in giallo le unghie delle mani e dei piedi, qualche frammento di galena, usata dalle donne per annerire i margini delle palpebre e le occhiaie, il kusso, rimedio sovrano contro il tenia (tanto comune in Abissinia), e molte sorta di semi ed erbe di cui ignoro il nome e l’uso.

Quivi, non poche ragazze accoccolate od appoggiate al muro attendono alla vendita d’otri d’acqua attinta ai pozzi di Moncullo, e per un prezzo assai variabile, secondo i giorni e secondo l’ora, recano al domicilio del compratore il contenuto dell’otre. Non s’incontra al certo fra queste donne quella sorta di bellezza che siamo avvezzi ad apprezzare nel nostro paese e di cui la Venere di Milo ci presenta la più perfetta effigie. Pur tuttavia, quelle loro labbra tumidette, che sembran fatte per scoccar baci, quelli occhioni limpidi, per tacere di altri pregi più reconditi, farebbero invidia a ben molte italiane. Insomma, se non si addice loro l’epiteto di belle, a buon diritto possono aspirare a quello di avvenenti. In esse l’arte non contribuisce punto a far valere le doti della natura. L’acconciatura dei capelli in tante minutissime treccie appiccicate alla testa con burro, gli anelli d’argento e d’ottone appesi alle orecchie, e lo stecco di legno confitto nel naso, nulla donano infatti alle loro attrattive. Riguardo poi alle vestimenta, una fascia di stoffa annodata alla vita, tanto lunga che arrivi fino alle ginocchia (ordinariamente [p. 50 modifica]d’un modello perfetto) ed una cappa di cotone turchino o di rigatino a più colori, che copre la testa e parte del tronco; ecco quanto abbisogna alla loro modestia. E già m’accadde di vedere come una di loro, intimidita da qualche indiscreta occhiata, si scoprisse il seno per celare il rossore del volto.

Dal mercato i nostri passi ci portano su di una piazza, assai più vasta di tutte le altre. Così l’ha fatta il fuoco, il quale, in mancanza di municipio, s’incarica bene spesso in Massaua di espropriazioni forzose per utilità pubblica, diradando in brevi momenti le capanne troppo fitte, come avvenne il 16 giugno, quando, me presente, una subitanea fiamma avvampò, presso la mia casa, nella parte occidentale dell’isola, ed in venti minuti ridusse in cenere gran parte d’un popoloso quartiere. Il terreno devastato dal fuoco comincia già a coprirsi di nuove abitazioni; ecco che vi si sono stabiliti due baracconi, in cui si prende il caffè; ciascuno può vedere i numerosi avventori del cafegì (caffettiere) seduti colle gambe incrociate sopra alti angareb, sorseggiare con religioso raccoglimento il prelibato liquore dell’Arabia Felice, che vien loro presentato in chicchere di porcellana (findgian) non maggiori d’un guscio d’uovo. S’intende che qui come in Egitto, la pipa è il complemento obbligato del caffè.

In molti luoghi, alle antiche capanne di paglia si vanno ora sostituendo edifizi in pietra, perchè assai meno soggetti agli incendi, e generalmente si fabbricano in uno stile arabo più o meno corrotto. Le più moderne ed eleganti abitazioni di questo genere, appartenenti a ricchi negozianti, vantano il lusso di balconi coperti, ornati di legni intagliati e dipinti talvolta a vivi colori. I materiali impiegati nelle costruzioni erano da principio unicamente polipai subfossili (astree, meandrine, poriti, ecc.) raccolti nella stessa isola o presso Ras Gerara; ma al presente si usa, di preferenza, un calcare conchiglifero recente che si esporta dall’isola di Dahlac, e precisamente dalla baia di Nucra.

Ci troviamo ora, amico lettore, al cospetto di miserabili tuguri di forma emisferica, proprio simili a quelli già descritti, dei Danakil d’Assab; alcune donne sporgono la testa fuori dell’uscio, sollevando il lembo di tela sdruscita che fa ufficio di tenda, ed ognuno può leggere su quei volti macilenti il marchio della più profonda abbiezione. Scostiamoci da codeste laide [p. 51 modifica]Aspasie e dai loro neri adoratori e proseguiamo la nostra passeggiata.

Attraversata la piazza, ci imbattiamo in una tomba, circondata da un muricciuolo, appiè della quale parecchi musulmani si prostrano e pregano devotamente. L’uomo le cui spoglie giacciono là sotto, era un infelice che avea perduto il ben dell’intelletto, ovvero un impostore che ostentava un finto zelo per la religione, od anche un intollerante energumeno, fanatico seguace del profeta: la pazzia, l’impostura ed il fanatismo, tali sono i principali titoli di santità presso i maomettani.

Dirigiamoci adesso verso la parte orientale dell’isola, senza fermarci lungo l’angusta via, rinserrata tra nude muraglie bianche e siepi di paglia. Usciti all’aperto, ove finisce la città dei vivi, comincia quella degli estinti. Eccoci infatti fra tombe musulmane schierate, secondo il consueto, nella direzione della Mecca; la loro vista richiama alla mia memoria l’idea d’una carovana di pellegrini, d’una carovana in viaggio per l’eternità! I sepolcri, fatti di muratura grossolana o di pietre greggie sovrapposte, sono in gran parte diruti e ridotti ad un cumulo di macerie, fra le quali spuntano gli stinchi degli inquilini. Fra il cimitero e il lido orientale dell’isola, si trova una vasta spianata nella quale sorgono da un lato la nuova fortezza egiziana, dall’altro la casa della missione cattolica. Ivi nel terreno, costituito di madrepore e di conchiglie di fresco emerse dal mare, si vedono pure, a livello del suolo, certe antiche cisterne di forma rettangolare, rivestite all’interno di polipai cementati con calce, e difese originariamente, alla parte loro superiore, da una vòlta, fatta cogli stessi materiali, che ora è in quasi tutte minata.

La fortezza, situata in riva al mare, all’imboccatura del porto, è un gran quadrilatero irregolare, di cui tre lati sono muraglioni bassi, armati sulla fronte nord e nord-est di poche artiglierie; il quarto è formato dalla caserma, edifizio d’un solo piano a dodici finestre, con porta alla moresca ed alto terrazzo soprammesso alla porta. Ad uno degli angoli del recinto sorge anche un massiccio torrione munito di uno o due pezzi. Chi ha concepito e diretto i lavori di siffatta ròcca non era al certo un discepolo di Vauban; ma comunque sia inutile riparo di fronte alla potenza delle armi europee, riuscirebbe di efficace difesa contro le orde abissine. [p. 52 modifica]

La casa della missione, l’unica nell’isola che sia fatta a un dipresso nello stile europeo, forma colla modesta chiesuola che vi è unita, ed alcune dipendenze, una fabbrica isolata da ogni altra in una posizione assai felice. La brezza marina vi circola liberamente purificando l’aria e mitigando l’eccessivo calore, e da quel punto lo sguardo può spaziare a piacere sulla illimitata distesa del mare, o riposarsi nella verdeggiante isoletta di Scech-Said o sulla massa imponente dei monti abissini che si accavallano al di là del golfo. All’epoca del nostro arrivo, la gestione della casa era affidata ad un missionario italiano, amato e stimato da tutti in Massaua per l’animo suo gentile e per la retta morale ch’egli insegnava coll’esempio e colla parola. Il padre Leoncini, di cui sempre ricorderò le oneste accoglienze e gli amorevoli consigli, morì l’anno scorso, vittima di subitaneo malore, mentre era in viaggio per raggiungere una nuova destinazione assegnatagli dai suoi superiori.

Prima di ripigliare il filo del mio racconto, non sarà fuor di luogo corredare di alcuni ragguagli, sulla popolazione e sul commercio, lo schizzo che ho tracciato di Massaua.

Il cómputo esatto degli abitanti in un paese ove non esiste stato civile, popolato di musulmani, gelosi sempre di nascondere agli occhi dello straniero tutto ciò che si riferisce alla propria famiglia, è cosa impossibile od almeno assai ardua. Non credo però di essere lontano dal vero nell’assegnare 5000 anime a Massaua, non comprendendo nei numero molti individui residenti nei villaggi di Etumblo e Moncullo, che si recano ogni giorno in città per attendere ai propri affari. Questi, in numero di forse 500 o 600, arrivano la mattina per ripartire dopo il meriggio; e costantemente vi sono nel porto quattro o cinque barche occupate a trasportarli da una parte all’altra 4. Nella stagione estiva diminuisce questo andirivieni, e gli affari diventano meno attivi, mentre molti abbandonano l’isola e si ritirano nei villaggi dell’interno, ove il caldo è più tollerabile.

Accennando, per incidenza, agli elementi di cui risulta la popolazione, ho taciuto della colonia europea, perchè assai poco numerosa. Si compone infatti di sei o sette individui di condi[p. 53 modifica]zione civile (tra i quali il vice-console di Francia, un missionario ed alcuni negozianti), e di parecchi mercantucci o bottegai greci che tengono mescite d’acquavite o negozi di commestibili; gente rozza, indurita alle privazioni ed alle fatiche, perseverante, industriosa, qui come in tutto l’Oriente perfettamente acclimata al paese, di cui ha adottato i costumi e la lingua. Il signor Werner Munzinger, noto pei suoi viaggi nell’Africa orientale e pei suoi studii etnologici, è, nella sua qualità di vice-console di Francia, l’unico rappresentante ufficiale d’un governo europeo. In passato Massaua era anche sede d’un agente britannico; ma tale ufficio, per molti anni disimpegnato con onore dall’italiano Raffaele Baroni, fu soppresso dopo la spedizione d’Abissinia.

I Massauini, non occorre dirlo, son tutti o quasi tutti musulmani. Gli Abissini all’incontro professano, per la maggior parte, le dottrine di Cristo, che furono, dicesi, apportate nel loro paese fin dall’anno 341 dell’êra volgare. Essi seguitano presso a poco i riti della Chiesa scismatica d’Alessandria, colla quale non convengono però in tutti i dogmi. Prima che il cristianesimo attecchisse in Abissinia credesi che il sabeismo e di poi il giudaismo fossero le religioni dominanti. Quest’ultima è ancora praticata dai così detti Falacha, abitanti i rilievi del Samien.

Malgrado gli sforzi dei missionari cattolici colà stabiliti da tempo lunghissimo, sembra che l’islamismo faccia progressi non solo tra gli abitanti del littorale, che si trovano continuamente in contatto coi musulmani e ne subiscono l’influenza, ma anche in certe provincie dell’interno, come per esempio nel Barca e nel paese dei Bogos. La pressione esercitata dai capi e l’interesse sono i principali e forse gli unici moventi delle conversioni. Gli Egiziani, che pian piano e furtivamente vanno estendendo la loro signoria dalla riva del mare verso l’interno, favoriscono naturalmente con ogni loro possa la propaganda maomettana, che seconda i loro disegni di conquista 5. Nei membri dell’una e dell’altra comunione regna d’altronde la maggior tolleranza, unita a poca devozione. I più si preoccupano [p. 54 modifica]del rito piuttostochè della dottrina, e questa pospongono bene spesso a credenze superstiziose, rimasugli di antichi culti.

A Massaua fanno capo, in gran copia, i prodotti dell’Abissinia e principalmente: pelli greggie o conciate, avorio, caffè, cera, miele, denti di ippopotamo, corna di rinoceronte, muschio, ecc. 6 ed in cambio di queste merci, che sono spedite parte in Egitto, parte in Arabia od alle Indie, si importano armi, vetrerie, stoffe, oggetti diversi di fabbrica europea da Gedda e da Aden, riso, pepe, garofani, zucchero, sete indiane, mussoline da Bombay. Il porto di Massaua mantiene pure attive relazioni con Suakin, Hodeida e coll’Arcipelago di Dahlac, il quale gli somministra perle, madreperle, gusci di tartaruga e pietre da costruzione.

La schiavitù, inevitabile compagna dell’islamismo, fornisce anche a Massaua un triste ramo di commercio, poichè forse un migliaio di Galla od Abissini sono imbarcati clandestinamente ogni anno nel suo porto e nei dintorni per esser poi venduti nei mercati dell’Arabia e dell’Egitto 7. I rapimenti di fanciulli e di donne perpetrati dagli Arabi, mercanti di schiavi, per alimentare la loro colpevole industria, hanno già provocato sanguinose rappresaglie per parte degli Abissini. Nel 1849, per esempio, il governatore dell’Amasen, a cui si era involato un nipote, discese dai suoi monti con forte nerbo d’armati e mise a ferro e a fuoco le terre basse; la stessa Massaua si trovò anche per alcun tempo minacciata.

Checchè se ne dica, nei dominii della Turchia e dell’Egitto, la tratta non fu mai abolita, malgrado le reiterate e perentorie richieste dei potentati europei. In realtà sussiste e fiorisce come per lo passato, ma fu assoggettata bensì a certe cautele, a certe prescrizioni per salvare le apparenze e non urtare il senso delicato degli agenti europei 8. Al Sudan vien sottratto [p. 55 modifica]annualmente dalla schiavitù un numero di abitanti che si fa ascendere a 350,000, e di questi, quattro quinti, giusta i computi più degni di fede, soccombono miseramente in viaggio alle fatiche, ai patimenti, alle sevizie. Parecchie migliaia di schiavi, destinati in massima parte all’Egitto e all’Arabia, secondo il signor Berlioux 9, attraversano il Mar Rosso, la principale arteria commerciale fra l’Occidente e l’Oriente, il mare in cui sventola la bandiera di tutte le nazioni civili, e che è pur sede d’una stazione navale inglese.

Appena sbarcati, i miei compagni si erano occupati di cercare un luogo nel quale potessero stabilirsi per alcuni giorni, affine di attendere liberamente alle loro raccolte ed ai preparativi necessari pel proseguimento del viaggio. La riva di Ras Gerara in terraferma, sulla via che mena a Moncullo, punto di partenza di tutte le carovane per l’intorno, fu prescelta all’uopo, tanto più che il governatore di Massaua esibì di farvi rizzare per noi quattro tende militari; offerta che di buon grado venne accettata. Compiuto l’impianto delle tende e collocatevi le nostre masserizie, mandammo con Dio il sambuk di Mohammed-el-Buredi e la sua ciurma irrequieta. Dal canto mio, sebbene mi fosse caro il consorzio degli amici e non mi spiacesse la vita indipendente dell’accampamento, dovetti risolvermi a procurarmi un domicilio più stabile e più comodo di quel che non fosse una casa di tela; conciossiachè, essendo destinato che facessi una lunga permanenza in riva al mare, e dovendo rimaner solo, una semplice tenda non mi offriva sufficiente sicurezza per la mia roba, nei momenti in cui mi fossi recato fuora in escursione. Inoltre, a mezzo aprile, il termometro segnava di già, sotto la tenda, oltre 40° (cent.) e più in là prometteva di salire sui 50, per la qual cosa desideravo procacciarmi un rifugio efficace contro il caldo.

Trovai ben presto il fatto mio nel secondo piano d’un’alta casa in pietra, già sede del governatore, posta nel bel mezzo di Massaua. L’appartamento era composto di due camere ampie ed ariose con una piccola cucina, e nulla mi avrebbe lasciato a desiderare se non vi avessi scoperto con orrore una moltitu[p. 56 modifica]dine di topi, tarantole, scorpioni, ragni, blatte ed altri piccoli inquilini, cui non ero riuscito ad assuefarmi a bordo del sambuk. Le formiche, le più terribili di tutta quella mala genia, ad onta della loro piccolezza, vi brulicavano in numero sterminato e mettevano a sacco la mia dispensa.

Non appena stabilito, mi consacrai con ardore alla raccolta; delle produzioni naturali del mare circostante, di cui già avevo scorto l’esuberante ricchezza. Ogni mattina, all’alba, m’imbarcavo sopra un navicello guidato da tre indigeni ed andavo esplorando ora le coste attorno a Massaua, ora le isolette di Scech-Said e di Tau-el-hud, ovvero le rive del golfo d’Archiko, soffermandomi ovunque io poteva carpire al mare qualcuno dei suoi tesori. Tra gli scogli, quasi all’asciutto, raccoglievo, nelle ore delle basse acque, variopinte nerite, littorine, purpure, buccini di varie foggie e grandi Chiton, che pur sono molluschi malgrado il loro guscio segmentato come il dermoscheletro degli articolati. Quivi incontravo anche un pesciolino bizzarro, il quale si compiace di uscir fuori dall’acqua, e di andarsene per la riva saltellando come un ranocchio 10. Questo è di color bigio, ed ha occhi assai sporgenti, quasi come fossero peduncolati, e pinne pettorali in forma di zampette. Sull’arena umida, abbandonata di fresco dal riflusso, mi si offrivano invece agili granchi di color roseo e dall’obliqua andatura, non che numerosi paguri che traevano lunge dalle acque l’usurpata conchiglia. Alla profondità di uno o due metri, era sì copioso il mio bottino, che in breve empivo la mia barca di grandi strombi alati dalle labbra rosee, di murici ornati di propaggini ramose o spinose, di grandi fasciolarie dal mollusco di color scarlatto, di terse cipree, di preziosi coni, le cui vivide tinte sono occultate dal rozzo manto marino, di asterie ed ofiure elegantissime, di variopinti Portunus, di ispidi Pilumnus: tutti abitatori dei fondi rocciosi o madreporici; poi di terebre, di olive, di pinne dal serico bisso, di veneri e d’arche; animali che preferiscono i fondi arenosi o coperti d’alghe. In un seno tranquillo ed immersi in una mota impalpabile, ebbi la ventura di rinvenire abbondantissima la pregiata rostellaria, che seco trascina una pesante conchiglia fusiforme, dal labbro digitato. [p. - modifica]                                                  Uccelli abissinii.
Tockus.                          Avvoltoi.                              Textor coi suoi nidi.
Lamorotornis.                                                          Alcione.
Abbagumbà (Bucorvus habyssinicus).     Serpentario.
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I banchi madreporici, mentre sono pel naturalista i centri più attivi della vita animale marina, i punti più fecondi in ispecie meritevoli d’attenzione e di studio, offrono al profano una vaghissima scena, che rammenta i fantastici giardini descritti nelle novelle arabe. Bene spesso apparisce il banco, attraverso al cristallo limpidissimo delle acque, come un colle che sorge da ignote profondità, le cui falde si scorgono confusamente illuminate da un pallido bagliore verdastro. Talvolta si trova invece presso il livello del mare, e se ne osservano allora distintamente tutte le meraviglie; alla sua superficie si dirama la madrepora in cespugli inestricabili, in mezzo ai quali guizzano pesciolini che riflettono le tinte dello smeraldo e dello zaffiro; più in basso astreidi, foggiate a sferoidi, lasciano scorgere il delicato disegno che orna la loro superficie, ed accanto a queste i rilievi mammillari delle meandrine dai polipi verdi, imitano certe cactee americane. Le periti scendono profonde nelle acque, simulando le stalammiti delle caverne; mentre le vaghe tubipore esibiscono nelle acque basse le loro delicate costruzioni di color rosso acceso, popolate di polipi dai tentacoli verdi 11. Attinie magnificamente colorate, asterie ed echini di più specie sembrano altrettanti vaghissimi fiori di quelle lapidee vegetazioni. Vi spesseggia poi sopra tutti il temuto Diadema, riccio di mare, che ha spine lunghissime, rigide, sottili, fragili e munite di certe piccole asperità, siffattamente disposte, che quando l’aculeo penetra in un corpo non può più uscirne, ed al minimo urto si frange; e nel rompersi emette un liquido acre. Piccole doridi ed eolidi, stupendamente miniate dalla natura, e neri onchidii e numerosi granchietti e gamberetti e squille abitano del pari tra i polipai o nell’interno di essi, come pure peculiari sorta di pesci e di anellidi. [p. 58 modifica]

Ma guai all’imprudente che arrischia, senza le debite cautele, i suoi passi su certi banchi! Le madrepore che si infrangono come vetro sotto i suoi piedi, lo feriscono immancabilmente colle aguzze punte e gli spigoli taglienti; e ben fortunato se le sue piante non s’appoggiano sull’irto Diadema, di cui son ripiene le anfrattuosità del fondo, rimanendo confitte nelle carni, con dolorose punture, le terribili spine 12. Non è meno a temersi l’incontro di certi orridi granchi, lunghi mezzo metro o più, che sbucano ad un tratto dai loro nascondigli, ed afferrano colle robuste chele l’audace che ha turbato i loro riposi.

Quando si traggono fuora dal loro naturale elemento le graziose bestiole che popolano i campi madreporici, l’incanto cessa. Gli splendidi zoofiti si riducono in informe mucillagine, i molluschi si contraggono in ignobili grumi bavosi, i pesci stessi, dopo breve tempo, e talvolta istantaneamente, perdono le vivaci tinte ed il metallico splendore che li abbelliscono.

Sotto l’aspetto della fauna, il Golfo Arabico è una dipendenza dell’Oceano Indiano, ed ha comune infatti con questo mare la maggior parte dei proprii abitatori 13. Non mancano però ad alcuna classe di animali taluni gruppi caratteristici, esclusivi alla fauna eritrea. Gli elementi comuni ad essa fauna ed alla mediterranea sono invece scarsissimi, sebbene una angusta striscia di sabbia divida i due mari.

Relativamente ai molluschi, il naturalista tedesco Philippi asserì che la proporzione delle specie promiscue non fosse inferiore al 25%, mentre invece il conchiliologo francese Fischer negò resistenza di una sola forma comune alle due faune. Le ricerche da me fatte nel golfo di Suez, fino dal 1865, e nei dintorni del Massaua, l’anno scorso, come pure le recenti indagini di Mac Andrew, mi abilitano ad affermare con tutta sicurezza che vi hanno veramente specie identiche al di qua e al di là dell’istmo, ma in piccolo numero, cioè nella proporzione del 2 al 3 per cento 14. La fauna fossile pliocenica e miocenica circum[p. 59 modifica]mediterranea somiglia assai più alla vivente eritrea che non alla attuale del Mediterraneo, e ciò perchè quest’ultimo mare era, secondo ogni verosimiglianza, fino allo scorcio dell’epoca terziaria, dipendente zoologicamente dall’Oceano Indiano, col quale si trovava in diretta comunicazione, per mezzo di un ampio braccio di mare, che occupava gran parte dei deserti africani, compreso l’odierno istmo di Suez.

Riguardo ai coralliarii, la differenza fra le due faune è anche più spiccata, a tal segno che mai non fu segnalata con sicurezza una sola forma promiscua ai due mari. Da ciò arguisco che riuscirebbero vane le indagini che da taluni vorrebbero tentarsi per ritrovare il corallo rosso (Corallium rubrum) nell’Eritreo. I naturalisti che ammisero l’esistenza del prezioso polipaio nel Golfo Arabico furono, senza dubbio, tratti in errore dall’aspetto di qualche specie affine, sebben distinta, dal vero corallo, oppure da false relazioni di viaggiatori. Nel Mar Rosso abbonda bensì, e si raccoglie dai pescatori arabi, un Antipathes a rami neri e lucenti come gaietto, che si adopera per farne svariati oggetti d’ornamento; e senza dubbio vi si troverebbero, da chi ne facesse ricerca, altre specie suscettibili di fornire pregevoli materiali alle arti 15.

Quando il vento spirava gagliardo, la mia navicella spiegava le vele e s’allontanava dal lido traendo a rimorchio una buona draga 16, mediante la quale mi procuravo gli abitanti delle grandi profondità, quasi sempre diversi da quelli che vivono nelle acque basse. Al disotto dei 10 o 15 metri scompariscono le specie spettanti a generi tropicali 0 meridionali e sono sostituite da molte altre, il più delle volte piccole e scolorite, il cui complesso rappresenta una fauna più settentrionale, analoga cioè a quella delle coste d’Italia 17.

Finalmente ogni giorno mi avvicinavo colla barchetta alle zattere dei pescatori massauini ed acquistavo per la mia colle[p. 60 modifica]zione bellissimi esemplari di pesci, prima che, mutilati o guasti, fossero spediti al mercato. Così mi procacciai i volgari Scolopsis, i vaghi Cheilinus, ornati di eleganti screziature colorate, lo strano Holacanthus giallo e nero, i grandi Serranus, dalla pelle maculata, il bizzarro Platax, l’anomalo Chaelodon, la Belone luccicante, il rostrato Hemiramphus, gli aurati Apogon, e ben molti ancora che faranno in breve bella mostra di sè nelle vetrine del nuovo Museo Civico di Genova.

Molti ittiologi hanno contribuito a far conoscere i pesci del Mar Rosso e più di tutti Rüppell, colla descrizione di quelli raccolti durante i suoi viaggi. Il lavoro più completo in proposito è però una monografia presentata l’anno scorso alla Società Zoologico-botanica di Vienna dal dottore Klunsinger, il quale dimorò cinque anni a Kosseir e vi raccolse grandi materiali di studio, tra i quali circa 400 specie di pesci. L’autore reca in questa memoria un catalogo di tutti i pesci conosciuti dell’Eritreo, col corredo di buone note sui costumi e sul modo di vivere di molti fra essi; descrive poi parecchie nuove forme e rettifica la nomenclatura di non poche altre 18.

Il 29 aprile feci in compagnia del signor Munzinger una escursione a Desset, nel Samhar, collo scopo di visitare certi antichi tumuli sepolcrali denominati kubbat es salatin, vale a dire tombe dei re. Partiti di buon’ora da Massaua, trovammo a Ras Gerara due buone cavalcature, un mulo ed un cavallo, che in meno d’un’ora ci condussero a Moncullo 19; e qui il console mi invitò a smontare, per rinfrescarmi, nella sua villeggiatura. Questa, che è una delle più piacevoli residenze del paese, consiste in un casino, con ampia veranda, contesto di tronchi d’albero, fasci di paglia e stuoie. Intorno alla abitazione verdeggia un giardino, quasi incolto, cinto di siepi, in cui pasce liberamente un piccolo elefante domestico, docile come un agnello.

Moncullo, di cui tanti viaggiatori antichi e moderni hanno fatta menzione, è un grosso villaggio formato di più centinaia [p. 61 modifica]di capanne in paglia, di varie foggie, e per lo più di forma conica, sparse senza ordine, sopra un terreno lievemente ondulato sterile e quasi assolutamente sprovvisto di vegetazione. Esso ripete la sua importanza non solo dal numero degli abitanti che è considerevole, ma anche dall’essere abbondantemente fornito d’acqua dolce, per la qual cosa serve di stazione alle carovane dirette dall’interno verso il mare o viceversa. La missione cattolica vi possiede una casetta ed una chiesuola. Gli agiati Massauini vanno a passare colà, o pure nel vicino villaggio di Etumblo, i mesi della state.

Percorso in tre ore di marcia un buon tratto di paese, cominciai a scorgere, sul dorso di certi piccoli rilievi del terreno, numerosi monticelli fatti a bica, i quali da lontano apparivano simili alle costruzioni delle termiti. Avvicinatomi, vidi che erano costituiti esternamente di piccole pietre greggio senza cemento; e ne misurai uno che aveva 120 passi di circonferenza e circa 8 metri di altezza. Altri ne osservai più grandi e più piccoli.

Da un poggio, ove sostammo per riposarci, detto Isola di Desset, perchè si trova recinto dal letto di un torrente, si vedono otto o nove gruppi di tumuli, sopra una fila, con orientazione prevalente da sud-ovest a nord-est, distanti l’uno dall’altro non più d’un tiro di fucile. Se alcuni non fossero occultati dalle pieghe del terreno, se ne conterebbero almeno una ventina. Ogni gruppo risulta in generale di 4, 5, 6 o più biche, e ve ne ha pur alcuna affatto isolata. E poi da notarsi che attorno ai tumuli si raccolgono altre tombe più piccole e di età probabilmente meno remota, quasi come umili capanne all’ombra di superbe castella: di queste ve ne hanno molte di forma cilindrica, alte mezzo metro sopra il suolo, e fatte di pietre greggie non cementate; altre sono semplici mucchi di sassi, cacciati là per coprire una fossa. Finalmente vi si incontrano anche dei sepolcri musulmani, distinti da due pietroni ritti (che corrispondono alla posizione della testa e dei piedi del morto) e dalla caratteristica orientazione.

Nel punto medesimo, proprio sulla vetta del poggio di Desset, sorge un monumento in parte minato, distinto nelle carte tedesche col nome di Thurm (torre) perchè somiglia da lontano ad una specie di torre. Da ciò che ne rimane si può asserire che fosse formato di uno zoccolo a tre gradini, portante un dado [p. 62 modifica]che sorreggeva alla sua volta due scaglioni cilindrici. Ora i gradini sono tutti sconnessi ed un angolo del dado è crollato. D’innanzi a ciascun lato della base vedonsi sul suolo traccie d’un antico pavimento. L’altezza totale della costruzione supera di poco i 4 metri; mentre la sua Lase ha circa 5 metri di largo. I materiali di cui risulta non sono mattoni cotti ed argilla, come dice il Sapeto, ma pietre rozzamente squadrate con cemento di calce; vi hanno pure traccie di un antico rivestimento della stessa sostanza. G. Lejean assevera di essere penetrato nell’interno: Une sorte de chattière, egli dice, me permit de me glisser en rampant dans l’intérieur où je ne trouvai rien de remarquable20. Ma io, comunque guardassi attentamente per ogni parte, non vidi la minima apertura praticabile, ed anzi, osservando l’angolo più deteriorato del dado, mi son formato il concetto che questo fosse massiccio.

Per me credo fermamente che tale costruzione fosse in origine coperta da un tumulo, simile a quelli che sorgono sulle alture vicine, il quale fu disfatto posteriormente ed i cui materiali servirono, secondo ogni probabilità, ad innalzare le piccole tombe che circondano la torre di Desset. Questa mia opinione è confermata dall’esame ch’io feci di altri tumuli, in cui mi riuscì di scoprire sotto l’esterno rivestimento gli spigoli sporgenti di un mausoleo, verosimilmente della stessa fattura del sopradescritto.

Avrei vivamente desiderato praticare qualche scavo nell’interno del vetusto monumento, colla speranza di scoprire alcun dato relativo alla sua antichità ed alla sua storia; ma gli scarsi mezzi di cui poteva disporre non mi consentirono di tentare l’impresa, che richiedeva un certo numero d’uomini e parecchie giornate di lavoro. Coll’aiuto di alcuni Abissini che ci avevano accompagnati, disfeci non senza fatica uno dei più piccoli sepolcri del poggio di Desset, ma non vi trovai che piccoli rottami d’ossa umane, inutili per lo studio.

Le tombe dei re appartengono, secondo una tradizione locale assai oscura e confusa, ad un popolo chiamato Rom, il quale avendo meritato colla sua empietà il castigo divino, fu stermi[p. 63 modifica]nato da una grandine di pietre e scomparve per sempre. Ed in prova di questo asserto i Beduini del Samhar additano allo straniero i frammenti di lava e i lapilli che in varii punti coprono l’adusto terreno. Un’altra leggenda narra come l’ultimo re dei Rom (la cui tomba è il noto monumento), accecato da un folle orgoglio, scagliasse un giavellotto verso il cielo, in atto di provocazione, e come tosto piombasse sul suo capo un’aquila gigantesca e gli divorasse le cervella. Gli indigeni parlano pure di voci misteriose che si odono talora presso quella tomba, di apparizioni notturne che sorgono a turbare i riposi del viandante e di ben altre fole, parto della fervida loro fantasia.

L’esistenza di una gran necropoli, lungi da città e villaggi in una regione sterile, nuda, scarsa d’acqua, popolata soltanto di miseri Beduini, è certamente un fatto degno di eccitare la curiosità dell’archeologo. Pure, fin qui, niuno ha penetrato il mistero che l’avvolge. Lo stesso Munzinger, che più d’ogni altro ha contribuito a far conoscere gli idiomi, i costumi, la storia dell’Abissinia e delle contrade limitrofe, non parla dei sepolcreti di Desset che come di una incognita. Peraltro il compianto viaggiatore Lejean ha esposto in proposito una congettura che non manca di qualche verosimiglianza 21. La tradizione attribuisce, come dissi, le tombe dei re ai Rom, popolo grande, ricco e potente che aveva per vassalli tutti i Beduini del Samhar. Orbene, sotto il nome di Rom comprendevano gli Abissini i Romani e i Greci 22. Questi ultimi, ai tempi della loro maggiore grandezza, e più specialmente dopo le conquiste di Alessandro, mantenevano relazioni strettissime cogli Etiopi, possedevano sulle rive del Mar Rosso parecchi floridissimi emporii commerciali, per esempio Aduli, nel fondo della baia di Zula, e sembra che da quel punto s’inoltrassero anche nell’interno del continente africano, e per una via che passava per Desset, le terre degli Habab, il Barca, ed il Taka, trafficassero col regno di Meroe 23. Forse adunque le tombe di Desset furono erette a perpetuare la memoria dei capi o re di quella colonia. Il Sapeto [p. 64 modifica]trovò, nella stessa località del Desset, i resti di una città edificata sopra un piano di un’ora di circuito, con seicento case, di cui vedonsi ancora le fondamenta 24; ma non pare che vi osservasse rovine od iscrizioni riferibili ai Greci. Milita però a favore dell’accennata ipotesi il fatto che i Mensa, tribù di pastori che vivono al di là dei primi monti, a 7 od 8 ore di distanza dalla necropoli, si vantano discendenti dei Greci.

Tombe simiglianti furono visitate da Schweinfurth a Maman, al nord-est di Kassala. De Bisson ne vide altre non lungo da Maman, ad Antoka, in prossimità del pozzo Elocoib.

Frattanto il Beccari e l’Antinori attendevano alacremente ad incettare animali marini, ed inoltre uccidevano giornalmente nelle loro caccie belle specie d’uccelli, fra le quali: sule, gabbiani, sterne, avoltoi, Merops, tortore, lanii, cisticole, il grazioso Bucco margaritatus, il Francolinus Ruppellii, ecc. Le più importanti prede furono però le piccole drimoiche prese sulle euforbie, presso l’accampamento di Gerara, e l’enorme Ardea goliath, che trovò in Beccari il suo David, nell’isola di Tau-el-hud.





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CARTA ITINERARIA DELLA ESCURSIONE A KEREN

attraverso il Samhar, le terre dei Mensa e quelle dei Bogos

ricavata dalla carta (3b) della Spedizione tedesca (1861-62) pubblicata

da Petermann ed Hassenstein

Note

  1. In due mesi di soggiorno in Massaua, vidi entrare in quel porto una corvetta a vela ed una a vapore della marineria egiziana ed un grosso piroscafo della Società di navigazione Kediviè. Presentemente gli approdi dei vapori di questa società, provenienti da Suakin, Gedda e Suez, si verificano due volte al mese; ma all’epoca del pellegrinaggio il servizio rimase sospeso. Il movimento delle barche arabe è invece attivissimo, e non passa giorno in cui non si verifichi qualche partenza o qualche arrivo.
  2. Gli opercoli di alcune specie di conchiglie marine (Murex, Strombus, ecc.) misti ad una sorta d’incenso, sono gli ingredienti impiegati a produrre quei profumi, assai spiacevoli alle narici europee.
  3. Nicolucci, Delle razze umane, vol I, pag. 283.
  4. Il tragitto si compie, col vento favorevole, in meno di 10 minuti, e costa una tenuissima moneta.
  5. Fin dal 1865 la Porta ha ceduto all’Egitto, mediante un censo adeguato, la signoria delle isole di Suakin e Massaua, nonchè quella degli adiacenti littorali. I limiti di questi possessi in terraferma non sono esattamente fissati, ed il governo del vicerè tende costantemente ad ampliarli. La caduta di Teodoro, il più potente fra i principi cristiani d’Abissinia, e le intestine divisioni che ne furono conseguenza, hanno ravvivato le brame ambiziose dell’Egitto.
  6. Queste mercanzie vi sono in cospicua parte recate da una gran carovana composta di negozianti di Gondar, d’Adua e d’Antalo. Altre due vie principali servono di esito al commercio abissino, l’una che mette pel Sennaar nella valle del Nilo, l’altra che ha per obbiettivo Tagiurra o Zeila sul golfo d’Aden.
  7. Vedasi in proposito il bel lavoro di Lejean intitolato: La traite des esclaves en Egypte et en Turquie. — Révue de deux Mondes, 15 aoùt 1870.
  8. Alla dogana di Assuan, per esempio, gli schiavi sono registrati sotto il nome di cavalli!
  9. Berlioux, La Tratte orientale, histoire des chasses à l’homme organisèes en Afrique depuis quinze ans pour les marchés de l’Orient, Lyon, 1870.
  10. È il Periophthalmus Koelreuteri.
  11. Fra le specie di coralliarii più frequentemente raccolte, noterò le seguenii, di cui debbo la determinazione alla cortesia del prof. Adolfo Targioni Tozzetti:
    Tubipora purpurea
    Galaxea fascicularis
    Mussa corymbosa
    Mussa Hemprichii
    Goniastrea solida
    Echinopora Hemprichii
    Herpetholitha stellaris
    Fungia confertisolia
    Fungia Ehrenbergi
    Fungia sp.
    Lophoseris cristata
    Lophoseris cactus
    Turbinaria sp.
    Madrepora Pharaonis
    Psammocora planipora
    Porites clavaria.
  12. È però necessario di entrar nell’acqua calzati.
  13. La provincia zoologica (marina) indiana si estende da una parte fino al capo di Buona Speranza, e raggiunge con un certo numero di specie, da un lato le coste dell’Australia, e dall’altro i mari della Sonda, della Cina e del Giappone.
  14. Ho diffusamente esposte le mie idee in proposito nella memoria intitolata: Malacologia del Mar Rosso. Pisa, 1870.
  15. Vedasi in proposito la memoria del dottor Klunsinger intitolata: Ueber den Fang und die Anwendung der Fische und anderer Meeresgeschöpfe im Rothen Meere. Zeitschr. des Gesellsch. für Erdkunde zu Berlin, sechster Band, Erstes Heft. Berlino, 1873.
  16. Sorta di rete armata di ferro, che rade il fondo.
  17. Tra i molluschi vi predominano i generi: Nassa, Cerithium, Triphoris, Ringicula, Eulima, Eulimella, Cingula, Corbula, Ledi, Tellina.
  18. C. B. Klunsinger, Synopsis der Fische des Rothen Meeres, Verhandlungen der K. K. zool. hot. Gesellschaft, vol. XX, pag. 669.
  19. Nella pronunzia di questo nome gli indigeni abbreviano alquanto la prima sillaba; tuttavia non mi pare che in italiano si possa esprimere diversamente. Munzinger lo scrive M’cullu, Lejean Moncoullo, Sapeto Emkullu, Halevy Emhoullou, Blanford Mahullu.
  20. Guillaume Lejean, Le Sennaheit, Souvenir d’un voyage dans le Desert Nubien. Revue des deux Mondes, 1er juin 1865, pag. 14.
  21. Revue des deux Mondes, 1er juin 1865, pag. 748.
  22. I Greci del Basso Impero davano a sè stessi il titolo di Romani.
  23. G. Sapeto, Viaggio e Missione cattolica fra i Mensa, i Bogos e gli Habab. Roma, 1857, pag. 260.
  24. Il medesimo autore scrive in proposito: «che cosa fosse questa città, se fondata dai Turchi o dai Persiani quando comandavano a Massaua, o se fosse la reggia d’alcun Baher Negasc, non saprei dire.» (Sapeto, opera citata, pag. 258.)