Dell'obbedienza del cavallo/Parte II/Capitolo III

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CAPITOLO III.


Del modo di dar l'essere a quella elasticità dei legamenti delle gambe, che la natura non gli ha somministrato, che in potenza.


Ridotto lo spirito del Cavallo, potenza motrice a tal subordinazione del Cavaliere, che non sia più capace di ricusare la minima obbedienza di esecuzione, e dato alla macchina il primo dirozzamento, come si è fatto nel Capitolo antecedente a questo, potrà un tal Polledro supplire sicuramente a tutte quelle azioni che sono necessarie al servizio di campagna, di caccia, e di guerra, ma non già a quelle, che si vogliono nelle scuole dai Cavalli di maneggio, le quali richiedono maggiore equilibrio del peso della macchina, e maggiore attività e prontezza in tutte le parti di essa; poichè senza questo non può sperarsene la perfezione ricercata: appunto come segue in uno scolare, il quale non può esser capace di nessuna delle azioni che formano il Ballerino, per avere appresi i primi erudimenti della scuola di ballo, quantunque abbia acquistato uno sciolto e disinvolto portamento, se non ha fatto acquisto anche del necessario equilibrio, che li somministri l’attività di potere eseguire le azioni più ricercate.

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Stante ciò, conviene ora passare a dimostrare qual sia il metodo, che deva tenersi, e quali le azioni che concorrono, ed hanno la facoltà di dar l’essere a quella elasticità dei legamenti delle articolazioni delle gambe che la natura non gli ha somministrato sennon in potenza, dalla quale unicamente depende quell’equilibrio che dà perfezione all’azione.

Tutto ciò dunque, che mette in agitazione le parti della macchina, ed in specie i legamenti delle articolazioni, promuove e risveglia l’elasticità di cui sono suscettibili, e quanto maggiore è l’impulso che in essi s’insinua, tanto maggiore è l’effetto che ne’ medesimi viene prodotto; la continuazione di tale agitazione è quella, a cui s’aspetta di dar dipoi compimento all’opera con produrne quell’abito, che rende agevole e connaturale quella scioltezza e attività, che in essi è stata introdotta.

Di qui è che nella guisa stessa che in pochi mesi si ottiene da un scolare di ballo, un libero e sciolto portamento della persona, e si stenta all’incontro a farlo divenir ballerino in molti anni; così avviene che in pochi mesi si ottenga dal Polledro quella scioltezza e attività che abbisogna al Cavallo da Campagna, e molti anni li siano necessari per fare acquisto di quella, che fa d’uopo al Cavallo di maneggio, più e meno che maggiore o minore è la disposizione sua naturale.

[p. 145 modifica]Ciò è una prova indubitata, che non basta al compimento dell’intento ideatosi l’aver promossa l’elasticità, e scioglimento delle parti, come si è fatto nel precedente Capitolo, ma d’uopo è ancora, che questo scioglimento sia confermato, e fissato stabilmente in esse col continuato esercizio, che formi quell’abito, che dà compimento all’opera col renderglielo connaturale, come si è detto.

In tutte le professioni è regola generale che si cominci sempre dal più facile, perchè questo serva di scala per poter passare all’esecuzione del più arduo e difficile; ond’è che avendo fatto lavorare fin’ad ora il Polledro con la testa e collo piegato dalla parte di fuora per rendere ad esso più facile, e di meno suggezione l’eseguimento dell’azione, col farli ora replicare tutte quelle azioni che si sono indicate nel medesimo Capitolo, con la testa e collo piegato dalla parte di dentro, si ottiene un doppio intento, cioè: di continuare l’esercizio delle medesime per far l’acquisto dell’abito, e di obbligare insieme il Polledro a soffrire quella maggior suggezione per scala, (come insegna l’arte) che produce nei legamenti quell’impulso, che dà l’essere a quella maggiore elasticità, di cui la costruzione sua è suscettibile.

La piega della testa e collo dalla parte di dentro, obbliga la potenza motrice a fare agire la gamba d’avanti, che forma la colonna del [p. 146 modifica]sostegno della macchina, in linea perpendicolare, coll’opporsi in certa maniera alla pendenza sua in avanti, e col reggere il peso in quel giusto punto d’equilibrio che richiede l’azione vistosa del Cavallo di maneggio; e perchè ciò possa seguire viene obbligata anche dalla medesima la gamba diagonale di dietro, che compisce la base, ad agire piegata, acciò possa sostenere sopra di se quella porzione di peso, ch’è necessario, e acciò la macchina si mantenga in bilico; di più fa sì, che la medesima potenza motrice regoli con misura la spinta che deve dare la forza elastica della pastora del piede della medesima gamba di dietro, per rendere l’azione progressiva, senza intacco del punto d’equilibrio, poichè il minimo urto di più, farebbe traboccare in avanti il peso, ed il meno arresterebbe il corso dell’azione, o la renderebbe raminga, e stentata.

Una tal piega di collo e testa, ha anche la prerogativa di render più facile alla mano del Cavaliere la chiamata, e di dar luogo ancora alla medesima di porgere ajuto al Cavallo, con permetterli un piccolo appoggio sopra di essa, che lo sostenga a guisa d’una terza base.

L’impedimento, che in una tal qual maniera cagiona al trabocco in avanti del peso l’ajuto sopraddetto della mano, rende più facile e più sicuro al piè di dietro l’esecuzione dell’urto, perchè libera il medesimo piede di dietro, da [p. 147 modifica]quella precisione incomoda, alla quale è obbligato quando manca alla macchina l’ajuto della mano, poichè questi ha la facoltà di correggere, e di por riparo al difetto del piede, con la resistenza in caso che l’urto sia eccedente; oltre poi a tutto questo, il medesimo ajuto non poco contribuisce a rendere l’azione più sollevata, più sicura, e più vistosa.

E ciò avviene, perchè andando a cadere l’impulso della mano sopra la piega del collo non può fare alcuna impressione sopra altra parte della macchina, e restando per questo tutti gli agenti nella loro piena libertà vengono a profittare dell’avvantaggio dell’ajuto, senza risentire pregiudizio alcuno.

All’opposto, quando la testa ed il collo sono dritti, qualunque tenuta o impressione di mano, è una chiamata alla potenza motrice quanto attiva per ottenere dagli agenti esecuzione a seconda dell’obbligo loro, altrettanto priva di attività di poter servire d’ajuto come quella, che va a cadere sopra la piega del collo, la quale ha l’una, e l’altra prerogativa.

Se la tenuta è di poca impressione, è quella che serve per chiamata alla potenza motrice per minorare il corso progressivo al peso della macchina, o per rattenerlo.

Se ella è maggiore e continuata, è quella che obbliga la medesima potenza motrice a portare il peso sopraddetto sopra le gambe [p. 148 modifica]di dietro, ed a piegar queste, perchè gli formino la base, quando l’elasticità loro sia suscettibile di piega e di mollegio, e se queste sono anche rozze e non dirotte, si trova in obbligo d’intirizzirle per metterle in forza, per poter far supplire questa al difetto della piega, e segue allora l’arresto.

Ma se prima che segua l’arresto, la mano abbandona la tenuta, indicando una tal nuova chiamata il progresso dell’azione del peso, la potenza motrice cambiando immediatamente l’impulso agli agenti, rimette il peso della macchina in azione progressiva.

E se in questo tempo torna a farsi risentire la tenuta della mano, ella nuovamente ricambia l’impulso agli agenti, a seconda che la chiamata è più, o meno forte.

Se questa poi non si fa risentire, che dopo che il peso ha dato il trabocco in avanti a solo oggetto di porgerli ajuto, con reggerlo su la mano, la potenza motrice allora per secondare la chiamata, com’è l’obbligo suo, non solo fa proseguire al peso l’azione, ma con dare maggiore impulso alla forza elastica della pastora del piè di dietro, obbliga il peso medesimo a pigliar sostegno anche sopra la mano che glie l’offerisce, come se fosse una terza base: onde allora l’azione non può a meno di essere abbandonata, pesante alla mano, di poca comparsa, ed ingrata alla vista, e anche pericolosa [p. 149 modifica]a far cadere il Cavallo, e chi vi è sopra; perchè affidata è la macchina ad un appoggio debole, ed incapace di poter resistere alla gravezza ed impeto suo, in specie se l’azione è di moto vibrato.

Da una tal confusione, ed irregolarità d’azioni viene chiaramente messo in vista, che quando il Cavallo ha la testa e collo dritti la mano del Cavaliere non può porgere ajuto alcuno all’azione sua senza togliere alla potenza motrice la libertà d’agire a seconda che richiede il meccanismo, poichè ella non può essere in libertà, quando è obbligata d’obbedire alla cieca alla chiamata della mano.

Onde in tal caso è forza, che il Cavaliere si contenti solo d’indicare, e limitare col temperamento di mano alla medesima, l’azione che vuol che da essa sia eseguita, senza pigliar parte, nè mescolarsi nell’esecuzione sua.

Questo mette in chiaro qual sia il vantaggio che apporta la piega del collo, è della testa, stante il luogo che dà alla mano di poter servir di chiamata, e d’ajuto insieme; tanto più che nei Cavalli fatti, basta quella piccola piega, ch’è sufficente a fare che l’impulso della mano non faccia impressione, che nel collo, poichè allora gli altri agenti restano nella loro libertà, come si è veduto sopra, e possono agire di concerto, ciascuno a seconda della [p. 150 modifica]la loro indole naturale ed incarico, senza essere impediti dalla mano.

Da quanto si è detto sopra, può rilevarsi qual sia la premura che deve avere il Cavallerizzo d’ottenere nel suo Cavallo di maneggio la piega della testa e del collo, poichè senza questa è difficile per non dire impossibile come si è veduto, il potere esigere la perfezione nelle sue azioni. Una tal piega senza dubbio depende dal grado perfetto dell’elasticità dei legamenti delle gambe di dietro; onde se per mezzo dell’arte e dell’esercizio non si arriva a poter ridurre questa a quell’ultimo grado di perfezione, che produce la sopraddetta piega, può francamente un tal Cavallo destinarsi ad altro uso, per non perdere dietro a questo inutilmente il tempo.

Ridotto il Polledro ad agire con la testa e collo piegato dalla parte di dentro, con le corde da terra, scosso di peso in tutte le azioni, cioè di passo in avanti e in dietro, di trotto, di galoppo, e di passeggio, nelle linee rette, e curve semplici, nelle laterali rette, curve, e rovescie, interrompendo l’une, con le altre, come ho dato per regola nel Capitolo antecedente, si passi dipoi a farlo agire, con l’uomo sopra, nelle medesime, e con l’istesso metodo, per maggiormente obbligare col peso i legamenti dell’articolazioni all’ultimo grado di quell’elasticità, di cui sono suscettibili, e quando [p. 151 modifica]corrisponde anche alla chiamata dell’ajutante che lo cavalca, li si levi le corde lunghe, e si lasci che il medesimo continui a farli fare le medesime lezioni, perchè coll’esercizio replicato acquisti l’abito, e quella facilità che dà compimento e perfezione all’azione.

Dal farlo agire colle corde lunghe da terra quando ha l’uomo addosso si ricavano due vantaggi: l’uno è l’avvezzarlo ad intendere con più facilità la diversità che vi è dalla chiamata che li viene di sopra, da quella che li viene di sotto, che è più giusta, stante che questa è più a portata di chiamar il peso sopra i piedi d’avanti, che sono la vera base del sostegno e dell’equilibrio del medesimo, e dal quale nasce tutto il pregio dell’azione, e l’altra che li viene di sopra è di distorlo da essi, perchè nel sentirsi chiamare all’in su viene la testa incitata ad alzarsi, ed il peso a dare indietro, dal che avviene la diversità dell’una dall’altra, e l’obbligo, che questa sia messa in opera con misura e proporzione, perchè non cagioni effetto opposto, e diverso da quello che si vuole:

E l’altro avvantaggio è di poter dar lezione con esso Polledro alli scolari non bastantemente pratici, e non capaci di fare le chiamate giuste, senza che i medesimi corrano rischio alcuno, e senza che il Cavallo sia sottoposto a guastarsi, con prendere qualche credenza, oltre quello di fare [p. 152 modifica]apprendere ai medesimi scolari, più presto e con maggior facilità, il modo di far le chiamate, e di regolare da loro le azioni del medesimo.

Le spesse cambiate da una mano all’altra, le mutazioni da un’azione di moto ondulante a quelle di moto vibrato, dalle linee rette e curve semplici, alle raddoppiate, rette, curve, e rovesce, e viceversa dalle seconde alle prime, hanno una attività molto efficace di promuovere, risvegliare, facilitare, e dar l’essere a quella maggiore elasticità dei legamenti delle articolazioni, e delle parti tutte della macchina, di cui sono suscettibili, e di cui si va in cerca, quando sono eseguite con la limitazione che proviene dal collo e testa piegati dalla parte di dentro sopraddetta.

Il dare in dietro con la testa e col collo voltato quanto più si può alla cigna è un’azione specifica, e la più efficace e adattata a promuovere, e dar l’essere a quella di cui sono suscettibili le articolazioni delle gambe di dietro, (tanto necessaria a tutte le azioni che può sire il Cavallo,) purchè sia eseguita senza forza e senza contrasto di mano, ma di buona voglia, e per obbedienza o per timore di castigo, senza precipitazione in linea retta a campo aperto, o lungo una muraglia, se la groppa per sfuggire la suggezione e l’incomodo, si apparta, or da una mano, ed or dall’altra.

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Il Polledro non assuefatto ad una tale azione, volontarioso di eseguire la chiamata si accinge subito ad alzare la testa per spingnere il peso sopra delle anche, dandosi ad intendere di facilitare così l’esecuzione, ma con inganno; perchè a volere che le gambe di dietro possano agire con puntualità e franchezza in un’azione, che non ammette ondulazione supra di esse (dove dovrebbe seguire, perchè l’azione fosse sciolta e libera, come la progressiva) è necessario, che sieno scariche, e non aggravate del peso; essendosi veduto che tutte quelle che sono aggravate di esso sono incapaci di agire sì in avanti che in dietro; e però in quest’azione ha più luogo il moto elastico, che l’ondulante, ed a quest’effetto ella viene eseguita con tre piedi sempre in terra, nel tempo che quello a cui tocca, dà esecuzione alla sua, come si è veduto nella descrizione del moto.

E da questo prende origine quella difficoltà ed impossibilità di farlo, che a suo mal grado incontra il Polledro, ed è il motivo della disperazione in cui egli dà, se viene obbligato dalla forza o dal castigo; e però nel Capitolo antecedente ho insegnato il modo di metterlo in grado di prestarsi all’esecuzione senza incontro di difficoltà alcuna, al che mi rimetto per non far repliche inutili.

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La difficoltà appunto che mostra il Polledro nel dare indietro, fa vedere che le gambe di dietro sono quelle che più d’ogn’altra parte hanno bisogno che sia risvegliata dall’arte quell’elasticità che gli è stata accordata in potenza; la testa quanto più è piegata alla cigna, tanto più mette in libertà le parti tutte della macchina, ed in specie le gambe di potere agire a loro talento e di potersi prestare senza ostacolo all’impulso della potenza motrice, perchè priva le gambe di dietro della facoltà di mettersi in forza, come sogliono fare per potere con la spinta loro intirizzire la macchina tutta, e far così resistenza a chi vuole obbligarle a piegarsi: onde trovandosi queste in libertà, e senza difesa quando il Cavallo ha la testa alla cigna non possono a meno di pressare obbedienza con sollevarsi per eseguire l’azione che da loro vuole esigersi, e così mettersi in quella agitazione che produce e risveglia quell’elasticità, che l’esercizio dipoi li rende connaturale, pronta, e facile.

Le posate tanto in avanti che indietro interrotte, or dal passo ed or dallo sparo dei calci, fatte eseguire con le corde lunghe da terra, senz’uomo sopra da principio, e dipoi a suo tempo anche con l’uomo sopra, non meno del dare indietro hanno l’attività d’accrescere alle gambe di dietro l’elasticità, ed a questa la prontezza e scioltezza, ed insieme di preparare [p. 155 modifica]il Polledro all’azione, e fare ad esso apprendere l’esecuzione delle operazioni d’aria, come sono la Corvetta, ed i salti, tutte di moto vibrato, delle quali non ho avuto luogo di parlare nel Capitolo antecedente, per appartenersi queste al Cavallo di scuola, e di Maneggio.

Si fa intendere la posata al Polledro con batterli la spalla con un bacchettone nel tempo istesso, che si chiama ad eseguirla con la voce replicata ah ah ahp; ed intesa che l’abbia con la sola voce, accompagnata col cenno del bacchettone, quando non corrisponda alla sola voce, o non corrisponda nè all’una nè all’altro, convien ricorrere al pungicarello, ch’è un asta lunga maneggiabile con una punta di ferro in cima, o solo appuntata perchè non gli cagioni tanta impressione, bastando che sia capace di pungere come fa lo sprone, avvengnachè questo sia più adattato per lo sparo dei calci, che per la posata; e quando ciò non basti bisogna ricorrere ai pilieri, tanto che l’abbia intesa, e lì farli la solita chiamata con l’aggiunta della battuta in terra del frustone per farli paura, ed obbligarlo a far la ripresa necessaria per sollevar la spalla; e se s’ostina nella disobbedienza, conviene devenire al castigo per farlo obbedire per forza; le prime volte però, basta che dia segno d’obbedienza per farli carezze, e rimandarlo in stalla; che in poche mattine capito [p. 156 modifica]che abbia ciò che si vuole da lui, immediatamente che sente la chiamata della voce, solleverà e tornerà a sollevar la spalla, quante volte vorrà chi lo chiama, e con piacere e senza difficoltà.

Intesa che abbia la posata, potrà farli fare senza levarlo dai pilieri lo sparo del calcio col pungerli con il pungicarello la groppa, e nell’istesso tempo darli la voce ohp pronunziata con prestezza, ed imperio; egli da principio tirerà il calcio con rabbia, e per vendetta, ma ciò nonostante convien subito correre a farli carezze con darli un poco d’erba, e con lusingarlo, fregarli la testa con la mano, e nell’istesso tempo con la voce piacevole e accarezzante, tanto che abbia capito ciò che si vuole; si richiami dopo con più dolcezza col solo toccarlo senza pungerlo, e con la solita voce, e se mostra d’obbedire basta per tornare a farli carezze e per rimandarlo in stalla contento, come è necessario; che così in poche volte alla sola voce ah ah ahp solleverà la spalla e al sentir l’ohp farà lo sparo.

Si levi allora dai pilieri, che altro non sono che due pali piantati in terra in poca distanza lontani l’uno dall’altro in linea paralella, ai quali si legano i venti del cavezzone per tenervi legato il Cavallo, in forma che possa restare situato in mezzo ad essi sicuro di non poter urtare nell’azione in nessuno di essi; deve esser [p. 157 modifica]egli legato con tal proporzione, che possa sollevar la spalla senza impedimento, ma nell’istesso tempo che non possa avanzare in forma di poter superare i pali con la parte di dietro, e voltar faccia con rischio di farli del male, in specie quando è obbligato col castigo a prestare obbedienza, che si mette in difesa, e in collera.

Si levi dunque il Polledro dai pilieri, e tenuto da due con i soliti venti, lungo una muraglia, e con un ajutante dietro che abbia in mano un frustone, un bacchettone, ed il pungicarello, per poter dar l’ajuto con quello, che bisogna. Il Cavallerizzo, e l’ajutante, o garzone che sia, abbiano anch’essi uno o due bacchettoni in mano; il primo per poter accompagnare la chiamata della voce col cenno, o tocco del bacchettone, sì alla spalla quando vuol esigere la posata, sì alla groppa quando vuole lo sparo, ed il secondo per farli paura con essi, e tenerlo così in dovere, quando alla chiamata tentasse di forzarli la mano per andare in avanti, e così sfuggire la suggezione; tanto più, che il vento, che tiene in mano, tanto l’uno che l’altro, deve esser lento per lasciare la potenza motrice in libertà di potere agire; fattili fare con questo apparato pochi passi in avanti si pari, e quando è del tutto fermo li si faccia fare una posata, usando l’istesso metodo che ha tenuto quando lo chiamerà ai pilieri; eseguita [p. 158 modifica]che l’abbia lo tenga fermo, e li faccia le solite carezze e lusinghe, poi torni a farli fare altri pochi passi, e nuovamente parato quando è del tutto fermo, lo richiami alla posata, come ha fatto prima, ed eseguita torni a farli le solite carezze; seguiti così per due o tre volte, più e meno, che maggiore o minore è la difficoltà che mostra nell’esecuzione, per mandarlo contento in stalla, e giammai stufato, che così il giorno dopo la farà con più piacere, e con maggior obbedienza.

Imparato che abbia a far la posata interrotta dal passo in avanti, li si facciano fare con l’istesso metodo dando a dietro, e dipoi eseguiti i passi tanto in avanti che indietro, in vece della posata si chiami allo sparo del calcio; e reso obbediente all’uno, e all’altro, terminati i passi sì in avanti che indietro, una volta si chiami alla posata, e l’altra allo sparo; la seconda volta poi che si vede il profitto, e la facilità dell’esecuzione dell’una e dell’altro, si vada acquistando terreno con farli fare lo sparo subito dopo la posata, e finalmente si chiami all’una e all’altro nell’istesso tempo, che si vedrà eseguita la capriola; e se si obbligherà a replicar più volte senza interruzione del passo la posata, cacciandolo nell’istesso tempo in avanti con far battere il frustone di dietro in terra, vedrà eseguire la Corvetta, se la costruzione sua comporta l’una, o l’altro, ed in caso diverso dal rifiuto [p. 159 modifica]potrà cavare un pronostico accertato di quale sia l’inclinazione e attività del medesimo, per poterlo destinare a quel maneggio che più li conviene, con sicurezza di non pigliare sbaglio.

Poichè se nell’essere chiamato alla posata, in vece di far la ripresa a piè pari come deve, la fa con un piede più avanti dell’altro, e nell’essere chiamato in avanti per replicarla camina il terreno con un piede dopo l’altro in vece di ribatterla a piè pari, si deduce, che non ha disposizione alcuna alla Corvetta, ma potrà bensì eseguire la Piruetta, il Galoppo pausato e arioso, ed il raddoppio stretto su le volte raddoppiate, con facilità e prontezza, con più e meno agilità e grazia, fecondo che più e meno piegate porta senza eccesso le anche nella sopraddetta esecuzione.

E se nell’esser chiamato alla posata, e sparo nell’istesso tempo, si stacca da terra con la parte d’avanti e con quella di dietro, con facilità, ma senza del calcio, dimostra abilità alla mezz’aria; se poi invece di stendere del tutto il calcio in aria con tutti due i piedi, lo accenna solo verso terra non può sperarsi da esso che l’aria del Montone.

Il sostenere in aria con facilità la parte d’avanti sulle gambe o anche, come dicesi nelle scuole, molto piegate, è un indizio che il Polledro ha disposizione al passeggio elevato e sostenuto: [p. 160 modifica]

E all’opposto se essendo dotato di spirito, e d’anca dritta, solleva con facilità la spalla, ma immediatamente la lascia ricadere a terra, è segno evidente, che ha l’abilità alla Corvetta, a quel passeggio pronto e presto che chiamasi Pista, come si è veduto nella descrizione delle azioni che può fare il Cavallo, e che il galoppo suo sarà pronto e vivo, ma poco sollevato da terra, come è il suo passeggio, ed il raddoppio sarà stentato, e solo potrà essere eseguito in tempo di Corvetta, se pure n’è capace.

Per fare apprendere ai Polledri, che mostrano abilità, e disposizione alla Corvetta, al passeggio, e al salto, e confermarli in quell’azione ch’è adattata alla specifica loro costruzione non vi è certo miglior lezione della sopraddetta.

E però quando il Polledro si presta in essa ad eseguire con facilità e prontezza le sopraddette azioni interrotte dal passo in avanti e indietro, prima di passare a fargliele eseguire con l’uomo sopra, si cambi il passo in quel passeggio, al quale l’inclinazione lo porta, e da questo si chiami alla posata e allo sparo quel Polledro che non ha inclinazione nè alla Corvetta, nè al salto, senza alterare il metodo tenuto sopra, che così li si farà apprendere il passeggio.

Quel Polledro poi, che mostra abilità al passeggio e alla Corvetta insieme, in vece della posata, si faccia passare dal passeggio alla Corvetta [p. 161 modifica]che così imparerà, e l’uno, e l’altra; se non ha abilità alla Corvetta, ma al salto, li si faccia eseguire dopo il passeggio quel salto a cui inclina, e se ha la disposizione all’una, e all’altro ancora, in un tempo dopo il passeggio li si faccia eseguire la Corvetta, e nell’altro il salto, come si fa nell’insegniarli la posata e lo sparo; se poi è mancante dell’abilità necessaria al passeggio, si prevalga del passo come prima, per farli interrompere quell’operazione che li conviene, che allora altro non mancherà al compimento dell’intento desiderato, sennonchè il farli fare l’istessa lezione con l’uomo sopra, fino a tanto che non si presta a mettere in esecuzione le sopraddette azioni, alla sola chiamata del Cavaliere che ha sopra.

Quando il Polledro non trova la via d’eseguir la Corvetta con le gambe d’avanti unite insieme del pari, come lo richiede la medesima, ma ne tiene una un poco più in avanti dell’altra, opportuno è di fargliela eseguire con le pastore, affinchè vengano da esse obbligate a correggersi del difetto, perchè così il Polledro li avvezzerà a farle giuste ed in regola, e più presto, se vi ha inclinazione.

A prima vista sembra, che non vi sia differenza alcuna nel far le posate in avanti, o nel farle indietro, quantunque sieno diverse le une dall’altre, e producano diverso effetto; poichè le prime non possono essere eseguite, se non [p. 162 modifica]prevenute dalla ripresa della parte di dietro, perchè venga riunito il corpo, e messe in grado le anche di poter ricever sopra di loro tutto il peso della macchina, come si è veduto nell’esame delle operazioni di moto vibrato, al quale mi rapporto: e nelle seconde all’opposto segue il sollevamento della spalla con la sola resistenza delle anche, perchè sono a portata di poter ricevere e sostener tutto il peso, stante l’essere state preparate, e messe sotto dall’azione del dare indietro.

Con l’esecuzione replicata ed interrotta delle prime, s’introduce nei garetti, nelle pastore, e nelle articolazioni tutte delle gambe di dietro e d’avanti la facilità e prontezza di piegarsi, e ripigliarsi con far acquistar loro la forza e l’attività per sostener il peso, ed eseguir con facilità e destrezza il Galoppo, raddoppio, e tutte le operazioni di moto vibrato, come si è veduto e con quella delle seconde, si assuefanno le anche a soffrire, senza ributtarsi, qualunque forza di mano, benchè improvisa e fuor d’ordine, che occorra fare nei casi impensati senza potersene esimere, per mettere così al coperto di qualche disavventura i meno intendenti, e quelli che non hanno bastante cognizione della giustezza di mano, e della chiamata.

L’interrompimento del passo fa apprendere alla potenza motrice la giustezza del tempo [p. 163 modifica]e l’ordine, col quale devono essere eseguite le azioni e le mutazioni loro, perchè possano avere il dovuto risalto e grazia, con il dovuto regolato intervallo che dia luogo all’occhio di distinguer l’una azione dall’altra, e di toglier di mezzo quella confusione, che pregiudica al pregio loro.

Lo sparo de’ calci oltre il visibile scioglimento che cagiona in tutti i legamenti, che compongono la parte di dietro, agilita di più mirabilmente il restante del corpo tutto; lo abilita alla Capriola, e lo distoglie dalla difesa dell’impennata, quando vi abbia inclinazione e la metta in pratica, perchè è il suo opposto.

Sopra ogni cosa però è necessario, che il Cavallerizzo si guardi bene sempre, ma in questi principj molto più, di non far mai in nessuna occasione chiamata alcuna in tempo, che la potenza motrice non sia in grado di poterli dare esecuzione nel momento istesso ch’ella segue, come accaderebbe per modo d’esempio, se fosse fatta quando la macchina è in moto, o scomposta, o non preparata con la ripresa, o col componimento dei piedi, o di quelle parti necessarie a produrre l’azione che deve essere eseguita; però qualunque cambiamento d’azione, di tempo, di misura d’equilibrio, e di qualunque altra cosa non può essere eseguita con giustezza, e senza sconcerto, se non è prevenuta dalla sospensione, o [p. 164 modifica]dall’arresto; quindi è, che nella sopraddetta lezione ne fo fare l’arresto ad ogni termine d’azione, prima di dar principio all’altra, sì perchè così lo richiede il meccanismo della macchina, sì perchè resti al Polledro tutto il tempo che ha di bisogno per prepararsi all’esecuzione, e li resti questa più facile, e s’avvezzi insieme all’arresto tanto necessario per l’esecuzione delle azioni del Cavallo di maneggio, come si vedrà nella terza parte susseguente.

Risvegliata e accresciuta nei legamenti tutti della macchina, con l’esecuzione dell’azioni suggerite dall’arte e sopra indicate, tutta quella maggior elasticità, di cui i medesimi sono suscettibili, non manca per dar compimento all’opera del Cavallo di maneggio che l’esercizio delle medesime, che li faccia acquistare quell’abito, che rende loro stabile e fisso un tale acquisto, e facile e connaturale al Cavallo l’azione.

Giunto pertanto il Polledro al segno di prestarsi obbediente alla chiamata dell’ajutante che ha sopra con le corde da terra, devono esser queste tolte via, e lasciato in libertà all’ajutante, perchè col solo ajuto del Cavallerizzo da terra (quando pur bisogni in questo principio) maggiormente si confermi in tale obbedienza, e possa dipoi da se senza ajuto alcuno tenerlo in esercizio nelle medesime, finchè non vi ha fatto l’abito sopraddetto, che dia compimento all’opera. [p. 165 modifica]

Accade tal volta, che un Polledro che non ha mai fatta difesa, e che ha sempre prestata l’ultima obbedienza a tutto ciò che gli è stato richiesto, di punt’in bianco ricusi d’obbedire, e che essendo Cavallo di spirito e coraggio, e molto più s’è collerico, dia in disperazione essendo castigato, e s’è sincero e di poco spirito s’avvilisca persistendo nella sua ostinazione; questo avviene il più delle volte perchè nel piegarlo, e nell’essere obbligato a eseguire qualche operazione più faticosa ed’incommoda gli viene cagionata qualche doglia interna nei nervi, nei muscoli, o nei tendini, (come segue anche in noi in casi simili, ed in specie quando si passa da un gran riposo ad un’azione di fatica, e d’incomodo) che l’impedisce l’esequimento di quell’azione a cui è chiamato; onde non di volontà, ma per forza si trova questi obbligato a ricusare obbedienza.

Di qui avviene, che gli amanti del gastigo che non esaminano mai la causa della difesa, (come ragion vuole che sia fatto, prima di venire ad’esso,) rendono viziati i Polledri tal volta della maggiore abilità e saviezza.

Però, sempre che occorre di gastigare un Polledro sia esaminata la causa della difesa, e mai si corra al gastigo prima di averla rinvenuta, in specie in Poliedri che abbiano mostrato docilità per l’avanti; poichè troppo è facile che un Polledro non avvezzo a travagliare s’indolisca [p. 166 modifica]nel farlo, in specie nella prima doma, e che però un giorno faccia la lezione bene, e nell’altro non possa eseguirla; onde mai averà luogo di pentirsi, chi antepone la sofferenza al gastigo, (quando ciò non sia fatto con eccesso,) non dovendo mai esser perduta di vista la moderazione, dovuta in qualunque cosa.

Anche i Cavalli fatti sono sottoposti ad un tale accidente, quando siano stati gran tempo in riposo, poichè questo impigrisce tutte le parti della macchina, e fa loro perdere quella prontezza e facilità che avevano acquistato, e con la scuola e con l’esercizio; di maniera che le prime volte che si rimettono in azione non possono prestare alla chiamata che un’obbedienza imperfetta, e tal volta qualche giorno dopo sono resi affatto incapaci dall’indolimento in esse sopraggiunto, che fa loro dare in disperazione se sono gastigati; però devono esser questi rimessi in scuola, piuttosto che gastigati, se si vuole esigere da essi la primiera obbedienza.

E’ fuor di ogni dubbio, che molti atti replicati formino un abito, e che se gli atti sono buoni, l’abito sia tale, ma se questi sono cattivi, dell’istessa qualità sia l’abito ancora; quindi è che l’imperizia dell’ajutante a cui si commette l’esercizio sopraddetto che deve formare quell’abito, che fissi ed assicuri nei legamenti dell’articolazioni ed in tutte le altre [p. 167 modifica]parti della macchina quell’elasticità ed attitudine che vi hanno introdotto l’azioni sopra indicate, può cagionare nel Polledro effetti simili ai sopraddetti, in vece di produrre l’intento accennato di sopra, con richiamare nelle sopradette parti la primiera pigrizia e rozzezza, mediante le chiamate di replicate azioni inopportune e contrarie a quell’oggetto di cui è stato incaricato l’ajutante sopraddetto.

Però molto opportuno è in questo caso che il Cavallerizzo dia compimento da se all’opera, in specie riguardo a quei Polledri che più li premono, se non è sicuro che l’ajutante abbia bastante capacità e perizia di poter supplire alle sue veci, e quando nè l’uno nè l’altro possa farlo, il primo per impedimento personale, ed il secondo per mancanza di sufficiente perizia, obblighi questo a prevalersi della muraglia, e della volta rovescia, affinchè le medesime suppliscano al difetto suo; poichè tanto nell’una che nell’altra, non potendo il peso della macchina traboccare in avanti, e l’una e l’altra toglie alla mano l’obbligo di dover limitare alla potenza motrice l’azione del medesimo peso, stante che questo è obbligato dalla natura delle azioni loro ad agire in equilibrio sopra le gambe d’avanti formate in colonna, ed in linea perpendicolare.

La muraglia, perchè si oppone direttamente al trabocco del peso con impedire, che egli [p. 168 modifica]possa fare azione progressiva in linea retta, e la volta rovescia per esser un’azione retrograda, che si aggira attorno ai piedi d’avanti produce l’istess’effetto, perchè i piedi di dietro dovendo agire nei circoli più grandi obbligano il peso della macchina a secondare l’azione loro retrograda, in vece di darli quell’urto, che lo spinge in avanti (dal quale proviene il trabocco) come fanno nelle azioni progressive: Onde non consistendo l’opera della mano in queste due azioni, che nell’obbligare il Cavallo a mantenersi sempre nella linea laterale sprolungata e retta, senza mai alterar la figura, quando l’azione è eseguita lungo la muraglia, e nel conservare la linea curva laterale in quella che forma la volta rovescia, non può a meno, che non sia più facile e meno difficoltosa l’esecuzione sua, e però anche più adattata alla poca perizia dell’ajutante sopraddetto.

E in tutte le altre azioni, che richiedono l’opera della mano, ed esigono il regolamento continuo dal cenno d’essa, conviene ricorrere alle corde lunghe da terra tenute da chi sappia maneggiarle con giudizio, e cognizione di causa, perchè suppliscano esse al difetto della chiamata di chi vi è sopra, fino a tanto che l’abito non renda la potenza motrice in grado di poter correggere da se lo sconcerto, ed improprietà della chiamata con non darli retta dove è difettosa e repugnante al meccanismo, [p. 169 modifica]come si vede tutto giorno, che fanno i Cavalli vecchi nelle scuole, quando sono montati dagli scolari.

E si potrà anche con esse prevalere il Cavallerizzo de’ medesimi scolari per mantenere i Polledri nell’esercizio sopraddetto, senza pericolo che fieno guastati, e con il vantaggio, che non solo servano alla scuola con piacere delli scolari desiderosi sempre di mutar Cavalli e operazioni, ma anche, che non stiano in stalla oziosi, e con aggravio inutile come si è detto.

Chi non vuole avere la sofferenza di fare agire il Polledro senz’uomo addosso, tanto che si renda capace di potere eseguire le azioni con esso sopra, e pretende d’altronde ch’ei faccia ciò che non può fare per mancanza di forza, stante la tenera età, o per difetto di prontezza d’elasticità, per non essere stata ridotta dall’esercizio alla necessaria scioltezza, ributtano Polledri della maggior abilità; altri poi più intendenti conoscendo la causa del rifiuto dell’obbedienza, li tengono oziosi nella stalla, finchè non abbiano acquistata la necessaria forza, e cominciano a far loro la scuola, quando dovrebbero darli termine.

Questo è appunto il motivo, per cui io non gli obbligo mai al peso da principio, e non mi servo che del passo, usando seco loro tutta la flemma e sofferenza possibile; ed a proporzione poi, che il polledro acquista attività, e scioltezza lo fo passare al trotto, e indi al galoppo, e [p. 170 modifica]nelle altre azioni indicate nel Capitolo secondo sopraddetto, prima scosso di peso. Divenuto capace di eseguirle anche con esse, con la testa e collo voltati all’una, e all’altra parte, vi metto l’uomo sopra, tenendoli le corde fino a tanto che il Polledro non intenda anche la chiamata sua, ed allora lasciatoglielo in libertà, fo sì, che l’uomo da Cavallo continui l’istessa irregolarità che io ho usato, con le corde da terra, coll’interrompere un’azione coll’altra irregolarmente e senz’ordine, perchè il Polledro non possa saper mai ciò che da esso si vuole, e però sia obbligato a star sempre vigilante, e in attenzione della chiamata, e cominci così ad avvezzarsi di buon’ora ad un’obbedienza cieca e subordinata, e non ad agire per pratica, come fanno quelli ai quali non è mai cambiata lezione nè luogo, i quali levati da essa non sono capaci di far altro.

E di fatto come è mai possibile, che un Polledro, che non è in grado di eseguire le azioni più semplici in quiete, e adagio adagio e con tutta la flemma sul passo, possa supplire a quelle (che sono più difficili) di trotto, e di galoppo, con giustezza e prontezza, come se fosse Cavallo fatto, e come è la presunzione di non pochi, e in specie dei giovani, e di chi senza cognizion di causa si dà ad intendere di sapere? [p. 171 modifica]

E però sol quando il Polledro si è reso facile, e pronto a tutte le chiamate, ed all’esecuzione di esse con la testa e collo piegati dalla parte di fuora, obbligo l’ajutante a farlo agire con la testa piegata al suo vero luogo, ch’è dalla parte di dentro, sì perchè veda dove va, sì perchè una tal piega obbliga il peso della macchina a tenersi in quell’equilibrio che richiede l’azione, e dà luogo alla mano di porgerli ajuto, come si è veduto sopra.

Ma siccome nonostante una tal precauzione, quando il Polledro si trova senza corde, in libertà, la maggior suggezione lo imbarazza e lo confonde, in forma che non sa cosa farsi, nè trova la via d’agire, stante la limitazione che gli cagiona la piega del collo e della testa di dentro, così per por riparo a tale sconcerto, è d’uopo prima d’ogni altra cosa indagare quale sia la causa, e se trovasi che ciò provenga dalla sola novità, non ne va fatto conto alcuno, poichè con la sola sofferenza, con l’ajuto da terra, e con quello della testa alla muraglia, in breve tempo, capito che abbia la chiamata, viene superata ogni difficoltà, ed egli presterà non solo la solita obbedienza, ma piglierà anche il piacere di farlo, stante che le azioni eseguite con la testa di dentro, richiedendo che il peso conservi sempre l’equilibrio, li riescono più facili, e di meno incomodo delle altre, nelle quali il peso trabocca in avanti. [p. 172 modifica]

Ciò accade il più delle volte, perchè il Polledro al primo sentir della chiamata da Cavallo, insolita, li viene alzata la testa, e sconcertato l’equilibrio del peso, e per conseguenza resta allora impossibilitato a dare esecuzione all’azione, finchè la testa con tornare al suo luogo non rimetta il peso nel suo punto d’equilibrio; e però l’ajuto da terra e muraglia, con obbligarlo ad eseguire l’azione nonostante lo sconcerto, li fa conoscere lo sbaglio preso, e lo induce a correggerlo: onde dipoi, appena che sente la chiamata, in vece d’alzar la resta, si appiglia immediatamente a darli esecuzione in regola, come faceva con le corde, perchè tanto queste che la camarra, se alza la testa nel punto istesso, lo avvertano e l’obbligano a correggersi, e così torna in acconcio il tenerli la camarra fino a tanto che non abbia ben compresa la chiamata, poichè questa non solo corregge il difetto del Polledro, ma quello ancora della mano, ch’è molto facile che v’abbia parte.

Ma se trovasi, che la repugnanza, che mostra il Polledro d’obbedire alla chiamata abbia origine da qualche parte della macchina non finita di dirozzare, e però mancante della necessaria attività, si deve tornare senza esitare alla solita scuola di prima, e specialmente a quella ch’è più adattata a ferire il difetto, come fa l’artefice, quando rimette sotto la lima e nel fuoco [p. 173 modifica]quell’opera, che s’accorge che non è arrivata a prendere tutto il pulimento o la dovuta perfezione per quanto vi si sia affaticato intorno; infatti ridotta la parte difettosa, all’attività necessaria con la replicata sopraddetta ripresa, non mancherà il Polledro a suo tempo di prestare tutta quella più esatta obbedienza che può esigersi da esso.

Non poca difficoltà suole incontrarsi nelle scuole per indurre il Polledro a galoppar giusto, come per farlo passare dipoi con la medesima giustezza dall’una all’altra mano; e questo avviene a chi non ha cognizione di quel meccanismo che richiede tale azione, poichè svanisce ogni difficoltà, e questa si converte in altrettanta facilità a chi sa che tal meccanismo richiede, che i piedi laterali della mano sulla quale si vuol galoppare devono terminare l’azione loro col posarsi in terra in avanti, e che i laterali della parte opposta devono posarsi indietro, e che però non può essere eseguita una tale azione, se prima di darli principio non si trovano i medesimi così disposti. La mancanza d’una tal cognizione fa sì che nelle scuole il più delle volte, si chiamino i Polledri al galoppo fuor di tempo, e sol per accidente o per pratica, in tempo giusto, dal che nasce la difficoltà insuperabile che si incontra da quelli, ai quali non solo manca la cognizione ma anche la pratica. All’apposto la cognizione del meccanismo di [p. 174 modifica]tale azione fa sì che quello che la possiede, non faccia mai la chiamata, se i piedi del Polledro non sono nella sopraddetta disposizione, onde facile, sicuro, e senza ostacolo riesce ad esso felice l’intento desiderato.

Per essere il galoppo un’azione di moto vibrato non basta la situazione sopraddetta dei piedi, ma necessario è anche, che i piedi di dietro siano postati vicino in proporzionata distanza ai loro respettivi piedi d’avanti da potere essere in grado di dar quell’urto al peso della macchina che lo vibra in avanti, e però conviene che i medesimi terminino la loro azione in tal posto.

Da questo rilevasi, che quando il Cavallo è fermo in quattro non può galoppare a nessuna delle mani, e non può alla chiamata uscir giusto, quando l’azione che fa, è di diversa disposizione dei piedi dalla sopraddetta.

Onde nel primo caso, è d’uopo di farli fare un passo prima di chiamarlo al galoppo, perchè sieno da questo mesti nella dovuta situazione i piedi; e nel secondo convien che al passo preceda anche l’arresto, che dia termine all’azione ch’è in opera, per essere diversa in essa la situazione dei piedi da quello che richiede il galoppo; e siccome nella sola scappata il portamento dei piedi è uniforme a quello del galoppo, così da questa sola azione può passarsi a quella del galoppo, e da questa a quella [p. 175 modifica]della carriera, senza che preceda l’arresto col sol mitigare la fuga nel primo caso, e con accrescerla nel secondo; onde vien concluso ad evidenza, che il passo, che mette in regola i piedi, e dipoi l’arresto che dà compimento alla ripresa, devono precedere alla chiamata dell’azione del galoppo, perchè possa essere eseguita senza difficoltà, e nella sua giustezza.

Ma a voler che il passo possa mettere nella sopraddetta disposizione i piedi, è forza che quando si vuol galoppare sia sempre cominciata l’azione dei medesimi da quello d’avanti, ch’è opposto a quella mano dalla quale si vuol galoppare, poichè altrimenti facendo, seguirebbe un effetto del tutto contrario all’intento; e perchè la chiamata sia fatta in tempo, conviene che cada nel momento che pigliano terra i due piedi diagonali che danno termine all’azione del passo medesimo.

Ne faccia la solita prova con le pedine chi vuol restar convinto di questa verità col fatto; volendo dunque galoppare sulla mano destra, stando il Cavallo fermo in quattro, egli si figuri che la potenza motrice abbia dato moto al peso della macchina col portarlo sopra i piedi diagonali, destro d’avanti, e sinistro di dietro per sgravare gli altri due diagonali, e che abbia così dato principio all’azione del passo, coll’ondulazione del medesimo, e giunta questa a quel punto di pendenza, che richiede che gli altri due [p. 176 modifica]diagonali sinistro d’avanti, e destro di dietro si portino in avanti per subentrare alle veci di quelli che sono in opera, muova egli ancora le due pedine, che li rappresentano, posandole in quel posto che devono occupare i piedi, cioè porti la sinistra davanti in quella distanza che può occupare con la sua estensione il piè sinistro d’avanti, e la pedina destra di dietro in quella che occuperebbe il piè destro di dietro vicino al suo respettivo destro d’avanti, e figurandosi allora che il peso della macchina seguitando la sua ondulazione, venga a pigliar sostegno sopra la nuova base da essi preparatali, sgravi gli altri due piedi, e li strascichi seco fino a tanto che la pendenza che rende incapace la base di più poter servire, non obblighi la potenza motrice a rimetterli in azione per riformare una nuova base al peso, col portare il piè destro d’avanti ad occupare altrettanta quantità di terreno, di quello che occupò il respettivo sinistro, che fu il primo a muoversi, ed immediatamente dopo e quasi nell’istesso momento (tanto è veloce l’azione) il sinistro di dietro a pigliar posto vicino al suo sinistro d’avanti; egli pure faccia il simile con le sue pedine, che così viene terminato il passo, perchè tutti quattro i piedi hanno eseguita la loro azione, e vien messa in vista la situazione in cui si trovano i piedi tutti, allorché deve seguire la chiamata della mano come si è detto nella prima [p. 177 modifica]parte Capitolo secondo; e rileverà che solo il piede destro di dietro si trova fuori della situazione che l’esequimento dell’azione del galoppo richiede, e che però è d’uopo che questo li dia compimento col portarsi a pigliar il suo posto vicino al piè destro d’avanti per poter esser in grado assieme col suo compagno di ricevere il peso della macchina sopra di loro, e di vibrarlo in avanti quando la potenza motrice vuol dar principio ed esecuzione all’azione del galoppo, della quale si tratta.

Deve essere eseguito l’arresto nel terminar che fanno i due piedi diagonali, destro d’avanti e sinistro di dietro, l’azion del passo, sì perchè passato questo punto averebbe principio un altro passo, su il piè sinistro d’avanti non si trovasse impedito da esso, sì perchè trovandosi in questo punto il piè destro di dietro, ch’è restato fuor d’ordine scaricato del peso, dal pigliar terra che ha fatto il piè sinistro di dietro, è egli quel solo ch’è a portata di potere agire, essendo gl’altri tre incapaci di poterlo fare, stante l’impedimento che gli apporta, e la tenuta di mano che ha fatto l’arresto, ed il peso di cui sono caricati: onde al tocco della lingua forza è che egli eseguisca l’azione sua senza potersene esimere; e che metta così la potenza motrice in grado di potere eseguire con facilità la chiamata del galoppo. [p. 178 modifica]

Tre sono dunque gli effetti, che deve produrre la chiamata fatta in tempo, primo l’arresto che dia termine al passo, perchè il piè destro restato fuor d’ordine abbia luogo, e possa essere obbligato a dar compimento alla dovuta disposizione dei piedi: secondo l’esecuzione di questa sua azione: terzo il sollevamento della spalla, che dà principio a quella del galoppo; e però la chiamata deve consistere in una tenuta, in un tocco di lingua, ed in un sollevamento di mano, eseguite tutte tre queste azioni coll’istesso impercettibile intervallo col quale la potenza motrice dà esecuzione alle sue; la tenuta e sollevamento di mano è la chiamata alla potenza motrice dell’arresto dei piedi e del sollevamento della spalla, ed il tocco di lingua che intramezza queste due azioni della mano, è quello che fa la chiamata del portamento del piè destro di dietro in avanti, e del moto vibrato che devono eseguire nel medesimo tempo ambedue i piedi di dietro e per conseguenza della continuazione dell’azione del galoppo, che ha avuto principio dal sollevamento della spalla, finchè la mano con una nuova chiamata non gli dia il termine.

Chiaro, è dunque che eseguita la chiamata del galoppo con tal metodo nel tempo indicato, vien tolta e al Cavaliere e al Cavallo quella difficoltà che incontra chi agisce a caso, e senza una tal cognizione. [p. 179 modifica]Provenendo dall’istessa causa detta sopra, la difficoltà che s’incontra nelle scuole nel far passare il Polledro da una mano all’altra nell’azion del galoppo con un consimile metodo, pure vi si pone riparo; dico consimile, perchè nel primo caso deve essere il passo che precede alla chiamata del tutto, compito dall’azione di tutti quattro i piedi, come si è detto, ed in questo dev’esser solo ammezzato ed interrotto, come si dirà.

Termina l’azione del galoppo della man destra con i piedi laterali di questa mano situati in avanti, e per conseguenza con i laterali della parte opposta situati indietro; e però non può esser dato esecuzione immediatamente dal galoppo della mano destra, a quello della sinistra, che richiede situazione diversa dei medesimi, se non viene prima cambiata la positura loro; e siccome la potenza motrice non può far mutazione alcuna nelle azioni per minima che sia, in tempo che la macchina è in moto, così prima d’ogn’altra cosa, quando si vuol passare dal galoppo della mano destra a quello della sinistra, conviene coll’arresto dar termine all’azione ch’è in opera, e dipoi appigliarsi a far fare alla potenza motrice il cambiamento necessario dei piedi, con obbligare il piè sinistro d’avanti a pigliare il suo posto, e nel medesimo tempo col solito impercettibile intervallo il destro di dietro a prendere il suo, vicino [p. 180 modifica]al respettivo laterale d’avanti, e ciò seguito, tre piedi si trovano nella situazione che richiede l’azione del galoppo sulla mano sinistra, e solo il piè sinistro di dietro resta fuor d’ordine, ma in grado di potere al minimo impulso della potenza motrice, eseguire anch’esso la sua azione per darli compimento, stante l’essere stato scaricato del peso nel posare in terra che ha fatto il respettivo suo destro di dietro.

E però nel prender terra, che fanno i due primi sopraddetti piedi diagonali, è il punto in cui deve seguire la chiamata al galoppo sulla mano sinistra, cioè la tenuta, il tocco di lingua, ed il sollevamento di mano, dimostrati di sopra, perchè producano i tre sopraddetti effetti.

Non può in questo caso darsi compimento al passo con l’azione di tutti quattro i piedi, come si è fatto sopra, perchè il proseguimento dell’azione loro rimetterebbe i medesimi nell’istessa situazione di prima, senza produrre il desiderato intento, e però è forza d’interromperlo nella prima mossa dei piedi.

Può questo cominciarsi dal piede opposto alla mano su cui si vuol galoppare, come ho dato per regola, perchè il piè destro d’avanti, a cui s’aspetterebbe di dar principio all’azione è incapace di muoversi, sì per esser steso in avanti, sì per esser aggravato dal peso; onde forza è di doversi prevalere del piè sinistro [p. 181 modifica]che per trovarsi indietro è in grado egli solo di potere agire.

Ma siccome un tal passo interrotto non può essere eseguito, se i legamenti delle gambe non hanno fatto acquisto di quella scioltezza ed attività ch’è necessaria, perchè possano prestare una momentanea, esatta, e puntuale obbedienza alla chiamata, così non è possibile che il Polledro non arrivato anche a questo segno di scioltezza dia esecuzione alla cambiata di mano di cui si tratta, con quella prontezza che richiedesi: onde è d’uopo con esso di servirsi del passo compito, con obbligarlo con la parata non solo a interrompere l’azione del galoppo, ma anche a rimettere i piedi in quattro, per poter dar principio al passo col piè della mano opposta a quella su cui si vuol galoppare, e poter fare la chiamata nel punto dell’intero compimento di esso, come si è detto sopra.

Quando poi il Polledro ha fatto acquisto della necessaria scioltezza ed attività della forza elastica dei legamenti, non solo il Cavallerizzo deve servirsi del passo rotto per l’esecuzione delle cambiate, ma deve anche prevalersi di questo per quella del galoppo in generale, col far cominciare il passo dal piede di quella mano su cui si vuol galoppare, perchè la chiamata che ha origine dal passo rotto riesce più pronta, e l’azione più perfetta e di maggior pregio, [p. 182 modifica]onde può concludersi che conviene che il Polledro sia chiamato al galoppo dal passo compito interamente, ed il Cavallo addestrato dal passo interrotto.

Non v’è cosa certamente che metta più in sicuro, che il passo che deve precedere la chiamata del galoppo abbia principio dalla parte opposta a quella sulla quale vuol galopparsi, che il far la chiamata del galoppo dalla linea laterale o curva, poichè il meccanismo vuole, che le azioni tutte di queste siano cominciate dal piede d’avanti della parte di fuori, e giammai da quello della parte di dentro, come si è veduto nel Capitolo secondo di questa parte.

Onde chiamato il Polledro da tali linee al galoppo non potendo a meno che il passo sia cominciato dalla parte opposta forza è che tal chiamata venga eseguita in tempo giusto ed in regola; e per conseguenza, che il galoppo deva riuscir giusto su quella mano che si vuole.

Ed essendo principio infallibile il dover passare per scala dal più facile al più difficile, così il far passare il Polledro dal passo al trotto, e da questo al galoppo in linea laterale con la testa alla muraglia, piegata prima dalla parte di fuora, e a proporzione poi dell’acquisto, da quella di dentro, lasciandolo insensibilmente addirizzare, si fa sì che dalla linea laterale si trovi senz’avvedersene nella retta, e da questa con tenerlo in maggior suggezione [p. 183 modifica]dalla parte di dentro lasciandone in libertà la parte di fuora con la dovuta proporzione nella curva, tutto ciò è la vera regola per render più facile e più sicura la riuscita della chiamata nel suo punto all’ajutante, e per assicurarsi che l’esecuzione del Polledro produca l’effetto desiderato senza correr rischio, che segua sbaglio.

Non può certamente mettersi in dubbio, che ridotto a questo segno d’attività ed obbedienza il Polledro, non abbia fatto acquisto di tutto ciò che richiede un Cavallo di maneggio, ma contutto ciò, siccome una penna ben temperata resta inutile, se manca chi la sappia maneggiare, così avviene del Polledro, e però è d’uopo di passare a compire il mio assunto, col mettere in vista anche tutto ciò che riguarda l’opera del Cavaliere, dalla quale depende il risalto della maestria sua, e della bravura e bontà del Cavallo.