Giudizi della stampa (Il libro di mio figlio)

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1891 Indice:Neera - Senio, Galli, 1892.djvu Letteratura Giudizi della stampa (Neera - Il libro di mio figlio) Intestazione 17 novembre 2022 75% Da definire


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GIUDIZI DELLA STAMPA


Neera. Il libro di mio figlio. — Libreria Editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani, Milano, Galleria Vittorio Emanuele, 17-80.

È un piccolo volume che contiene una gran missione moralizzatrice; è un libro che dovrebbe restare inciso nella memoria della generazione che sorge.

Tra il grettume in cui affoghiamo, tra la lotta per la vita nella quale anche i migliori vediam passare da una transazione all'altra e scendere giù giù fino all’ultimo scalino della disonestà; tra il ciarpame di frasi vuote, tra l’atmosfera attossicante di questa fine di secolo, bisogna aprire questo volumetto modesto per respirare largamente un’aria salutifera che rifa i polmoni.

Qui è la grande onestà immacolata che si impone anche a chi, per proprio tornaconto, la sconosce. [p. - modifica]

Vorrei donare ai lettori molti brani di questa vera opera benefattrice; ma a qual pro? Chi ha buon senso la acquisterà per collocarla sul proprio scrittoio, oppure tra i quadri dei santi e fra i libri di preghiera.

(Il Bersagliere).

Il concetto che potrebbe dirsi informatore di tutto il libro è quello di una coscienza autonoma.

Sollevare, allargare la coscienza individuale a grado a grado fino al punto da farle concepire e volere la virtù come necessaria alla propria felicità; accuire questa coscienza collo studio costante, sereno e coraggioso di noi stessi e degli altri; renderla vigile e sicura così da potersi governare da sè medesima senza bisogno di alcuna legge esterna, questo è per V autrice il fine supremo a cui deve aspirare la nuova generazione; questa la più grande conquista dei secoli avvenire.

(La posta di Caprino).

Quando una madre che si chiama Neera, parla a suo figlio, tutte le madri hanno l’obbligo di ascoltarla.

(Giornale delle donne).

Poche volte in questo genere di trattati etici ho veduto una così spregiudicata ricerca del vero.

V’è in questo prezioso libriccino una sapienza così pratica, così amabile, così persuasiva della vita, un tale felice contemperamento fra l’ideale di essa´ [p. - modifica] e la possibilità di raggiungerlo, che non pare l’opera di una donna, cioè di chi ha sempre un limite nella conoscenza della vita. Ho letto molti libri di tal genere. Alcuni di essi hanno uno sviluppo maggiore, sono più comprensivi, più minuti; ma hanno pure una freddezza ed una pedanteria scolastica. Nessuno — oso dirlo — contiene una intensità così concisa e così attraente, una giustezza più spregiudicata.

(Fortunio).

Tutta la preziosa sapienza che una mente superiore può imparare dall’esame continuo delle cose e degli uomini, è condensato nell’aureo libriccino scritto da Neera per suo figlio Adolfo.

Il libro non è fatto sulla falsariga degli educatori che hanno trattato i medesimi argomenti. Le cose vi sono dette con parole proprie, con osservazioni personali cólte dal vero e còlte dalla donna italiana più elevata per intelligenza e per sentimento.

Questo modesto volumetto è importante e parmi uno dei più preziosi prodotti dell’educazione moderna; ma bisogna leggerlo attentamente e considerare ogni periodo, ogni frase. Neera ha voluto fare una essenza concentrata dei profumi dell'anima.

Auguro di tutto cuore, per il bene della crescente generazione e per l'avvenire del nostro paese che si diffondano in tutte le mani libri d’oro come questo.

(Bios).

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Tra i libri di genere eletto — i libri che non si sfogliano distrattamente, abbandonandoli poi con indifferenza, senza avere sentito nello scorrerli nessun palpito, ma si leggono invece da cima a fondo col rimpianto di trovarli troppo brevi — va annoverato un libriccino testé pubblicato dai solerti editori Chiesa e Guindani: Il libro di mio figlio, di Neera.

Il titolo lo potrebbe far credere puramente didattico; invece è una raccolta di massime e di considerazioni le quali, dirette ad un giovinetto, tornano di lettura gradita anche e forse specialmente alle persone serie che desiderano di trovare nei libri quello che vi si incontra oggi così di rado: cuore e pensiero.

(La Tribuna).

Nel leggere il Libro di mio figlio ho provato la stessa impressione che molti anni fa provai alla ripetuta lettura delle due opere più utili di Samuele Smiles, ed ho pensato che così il primo come le seconde, possono essere di grande giovamento ai nostri giovanetti se si penserà a diffonderle largamente e sempre insieme nelle scuole e nelle famiglie. Dopo la meravigliosa accoglienza che ebbe in Inghilterra il Sely-help dello Smiles, molte opere dello stesso genere apparvero in Italia e alcune furono adottate come libro di lettura. Neera completa col Libro di mio figlio il compito di questi lavori. Ella mira allo stesso scopo, quello di spronare i giovani a formarsi un carattere, ma [p. - modifica]avvalendosi di un metodo inverso; ella va dalla sintesi all’analisi — e questa è sempre breve e succosa.

La virtù umana non sta solo nel lavoro o nella persistenza ad attendere alle proprie opere, fondamento della filosofia pratica inglese; il lavoro è una virtù grandiosa, una forza che innalza i popoli e che innalzando pure l’individuo ne irradia e ne purifica la coscienza. Ma ciò non è tutto il carattere. Il carattere è la somma di tutte le virtù, di tutte le attitudini, è l’istinto pensante dell’uomo.

Brevemente, gagliardamente, ma sempre con efficacia, la profonda conoscitrice della vita sviscera la psiche nuova dal lato morale, sul modo che questa si atteggia e si rivela come ente elementare del carattere e del popolo contemporaneo e per quel senso di scrupolosa verità che vibra ad ogni pagina dell’aureo libriccino, colpisce ed ammaestra.

Vorrei riportare qui l’intero capitolo dove Neera si scaglia contro gli scettici ed usa veramente la pietra infernale, senza misericordia, nello studiarli. Ma è meglio che i giovani, cui il libro è destinato, leggano da sè la cruda verità che l’arguta scrittrice mette a nudo in queste pagine, di cui a lettura finita vien fuori un’onda di sana idealità, di nobile moralità, qualche cosa che farà domandare a molti: «Ma siamo noi davvero galantuomini come l’autrice vorrebbe che fossimo?»

(Il Napoli).

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Il Libro di mio figlio di Neera è un volumetto sottile, elegante e semplice, una edizione Galli di squisito buon gusto.

In queste brevi, nitide pagine, è sintetizzato il carattere della scrittrice, della autrice di Lydia, di Teresa, dell’Indomani. Neera, come scrittrice ha una fisonomia morale specialissima. Non è in lei l’ottimismo, spesso convenzionale talora sentito, che predomina nella numerosa schiera delle scrittrici, l’ottimismo roseo di Cordelia, della Guidi, della Vertua-Gentile, l’ottimismo bigio della Marchesa Colombi, ma neppure è in lei il pessimismo delle maggiori autrici, il tetro pessimismo nel quale la Serao freme contenendosi, mentre la Bruno Sperani lo spinge fino alla reazione, al convincimento in un’era nuova, più civile, meno inumana, e più sincera.

Neera, che è della luminosa triade femminile artistica, per quanto riguarda l’arte ha il senso acuto della modernità, ma nell’animo suo molto ancor vive del vecchio mondo morale, mentre le idee nuove vi si sono pure infiltrate, e, quel ch’è curioso, vi si sono acconciate senza generar lotta, formando un tutto caratteristico, ben definito. Difatti, ne’ suoi scritti, non ondeggiamenti, non dubbi tormentosi, non aspirazioni vivaci di un ritorno al passato o di un nuovo stato di cose; ella, del vecchio e del nuovo ha fatto la base di saldi principii che onestamente e coraggiosamente professa, senza curarsi se sono in disaccordo da un lato [p. - modifica]con le idee conservatrici, dall’altro colle innovatrici. Non è puritana, bigotta anche meno; non rifugge dallo sviscerare le debolezze e le colpe umane, è anzi indulgente per esse, ma della indulgenza di chi vi è superiore; vedo il marcio della società, ma non osa, o meglio non vuole affrontare col pensiero e propugnare quelle riforme radicali, la di cui necessità dovrà imporsi col progredire de’ tempi.

I principii morali che traspaiono qua e là nei romanzi di Neera, sono stati da lei raccolti, coordinati, concretati per virtù di affetto materno, a profitto dell’unico figliuolo. Il Libro di mio figlio, dedicato da lei al figlio Adolfo, è un piccolo breviario per la gioventù.

Ben fece l’autrice ad avvertire nella prefazione che ella non conosce i numerosi filosofi e pedagogisti che la precedettero nell’argomento, che invero molte delle sue idee si trovano in essi esposte ed approfondite, ed altre giustamente scartate. Che questo volumetto sia frutto unicamente delle osservazioni e delle meditazioni dell’A., è un merito per lei e un titolo a renderlo anche più caro al giovinetto per cui fu composto, ma è un difetto nel valore intrinseco della operetta la quale avrebbe acquistato maggior pregio e maggiore utilità se le Idee proprie avesse l’A. posto al crogiuolo del confronto, e quelle degli illustri che la precedettero dall’antico Epitetto al Rochefoucault, ai modernissimi Smiles e Spencer, al Pestalozza, agli [p. - modifica]italiani Siciliani ed Angiulli — se le loro idee, dico, e le loro diverse dottrine ella avesse sottoposte al proprio esame, discutendole, confutandole, al caso applicandole al suo ambiente morale; così il suo lavoro sarebbe riuscito più profondo e più pratico.

Tale com’è pure una operetta pregevole e sana che merita essere diffusa tra giovani e considerata dalle madri e dagli educatori che hanno il compito di aiutarli a formare il cuore e lo spirito.

Vi abbondano ottimi precetti, acute osservazioni, virili consigli, e vi si trovano sparse idee veramente originali. A pag. 8, per esempio, ella dice come non i popoli divengano fiacchi per la tirannia di re, ma sibbene la subiscano perchè sono deboli. Più avanti ella fa sottile distinzione tra la fermezza e l’ostinazione che dice «il rampollo mal combinato della vanità e dell’impotenza; tra il sentimento che viene dal cuore, e il sentimentalismo, che è il frutto di fantasia morbosa; tra la carità ostentata e il vero amore del prossimo: tra la superbia, spregevole e meschino portato della vanità, e l’orgoglio, il nobile orgoglio ch’ella chiama argutamente «orgoglio intimo, orgoglio modesto». La qual definizione mi rammentò il pensiero che fermai nel mio taccuino molti anni or sono: — L’orgoglio viene dalla giusta intima coscienza del proprio valore morale; ma la vera modestia evita di farlo sentire agli altri, e di umiliarli con l’imporre una intera o parziale superiorità. [p. - modifica]

Lo trovo, invertito, in Neera a pag. 7: «La modestia dei grandi è una virtù molto apprezzata dai piccoli, perchè la loro vanità ne esce incolume.».

Noto nel libro qualche bello aforisma: «Ammiro l’indulgenza, essa è la virtù dei grandi e dei puri» (pag. 64). «Non dunque io ti dirò: Questo o quello è il vero; sibbene, cercalo» (pag. 59). Qualche assioma: «Che cosa è mai un briciolo d’intelligenza priva di carattere, se non un pallone vuoto, che il primo imbecille può gonfiare col fiato?» (pag. 98). «... il debole leggero si getta spensieratamente nel mondo; il debole prudente lo schiva; solo il forte lo affronta e ne esce incolume» (pag. 76). «La malafede verso le donne è tanto più codarda in quanto che, nella maggioranza dei casi, la vittima non può lagnarsi ad alta voce,» (pag. 116). Noto poi delle riflessioni importanti, come della necessità di una fede religiosa nelle masse — almeno per ora; ella dice: «Ma a questi poveri diseredati che cosa resterà se togliamo la loro piccola chiesa e il loro piccolo culto?... Che cosa daremo loro invece della pace del tempio, della solennità dei riti, della poesia di un amore sconosciuto e potente? Noi abbiamo le ricchezze, l’intelligenza, il sapere; essi hanno la fede!... Dicono anche gli innovatori: Conservare il popolo nella religione, è conservarlo nella menzogna e nell’errore.

Ma, di grazia, non è un errore che l’uomo con[p. - modifica]dannato a lavorare dodici ore al giorno, si cibi di pane ammuffito e dorma in un canile?

Si affrettino gli innovatori a togliere questo primo errore...».

Chiunque alla ragione accoppia il sentimento, dovrà plaudire a questo che io chiamerei ragionamento del cuore.

Concludendo: Il libro di mio figlio non è un trattato d’etica da stare in una biblioteca di scienze morali e pedagogiche; è come dice con criterio l’Autrice «un indice, un catalogo d’idee» scritto da una donna artista e di cuore pel figliuolo: «per insegnarti a pensare» com’ella gli dice.

Nella sua tenuità materiale è uno schietto libro, pieno di nobili precetti, vigoroso, denso di pensieri, dove si affermano l’energia del sentimento, l’integrità del carattere e il lucido ingegno dell’autrice di Teresa.

Padova, 6 Giugno 1891.

(Il Veneto).


Generalmente chi scrive massime o consigli ricerca l’eleganza della frase onde annoiar meno e invece riesce spesso ad ottenere l’effetto contrario. Il libro di Neera è scritto con una semplicità ammirabile, come veramente parlasse a suo figlio che sempre le stava nel cuore mentre essa vergava quelle pagine. Lo si legge quindi volentieri dal principio alla fine come si leggerebbe una novella, tanto più che le considerazioni seguono naturalmente, senza sforzo e senza interruzione. [p. - modifica]

A parer mio, Neera è riuscita assai bene in questa nuova forma ed ha il merito grande di aver rotto il ghiaccio perchè è il primo esempio del genere che abbiamo in Italia.

Nè credo errare affermando che questa è la miglior opera dell’insigne scrittrice, opera molto più profonda, molto più utile che non tutti i suoi ottimi e desiderati romanzi.

Una parola di lode — e se la meritano davvero — agli editori Chiesa e Guindani che hanno il primato in Italia per le pubblicazioni che oltre ad avere un reale valore letterario, ne hanno un altro per l’eleganza dell’edizione. Questo libro di Neera è un piccolo gioiello per la sua veste accurata e piccina quale l’autrice si era prefissa onde suo figlio, per cui particolarmente è scritto, potesse tenerlo continuamente con sè e consultarlo ad ogni giorno della vita.

Tunisi, 22 Marzo 1891.

(La Voce di Tunisi).


Ogni qualvolta mi trovo dinanzi un libro scritto da mano femminile, l’apro quasi con titubanza e se penso di doverne, dopo la lettura, scrivere le mie impressioni, mi si raddrizzano i capelli! Come potrò — penso io — liberarmi da quella certa cavalleria che deve accompagnare ogni gentiluomo allorché si trova in presenza di una donna; come potrò sciogliere il mio pensiero da ogni riguardo nell’esporre la propria opinione? Si sa, solamente [p. - modifica]la mano di Dio è esente dal fallire e una scrittrice, per quanto valente, per quanto ottima, non è mai perfetta. E dovrò io avere il coraggio di svelarne le pecche? Bisogna essere generosi con tutti e col sesso femminile principalmente; bisogna quindi chiudere un occhio sulle sue debolezze, altrimenti si corre rischio di essere chiamati screanzati. E se poi dovessi invece farne rimarcare esclusivamente i pregi? Oh! allora, non v’ha dubbio, sarei giudicato da tutti per un adulatore, per uno dei soliti ciechi ammiratori dell’eterno femminino.

Come si vede, il povero critico generalmente si trova a un bivio fatale allorchè deve dare il suo giudizio sul libro di una donna e pochi sono quelli che veramente si armano di coraggio e scrivono spassionatamente il loro giudizio senza veli nè scrupoli di sorta.

E si hanno questi fastidi sempre, sia che si tratti di una nuova scrittrice la quale per la prima volta si presenta al pubblico, sia che invece si abbia dinanzi un nome che siasi già acquistato un bel posto nella letteratura, ad un nome che siasi, dirò così, imposto alla critica. Perchè nel primo caso bisogna pronunziarsi e si va a rischio di essere in contraddizione con la maggior parte degli altri critici; nel secondo caso bisogna invece vincere quella specie di suggezione in cui trovasi generalmente un povero bibliografo oscuro benché uomo, al cospetto di una scrittrice valente e conosciuta benchè donna. [p. - modifica]

Ma io mi trovo invece dinanzi a un caso complesso, dinanzi a un libro di una delle più conosciute nostre scrittrici, ma che si presenta con una pubblicazione di un genere a cui mai prima si era dedicata; è una provetta scrittrice che tenta una nuova forma.

Neera, autrice di romanzi letti avidamente, apprezzati e ristampati in parecchie edizioni, per cui la critica unanime ebbe sempre parole di lode, ora ci offre un piccolo volume nel quale sono contenute molte osservazioni, molti consigli e molti sani principii, una specie di galateo filosofico, un vade mecum della vita.

Questo libro Neera ha dedicato a suo figlio Adolfo ed ella lo scrisse per insegnargli a pensare. Vi è dessa riuscita? Ecco quanto deve saper dire la critica attenendosi scrupolosamente alesarne di questo libretto, senza punto ricordare gli allori precedentemente acquistati dalla scrittrice in altri campi, con pubblicazioni d’altro genere che niente hanno a che fare con la presente.

Neera scrisse il suo libro per insegnare a suo figlio a pensare, ma avrebbe benissimo potuto dire: per insegnargli a vivere. Non è solamente l’educazione del pensiero che mi pare siasi proposto l’autrice, ma bensì tutta un’educazione morale dell’individuo, la formazione di un carattere ideale quale si vorrebbe da ogni saggia persona, ma quale invece non è possibile trovare su questa terra. Sono gli ideali di tutte le mamme che hanno dei bimbi [p. - modifica]da allevare ch’esse vorrebbero riuscissero perfetti, senza ricordare che in mezzo alle nequizie della vita è già molto se essi non cresceranno totalmente imperfetti.

Molte sono le battaglie da sostenere in questa vita, più quelle contro i nemici della nostra educazione, della nostra vita morale, che non quelli della nostra vita materiale. E la gioventù fragile e non sempre coraggiosa, facilmente si piega sotto il peso di tali nemici, spesso occulti, inavvertiti, ma appunto per questo maggiormente terribili. Questa verità, che stringe il cuore a tutti i genitori del mondo reale, deve pure aver penetrato seriamente il pensiero dell’autrice per dettarle le pagine di questo libro il cui scopo è di offrire a suo figlio e a tutta la gioventù una guida seria e ragionata per condursi nelle scabrose vie dell’esistenza.

Dissi guida seria e ragionata. Il libro di Neera non è difatti una delle solite accozzaglie di sentenze racimolate qua e là, di consigli vani — frutto di antiche letture di illustri filosofi. Niente di tutto questo. Sono cento paginette auree, sia per le verità indiscutibili che racchiudono, sia per la loro originalità.

Ed ha un altro pregio, questo libro — pregio tanto più apprezzabile in quanto che difficilissimo a riscontrarsi in simili opere — la semplicità con cui è scritto.

R. Costanzo.

Tunisi, 15 marzo 91. [p. - modifica]

Fra le numerosissime e recenti pubblicazioni che ognuno di noi, in redazione, ha sul proprio tavolo, in attesa di una recensione, a me è toccata la fortuna di avere quest’aureo libriccino, alla cui bontà intrinseca ed al cui intrinseco ed eccezionale valore rispondono in modo degnissimo e l’accurata edizione e la elegante e bellissima rilegatura.

L’Autrice ha pensato e scritto questo suo nuovo lavoro per il figlio suo Adolfo, al quale lo volle dedicato, proponendo di fornirgli in tal modo una specie di dizionario dell’anima al quale egli potesse ricorrere in tutti i casi dove non fosse ben sicuro di sè, e dove gli apparisse un aspetto nuovo della vita e degli uomini.

E bisogna convenire che l’Autrice è riuscita a meraviglia allo scopo che s’era prefisso, poiché Il libro di mio figlio è una piccola miniera di osservazioni, di consigli e di idee da ognuna delle quali appare l’immenso affetto di cui è suscettibile il cuore di una madre, quando è sorretto da un ingegno elevato e temperato da tutta l’esperienza che viene da una profonda conoscenza della vita.

Duolmi di non potere, per la solita tirannia dello spazio, occuparmi più a lungo di questa nuova pubblicazione, la cui importanza dal lato morale educativa, è davvero poco comune. Epperò credo di compiere un’opera buona consigliandone [p. - modifica]l’acquisto alle lettrici ed ai lettori del Secolo XIX, poichè si tratta di un libro dal quale molto v’è da imparare e da cui può trarsi, molto, ma molto profitto.

Firenze, 8 marzo 1891.

(Il Nuovo Monitore degli Impiegati).