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Dizionario moderno (Panzini)/V

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Vacca spagnuola: termine della locuzione volgare: parlare francese come una vacca spagnuola. Questo assurdo è dovuto ad una corruzione di frase francese, almeno così si dice, e la frase sarebbe questa: Il parle français comme un basque l’espagnol. Essa fa il paio con l’altra, pure comune, la bellezza dell’asino per dire la gioventù; frase assurda, che si ritiene traduzione errata, pur dal francese, la beaute de l’âge.

Vaccata: familiarmente e volgarmente porcheria, opera fatta male.

Vaccheria: stalla con vacche, aperta al publico.

Vade mecum: fr. vade mecum (dal latino, lett. vieni con me): significa manuale pratico.

Vade retro Satana: (Vang. di S. Matteo, IV, 10), dicesi per significare repulsione, abbominazione, ma di solito si dice in senso faceto.

Vae soli: famoso avvertimento biblico (Ecclesiaste, IV, 10), guai a chi è solo, ed è vero, ma è pur vero quello che dice Giovanni Prati in un suo bel sonetto in Psiche (opera a torto dimenticata come tante cose, belle e buone, in Italia):

          Vae soli! ci ammonisco il libro santo;
          ma se coi molti ad imbrancar ti vai,
          così bieca è l’insidia e il rischio è tanto
          che star romito mi par meglio assai.

Inoltro va solingo il leone, l’aquila spiega romito il suo volo: i forti del mondo stanno soli, e il gregge va in branco por aver forza.

Vae victis: lat., guai ai vinti (Livio, V, 48). Il motto ricorre per significare l’eterno diritto della forza. Certo chi è vinto nella lotta della vita è fuggito dalla stessa pietà, giacchè essa richiamerebbe coscienza.

Vagneriano: seguace delle teorie di R. Wagner (1813-1883), uno dei più grandi compositori, filosofi e innovatori dell’arte musicale. Spesso si dice «vagneriano» in opposizione ai seguaci della classica musica melodica italiana.

Vago: (term. med.) o nervo pneumogastrico, che si distribuisce al collo, al torace ed all’addome; presiede alla sensibilità delle vie aeree e delle vie digestive, ed è il nervo moderatore del cuore. È detto vago per la sua vagante distribuzione.

Vagone: ingl. wagon (lat. vehere = portare), voce internazionale e presso di noi popolare, che si alterna promiscuamente con carrozza, carrozzone. Queste anzi tendono a prevalere.

Vagone-salon: non credo che sia scrittura tecnica, ma si dice per indicare quelle carrozze ferroviarie a tipo Pullmann nei treni di lusso, che servono specialmente per ritrovo o por refezione.

Valalla: il paradiso di Odino secondo la religione scandinava.

Valanga: neol. ripreso e discusso a lungo dal Fanfani {op. cit.), dal fr. avalanche. Giustamente osserva il Rigutini che tale voce conviene oramai sancire, come la sancì l’uso, le voci toscane lisciata e volùta «denotando un fatto che sarebbe quasi la miniatura di quello espresso dalla voce valanga». Dicesi anche in senso figurato, es. una valanga di carta. [p. 544 modifica]

Valchiria: più comunemente al plurale, Valchirie: nome dato dagli antichi scandinavi a divinità muliebri, messaggere di Odino.

Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de’ cavalli
sovra i nembi natando, l’erte criniere al cielo.

Valencienne: fr., per lo più al plurale, pizzo di Valenza.

Valgo o varo: termine medico, usato come attributo di membro, o segmento di membro, deviato all’infuori. Es. piede, ginocchio varo. Dal latino valgus = che ha le gambe storte, e varus = declinante dalla linea retta, piegato, volto in fuori, sbilenco, strambo: crura vara, cornua vara.

Valì: grande ufficiale dell’impero turco, governatore generale d’una provincia {vilayet). Da lui dipendono i mutessarifs, i kaïmakans, e i mudirs (grafie francesi, come il solito, accolte fra noi pei nomi orientali).

Valle: a Comacchio e Ravenna così sono chiamati gli specchi d’acqua salmastra, le lagune, e i fondi palustri di quella regione.

Vallivo: aggettivo di valle (es. terreno vallivo), usato nelle regioni del Ravennate e del Ferrarese. V. Valle.

Valorem (ad): i dazi doganali nel diritto amministrativo si dividono in specifici secondo una misura (quantità, peso, e qualità, cioè specie) e ad valorem. (latinismo), cioè quei dazi che, non tenendo conto della specie, si computano in base al valore dichiarato. In questo caso lo Stato si riserva il diritto d’acquisto sul prezzo dichiarato.

Valoroso: dovrebbe essere il guerriero: invece ha osservato il lettore come questo belligero aggettivo sia sovente dato a gente che finora non fu punto belligera? ai professori? Un insegnante è valoroso, come un ufficiale è brillante. Epitheton ornans!

Valpolicella: vino rosso da pasto, pregiatissimo del Veneto (Verona): rosso rubino, àlcole non molto, acidulità tendente ad una freschezza e sapidità gradevole: diffuso e ricercatissimo in commercio. Sotto questo nome vanno i vari vini del Veronese.

Valvola di sicurezza: noto apparecchio, dovuto al Papin, per impedire lo scoppio delle caldaie. Dicesi in senso morale.

Valzer: è la scrittura che presso di noi predomina ed è registrata: è voce tedesca, Waltzer (danza tedesca moderna, in misura tripla e a movimento moderato). I francesi, conforme alla loro lingua, scrivono valse.

Vandalismo: (da Vandalo, popolo barbarico germanico che nel 455 saccheggiò e distrusse Roma); e come vandalo, vale distruggitore bestiale, così vandalismo dicesi l’atto dello sciupare e rovinare per malvagità e stupidità: è dal fr. vandalisme? Certo è voce nostra familiare e manca a molti dizionari.

Vandea: ( Vendée), regione della Francia che fieramente sostenne in armi (1789-95) il diritto regio dei Borboni e la religione contro la Rivoluzione. Nel giornalismo e nella politica questo nome talora è usato per significare con ispregio e con enfasi giacobina il partito conservatore, reazionario, pronto ad agire per opporsi contro le innovazioni e i procedimenti democratici o demagogici — che non vuole, non ama, non intende. Il concetto di fanatismo e di ignoranza è incluso in questa parola Vandea.

Vanella: voce napoletana, da vano: cortiletto chiuso, divisorio fra case.

Vangelo: (lett., buona novella), familiarmente vale verità sacrosanta, su cui non cade dubbio. Es. questo è vangelo.

Vanitas vanitatum et omnia vanitas: (Ecclesiaste, I, 2; XII, 8), motto ricorrente tanto in senso religioso cristiano, come in senso filosofico pessimista per significare l’infinita vanità del tutto. E va bene! Tuttavia a questa conclusione l’uomo desidera di giungere dopo l’esperimento, cioè dopo aver goduto e assaporato. Ciò è troppo giusto! Se il motto è del sapientissimo Salomone, egli potrebbe confermare tale mia chiosa.

Vare, legiones redde!: Varo, rendimi le mie legioni! (Svetonio, Augusto, 23), le quali Arminio, germanico, sconfisse nella selva di Teutoburgo (a. 9 dell’Era volgare). Il famoso grido volgesi spesso ad altri sensi. [p. 545 modifica]volgare). Il famoso grido volgesi spesso ad altri sensi.

Varicella: malattia infettiva, contagiosa, solitamente assai benigna, caratterizzata dall’eruzione, a varie riprese, di bollicine, che appassiscono e seccano dopo qualche giorno. Infezione ben diversa dal vaiuolo.

Varietas delectat: antica e viva sentenza, di formazione — penso — popolare, la varietà piace.

Varo: term. med., dal lat. varus-a-um = volto, storto. Dicesi di membro o parte di membro piegato all’indentro (V. Valgo).

Va sans dire: locuzione francese usata per vizio (s’intende, si capisce).

Vascello fantasma: leggenda allegorica olandese di nave errante pei mari, che apportava sventura alle altre navi che in essa si imbattevano. Fornì argomento di un romanzo del Marryat (The Phantom Ship, 1839), di opere musicali (Wagner), di novella (E. Poe).

Vas electionis: fu detto S. Paolo (Cfr. Atti, IX, 15; Dante, Inferno, II, 28). Vaso d’elezione si dice talora in senso ironico di persona priva di ogni cosa eletta.

Vasel d’ogni froda: pieno di ogni fraudolenza, locuzione dantesca, Inf. XXII, 82 (Cfr. Vas electionis). NB. Per vasel non si intenda piccolo vaso.

Vasi: nel linguaggio marinaresco si designano con tale nome due enormi tronchi di quercia squadrati, che costituiscono la base dell’invasatura (V. questa voce) su cui scivola la nave che si deve varare. Vasi sembra derivare dal latino vara = traversa, cavalletto, voce usata da Vitruvio e nel linguaggio tecnico de’ costruttori latini. Onde il verbo varare? Il Guglielmotti, «per togliere equivoci», consiglia vase e vasa.

Vaso delle Danaidi: locuzione tolta dall’antico mito delle cinquanta figlie di Danao, dannate nel Tartaro a riempire anfore senza fondo in pena dell’uccisione de’ loro mariti: dicesi di cosa senza fondo, che nulla conserva, tanto in senso materiale che morale.

Vaso di Pandora: V. Pandora.

Vasomotore: in medicina ed in fisiologia attributo di nervi, centro, sistema: regione cioè del midollo allungato (centro), e filamenti (nervi) per cui è regolato e coordinato il movimento dei vasi sanguigni. Ingl. vaso-motor. fr. vasomoteur.

Vasomotoria (innervazione): quella che presiede al movimento dei vasi sanguigni donde deriva nella cute l’arrossamento o impallidimento. La sua reazione fu trovata frequentemente anormale nei criminali.

Vatel: nome del maggiordomo del gran Condé, e la leggenda narra che si uccise pel dolore di non aver potuto allestire del pesce fresco ad un banchetto che il vincitore di Rocroi offriva a re Luigi XIV, nella sua magnifica dimora di Chantilly. Suona Vatel antonomasticamente come cuoco famoso, al pari del romano Apicio.

Vaticano: nome antico di colle di Roma, dimora del Papa; quindi il governo del Papa, nel modo stesso che si dice la Porta il governo del Sultano. I fulmini del vaticano = le scomuniche (a cui il pensiero moderno ha fatto da parafulmine).

Vaudeville: nota specie di operetta: voce francese, formata da un val o vau de Vire (in origine canzoni bacchiche «du vallon de Vire», secolo XV).

Vecchia (la): dicono in alcune terre dell’Emilia e della Romagna ed in Piemonte (?) il luminello (V. Gibigiana).

Vecchia destra (la): la destra (noto partito politico italiano, V. Destra) del periodo rivoluzionario, anteriore al 1876, anno della sua caduta. Si contrapone a sinistra storica, detto della sinistra, anteriore al tempo stesso, cioè al suo avvento al potere ed al trasformismo (primo Ministero Depretis).

Vecchia guardia: fu storicamente la Guardia Imperiale Napoleonica, formata di fidi e valorosi soldati, invecchiati in quelle epiche battaglie. La guardia muore ma non s’arrende (Waterloo). La garde meurt et ne se rend pas. La parola vi euri, secondo alcuni, avrebbe dato origine al discusso motto di Cambronne (merde!). (V. I Miserabili di V. Hugo, tomo III, lib. I, 2°). Si dice vecchia guardia per indicare i primi fondatori o audaci assertori di un partito.

Vecchio: è anche termine familiare di amicizia: nel diminuitivo dicesi anche dai bambini, ed è uso comune nei vernacoli [p. 546 modifica]dell’alta Italia. Così in fr. mon vieux = mot d’amitié qui se dit très bien a un jeune homme (Cfr. le locuzioni nostre familiari: i miei vecchi per dire i miei genitori; la mia vecchia per dire la mia moglie).

Vecchio Adamo (il): vale il vecchio peccato, il difetto d’origine.

Vecchio della Montagna (il): storicamente fu così detto il capo della famosa setta degli Assassini, stabilitasi su la fine del secolo XI sui monti della Persia. Difesi per indicare inspiratore occulto (ironicamente).

Vecchio Stile: attributo del Calendario Giuliano in opposizione al nostro, Gregoriano. Cotesto calendario è seguito dai popoli che seguono la religione greco-scismatica o ortodossa (Russi, Greci, etc.) ed è in ritardo sul nostro calendario di 13 giorni.

Vedere: nella locuzione farne vedere ad uno, vale «tormentare, martoriare, far soffrire». Questa locuzione familiare è anche in francese en fair e voir à quelqu’un in tale senso; ma sono forme parallele, non di imitazione.

Veder le stelle: dicesi di acuto e momentaneo dolore fisico, per l’effetto di certi bagliori o fosfeni che passano su le pupillo in quell’attimo. Antica locuzione familiare.

Vedere per credere: locuzione da fiera e da saltimbanchi, trasportata nel linguaggio familiare in senso faceto ed ironico, detta di cosa che non pare vera, e pure è veramente.

Vedi Napoli e poi mori: locuzione nostra che vale dopo Napoli non v’è più niuna cosa sì bella, onde si può morire. Secondo alcuni la locuzione è fondata sul bisticcio della parola morì, nome di luogo presso Napoli, che non esiste. Vedi Napoli e poi.... è titolo di un libro del Ferrigni (V. Yorick).

Vegetare: far vita puramente materiale come le piante le quali vegetano. Es. In questa città si vegeta, manca ogni nutrimento dello spirito. Questo neol. è dal francese vegeter = vivoter, vivre mediocrement, misérablement, ovvero è forma parallela?

Vegetariano: neol. dal fr. végétarien, usato per significare quelle persone le quali non fanno uso se non dei vegetali ed abborrono da cibi ricchi di albumina (carne), laddove l’uomo, per fisiologia, è erbivoro e carnivoro insieme. I primi vegetariani furono in Londra verso il 1810. In Italia molta parte della popolazione per necessità economica e di clima e per la eccellenza delle verdure e de’ legumi è, senza esagerazioni nordiche, propensa alla dieta vegetale. Vi sono persino colonie o falansteri (Ascona) di gente la quale fa professione di vivere secondo natura (V. Naturalista), ritornando cioè alla semplicità primitiva. L’assoluta dieta vegetale è norma per costoro. Esagerazione nordica e reazione alla complicata e faticosa civiltà moderna spiegano lo strano fenomeno.

Vehme: secondo scrittura francese, e veme secondo scrittura nostra: nome di famoso tribunale segreto in Germania (Vestfalia) nell’Evo Medio. Veme nell’alto tedesco medioevale vale condanna, punizione.

Veilleuse: fr., lumino da notte (da veiller = vegliare, vigilare, quasi lume vigile).

Veine: in gergo familiare francese, vale chance, bonheur. In italiano vena figuratamente vale disposizione, talento, vale sentire, essere un poco: es. ha una vena di pazzo (cfr. averne un ramo), vale di buona voglia: es. fare una cosa di vena.

Velo: V. Velodromo.

Velocìfero: al tempo delle diligenze era così chiamata quella vettura che correva più diretta. Dal fr. velocifére: diceasi anche in antico il velocipede.

Velodròmo: (dottrinalmente si dovrebbe dire velòdromo come ippòdromo, etc.) per campo delle corse (ciclistiche) è un vocabolo ibrido, dal lat. velox = veloce e dal gr. [testo greco] = corsa. Osserva l’Arlìa «che già era stato introdotto ciclodromo, che se non altro aveva il merito di essere tutto d’un pezzo, cioè tutto greco, e poteva bastare». Vero è che velodromo è voce non di nostro conio, ma francese, vélodrome. I francesi hanno anche la voce di gergo velo = vélocipede. È la legge del Brenno, cui conviene subire. [p. 547 modifica]

Velvet: velluto dì cotone. | Velvet è dall’inglese: diminutivo di veluet: basso latino velluetum = velluto.

Vena: V. Veine.

Vendere (corsa a): nei manifesti delle corse accadrà spesso di leggere questa locuzione, corsa a vendere, e siccome questa bizzarra locuzione sarà da taluno inesperto dello sport, poco intesa, ecco che vuol dire: è una corsa nella quale i proprietari dei cavalli inscritti dichiarano il prezzo di vendita dei loro cavalli. Il cavallo vincitore è messo all’asta al prezzo dichiarato. Il peso (fantino, sella, e sopracarico) è in ragione diretta del prezzo dichiarato. C’è poi anche la corsa a reclamare (altra bella frase!) in cui qualsiasi dei cavalli inscritti può essere domandato, pagando il prezzo dichiarato, più il premio.

Vender la pelle dell’orso: locuzione familiare, uguale a quest’altra, vender l’uccello su la frasca = fare assegnamento su cosa non conseguita ed assai dubbia. (Dalla nota favola di quei tre cacciatori che facevan conto di pagar l’oste col premio che la comune avrebbe dato per l’orso ucciso. E quando lo videro, fuggirono).

Vendetta corsa: cioè omicidio giurato ed eseguito dopo lungo tempo, al momento opportuno, quasi sciogliendo un voto, ciò secondo il costume di quel popolo. È pena di morte. NB. por la filosofia delle parole, vendetta è voce accolta in francese.

Venditorio: idiotismo (venditori) che leggesi in Milano su molte scritte, in vece di macelleria.

Venerabile: come grado massonico, V. Massone.

Venere di Milo: è la famosa statua ellenica (così detta dal luogo ove fu trovata), tronca dello braccia, la perla del museo del Louvre in Parigi: prodigio della statuaria antica, dinanzi a cui lagrimò Arrigo Heine, in sul finir della vita! Il nome ricorre come termine di raffronto di somma bellezza.

Venere nera: V. Appendice.

Venere pandèmia: V. Pandemia.

Venere solitaria: V. Onanismo.

Veneree (malattie): V. Malattie veneree, e qui aggiungi emendando: esse comprendono l’ulcere ed il bubbone venereo di natura benigna e conseguenze locali; la blenorragia, malattia specifica del gonococco di Neisser (bacillo della gonorrea) capace di trasmettersi per contatti, sia su gli organi sessuali, sia agli occhi (onde l’oftalmia blenorragica dei neonati, e l’autointossicazione di chi toccasi gli occhi con tale veleno). La sifilide o forma celtica, non è compresa nella denominazione di malattie veneree: essa è ben più grave male: trasmissibile per contatto, purchè la mucosa o pelle sia ulcerata, cioè abbia soluzione di continuità. Sifilide congenita è quella dei bambini, generati da padre o madre sifilitica. La sifilide è germe non del tutto ancor noto. Ben guarita, non è recidiva.

Venezia Giulia o Regione Giulia: noto questo nome geografico perchè come recente, è omesso nei lessici: esso fu dato da Graziadio Ascoli alla regione costituita geograficamente da parte del bacino dell’Isonzo, dal territorio di Trieste e dalla penisola istriana.

Veni foras (Lazare): così Cristo al morto Lazzaro, risuscitandolo (Evangeli). Dicesi in senso faceto, vieni fuori!

Veni, vidi, vici: epistola sintetica di Cesare, annunziante la sua vittoria su Farnace nel Ponto: venni, vidi, vinsi (Plutarco, Detti memorabili di re e di capitani). Ripetesi familiarmente per significare rapida e felice riuscita.

Veniam petimus damusque vicissim: questa vènia domandiamo e concediamo a vicenda, così Orazio (Arte Poetica, 11) a proposito d’arte e con significato di umano e reciproco compatimento: il motto poi è usato per ogni argomento o questione.

Venir con l’ultima: cioè con l’ultima corsa; familiarmente e figuratamente vale capir le cose troppo tardi.

Venire al ferri corti: si dico quando nei litigi o questioni è messo da parte ogni riguardo o cautela: ferro corto è il pugnale, onde la locuzione deve trarre origine da questa forma risolutiva e feroce di combattimento.

Venire all’uovo: locuzione nostra [p. 548 modifica]familiare tolta dalla gallina che torna di per sè al nido; detto di chi spontaneamente, senza esortazione o rimprovero, trova opportuno ritornare al suo posto ed ufficio dopo averlo disertato.

Venire al tandem o anche all’ergo: familiarmente vale venire al nocciolo della questione, alla conclusione o spiegazione (lat. tandem, finalmente; ergo, dunque).

Venire a taglio: cadere opportuno.

Ventino: moneta di nichelio da 20 centesimi: voce familiare.

Ventitrè (portare il cappello su le): cioè inclinato, alla brava. Locuzione foggiata per similitudine del sole che su le ventitre ore (antica numerazione) declina.

Ventre a terra: per di carriera, detto dei cavalli, è il fr. ventre à terre.

Vera: nel Veneto e in Lombardia è l’anello di sposa. Vera vale altresì puteale, parapetto del pozzo, di forma appunto anulare. In latino c’è viria = braccialetto; in francese virole = vera, viera, ghiera (Cfr. il verbo virare). L’etimologia di questa parola non è delle più chiare. La parola vera vale come senso lo stesso che ghiera; ma se poi come etimologia esse formino una cosa sola, non ardirei affermare benchè paia probabile. Secondo il Diez ghiera deriverebbe dall’antico alto tedesco gêr = lancia. (Cfr. gherone). Il Musaffia antepone il latino veru = spiedo, senza negare l’influsso di gêr sul mutamento del v in g. Il Tommaseo spiega: «Viera lo stesso che ghiera, rammenta veru = spiedo:

          Pur uscì fuori, e con quella ruina
          Va che dalla balestra esce la viera

Boiardo, Orl. Inn., Libro III, Capo IV, 10,

nel rifacimento del Berni». In alcune terre delle Marche e di Romagna si dice verghetta, la vera = anello nuziale.

Vera incessu patuit dea: (Vergilio, Eneide, I, 405): al portamento apparve la sua deità. Così Venere se stessa, involontariamente, rivela ad Enea. Dicesi in lode di bellezza muliebre.

Veranda: vocabolo che gli inglesi tolsero dall’India e che si trova altresì ne’ diz. francesi. Indica una terrazza coperta o loggiato. Dal sanscr. veranda, da var = coprire.

Verba verba, praetereaque nihil: lat., parole parole e poi nulla (Cfr. Shakespeare, Amleto, II, 2: Words! words! words! e Orazio, Epistole, I, 1, 34: sunt verba et voces).

Verba volant, scripta manent: lat., le parole volano e lo scritto rimane. (Cfr. l’altro motto: carta canta e villan dorme).

Verbigrazia: dal latino verbi gratia, diceasi una volta invece di per esempio: oggi non si direbbe che in tuono faceto.

Verboten: ted., proibito: ricorre nei paesi tedeschi come avvertimento publico di ciò che è vietato. Ma a noi, italiani, amantissimi della maggior libertà, questo rigido teutonico verboten pare un eccesso pedantesco e però in senso faceto ricorre talora questa parola.

Verghetta: = anello nuziale (V. Vera).

Vergine: attributo di molte cose, non tutte notate nei dizionari: foresta vergine, vino vergine (non fermentato con vinacce), ed anche si dice la verginità di un partito, quando esso non ha ancora fatto l’esperimento pericoloso del potere.

Vergine Rossa: fu detta Luisa Michel, la nota comunarda francese. Dicesi per estensione di donna anarchica, che scende per le vie ad accendere la sommossa. Voce del giornalismo.

Vergissmeinnicht: V. Myosotis.

Verglacé: part. di verglacer, tradotto in vetrato, es.: rocce vetrate (V. Verglas).

Verglas: fr., è la pioggia diacciata, la brina, quella che in romagnolo dicono galaverna (cfr. l’antica voce calaverno). Verglas è parola tradotta da alcuni in vetrato (sost.). | Verglas pare derivi da verre e glace = vetro gelato (Diez) per la somiglianza che questo nevischio ha col vetro. Confronta la stessa parola in parmigiano vedergiazz. La parola nostra è nevischio.

Verismo: in arte, vedi Naturalismo. Come nome di nuova scuola letteraria ella è cosa, come al solito, francese (E. Zola), scimmiottata da noi in una serie stucchevole di romanzi, drammi e novelle, e fu di moda specialmente sul finire del secolo scorso. «Il verismo» così è definito da uno scrittore francese: c’est un naturalisme [p. 549 modifica] ou un réalisme allant jusqu’aux eonséquences extrěmes de son premier principe, 9, per dir meglio, è un realismo che non ama cogliere che uno speciale aspetto della realtà.

Verità rivelata: ciò che dalla Chiesa è ritenuto vero per virtú di rivelazione (V. questa parola).

Verità vera: è una ben curiosa locuzione! La chiosa è troppo facile, e si può lasciare a chi legge.

Veritas odium parit: V. Obsequium, etc.

Vermeil: fr., argento dorato. | Vermeil etimologicamente vale vermiglio.

Vermout e Vermouth: sono prevalenti scritture alla francese, in italiano vermut: secondo i toscani vermutte, nota specie di vino bianco medicato. Neologismo tolto dai francesi che lo tolsero alla lor volta dal tedesco. Wermut = assenzio, radice contro i vermi? (Secondo il Kluge op. cit. è voce di origine incerta). La fabbricazione del vermut è fatta specialmente in Piemonte e forma oggetto di notevole esportazione.

Vermout d’onore: vermut dato per onorare publicamente ospiti o personaggi (V. Vermout).

Vernio: antico e bell’aggettivo (vernereccio, bacìo), vivo in alcuni dialetti e campagne, come opposto di solatio (cioè verso tramontana).

Vernissage: si chiama in Francia vernissage la visita di un’esposizione di belle arti alla vigilia della sua apertura ufficiale, visita alla quale non sono ammessi che pochi e privilegiati invitati. Parecchi decenni addietro i pittori dipingevano su tele con imprimitura ad olio e allora, ad opera finita e ben asciutta, vi si passava sopra una mano di vernice trasparente. Quest’operazione si faceva alla vigilia dell’apertura della esposizione, perchè per lo più le opere, finite appena pel giorno della consegna, mancavano della vernice, onde il nomo di verniciatura (vernissage). Ma dacchè è prevalso il sistema di dipingere su tela preparata a gesso, su tavolette, etc. etc., la verniciatura dell’opera non è più necessaria, tuttavia perdura l’usanza della ammissione preliminare nelle sale della esposizione dogli artisti-autori di persone privilegiate, e questa visita conservò il nome di vernissage.

Ver rongeur: voce del gergo francese, vale il cocchiere preso ad ora. (Rode, nell’attendere, la borsa del cliente).

Ver sacrum: lat., primavera sacra. Voce storica che significò il voto presso gli antichi popoli italici di sacrificare agli Dei tutte le primizie dell’anno. Gli uomini che erano così sacrificati, si mandavano, come getto o pollone, fuor de’ confini per formar nuova patria.

Versaiuolo: è detto familiarmente e per ispregio dei fabbricatori di versi. NB, La passione del comporre versi è un’antica e ben nota forma di malattia intellettuale italiana.

Versamento: dicesi dei pagamenti che vengon fatti presso le Banche mediante distinta nella quale vengon specificate le valute. Dicesi pure degli esattori per le somme dai medesimi riscosse, e che vengono versate ai tesorieri. Dal fr. versement, e perciò notata dai puristi, i quali consigliano pagamento: ma versamento pare oramai voce tecnica nei sensi su detti.

Versante: è voce tecnica per indicare le linee di displuvio di una catena di monti (spartiacque o crinale montano). È neol. tolto dal fr. versant. I puristi consigliano pendio, declivio, acquapendente, ma i geografi seguitano a dire versante ancorchè il Rigutini avverta essere «voce inutile, introdotta non per arricchire, ma per impoverire la lingua». Scommetto però che anche la Crusca, quando arriverà al V, dovrà registrare questa parola.

Versascioltaio: voce letteraria, coniata dal Baretti in ispregio dei frugoniani, ultima maniera arcadica, terribili facitori di versi sciolti: così pure è del Baretti sotto il pseudonimo di Aristarco Scannabue nella sua Frusta Letteraria, la parola pastorelleria, contro lo svenevolezze dell’Arcadia (Cfr. la famosa opera del Settecento Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori).

Versione: por narrazione di un fatto con speciale interpretazione, spiace ai puristi. È infatti dal francese: version = maniere de raconter un fait.

Verso: propriamente verso-folio. Gli [p. 550 modifica]antichi libri si usavano numerare a carte, non a pagine, come oggidì, perciò si diceva verso la seconda pagina, non numerata. Voce dei librai e bibliofili (V. Retto).

Vertenza: «sebbene sia formato da uno dei sensi del verbo vertere = pendere in giudizio, pure non è bello usarlo per lite, questione, piato» (Rigutini).

Vertigine: come termine medico, è sindrome determinata specialmente dal senso della instabilità nello spazio rispetto alle cose circostanti.

Verum scire est per causas scire: lat., il vero sapere è il sapere conoscendo le cause. È motto abusatissimo, che ricorda il vergiliano felix qui potuit rerum cognoscere causas (riferito a Lucrezio) Ma di chi è? motto baconiano? leibniziano?

Verve: voce francese, frequente ed abusiva per brio, calore, anima (dell’artista, del poeta, dell’oratore). Verve, dal lat. verva = testa di montone, indi capriccio architettonico? (Cfr. l’etimologia della parola nostra capriccio, da capra).

Verza: (da verde) in Lombardia e nell’alta Emilia dicesi per cavolo. Il Petrocchi, che si attiene al puro fiorentino, ha verzotto, che è appunto il cavolo verzotto con foglie grandi verdi e cesto a palla, o cavol cappuccio. Cappuccio appunto a Venezia e a Napoli. Bròccolo, tanto in Lombardia come in Romagna e in molte altre parti d’Italia è chiamato volgarmente il cavolfiore, appunto da brocco, onde brocca, broccato etc. Molti diz. spiegano broccolo semplicemente per tallo del cavolo o della rapa.

Verzellino: piccolo uccello dell’ordine dei Coracorniti, della famiglia dei fringuelli, Serinus hortulanus, detto anche Serino, Crispolino, Verdolino, Raperino.

Verziere: lat. viridarium, voce antica per giardino e in tal senso fuori d’uso: è rimasta nel dialetto milanese per indicare il mercato delle erbe (verzèe).

Vescica sgonfia: locuzione piena di sapienza popolare per indicare quelle persone che altamente presumono di sè, e dall’esperienza vennero conosciute vuote di valore. NB. Le vesciche sorreggono il mondo, come le botti vuote i galleggianti, e più sono piene di vento, più servono. Talora però accade che qualcuna scoppi e si sgonfi e allora non ha più pregio.

Vespasiano: V. Monumenti Vespasiani.

Vestaglia: veste da camera per signora.

Vestale: (propriamente la sacerdotessa della Dea Vesta, vergini innupte): ironicamente e familiarmente talora si dice per meretrice, donna del giro.

Veste (aver): per avere autorità è «neologismo inutile quanto barocco» (Rigutini).

Vestis virum facit: lat., l’abito fa l’uomo, cioè l’essere è nel parere. Cfr. il proverbio siciliano: Scarpi, causuni e jiuppuni Ti fanno compariri baruni. E diceva Cosimo il vecchio come due canne di panno rosato facevano un uomo dabbene.

Vestito: raccolgo in breve sotto questo vocabolo, a cui spesso rimandai, nozioni che pur formando argomento di libri e di scritti vari, sono tuttavia più frequentemente cercate che facilmente trovate. La Rivoluzione francese (1789-1815) rivoluzionò il vestito. I calzoni lunghi, i colori prevalentemente scuri, il cappello a staio, la rigidezza del taglio sono frutti della civiltà borghese. Però cosa notevole: mentre fra due uomini, l’uno in marsina, l’altro in parrucca e spadino (secolo XVIII) il distacco è grande; una dama in abito odierno da ritrovo o da ballo non stonerebbe fra dame vestite all’antica. La donna non potè abbandonare la piuma, il colore vivace, la trina, lo svolazzo. Il così detto abito maschilizzato (abito tailleur) non indica una nuova tendenza, ma un comodo in alcuni casi e, forse, una raffinatezza. La sostituzione dei calzoni (si intende di quelli di stoffa) alla gonna non potrà prevalere se non in alcuni speciali casi di comodità pel moto ginnastico. La sottana è intimamente congiunta alla fisiologia e psicologia muliebre. Prima della Rivoluzione non sarebbe proprio dire che la Francia, che pur era maestra di ogni eleganza, avesse vera e propria moda. La moda (fr. mode, dal latino modus = cioè «uso passeggero, dipendente dal gusto e dal capriccio», inglese fashion) suppone la mutabilità della foggia e degli adornamenti. Questa mutabilità è cosa propria [p. 551 modifica]della civiltà nostra: prima della Rivoluzione i tipi erano relativamente fissi, mutavano lentissimi, seguendo il complesso stile del secolo. Confronta i costumi contadineschi che ancora rimangono in qualche nostra regione (Sardegna, Sicilia ad es.). Di queste mutazioni molta causa spetta alle necessità ed astuzie commerciali, molta alla tendenza borghese di emulare e pareggiare le classi privilegiate per censo e nobiltà. La moda propriamente detta comincia dal tempo del II Impero ed il famoso sarto Worth ne fu valido cooperatore (confezione di abiti fatti, stoffe e accessori, velluto, trine etc., in vendita presso il laboratorio del sarto, colori e tessuti, secondo il gusto). Della moda muliebre — vera scienza dell’arte del piacere — tiene ancora lo scettro Parigi: dicendo moda si intende moda di Francia. (Cfr. la piavola de Franza = il figurino). Vero è che tale impero è contrastato da Londra e da Nuova York: non sarà però facile spodestare quel popolo francese che sembra avere uno speciale senso nel culto, quasi feticista, della bellezza muliebre. Talora ci si domanda: Da chi è data la volubile moda? Spesso da veri artisti, spesso dal gusto o capriccio di donne mondane, attrici, artiste; spesso dal mero caso. Riunioni eleganti, sportive, cerimonie, teatri etc. servono ad esporre al giudizio una data moda. Accettata che essa sia, conviene, per chi non vuole trovarsi in arretrato, ricorrere a Parigi. Ciò sanno sarte e cuffiaie di provincia. Per quanto variabile, la moda trae dall’antico e deriva evolvendosi da modelli precedenti. In questi ultimi tempi un senso voluttuoso e squisito di colori, di stoffe, di linee, sembra, più che il capriccio, presiedere alla moda, deformando la linea anatomica di quel tanto che basti a sollecitare i sensi, argomento di geniale studio sarebbe il raffronto tra le tendenze estetiche dell’arte floreale e la moda muliebre: esaminare lo sforzo di dare alla figura muliebre una voluttuosa sembianza di efebo. Necessaria quindi con la cosa, la soggezione ai vocaboli francesi. Ma, fatto strano! mentre le nostro sarte e le nostro signore ripetono il vocabolo, quale esso sia, dei figurini, i cataloghi dei magazzini parigini per l’Italia, usano parole italiane e con sufficente precisione e rispetto alla nostra lingua. Inutile cura, o gentili francesi! Quanto alla moda maschile, domina il modello inglese, informato ad un concetto di igiene, di comodo, di praticità: da ciò deriva l’eleganza maschile nel vestire comune. Come seguire i mutevoli vocaboli, stranieri per la più parte, ma spesso modificati o dal capriccio dei sarti, o dallo snobismo degli eleganti e degli scrittori o dall’influsso delle voci nostrane, regionali? Fra i vocaboli ho notato quelli che mi parvero più stabili. Ecco una specie di elenco. I cappotti d’inverno, secondo le fogge e le stoffe, hanno questi vari nomi: Paletôt, Ulster, Palamidone, Raglan, Makferlane, Pipistrello, Talma (mantello a ruota completa, la capparella romagnola), Punch, Overcoat = Waterproof Rainproof, dall’inglese water = acqua, rain = pioggia e proof = prova, a prova di acqua; oppure Covertcoat, soprabito impermeabile: Overcoat = anche pardessus (dall’inglese over = sopra e coat =: abito: cfr. cotta), Spencer, per militari, Sport, soprabito largo, corto, elegantemente bizzarro, così dotto perchè di prammatica nelle riunioni sportive; Bismarck, specie di Ulster, ancora in uso presso i tedeschi, e così detto dal nome del famoso statista (V. Ulster); Chesterfield, soprabito lungo di stoffa color fantasia. L’abito da cerimonia, nero, chiuso a due petti: Stifelius, Redingote, e se di color rosso, come usa nelle cacce, Riding coat, dall’inglese riding = cavalcando (V. Redingote), Prefettizia, (nel Veneto), Financière, perchè usato all’estero da banchieri o finanzieri. L’abito a falde, solitamente nero: Tait, Dorsay, e con voce inglese Morning coat, se di stoffa color fantasia, da portarsi al mattino; Dining coat, e nero, da portarsi a pranzo; Craus o Kraus, Habit (Torino), Paltorino (Milano), Sciassa (Napoli). L’abito a coda di rondino: Marsina (specialmente per militari, diplomatici), Velada (Venezia), Frac (V. questa parola), Abito (per antonomasia, dal francese habit noir), Evening coat. Anche la Giacchetta [p. 552 modifica]a sacco è denominata inglesemente Sack; il giacchettino nero da conversazione, balli, teatri, Smoking (propriamente Smoking coat, V. questa parola. L’abito o muta di stoffa tutta di uguale colore, tout de même (V. questa parola). Il panciotto o sottoveste di vivaci disegni e tinte, gilet fantasia. I calzoni hanno anch’essi varietà di nomi, Panacehes o Breeches quando son corti (brache in fr. culotte) e di special foggia per gli eleganti cavallerizzi. Knickcer-bockers = smallclothes (i gambali di lana grossa per alpinisti e ciclisti che si portano con le brache). Infine Golf coat= abito pel giuoco del Golf; Yachting coat = abito negli esercizi nautici, etc. etc. Bisogna convenire che i nostri eleganti hanno anche loro una certa fatica da fare per imparare bene tutte le mutabili parole che l’Inghilterra, l’America, la Francia impongono.

Vetrioleggiare: verbo formato per imitazione del neol. francese vitrioler = gettare il vetriolo in faccia (forma di vendetta deturpante, usata talvolta nelle battaglie d’amore). Vitrioler, vitrioleur, euse = qui jette du vitriol pour aveugler ou défigurer par vengeance, sono in francese voci di gergo. In Napoli è a tale effetto in onore il colpo di rasoio sul volto, sfregio, sfregiare.

Vetrocromia: pittura sul vetro.

Vetterli: nome del facile italiano che fu adottato nel 1871: modificato nel 1887 secondo il sistema Vitali, oggi sostituito da più perfetto modello (per l’esercito attivo). Dal nome dell’inventore, Federico Vetterli, direttore della fabbrica d’armi di Sciaffusa (Svizzera).

Vettura Negri: fu propriamente nome di un’antica impresa di diligenze che faceva servizio da Milano a Saronno. Partiva dall’albergo Torre di Londra, in via Rovello. Divenne e rimase proverbiale per la lentezza, sopratutto, dopo l’introduzione delle ferrovie (Saronno fu unito molto tardi a Milano per mezzo della ferrovia detta del Nord, quindi la diligenza sopravisse per lungo tempo alle sue simili). Anche le altre comunicazioni attorno a Milano non erano rapide, di che è prova questa vecchia strofa:

               Il postiglion di Monza
               si chiama Trottapiano,
               impiega un giorno e mezzo
               per giungere a Milano.

Questa locuzione, estesa a significare lentezza grandissima, è nota anche fuori di Lombardia, certo per effetto del giornalismo milanese. | Altra locuzione, ma antica, di senso affine, e notata in ogni buon lessico, è il soccorso di Pisa. Ma non credo che tutti ne sappiano con precisione l’origine. Essa si riferisce al promesso e non mai mantenuto soccorso dell’imperatore alla ghibellina Pisa nella sua continua e fatal guerra contro Firenze, nel Cinquecento. «Massimiliano Re de’ Romani s’era messo in pensiero di calare in Italia, non tanto per prendere, secondo il rito de’ suoi predecessori, la Corona e il titolo Imperiale in Roma, quanto per ristabilire i diritti dell’Imperio Germanico in queste Provincie e recare a Pisa, continuamente infestata dai Fiorentini, quel soccorso che tante volte promesso, e non mai eseguito, fece poi nascere il proverbio del Soccorso di Pisa». Muratori, Annali d’Italia, anno di Cristo 1508.

Vexata quaestio: lat., questione agitata, discussa dibattuta, su cui si è detto tutto ciò che poteva esser detto senza che le parti contendenti si accordino, e perciò vale anche questione inutile.

Vi: abl. latino, per mezzo di violenza.

Via: nelle locuzioni via di fatto per violenza, percossa; via diplomatica per diplomaticamente; via amministrativa, per amministrativamente, etc. è estensione della parola, che spiace ai puristi: comune nell’uso (Cfr. il fr. voie de fait = coups donnés a quelqu’un).

Viabilità: stato delle vie, neologismo tolto dal francese viabilité: si riprende dai puristi, ma è oramai accolto nei moderni dizionari dell’uso, ed è voce di cui non sapremmo fare a meno.

Via crucis: la via della Croce, devozione cristiano-cattolica che si compie passando da una all’altra delle quattordici imagini che rappresentano le stazioni della passione di Cristo, onde nel linguaggio familiare via crucis vale andare da uno [p. 553 modifica]ad un altro per ragione di affari o di ufficio, con molto tedio, umiliazione e spesso poco vantaggio.

Via di Damasco (su la): vale su la via della conversione, dalla nota leggenda di Saulo (indi Paolo) il quale recandosi a Damasco per esterminare i Cristiani, fu da una visione indotto a quella fede di cui divenne apostolo meraviglioso.

Viadotto: cavalcavia o soprapassaggio di grande elevazione e solitamente a più arcate (ferrate, strade, canali).

Viaggiare col cavallo di San Francesco: vale andare a piedi e si dice lepidamente. Locuzione familiare, dedotta dal lungo e paziente peregrinare a piedi dei frati francescani, come puoi vedere dalla lettura dei Fioretti di S. Francesco.

Viatico: nel gergo dei giocatori di Monte Carlo, fr. viatique = indemnité de retour accordée aux joueurs décavés par l’administration des jeux de Monte-Carlo. (Delesalle, op. cit.).

Vibice: lat. vibex = livido. Termine medico: linee da prima rosse, indi bianche e perlacee, dall’aspetto di lunghe cicatrici che solcano la pelle quando essa è sottoposta ad esagerata tensione (addome delle donne incinte). Smagliature.

Vibrante: un mot qui a été adopté avec enthousiasme est le mot «vibrant». Des cordes de l’instrument, il n’a fait quun saut au coeur de l’homme; L’ancien «passionné» est devenu «vibrant», così Loredan Larchey nel suo Nouveau Suppl. du Diction. d’Argot; e come vibrano i francesi in arte, in amore etc, così per riflesso vibrano i nostri scrittori che vanno per la maggiore. Alle donne scrittrici questa metafora — io non so per qual causa — pare specialmente cara. Abusato è pure l’aggettivo vibrato, invece di forte, violento, energico, etc. Es. un discorso, una protesta vibrata.

Vibrato: V. Vibrante.

Vibrione: nome generico di bacterio (propriamente il bacterio vibrante, mobile), usato estensivamente in senso morale per sanguisuga, succhione, parassita, sfruttatore del denaro publico (il sangue di Pantalone).

Vichy: vale acqua di Vichy, nota acqua minerale (dal nome della città di Vichy in Francia). In Italia vi corrispondono per i benefici effetti le acque di S. Pellegrino. Comuni le Vichy artificiali.

Viciniore: comparativo mal foggiato a simiglianza di maggiore, peggiore, etc. Antico termine curiale. Es. Il pretore viciniore = più vicino.

Vicisti Galilaee!: o Cristo, hai vinto! parole che la tradizione attribuisce in morte all’imperatore Giuliano l’Apostata (V. Gaetano Negri, Giuliano l’Apostata). Si dice nel riconoscere l’altrui vittoria.

Victoria: carrozza signorile a quattro ruote e due posti, con mantice, dietro: bassa di predella, con molle leggerissime e perciò assai adatta per signore. La parola è inglese e francese, e prevale nell’uso alla forma fatta italiana, vittoria.

Victrix causa Diis placuit, sed victa Catoni: famoso e bel verso eroico di Lucano in lode della magnanimità di Catone che antepose la morte al sottomettersi a Cesare (Farsalia I, 128). «La causa del vincitore (Cesare) piacque agli Dei, quella del vinto (Pompeo) a Catone». Certo l’ebbe in mente Dante quando nel Purgatorio elevò a tanto umano valore Catone. Si ripete il motto a conforto di magnanimità sfortunata.

Videbimus infra: lat., vedremo frattanto, e dicesi con intenzione parlando di cose sospette che debbono essere giudicate dalla loro fine.

Video meliora proboque: deteriora sequor: nota sentenza d’Ovidio (Metamorfosi^ VII, 20, 21). Veggio ’l meglio ed al peggior m’appiglio. Petrarca (nella canzone numero XXI, ediz. Mestica, numero XVII, ediz. Marsand), ed il Foscolo {Il propizio ritratto):

Do lode

alla ragion, ma corro ove al cor piace.

Sentenza, oramai di sapore di scuola.

Vidimare: per autenticare, è giustamente detto dal Tommaseo «inutile gallicismo», vidimer = terme de pratique: il est maintenant fort peu usité (Diz. de l’Académie fr.). Da noi è tanto dell’uso che ogni dizionario lo registra.

Vieil-argent, vieil-or: benchè vi siano [p. 554 modifica]le voci oro antico, argento antico, molti, in certo linguaggio, antepongono la parola francese perchè più corrente a loro giudizio e perchè con essa omettono il vocabolo «colore»; e così dicono: «una stoffa vieil-or, un braccialetto vieil-or», e simili.

Vieni de paraître: formula libraria, di recente publicazione, o novità, usata specialmente nel!’annunciare al publico le opere francesi.

Viera: questa antica voce italiana che qualche dizionario colloca tra le parole fuori dell’uso, vale fra i tecnici e meccanici come ghiera, cioè anello saldato o forzato entro o fuori di un tubo: in fr. virole. (Per l’etimologia di viera, V. Vera).

Vierge {’pettinatura alla): V. Bandeau.

Vieux garçon: fr., vecchio scapolo (Cfr. la frase dialettale romagnola, giovane antico) V. Celibatario.

Vieux marcheur: locuzione di gergo francese, vecchio galante, che corre ancora dietro alle donne.

Vignetta: per figura, disegno, riprendesi dai più rigorosi puristi (fr. vignette da vigne). Voce sancita dall’uso.

Vilayet: (voce araba che vale comando) provincia, retta da un valì: divisione amministrativa in Turchia: è partita in sangiacati (in turco vale bandiera), cioè circondari, retti da un sottoprefetto, mutessarief. Nei nostri giornali prevale la scrittura francese (sandjak, sangiac).

Villa: nelle città dell’Italia meridionale e della Sicilia questo nome è dato al giardino del publico passeggio.

Vil maggioranza!: famosa imprecazione del Carducci, e sincera come polla d’acqua montanina, ancorchè l’origine sia subbiettiva: il publico, oltre alle molte critiche di carattere politico all’Ode alla Regina, aveva interpretato la parola penna, nel verso:

con la penna che sa le tempeste

per la cannetta o penna d’oca per iscrivere. «Ah vil maggioranza! A te il suffragio universale e tante scatole di penne di ferro quante servano a scrivere altrettanti romanzi che t’appestino e muoian con te. Ma strofe a te mai! Sciagurato il poeta che pensi a te! Da lui la strofa alata rifugge su penna d’aquila o d’usignuolo cantando Odi profanum vulgiis et arceo». Eterno femminino regale, in fine.

Vim vi repellere: lat., respingere la violenza con la violenza (massima fisica e giuridica).

Vinaigre: in francese vuol dire letteralmente vino agro, acido, cioè quello che noi diciamo aceto. Ma gli aceti aromatici, profumati o medicati sono talvolta insigniti del nome francese. La forma francese conferisce nobiltà: solito triste caso!

Vino brulè: V. Brûlé.

Vino cotto: usa ancora nelle Marche. Si ottiene aggiungendo alla massa del mosto una certa quantità di mosto concentrato con la bollitura.

Vino di bosco: è così chiamato il vino di Comacchio, così detto dal bosco; nome dato alle selvagge dune che dividono il mare dalle valli, coltivate con speciale vitigno che porge un vino rosso, di forte sapore, ricco più che per alcole, per materie coloranti e tannino. Mi fu assicurato essere vitigno originario di Borgogna, ha infatti sapore di quei vini francesi.

Vinolina: miscuglio di materie coloranti in rosso, derivate dal catrame, usato per colorare fraudolentemente i vini.

Vin santo: vino spiritoso di tarda beva e di accurata preparazione con uve bianche perfette, come il trebbiano, la malvasia, etc; tipicamente aromatico e comune nell’Italia media e nell’Umbria. Usasi come vino per dolci e come tonico, press’a poco come il Marsala.

Violette: per violetta, profumo di viola, è voce francese usata talora, per vizio, nel parlare degli eleganti e degli ignoranti.

Violino di spalla: vale familiarmente facetamente primo aiutante, persona di fiducia, e anche sgobbone: locuzione tolta dal linguaggio musicale in cui è detto violino di spalla il primo violino dell’orchestra, che siede alla spalla destra del maestro.

Violle: nome di fisico francese vivente. In omaggio a’ suoi studi venne dato il nome di campione violle all’unità di misura della luce da lui ideata, la quale è la quantità di luce emessa in direzione [p. 555 modifica]normale dalla superficie di un centimetro quadrato di platino alla temperatura di solidificazione.

Virage: voce fr., letteralmente virata (V. Virare) voltata, usata nel linguaggio dello sport marittimo e terrestre, al quale la lingua italiana co’ suoi vocaboli paro inetta o indegna di assurgere.

Viraggio: voce francese (virage), da noi usata nel linguaggio fotografico per indicare il bagno d’oro o di platino che modifica in meglio la tinta della stampa fotografica e la rende più facile a conservarsi.

Virar di bordo: V. Virare e Revirement.

Virare: ter. mar., manovra con la quale si compiono evoluzioni con un veliero, e cioè quella con la quale facendolo girare di un determinato angolo per l’azione del timone e delle vele, si passa dall’andatura di bolina di un lato alla stessa andatura del lato opposto, ossia si cambia di mura. Nel linguaggio familiare questa locuzione è estesa nel senso di andarsene, mutare proposito, seguire altra direzione, fare un voltafaccia, e si intende per lo più ironicamente di persona cui minaccia o prudente consiglio confortano a questo.

Virata: term. mar., tempo o spazio necessario a virare.

Viresque acquirit eundo: acquista forza con l’avanzare, detto della Fama (Vergilio, Eneide IV, 175). Si ripete in ampio senso.

Virgola (bacillo): nome dato al bacillo che è agente specifico del Colera asiatico: così detto dalla sua forma curvata a modo di virgola (vibrione), bacillo scoperto dal Koch.

Virtuosità: oggi significa in arte la padronanza della tecnica, che in certi casi finisce per costituire il merito principale e talvolta l’unico di un lavoro d’arte. In certi quadretti, in certe sculture l’autore fa dei miracoli di destrezza, di virtuosità. Sul finire del XVIII e per buon tratto del XIX secolo, almeno sino a quando il Rossini si impose con la sua autorità, i cantanti gorgheggiavano i pozzi più celebri facendo variazioni, ed eran detti virtuosi di canto: accortasi la gente dell’artifizio applicò il vocabolo in senso derisorio o per lo meno intendendo criticare. Credo che così sia invalsa la parola «virtuosità», la quale passò poi anche alle arti del disegno. Quando facciamo la critica di certe opere e diciamo che l’artista si vale della sua virtuosità, fa della virtuosità, non vi annettiamo certamente buon senso.

Virtuoso: V. Virtuosità.

Virtute duce, comite fortuna: (Cicerone, Epist. ad Famil. X, 3, con la virtù per guida e con la fortuna per compagna). NB. è detto di grande sapienza, giacchè la Virtù, quando è sola, fa poca strada; sosta nel famoso pozzo insieme alla Verità.

Virulenza: (lat. virus = veleno): stato di un microbio o di una tossina capace di determinare nell’organismo dell’uomo o dell’animale degli accidenti patologici. Virulenza moralmente vale manifestazione violenta e maligna di nimicizia. Equivale a veleno, fiele, es. C’è del veleno (virulenza) nelle sue parole.

Virus: lat., veleno. Voce già usata per intuizione dai medici, prima della scoperta dei microbi patogeni per indicare gli agenti dell’infezione (avvelenamento). Virus, ricorre anche in senso morale.

Vis-à-vis: in francese è tanto preposizione = di fronte, di rimpetto, come sostantivo, detto di persona che sta o siede di fronte. Es. Il mio vis-à-vis; e in questo senso ci fu uno scrittore manzoniano che escogitò un dirimpettaio. Pezo el tacon del buso! È più facile chiamar vis-à-vis un «sudicio francesismo» (Fanfani) che espellerlo. Vis-à-vis è anche in tedesco. Mal comune, mezzo gaudio! Vis à vis è pur nome di vettura, a quattro ruote con due sedili uguali e di fronte.

Vis comica: questa locuzione così comune ed efficace, forza comica, potenza dramatica, si è formata da un’errata interpretazione ortografica dei seguenti versi latini (P. Terentii Vita, ex Suetonio):

     Lenibus atqe utinam scriptis adiuncta foret vis,
     comica ut aequato virtus polleret honore
     cum Graecis.

La parola vis = forza, sta sola, e l’aggettivo comica si congiunge a virtus, così che il pensiero è questo: se in Terenzio [p. 556 modifica]alla gentilezza si fosse aggiunta la forza, l’onore della commedia latina sarebbe pari alla greca commedia. Invece vis venne unito a comica, onde il felice errore.

Visione: nelle locuzioni prendere, dare visione (di atto o documento) è fra le più spiacenti e comuni maniere del gergo curialesco e degli uffici. «Nessuno, neanche di quelli che spaccian per povera la lingua italiana, dirà che queste maniere sono necessarie». Così a buon diritto il Rigutini. La spiegazione più plausibile che se ne può dare è che il gergo curialesco ha bisogno di frasi fatte e che esprimano in modo non comune le cose più comuni: in cotesto la goffaggine ha buon passaporto.

Vis medicatrix naturae: lat., la forza medica che è nella natura, antico termine, universalmente usato per indicare i poteri difensivi dell’organismo. Ad es., le papille nasali che fermano il pulviscolo atmosferico; i fagociti, cellule che si impadroniscono degli agenti patogeni; la compensazione nei mali cardiaci, etc.

Viso aperto (a): difendere a viso aperto, cioè con fermo coraggio, senza umano rispetto o paura, è viva locuzione (quasi frase fatta per il suo uso anche fuor di proposito), tolta dal canto di Farinata, Inf. X.

Vissere!: forma vezzeggiativa e affettuosa del dialetto veneziano; viscere mie! cuor mio!

Vissuto: come attributo di opera letteraria, es. un libro, un romanzo vissuto, vale realistico, ed è neologismo tolto dal neologismo francese vécu: un roman vécu, c’est une oeuvre vraie qui dépeint les scènes et les moeurs dans toute leur réalité contemporaine.

Vistare: neol. del linguaggio burocratico, vale munire del visto un documento, un atto. Voce ripresa dai puristi: non è dal fr. viser, ma da visto.

Vitam impèndere vero: lat., sacrificare la vita alla verità, (Giovenale, IV, 91). Fu motto del Rousseau.

Vitanda est improba Siren, desidia: bisogna fuggire l’infingardaggine, triste Sirena (Orazio, Satire, II, 3, 14, 15).

Vitrage: per vetriata, voce francese usata talora abusivamente.

Vittoria di Pirro: vittoria effimera, di apparenza e non reale come appunto quelle che Pirro re di Epiro confessò di aver vinto contro i Romani. Battaglia di Ascoli, 278 av. C.

Vittoria tattica e Vittoria strategica: voci del linguaggio militare: la prima equivale a vittoria parziale nell’esecuzione di un piano, la seconda implica il buon risultato dell’intero piano di guerra.

Vivaddio!: esclamazione comune; qui notata perchè nei dizionari di solito è omessa.

Vi vel fraude: lat., con la violenza o con l’inganno. Antica distinzione del doppio modo con cui si può offendere altrui (V. Cicerone, De officiis).

Vivere e lasciar vivere: nota sentenza. Rende assai bene l’anima nostra italiana, gentilmente amante di libertà per sè e per altrui. Trasportata come norma di vita publica, produce i belli effetti che tutti sanno, ed è indice della scettica nostra acquiescenza al male, tutta a vantaggio dei tristi (V. Giusti, Il Papato di prete Pero).

Vivere est militare: lat., vivere vuol dire combattere (Seneca il giovane, Epist. XCVI, 5). Confronta Giobbe (VII, 1): Militia est vita hominis super terram. Verissimo! V’è però chi milita da generale e chi da fantaccino, e questa è nuova chiosa.

Vivere si recte nescis, decede peritis: se non sai l’arte del vivere, ricorri a chi ne è esperto (Orazio Epist., II, 2, 13).

Vivisezione: dal lat. vivus = vivente e secare = tagliare, indica quegli esperimenti o quelle operazioni che si praticano su animali vivi, allo scopo di stabilire il funzionamento degli organi, od il valore di atti operativi: trasportata come al solito, nel senso morale per esame, indagine. Es. la vivisezione del pensiero, riprendesi dai puristi.

Vizir o visir: titolo d’onore dato in Turchia ai pascià e specialmente ai componenti il Divano o consiglio del Sultano. Onde gran Vizir il primo ministro dell’Impero.

Vlahov: liquore stomatico (V. Fernet).

Vlan: voce di gergo francese per indicare il sommo dell’eleganza = chic, pschutt (V. queste parole). [p. 557 modifica]

Voce: parola del linguaggio amministrativo. È l’unità elementare nella quale viene diviso, discusso ed approvato il bilancio di un’azienda publica.

Voci bianche: quelle dei fanciulli e degli eunuchi, per imitare il metallo della voce femminile. Famose le voci bianche della Cappella Sistina, oggi abolite.

Voglio: tresette in quattro (V. Terzilio).

Voil: velo, e si dice altresì di un tessuto leggerissimo di seta o di lana che serve per abiti da signora; specie di tulle.

Voilà l’ennemi!: ecco il nemico, dicesi enfaticamente; ma il motto completo è et le cléricalisme? voilà l’ennemi! espressione di Adolfo Peyrat, uomo politico e giornalista francese, riferita dal Gambetta in un discorso del maggio 1877.

Voilà tout: in certo linguaggio, specie de’ giornali, questa formula francese conclusiva dopo una dimostrazione sembra più efficace delle equivalenti nostre. Piccoli segni di grande miseria!

Voivoda: parola jugoslava, vale duce, signore: titolo che si dava ai principi della Moldavia, della Valacchia, della Transilvania ed ai governatori delle province in Polonia.

Volano e volante: sono ambedue voci ottime e registrate (V. Tommaseo), tanto per indicare in meccanica quella ruota che regola il movimento (fr. volant, ingl. fly wheel, ted. Schwungrad) come per indicare quel noto giuoco o trastullo da bimbi.

Volant: striscia di stoffa, ripresa a pieghette, che serve ad ornare la parte estrema degli abiti da signora, tende, cortinaggi etc., frappa, gala (V. Manteau).

Volapük: = lingua del mondo, composta artificialmente con elementi latini, tedeschi, inglesi etc. dal poliglotta Schleyer un curato di Costanza, e proposta come lingua universale. Ebbe una certa voga e fortuna per il passato. Della possibilità di un idioma universale artificiale non è qui il luogo di discutere. Il fenomeno del linguaggio è così strettamente congiunto al preponderare di un popolo, e parte così essenziale della sua anima che privarsi del suo idioma equivale al deliberare la propria morte. D’altra parte esistono lingue universalmente note, come il latino, il francese, l’inglese e per le voci scientifiche, filosofiche, tecniche si viene formando spontaneamente e naturalmente un vocabolario di voci internazionali. L’effimera vita del Volapük può essere di ammaestramento ai sostenitori di tale utopia.

Volata: nel linguaggio ciclistico, l’ultimo scatto per arrivare al traguardo. Una bicicletta in volata vale in gergo, rubata.

Vol-au-vent: vocabolo della cucina francese: pasticcio caldo di pasta sfogliata, con entro un fine intingolo di carne o di pesce. Il nome deriva dalla leggerezza della pasta, quasi «che vola al vento».

Volenti nihil difficile: (V. Volli, etc).

Volere è potere: noto titolo di un libro morale didattico (1869) di M. Lessona, informato sull’opera Selfhelp (1859) di Samuele Smiles, e, come titolo, influsso forse, del lat. volenti nihil difficile e del volli, e volli sempre, e fortissimamente volli dell’Alfieri (Lettera responsiva a Ranieri de’ Calsabigi). Questo volere è potere è oramai frase fatta e di consumo scolastico in ispecie. Confronta per la verità la ben più profonda sentenza di Dante (Purgatorio, XXI, 105):

Ma non può tutto la virtù che vuole;

col quale s’accordano la psicologia e la fisiologia.

Volere o volare: locuzione nostra familiare, efficace e bella per la simiglianza dei suoni e la dissomiglianza dei sensi: per forza, anche contro voglia.

Volgare illustre: o cardinale, aulico, curiale, cioè la lingua italiana ricercata da Dante, qual fiore dei dialetti italici (Cfr. il libro De Vulgari Eloquentia). Locuzione letteraria.

Voli d’Icaro: (V. Icaro).

Volizione: terni, filos., atto della volontà, la determinazione da parte di se stesso ad un fino psichico. Volition è voce ingl. e fr. e tedesca, = Wollen.

Volli, sempre volli, fortissimamente volli: sentenza alfieriana, alquanto modificata dall’originale. (Vedi Volere è potere).

Volo: nel gergo dei giornali accade talora di leggero ad es. il volo di trentamila lire, il volo di una collana, il volo di una cassaforte. Ciò non vuol dire [p. 558 modifica]che questi oggetti volino; hanno però messo delle ali simboliche, cioè sono scomparsi per effetto di furto. E dicendo volo, pare si intenda che quegli oggetti non torneranno più al luogo natio. Un purista scrupoloso potrebbe in questo volo veder balenare il fr. vol = furto. No. Tanto è vero che familiarmente si dice che la roba mette le ali, per dire scompare (Cfr. Volata e cfr. pure Ignoti ladri).

Volt: sotto questo trasvestimento si nasconde Alessandro Volta, il grande fisico nostro (1745-1826). Il suo nome dai congressi scientifici fu onorato col diventare misura di unità di potenziale: ma ha dovuto pagare il pedaggio di un’a. Che quell’a secchi agli stranieri, capisco; ma che noi italiani, imitatori incorreggibili, deformiamo il gran nome, capisco poco, anzi troppo. Io credo che se noi dicessimo volta, gli stranieri rispetterebbero la nostra pronuncia. Anche da noi usa il plurale all’inglese, volts.

Volta: (V. Volt).

Voltaggio: dall’ingl. voltage. Voce di elettrotecnica: indica il numero dei volta (potenziale elettrico).

Voltaire: è detto in molte parti d’Italia quel merletto che copre le spalliere delle poltrone. Ora in francese questa parola non c’è in tale significato, ma si dice voile de fauteuil. Da che può esser provenuta questa parola? Probabilmente da fauteuil à la Voltaire, nota specie di poltrona con spalliera e bracciuoli imbottiti, detta anche duchesse. Secondo altri si dissero cotesti veli voltaire, perchè conversando con la signora di Chateauneuf, il filosofo pose un pizzo sul dorso della poltrona per adornarla. Comunque sia, questo merletto nel dizionario del Carena è chiamato capezziera e nel Rigutini (Appendice al Voc. della lingua parlata) capiera, due parole che non intesi mai adoperare. NB. Del resto il numero delle parole pseudo-francesi coniate in Italia, ma non usate in Francia, è abbastanza ragguardevole per non porgere argomento di qualche pensosa considerazione, la quale può il lettore trovare nella Prefazione o può fare da sè, ove ciò voglia e sappia. A voltaire aggiungi: notes, tout de méme, o tout même, vino brulè, vitello tonnè, zuppa alla santè, marbrè, compteur (l'orologio che conta il gas o contatore), etc; tutte parole a suo luogo notate e con giusta chiosa. Vedi anche ciò che è detto alla parola Obice, tradotto erroneamente dall’obus francese, in vece di bomba o granata.

Voltar la giubba o il mantello o la casacca: locuzione nostra familiare, vale mutare bandiera, fare un voltafaccia, specialmente in politica.

Voltèr: V. Voltaire.

Volterriano: seguace delle idee del Voltaire, cioè razionalista, materialista, ateo, spirito critico e satirico, etc. Voce oggi caduta in qualche oblio, ma usatissima un tempo fra noi per significare con disprezzo quelli che non erano troppo ligi al trono od all’altare, e più o meno fortemente risentivano dell’influsso della Rivoluzione di Francia.

Voltimetro o voltometro o voltmetro: termine di elettrotecnica: indica il galvanometro destinato a misurare in unità volta una differenza di potenziale elettrico.

Vom Fas: anche nelle borgate nostre, presso il confine svizzero, si legge questa scritta tedesca alle mescite di birra: Bier vom Fass = birra di botte, cioè birra fresca, conservata in fusti.

Von: prefisso nobilesco presso i tedeschi.

Vongola: nome vernacolo napoletano di mollusco bivalve, eccellentemente quivi ammannite a far zuppe e condire maccheroni.

Vota stringendo la terribii ugna: noto, e turgido verso del Monti (Basvilliana, I, 3), detto in senso faceto di chi non potè prendere ciò che agognava minacciando.

Vous l’avez voulu: (V. George Dandin, etc).

Vox clamantis in deserto: (Isaia, cap. XI, 3; S. Giovanni, I, 23) voce di chi parla nel deserto, cioè «avvertimento non ascoltato», onde la locuzione parlare al deserto.

Vox populi, vox Dei: voce di popolo, voce di Dio: stupenda sentenza popolare, se intesa con discrezione. Di probabile origine biblica (Cfr. Isaia, LXVI, 6), nè mancano fra i classici concetti consimili [p. 559 modifica](Omero, Odissea, III, 214, 215; Esiodo, I giorni e le opere, 761, 762).

Voyant: sgargiante, vistoso, detto specialmente di stoffe, abiti, etc. Voce francese, usata per vizio.

Vulcanizzazione e vulcanizzare: dal fr. vulcanisation e vulcaniser; preparazione della gomma elastica per mezzo dello solfo, così da ottenere un prodotto solido (Vedi Ebanite).

Vulgo: avverbio latino, comunemente, volgarmente.

Vuolsi così colà dove si puote: (Dante Inf. V, 25), cioè «in cielo, presso Dio», nota formula magica che Vergilio usa per frangere gli impedimenti dei demoni al fatale andare di Dante. Nel linguaggio comune vale, con rassegnazione faceta e filosofica, «dove si comanda», nel cielo cioè di coloro per cui l’ottenuto potere è uguale a volontà e legge, fas e nefas, che ordinano la pioggia e il bel tempo; e cui conviene ubbidire, l’eterno luogo

                                   dove nel muto
               Aere il destin dei popoli si cova.