Istorie dello Stato di Urbino/Libro Terzo/Trattato II

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Libro Terzo, Trattato II

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Trattato Primo - Capitolo XXIV
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TRATTATO II.


DI QUELLI HUOMINI

ILLUSTRI,

CHE SI HA PER COGNITIONE

ESSER IN DIVERSI TEMPI FIORITI

IN

CORINALTO.


DEL P.F. VINCENZO MARIA CIMARELLI

Maestro, & Inquisitore.


De gli Huomini Illustri, che hà prodotto Corinalto, de' quali si hà cognitione.


E
ssendo la Terra di Corinalto situata in così felice terreno, e coperta da un Ciclo altretanto benigno, non ha dubbio, che in ogni tempo habbia ella in ciascuna professione ingegni riguardevoli prodotti. Mà chi non sà, che nelle caligini cupe de i secoli antichi, per non haver havuto in quei tempi, chi con lo splendor delle penne sottrati ne gli havesse, anche le più famose Monarchie non hanno ottenuto, che tutti i loro fatti siano arrivati alla memoria de i Posteri? Questa è la cagione, che havendo io risoluto scrivere di coloro, che segnalaronsi nella mia Patria, e che splenderono stelle animate di quel terreno Cielo, non di tutti potrò portare in queste carte i gesti più singolari. E se di alcuni pochi ragionarò, che nell'età più antica furono gloriosi, servirommi delle note, che à caso di loro ne gli archivi ritrovate si sono. E dovendosi dare la precedenza al tempo, prima d'ogn'altro favelleremo di Nero Piccino, [p. 136 modifica]che fù di questa Patria dignissimo patritio, ricco assai, havendo nel Territorio havuto dieci grossi poderi, e nella feconda pianura della Staviola Contea confinante con Mondolfo, cento cinquanta salme di terreno, con infinito numero di Animali: nè havendo egli altri figli, che Cecilia bellissima di corpo, e di costumi, l’Anno del Signore 1294. la maritò ad Attilio figliol di Giacomo Fonti di Mineo, Luogotenente di Carlo Angiò Rè di Sicilia. Servissi Nero delle sue ricchezze alla difesa mai sempre dell’Apostolica Sede, contra le crudelissime persecutioni de’ Gibellini, e de gl’Imperatori Tiranni. Fatto indi Capitano de’ Guelfi, con ardire, e coraggio s’oppose à Manfredo Re di Puglia, che con violenza, e frode cercava d’occuparsi lo Stato Ecclesiastico, & della sua virtù con molta lode, non meno fuori della Tirannide fiera di Corinalto l’escluse, che di molti altri luoghi di quella vicinanza: anzi con l’aiuto delle fruttuose predicationi di S. Pietro Martire, ridusse del Sommo Pontefice all’obedienza la Patria, & all’essercitio del sacro, e divin culto. Si tiene anco probabilmente à questo medesimo effetto procurasse, che ivi à predicar venisse l’Angelico Dottore S. Tomaso d'Acquino, & che alle persuasioni del medesimo egli facesse la grossa, e nobil Campana di Santa Maria del Mercato formare, di cui ragionassimo sopra. Morì questo Illustre Capitano l’Anno della nostra Salute 1308. fece molti Legati Pij, e delle sue ricchezza instituì universal herede Cecilia unica sua figlia, e Pier Benedetto figlio di lei, ed Attilio, suo diletto nipote. Finì con la sua morte in Corinalto l’antichissima Casa de i Piccini, la quale credesi, che dalla distrutta Suasa trahesse l’origine.


A
ttilio Fonti di Mineo venne in Corinalto l’Anno 1294. mandato da Pier Benedetto Fonti suo fratello, Arcivescovo di Cosenza, per ivi riscuotere alcune ricche pensioni, che teneva de i beni Ecclesiastici in San Lorenzo in campo; le quali con l’Arcivescovato conferite gli furono da Martino Quarto Sommo Pontefice, ad instanza del sudetto Carlo Re di Sicilia. Et essendo Attiglio Cavagliero nobile non meno di sangue, che bello, e generoso di animo, potè affettionarsi Nero Piccino, il qual compiacquesi eleggerlo per suo Genero, e possessore di tutti gli suoi beni, dandoli in Consorte l’unica sua figliola Cecilia: e questo in corrispondenza di tanti segnalati favori, Cittadino fattosi di Corinalto, volle habitarvi per sempre. Il seguente Anno poi nascendogli un figlio, di commune consenso Pier Benedetto chiamollo, dal nome dell’Arcivescovo di lui fratello. Seguitò questo Illustre Cavagliere la fattione Guelfa, e prese l’armi più volte contro i Gibellini à difesa dell’auttorità Pontificia, e quelli debellati, assai fiate anche ne restò vittorioso. Morendo lasciò in uno de’ beni suoi, e del valore Pier Benedetto suo diletto figlio herede: & si [p. 137 modifica]come nel suo Testamento dispose, fù nella Tomba di Nero, dentro la Chiesa di S. Francesco sepolto; stimando à sommo favore in vita, che doppo morte le sue ossa riposassero con quelle del suo Benefattore congionte.


P
ier Benedetto Fonti figlio del sopradetto Attilio, e di Cecilia Piccini, fù huomo di generosi pensieri: Onde con l’ingegno, e con la propria virtù tanta fama appresso i Guelfi acquistossi, che fatto venne Capitano della loro fattione contro i Ghibellini, nel qual’officio mai sempre valorosamente à Nicolò Boscareto suo compatrioto s’oppose; quello per molti Anni della Tirannide fuori di Corinalto tenendo; mà divenuto con l’aiuto di Lodovico Bavaro il suo nemico potente, con lode somma della sua prudenza, egli cesse alla fortuna di quello e con i suoi ritiranosi alle Castella del Territorio, con frequenti scorrerie infiniti danni all’aversario facea. Finalmente ogni giorno più di Boscareto augumentandosi le forze, fù anche astretto cederli i Castelli: Dal quale uscito prestamente con tutti della sua fattione, andà in Mondolfo, & alla Stacciola, ove possedeva de’ suoi beni la miglior parte. L’Anno del Signore 1355. con l’aiuto del Cardinal Egidio Carilla, da Corinalto Boscareto scacciato, tornovvi con molto suo contento ad habitare. S’oppose gagliardamente (benche senza profitto) alla resolutione, che fecero i suoi compatriotti di ribellarsi alla Chiesa, & di darsi di Bernabò in potere. Uscì anch’esso con gli altri quasi dalla Patria ignudo, & ardente mirandola, pianse con amare lagrime l’esterminio di lei. Credesi ch’egli fosse quel saggio Cittadino nomato nell’historia, che persuadè i più vili della plebe Corinaltese, già disposti come disperati voler morire, alla fuga, & al desiderio di altrove la cadente Patria riedificare: come anche si tiene fosse uno di quelli, che impetrarono da Urbano Quinto il perdono al popolo disperso, e co’l favore de i Malatesti desse alla riedificazione di Corinalto principio. Si mutò in questo generoso Capitano il cognome di Casa Fonti; però che, quantunque egli fosse di valore Gigante, assai picciolo era di corpo, e dalla sua picciola statura, communemente venne Fontini chiamato, e di tal cognome tutti gli suoi discendenti s’appellarono poscia. Lasciò heredi Girolamo, e Francesco suoi figli, i quali non deviarono punto dal sentiero paterno, & in tutte le loro attioni honorate, mostrarono essere di si ricco Fonte abondanti rivoli. Quanto sin’hora di questi huomini famosi s’è detto, hò visto in un legalizato processo dell’Anno 1577. per le provanze della nobiltà di questa Casa, fatto ad istanza di Pandolfo, & di Livio Fontini: che il seguente Anno da Emanuel Filiberto nel Piemonte presero l’habito di S. Mauritio, e Lazaro, il quale appresso i principali di quella Casa conservasi [p. 138 modifica]


NN
icolò Boscareti Cittadino di questa Patria, cosi chiamato per essere di quella Famiglia (come si crede) che nella trasmissione delle Colonie da Corinalto, la Terra di Boscareto edificasse; della quale, insieme con Belvedere (come dall’Abbate Panormitano nella seconda parte de’ suoi Consigli raccogliesi) n’hebbe un tempo il possesso, fù huomo di grande spirito, & hebbe sempre nell’imprese fortuna grande, quantunque ardue. Et essendo della fattione Gibellina, mai sempre ad Attilio, à Gio: Benedetto Fonti, e ad ogn’altro dependente da Nero Piccino, s’oppose; e ricco essendo di generosi pensieri, ottenne per lo suo valore, fatto esser Capitano de’ Gibellini; con l’aiuto de’ quali, e del Conte di Chiaramonte Siciliano, inviatoli dal Bavaro, l’Anno 1327. lì 8. di Marzo, prese à forza Iesi, sopra cui stabilì co’l titolo d’Imperiale Vicario la sua Tirannide, e lo possedè molti Anni; onde nel possesso di quella ricchissima Città il suo potere crescendo; impadronissi di Corinalto ancora; di dove cacciò li Guelfi, & ogni co’l Sommo Pontefice collegato, indi per levar à loro il ricovero, tutti del Territorio i Castelli distrusse. Diede parimente con gran crudeltade la morte à Tano Baligani, Capitano de’ Guelfi in Iesi, & à quelli tutti, che alla sua parte adherirono: per lo che non fù egli tanto scelerato, & empio da i Guelfi tenuto, quanto illustre, e di eccelsi meriti da i suoi Gibellini partiali. Morì finalmente disperato, quando vide arder le Terre, ch’egli haveva fatto ribellar alla Chiesa, non men vecchio d’Anni, che di malitia. Lasciò in Corinalto Successori, i quali seguon’ancora (benche in bassa conditione) nella linea, e con l’antico nome alquanto diminuito, hoggi Boscarini s’appellano. Mà essendosi ragionato di esso altrove molto in lungo, altro non devo à questo breve compendio della sua male scorsa vita aggiungere.


E
rcole Alessandri nacque in Corinalto l’Anno del Signore 1368. e fù il primo, che’l popolo disperso ritornò da gli essilij. Fù Medico della prima Classe, & hebbe gran fortuna nell’arte: onde s’acquistò nome tale, che nel medesimo tempo da popoli diversi veniva chiamato. L’Anno 1427. trovandosi primiero Medico di Ravenna, diede con i suoi saggi consulti gran giovamento alla Patria, la quale nel mese di Giugno del detto Anno cominciò ad essere da una influenza d’Epedimia infestata, che durò per molti giorni; così raccogliendosi da certe lettere, ch’egli à Cittadini particolari amici, sopra di questi interessi, con molta eruditione scriveva, le quali sino al presente, in mano de gli suoi Descendenti conservavansi. Trovo che al pari di questo, fiorì nel medesimo secolo in lettere, mà specialmente nell’arte prattica Medicinale, Flavio Alessandri, che non sò se di Ercole sopradetto fosse nipote, ò figlio. Hebbe molte condotte in Città diverse dell’Umbria, e della Marca, essendo in ogni luogo accetto; come [p. 139 modifica]vedesi da certe lettere patentali di ben servito, specialmente da una data in Iesi lì 6. Aprile 1503. ove con molti degni encomi viene la sua virtù esaltata.


G
iovanni Camillo da Corinaldo si trovò in Magonza l'Anno 1442. quando Giovanni Cutè ritrovò le Stampe, & insieme con lui diede principio all'esperimento di esse in Argentina; & essendo egli dall'Inventore sofficientemente instrutto, l'istesso Anno passò à Napoli, ove per dare il saggio di si mirabil opera, piantò nell'Annonciata il Torchio, & havendo in un foglio di carta impressa una lettera, sotto forma di memoriale, volle, che si vedesse in publico. Dal popolo considerato l'artificio, e l'utile, fù l'Autore come celeste huomo riverito, & ammirato. Essercitandosi dunque nel detto esperimento, allevò discepoli, e molti Libri impresse, de' quali alcuni si vedono hoggi; singolarmente una Grammatica di grandezza mediocre, impressa in quarto, che in Napoli alle mie mani pervenuta, frà gli altri miei curiosi Libri si salva; ove non leggendosi altro nome, che del detto Giovanni da Corinalto Impressore, stimasi che il medesimo di essa il compositore ne fosse. Questo, non solo mentre egli visse fù dal Re di Napoli Alfonso di Aragona oltra modo honorato: mà insieme dopò la sua morte fè con gran pompa funebre sepelire il suo corpo in una Chiesa, presso al Mercato, & in marmi caratteri de i suoi elogij scolpire. Quanto di questo segnalato soggetto quì si scrive, notato vedesi dentro gli Annali di D. Felice Gravina, che in mano di Gio: Cola Mandini si conservano, & appresso di me autentica stà la copia, per mano di Gioseppe Caglia, Notaro publico di Napoli, estratta, procuratami da Gio: Antonio Piscugli, huomo di questa nostra età famoso in lettere. Et perche ne i secoli à dietro pochi usavano il cognome, di questo in Corinalto la Genelogia non trovasi: Onde una Casa in quella Patria da i meriti del medesimo illustrata, de gli honori dovuti defraudata resta. Sì che forsi per questo medesimo rispetto, lasciate in bianco furono le sue lodi dalla penna di Polidoro Virgilio, e di altri degni Scrittori, che pur non meno celebrar le dovevano, che fecero quelle di Corrado Tedesco, il quale alcuni Anni dopò, quest'Arte portò in Roma, e di Nicolò Gensone, che sotto il Principato di Agostino Barbarigo introdusse in Venetia.


B
orro Borri fiorì circa gli Anni del Signore 1447. fù molto trà Cittadini esperto, e di gran'animo, il qual mettendo in bilancio (anzi della Patria la salute preferendo alla propria) con gran coraggio entrò nella Fortezza, ove il Cattabriga Tiranno, s'assicurava: onde le prime guardie uccise, e gli altri congiurati Cittadini all'acquisto di quella introducendo, alla liberazione di Corinalto s'operò più d'ogni altro; il [p. 140 modifica]nome veramente di pietoso acquistandosi, con sempiterna gloria del suo valore invitto, & accrescimento di lode à gli suoi Descendenti. Nel medesimo tempo il Theseo, anch'egli d'animo generoso vivea, come fè chiaramente con le sue gloriose attioni palese; quando in faccia d'un sì crudele, e malitioso Tiranno (qual fù sempre in sua viva Cattabriga) seppe con stratagema sì raro tessere col subbio dell'acuto ingegno suo la sottile orditura contro di esso, & obrobrioso cacciarlo dalla Tirannide, riponendo in libertade la Patria.


A
ndrea Rogogolossi fù splendor di quel secolo nell'arti liberali, e nella Medicina, però che havendo egli penetrato gli ultimi arcani di quella; un nuovo Galeno era stimato nel Mondo: Onde fù chiamato dalle Città più insigni d'Italia, ove non meno che ne gli esperimenti, essercitandosi alle lettere; con incredibile fortuna, havendo augumentato le sostanze col credito, ricchissimo divenne. Indi giunto all'età senile, volle ritornare alla Patria l'Anno del Signore 1466. per godersi con l'acquistate sostanze i futuri giorni felici. Mà essendo giornalmente da varij Publici per loro Medico chiamato, con il favore de' Grandi, per una volta liberarsi dalle molestie continue, fù astretto della Pergola accettar la condotta, l'Anno 1467. ricchissimia, e populatissima Terra, solo habitata da huomini, non meno in traffichi valorosi, che in armi, & in lettere; à Corinalto solo dieci miglia distante; ove havendo in spatio di tre Anni con diligenza, e fede essercitato l'officio, volendo indi partire, hebbe da quel Publico, l'Anno 1470. una lettera patentale di ben servito, à gli suoi meriti eccelsi ripiena d'equivalenti Elogi, con quei titoli più degni, con cui s'honoravano in quel tempo gli Heroi, e quelli, che nelle virtù eccedenti erano; come hò veduto nel registro dell'original medesimo di propria mano, da Angelo Concioli, all'hora del Publico della Pergola Segretario, in un quinterno figurato, dove le principali risolutioni di detto Publico registravansi, il quale di presente si trova in Cantiano, entro le mani del Dottor Antonio Concioli, del sudetto Angelo discendente. Di questa Casa Rogogolossi fà particolar mentione Christoforo Landino nel Cant. 24 del Purgatorio di Dante, ove si ragiona di Marchese, che nel Purgatorio penava per haver troppo bevuto in vita, e dice esser stato costui della famiglia de' Rogogolossi: mà di essa non essendo hoggi memoria in Corinalto, si crede, che l'Anno 1527, nella crudelissima peste si estinguesse.


D
omenico Amati essendo sempre huomo di grand'animo stato, e di incliti pensieri probabilmente si hà, che uno fosse de i congiurati co'l Theseo, per la libertà di Corinalto; dal quale il Tiranno cacciato, essendo egli ricchissimo, in tutte le sue necessità lo sovvenne, speciamente nelle [p. 141 modifica]fabriche del sopradescritto accrescimento: però che tutto l'avanzo delle sue grandi entrate, con molta liberalitade à bisognosi porgeva. Fù di somma prudenza, pronto nell'operar, e ne' casi più ardui di maravigliose inventioni; per modo che niuno afflitto andava da lui per consigli, e per trovar sollievo, che non partisse consolato da esso; onde la sua morte, (che fù intorno all'Anno del Signore 1500.) fù pianta con amare lagrime da tutti, specialmente da poveri, affermando ciascuno essere alla Patria il Padre, e'l Tutelare mancato. Lascià quattro figli maschi, cioè, Bartolomeo, Ascanio, Viviano, e Stefano; tutti nobili, e di costumi, e d'animo; secondo che stati erano disciplinati dal Padre. Questi pigliando Moglie, di quattro nobili famiglie arrichiro la Terra; delle quali ancora si conservano due con nobiltà, e grandezza, non travianti punto da i sentieri de gli antichi Progenitori.


A
ngelo Orlandi non manco nell'armi esperto, che nelle Leggi, havendo fatto in ambè le professioni progresso, militò gran tempo sotto la disciplina di Federico di Montefeltro Duca d'Urbino, à cui servì per Consigliero, e Conduttore in guerra, indi per Giudice, e Governatore de' suoi Popoli nella pace. Trovandosi poscia in Gubbio nell'officio di Giudice, l'Anno di nostra salute 1482. mentre Federico sudetto accadè la morte; à nome di Guido Baldo suo figlio, e successor nello Stato, prese di quella Città il possesso; da cui nell'officio medesimo tosto fù confirmato; benche dimorassevi poco, chiamato da Sisto Quarto Pontefice Romano essendo al servitio di Giovanni suo nipote, General della Chiesa, Prefetto di Roma, Signore di Senigaglia, e di Mondavio. Et per Breve speciale fù dal medesimo Papa Luogotenente Generale del detto Giovan dichiarato; nella qual Cura non solo essercitossi mentre visse Sisto; mà parimente alcuni Anni dopò la morte di quello, sotto il Pontificato d'Innocenzo VIII. Nel tempo di pace l'istesso diede à Popoli, soggetti alla Signoria del detto Giovanni, santissime Leggi; le quali poste in uso, riuscirono al Publico sommamente giovevoli: Onde sino à questo nostro tempo nella medesima osservanza dimorano in Senigaglia, e nel Vicariato non solo; mà per tutto il paese d'Urbino: e da Lorenzo Campeggi Vicelegato, per ordine speciale di Urbano VIII. Sommo Pontefice, furono pochi Anni à dietro (come ottime) confirmate. Gli originali d'alcune, dell'Anno 1485. sino al presente, con molte altre, che da Prencipi Successori in varij tempi furono promulgate, in un volume raccolte, nella Rocca di Mondavio conservansi; essendo come Tesoro pregiato da quei Cittadini stimate. Nel frontespicio di ciascheduna di queste il Nome, il Cognome, la Patria. e l'ufficio di esso Legislatore si legge, come qui sotto: [p. 142 modifica]


ANGELVS DE ORLANDIS
De Corinalto, Illustrissimi Domini
Praefecti Sanctae Romanae Ecclesiae
Cap. Generalis Locumtenens.


Si come anche nel fine il medesimo vedesi, per l'autentichezza delle istesse Leggi, scritto di propria mano. Quantunque non se n'habbia certezza: tutta fiata si crede, che questo, con il sudetto Giovanni militasse ne gli esserciti di Lodovico XII. e di Carlo VIII. Rè di Francia; però che fidando più in lui quel Prencipe, che in qualsi voglia, non è verisimile, che ne i più ardui, e pericolosi affari) come quelli della guerra) si fosse dal medesimo separato, e privo de gli suoi Consulti, che tanto utili, e favorevoli haveva sempre veduti. Si trattenne à quei servitij sino alla morte del Prefetto, suo Signore, che fù in Senigaglia l'Anno 1501. nel mese di Novembre: à cui succedendo Francesco Maria fanciullo di undeci Anni, per esser'egli di già vecchio, si ritirò alla Patria, ove una sontuosa Casa in capo alla Piazza eresse, che si chiama il Terreno, ponendovi sopra della Porta Maggiore in marmo l'arme, col nome del sudetto Giovanni, il quale sino al presente intiera conservasi. Hoggi questa Casa da Pier Agostino Orlandi vien habitata, Capitano delle militie, in Corinalto, del sudetto Angelo herede, e successore legitimo. Morì questo inclito Dottore in Corinalto nella propria Casa, l'Anno 1503. non men con dolore immenso de' figli, che disgusto universale della Patria.


C
imarello di Gualtiero Mausulio, d'honorati parenti, l'Anno del Signore 1430. in Corinalto nacque. All'armi questi, & a le virtudi ancora applicando la mente, mostrossi nell'attioni sue, non men di Marte, che di Minerva seguace: Onde nell'età di Anni vinticinque, spedito fu Capitano di ducento fanti da Calisto III. Pontefice Massimo, l'Anno del Signore 1455. sotto il commando del Cardinal Sant'Angelo, del medesimo Pontefice Legato, contro Maometto Imperatore de Turchi, il quale con infinita gente, Belgrado in Ungaria stringeva. Et in quella gloriosa vittoria, per tutti i secoli memoranda, che i Christiani, contra si violente nemico, co i Divini favori ottennero, egli con le sue genti essendosi [p. 143 modifica]generosamente portato (come nelle lettere patentali di ben servito appare, che in mano de gli suoi Discendenti, sino al presente ritrovansi,) fù dall'istesso Papa, l'Anno seguente, con la medesima carica di Capitano, sotto il commando di Giovanni Conte Vintimiglia, al soccorso di Siena mandato, contra Giacomo figlio di Nicolò Piccinini, che senza ragione la molestava. Dopò la rotta del detto in Orbetello, alla Patria vittorioso ritornato essendo, in quella ottenne i principali honori, che dal Publico conferisconsi à i primieri Cittadini; ben che non lungo tempo li godesse, essendo dopò la morte di Calisto, da Pio Secondo suo Successore mandato al Governo della Badia di Chiaravalle, & Agente principela delli negotij di esse; dove per le controversi grandi, che gli Iesini con gli Anconitani havevano sopra il possesso di quella, non me bisognavali oprar la spada per difenderla, che le sante Leggi per aggiustare le cause de' Sudditi, perciò resi molto insolenti. Et in questa carica à i supremi Padroni grato rendendosi, dal sudetto Pio, e da Sisto Quarto, che gli successe, con piena podestà confirmato venne (come ne' Brevi de i medesimi leggesi, che in mano delli detti suoi Discendenti riservansi.) Fù in grande stima presso gli suoi Compatrioti, per la candidezza de' costumi non meno, che per la sua Dottrina, dal lungo trattar negotij esperimentata molto. Morì l'Anno secondo dell'assedio di Corinalto, che fù del Signore 1519. e della sua età 89 Le sue ossa riposansi nella Chiesa di S. Francesco. Lasciò suoi heredi Bartolomeo suo primogenito, Angelo suo nipote, figlio di Marco suo secondo genito, già defonto, Lorenzo, e Nicolò figli di Berardino detto Bozo, suo terzo genito, il qual due Anni avanti morì combattendo, alle mura di Mondolfo (come più à basso diremo.) Da questa nobil persona prese il cognome la Casa Cimarelli in Corinalto, quello di Mausulio lasciando, la quale in ogni tempo hà prodotti huomini segnalati nelle virtù: come d'alcuni sommariamente sarò per ragionare.


M
attheo de Guglielmi, famiglia Illustre, avanzandosi molto nelle Leggi Canoniche, e civili; dell'una, e dell'altra ottenne la Laurea, e ritrovandosi per aventura in Corinalto Confaloniero, nel mese di Genaro, e di Febraro, l'Anno 1517. dispose non solo i Corinaltesi à perseverare in fede della Santa Sede, & à far resistenza al Duca d'Urbino, che contro essa da Verona se ne veniva armato, mà in guisa tale providè la Terra di monitione, & di vettovaglie, che furono à gli suoi Difensori bastevoli di poter agevolmente sostenere l'assedio, e regettar gli assalti (come già scrissi.) Cosi trovo ne i Libri delle determinationi de' Consigli di quel tempo notato. Morì glorioso in Corinalto, lasciando come liberatore della Patria, l'occasione à tutti di piangere la sua morte. [p. 144 modifica]


F
rancesco Orlandi fiorì d'intorno l'Anno 1500. il qual'essendo Dottor eminente di Legge, e nelle Medicine esperimentato molto, in amve le professioni essercitandosi, in alcuna gran Città d'Italia hebbe governi principali, e Condotte primarie, che in quelle à i più eccellenti Medici conferisconsi. E sovente in un'istessa, ove haveva qual Giudice commandato, compita la carica, con applauso universale de' popoli vi restava per servire come Medico: così hò letto in alcune lettere patentali di ben servito, appresso il Capitano Horatio Orlandi suo discendente: Trovossi alla Patria nel tempo dell'assedio, ove molto co'l consiglio, e con la forza alla sua difesa oprossi. L'Anno seguente del medesimo mese, che Corinalto dall'assedio sudetto si liberò, à sorte venne Confaloniero eletto, il quale à molti disordini diede opportuni rimedij. Morì in Corinalto con incredibil doglia del Popolo, e fù sepolto con quegli honori funebri, che convenevoli furono à gli suoi gran meriti.


B
ernardino terzo genito di Cimarello, per altro nome detto Bozo (che fù mio Bisavo) essendo soldato di grand'animo, sempre con carichi honorevoli militò in tutte le guerre, che da Giulio Secondo Pontefice Romano furono mosse in Italia, per li Tiranni dalla Stato Ecclesiastico levare. Tornato alla Patria l'Anno del Signore 1509. scoperse, che Godicino de' Godicini Cittadin Corinaltese, un'intricata lite sopra i beni dotali di sua Moglie mossa gli haveva, e non potendo egli haver patienza della lunghezza, che sogliono portare i gravi litigi, sfidò questo avversario suo à singolar duello, nell'armi rimettendo le differenze tutte. L'invito della disfisa non rifiutossi punto da Godicino sudetto; anzi che Soldato essendo anch'egli valoroso, con ardir, e coraggio si mise all'ordine: onde fatta di commune consenso l'elettione del luogo (che fù dove era già situato Boscareto,) e della Labarda per armi. La Festa di tutti i Santi nel medesimo Anno alla destinata macchia si ritrovarono, e combattendo grande spatio di tempo, senza che da veruno fossero impediti; finalmente con la morte del Godicino restò Bernardin vittorioso, ben che gravemente ferito: e mentre per la stanchezza, e perdita di molto sangue giaceva quasi morto, videsi all'improviso circondato dalla militie di Montenovo, che per punirlo dell'homicidio commesso nel Territorio loro, à suono di Campana ragunati si erano. Accorgendosi Bernardino, che lo schifare il presente periglio per mezi humani era quasi impossibile, ricorse alli Divini aiuti, facendo voto à Dio, che quando n'scisse illeso, ogn'Anno in quel giorno havrebbe in perpetuo digiunato à pane, ed acqua, come anco in qualche modo gli suoi Discendenti à fare il similiante astretto: Laonde credesi piamente fosse dalla Divina clemenza essaudito, però che subito hebbe questa promessa fatta, rinvigoritosi di forze, e da niuno veduto, hebbe tempo [p. 145 modifica]d'ascondersi, e di salvarsi. Curato poi dalle ferite, ritornò alle guerre; E dopò la morte di Giulio Secondo, militò con gli medesimi honori ne gli Esserciti di Leone Decimo, e ne gli assalti, che da Lorenzo de' Medici dieronsi à Mondolfo, restò, (volendo quelle muraglie salire) gloriosamente estinto. Di cui riconosciuto il cadavero, fù con molto honore nella Chiesa di San Sebastiano (luogo de' Padri di S. Francesco) fuor dalla Terra sepolto. Restorono di lui due figli, Lorenzo, e Nicolò, che fù di mio Padre il Genitore, i quali essendo fanciulli, furono educati sotto la cura di Cimarello lor Avo; onde riuscirono molto saggi, e vissero lungo tempo commodi molto ne i beni di fortuna; e specialmente Nicolò, il quale non solo maritò trè figlie con grosse doti, in rispetto all'uso di quei tempi, in Case assai honorate: Mà dopò la sua morte, che successe nell'età sua ottogenaria, lì 9. di Novembre, l'Anno 1585. due giorni avanti la mia nascita, divisa la sua heredità trà suoi figliuoli, tutti restarono per essa convenevolmente ricchi. Se questo non fosse uscito al Mondo trà i miei Progenitori, arditamente direi, che'l suo corpo, quando nacque, ottenne un'animo Romano. Haveva trè figliuoli, e tutti trè maritati nella propria Casa, i quali per non inquietarsi l'un l'altro, per cagion delle Donne trà loro discordi, risolverono di commun consenso andar'al Padre, e chieder ciascuno la parte sua, per poter vivere in separata Casa; ciò fatto il buon vecchio con la solita sua gravità rispose loro, che la mattina seguente fossero da lui, per sentir la risposta. Venuta l'hora dello stabilito giorno, esso da loro seguito, s'incaminò verso il Colle S. Giovanni, dov'erano le possessioni loro, dal che fecero i figliuoli argomento, che ciò per distinguer le parti di ciascuno, succedesse. Arrivato ch'ei fù alla sommità di detto Colle, nel qual si congiongon trè vie, volgendosi con occhio torvo, e con severa faccia, ad essi commandò, che ciascuno si pigliasse per sua parte una di quelle strade, ne che mai più ardissero di ritornarli avanti. Da tal risolutione atterriti i pretendenti figliuoli, necessitati furo ad obbedire: Onde chi verso l'una, chi l'altra parte andando, stettero fuori della Patria qualche tempo, procurandosi gli alimenti con l'industria. Ne sarebber li tornati in gratia, se le lunghe, e reiterate preghiere di grand'amico, dopò molti mesi non l'havessero mosso à compiacerli, per viver sempre alla sua volontà ubbedienti. Oltre à questo molti altri fatti simili di lui si raccontano, che passati in proverbio, servono per instruttione à moderni, circa il viver morale. Fù honorevolmente sepolto nella Chiesa di S. Francesco, in una Tomba, da esso, e da Cimarello figliuolo di Lorenzo, fratello suo, vicino alla Capella di detto Santo fabricata; Nel cui coperchio vedesi à lettere maiuscole il suo [p. 146 modifica]nome, con quello del sudetto Cimarello, e si come egli fù Progenitore di una Prole numerosa, così l'ossa di molti Discendenti riposano seco nella medesima Tomba.


P
ier Santo Banno, fù segnalato Dottore di Legge, & insieme intendente de i militari principij, e nella prudenza politica prevalse ad ogni altro del suo tempo; come ben dimostrollo nella difesa di Corinalto, quando assalito fù dal Duca Francesco Maria della Rovere: però che havendo egli la carica dal Magistrato di guardare le mura, e di commandare in tutti gli affari più importanti di quella guerra (come appare nei Libri delle determinazioni de' Consigli) ne riuscì con tal'honore, che superati gli nemici in tante fattioni, gli astrinse finalmente à partire. Questo mancò (come si crede) nella pestilenza, che seguì dopò l'assedio, con doglia non ordinaria di tutto il Popolo, che per gli suoi fatti egregij, e per lo beneficio prestato alla Patria, poso meno che l'adorava. E se non fossero stati i Cittadini di essa ritardati dalle miserie di quei calamitosi tempi di peste, senza fallo haverebberli alzata di bronzo una Statua, à sempiterna memoria.


I
n questi medesimi giorni fiorirono anco in valore, & in ardir militare Magnone di Bartolomeo, e Mascio di Iacomo; i quali con honorata carica di Capitano, in varie guerre fecero esperienza della virtù loro; per lo che si resero degni essere anco honorati nella Patria di questa medesima carica, nel tempo della sudetta Guerra (come appare nel citato Libro delle determinazioni, sotto lì 3. di Febraro 1517.) ove con tal prudenza, & arte mostrarono il loro pietoso ardire, che con danno incredibile de' nemici, fecero continue sortite fuori, e da lor fieri assalti difeser le mura. Non havendo havuto altra notitia di questi due soggetti valorosi, ne meno penetrato quali siano i Discendenti loro in Corinalto, non posso d'avantaggio parlarne.


B
attista Venerij, essendo huomo saggio ne' consigli, e molto nell'armi esperto; ne gli accennati travagli di Corinalto, consultando in uno, e combattendo, acquistossi gran gloria in quell'impresa. Et essendo Confaloniero, nel mese di Marzo, e d'Aprile, dopò la liberatione della Patria, molto giovevole si rese al Publico, sgravandolo con la sua prudenza da una infinità di debiti, per la difesa già fatti. Et al tempo del pestilentiale contagio, che pochi Anni dopò, con la total distruttione del Popolo si faceva sentire; pose fuori gran copia delle sue sostanze; accioche si essequissero gli Ordini dati dal Magistrato, per riparare à quelle universali miserie. Et in ogn'altra necessità della Patria mostrò la sua grandezza d'animo, analogata molto alla sua nobilitade natia: [p. 147 modifica]essendo che i Venerij (come si crede) trassero da Suasa l'origine, & in quella Città invecchiati, rinovellaronsi con essa in Corinalto. S'estinse questa Casa pochi Anni à dietro nel retaggio de' Maschi, per la morte d'Emilio, e del Cavagliero Andrea suo figliolo, amendue soggetti di grande stima, ben degno punto di una si nobil linea.


G
iovanni Benedetto Amati, essendo facondissimo oratore, e nel parlare sommamente gratioso, sempre fù da Prencipi grandi tenuto in istima, da quali ogni bramata richiesta otteneva, come con gli effetti ben dimostrollo, quando dal suo Pubblico, Oratore spedito alla Romana Corte, da Leone Decimo benignamente impetrò due volte la confirmatione del mero, e del misto impero, & ogni altro favore, che dal medesimo Publico desideravasi (com più diffusamente si domostrò nell'Historia.) Visse lungo tempo dopò la liberatione di Corinalto, con tutti i meritati honori. Mancando lascio solo due figlie, le quali con lodevoli attioni manifestarono al Mondo esser d'un tal Genitore propagini vere; particolarmente Candia, che fù Donna di gran valore, e di spiriti virili: Però che vivendo, infiniti beneficij à Corinaltesi ella fece, non tanto frà gli animi discordi mettendo pace; quanto in sollevare gli oppressi, aiutare i poveri, & alla retta strada i traviati ridurre; Morì finalmente pochi Anni à dietro, non men d'opre buone carica, che vecchia d'Anni.


S
ilvio Orlandi famoso Dottor di Legge da diversi Sommi Pontefici venne di molti governi honorato; però che da Leone Decimo mandossi Governatore di Spoleti, l'ultimo Anno del suo Pontificato, e della nostra Salute 1521. Da Adriano Sesto alla Città di Terni, con la medesima carica, l'Anno 1522. Da Clemente VII. à Faenza, l'Anno 1524. e dal medesimo à Iesi, l'Anno 1525. e 1527. à Fabriano; Da Paolo Terzo à Foligno, l'Anno 1535. e da altri Pontefici in altri luoghi simili, ed anco maggiori, come vedesi nei Brevi Pontifici, e lettere patentali, che appresso gli suoi posteri stan ben costudite, per conservare in Casa loro la memoria di un sì degno soggetto. Finì glorioso il corso della sua vita in Norsia, ove ritrovavasi la seconda volta Governatore, con universal cordoglio di quel Popolo, che non come Giudice, mà come Padre l'amava, e riveriva.


G
iovanni Andrea Fata, essimio Dottore nell'una, e nell'altra Legge; fù di tal grido à giorni suoi, che i maggiori Prencipi d'Italia con instanza non ordinaria lo dimandavano al servitio loro, come appare dalle lettere de i detti Prencipi à lui dirette, che in mano de gli suoi congiunti, si vedono. Penetrato il suo valore (quantunque giovanetto) da Giulio Secondo fù mandato al Governo di Rimino lì 15. di Giugno, l'Anno 1511, Intesa la morte di questo Pontefice da Campo Fregoso, Duce di Genova [p. 148 modifica]chiamollo al servitio di quella Repubblica, per Vicario della prima Sala; e l'Anno 1515. il Serenissimo Senato, c'haveva sperimetato la sua inclita virtù, candida fede, mandollo per Ambasciatore appresso la Corona di Francia, dalla quale venne molto di pretiosi doni, e di favoritissimi Privilegij honorato; principalmente dell'habito di Cavagliero aureato, con tutti gli suoi Discendenti, che dell'Aurea Dottorale fossero decorati, come io vidi nella lettera patentale soscritta di propria mano dal Rè Francesco, e co'l sigillo munita, data in Leone lì 10. Luglio l'Anno 1515. Questa nel Regno di Francia viene singolarissima Dignità riputata, la quale se non à soggetti supremi si conferisce; da onde infiniti altri Privilegij provengono, principalmente di non poter essere carcerato per debiti, ne processato da verun Tribunale, che dal Consiglio grande di quella Regia Maestà. Rendesi anco idoneo di poter conseguire ogni maggior Dignità, che à più stimati Prencipi di quel Regno si conferiscono; ne sono astretti à far provanze della lor Nobiltà, supplendo al tutto l'Aureata cavaglieranza, e l'autorità Regale, che la dona. Havendo finita la sua Ambascioria, l'Anno 1518. li 6. di Maggio, fu chiamato dal Cardinal de' Medici, del titolo di S. Calisto, al servitio Apostolico, e subito dal medesimo dichiarato Commissario della Marca. E l'Anno 1519. per l'absenza del Cardinale Bibiena, Legato dell'Umbria, ch'andò in Francia à trattare con quella Corona importanti negotij, Gio: Andrea sudetto, per ordine del Papa, in vece di Legato supplì nella detta Provincia, risedendo in Foligno, co'l titolo di Governatore. Havendo la Sede Apostolica rihavuto lo Stato d'Urbino, fu da Leone Decimo da Fuligno mandato à quel Governo l'Anno 1521. con titolo di Luogotenente Generale, e dopò la morte del detto Leone, restovvi co'l titolo di Governatore della medesima Città dimandato, cosi le patenti testificano, che scritta furono sotto lì 22. di Genaro, l'Anno 1522. Et essendo poi Francesco Maria della Rovere rinvestito del Ducato, Leonora sua Moglie, che governavalo, (attendendo quel Prencipe alle guerre) non volendosi privare di questo grand'huomo, in honorati carichi trattenevalo: però che l'Anno 1528. lo mandò Luogotenente à Gubbio, e l'Anno seguente da indi levandolo, dichiarollo suo Gentill'huomo, à cui tutti i maggiori negotij del suo Stato affidana; e più volte il mandò à Prencipi diversi Ambasciadore, principalmente à Federico Gonzaga duca di Mantova suo fratello. Et in fine dopò molti altri simili honori, venne fatto dalla Sede Apostolica Avvocato Concistoriale di Roma, e ritornato un'Estate per ricrearsi l'animo, e godere le delitie della Patria, finì per mano d'un empio sicario, il felicissimo corso della sua gloriosa vita, con pianto universale di molti [p. 149 modifica]luoghi d'Italia, i quali havevan le sue virtù esperimentate; specialmente nella Corte Romana, che si condolse molto d'haver sì disgratiatamente perduto un tale heroico Alunno.


V
iviano Amati, che fù il terzo figlio di Domenico Amati, avanzò in prudenza, & in architetonica politica ogn'altro suo compatriota: Onde per questo alla Patria fù sommamente grato, e i consigli, non men che Oracoli erano ricevuti; singolarmente nelle cose più difficili, come appare ne i Libri delle Decisioni del Publico. Fù spedito oratore in varij Luoghi dell'istesso Publico ne i casi urgenti, e pregiudiciali alla libertà della Patria; & in particolare à Clemente VII. contro il Legato della Marca, il qual senza ragione alcuna voleva ( in disprezzo de i Privilegij Pontifici) occupare, al medesimo Publico il mero, e misto Impero, e la Podestà giudicaria di far sangue. Fù da quel Santo, e giusto Pontefice benignamente udito, e n'ottenne un'amplissimo Breve, dato in S. Pietro lì 16. Marzo, l'Anno 1524. non tanto per la confirmatione del sudetto, come d'ogni altro Privilegio, Gratia, & Indulto per l'adietro da suoi antecessori à Corinaltesi concesso: con Pena della sua disgratia alli transgressori, di mille scudi d'oro, e della scommunica (come appare dal tenore di esso Breve, che nel suo originale nella Cancellaria Commune si custodisce. Havevasi perciò cotanto delle sue virtù il concetto nella Corte di Macerata, che gli Officiali di quella non osarono per l'innanzi (mentre egli visse) di pregiudicar punto la Giurisdittione di Corinalto, e di usar contro di esso alcun'atto di temerarietà. Morì nella Patria con doglia universale; lasciando gli suoi figliuoli heredi, i quali furono honoratissimi, e caminarono sempre per li sentieri gloriosi della virtù Paterna.


G
iovanni Buon'huomo, intorno à questi tempi fu della prima Classe Medico celeberrimo. Questi, oltre le condotte insigni delle principali Città di Lombardia, dell'Umbria, e della Marca; da i Veneti condotto fù à Padova per Lettore del Bò, con gli ordinarij, e soliti stipendij alli Lettori delle prime Cathedre di Medicina tassati; ove con applauso, e di Scolari numeroso concorso trattennesi molti Anni. Morì glorioso in quella carica.


C
hristoforo Fontini celebre professore di Legge, fu sempre impiegato dalla Sede Apostolica nell'officio di Giudice, in molti luoghi dello Stato Ecclesiastico; principalmente in Rimino, ove servì per Luogotenente Civile, e Criminale. Indi nella medesima carica in Cesena, e Macerata: E somministrando con dolci maniere à tutti la retta Giustitia, gratissimo si rendeva: Onde da i Luoghi ove stato era una volta, fù ri[p. 150 modifica]chiamato ancora (come le lettere patentali li à pieno l'affermano.) Fù molto inclinato alla Religione, & à gli essercitij del culto Divino (come con l'operationi diedene il saggio) perche non solo riedificò l'Altare con sontuosi ornamenti, che fù di Nero Piccino, entro la Chiesa di S. Francesco; mà di più introdusse la Religione de' Padri Capuccini in Corinalto, ricevendo nella propria Casa il Padre Frà Antonio da Monte Ceccardo, General Commissario di quella Riforma, e disponendo i Cittadini ad abbracciarla come all'anime utilissima, ne gli essempi, e ne i costumi; così consta da una lettera del sudetto Padre Comissario, ch'è di presente nelle mani di Girolamo Fontini suo pronipote. Ritrovandosi Luogotenente in Macerata, l'Anno 1558. morì con buona estimatione della sua salute; & essendo anche Confaloniero in Corinalto, vollero gli figli riportare quel cadavero alla Patria; ove honorato con solenni essequie, fu nella Sepoltura de' suoi antenati, in S. Francesco riposto.


P
anfilo Orlandi strenuo Capitano, di cui parlando il Ruscelli nel supplemento dell'Historie del Giovio, con sua lode grande, racconta, che Francesco Rè di Francia molto confidasse nella sua candida fede, havendolo in particolare dimostrato, quando la Piazza di Marano in man li diede nel Friuli, Fortezza per gli suoi grandi affari, nel principio della nuova guerra, di conseguenza, la quale da' suoi era stata levata con molta fatica, ed'inganno àgl'inimici. E volle, che quella, con le sue genti servasse, per sino che risolvetesi nel suo luogo il Signore di Seni mandare. Uscito Panfilo da questa Fortezza, fu subito Colonello creato, nel qual dignissimo carico avanzandosi molto, ottenne il commando di Luogotenente Generale sopra alcune Italiane Legioni. E diportandosi in ogni sua Impresa da generoso: Finita poi la guerra (che tanto aspra fu trà Carlo Imperatore, & il sudetto Rege) l'Anno 1545. tornò alla Patria, da quella Maestra egregiamente honorato di doni, e di Privilegi, che resero non meno ricchi gli suoi heredi, che la sua morte gloriosa. Cose assai maggiori hò sentito raccontare da' vecchi di questo degno Capitano: mà non havendo da gli suoi ben serviti più di quanto hò scritto, con silentio le passo; stimando io essere non disdicevole, ch'egli resti alquanto nelle sue lodi mancante, che la mia penna troppo facile sia stimata in scrivere per vere le cose dubbie.


P
iero Leone Amati figlio di Viviano sudetto, militò un tempo in Alemagna per la Cattolica Fede, contro i Luterani: e come soldato di gran prudenza, & di cuore, molto fù amato da Ottaviano Farnese Duca di Camerino; sotto il cui commando in un gran fatto d'armi contro Filippo Langravio d'Assia, ribello di Carlo Quinto Imperatore, e Settatore de i Luterani dogmi, restò gravemente di archibugiata in un piede [p. 151 modifica]ferito, e dopò lunga cura, quasi risanato essendo, per ordine del medesimo Duca, che la sua intiera salute desiava, ritornò in Italia, da alcuni suoi parenti accompagnato; il qual volle anco honorare di lettere di ben serviti, e di favoritissimi passaporti, dati sotto lì 21. di Luglio, l'Anno 1546. che ancora in mano del Capitano Pier Leone suo nipote si conservan'illesi. Risanato (come quelli ch'era di animo generoso) non potendo star'in otio alla Patria, usci di nuovo al soldo di Carlo Quinto, nelle guerre d'Italia. Et in Monte alcino, essendo Luogotenente nella Compagnia di Giulio Monte, l'Anno 1553. fè con le sue genti del suo esperimentato ardire in quella impresa gran prove; onde dal General dell'Essercito in voce, & in scritto ne fu molto lodato. Morì alla Patria, lasciando delle sostanze, e del vanto de' suoi gran meriti gli suoi figliuoli, e Descendenti heredi.


F
rà Cesare Magini Minore Conventuale, fù di si spurgato ingegno, che in pochi giorni d'ogni habito speculativo, della Sacra Teologia principalmente, divenne ricchissimo possessore: peroché ritrovandosi in Bologna d'età di dieciotto Anni, spiegava con fiume d'eloquenza la dottrina di Scoto sopra le Sentenze, nelle principali Cathedre di quell'Università, con seguito incredibile de i più curiosi professori delle Sacre lettere. Tirato dallo sparso rumore della fama di lui Frà Giulio Magnani da Piacenza Ministro Generale dell'Ordine suo, esser volle d'improviso ad un suo discorso presente, & havendo con mano toccato, che i fatti di questo meraviglioso soggetto non difalcavano punto alla gran fama; subito disceso di Cathedra, alla presenza di tutti creollo Maestro della Sacra Teologia, con infinito applauso di ogni letterato di quel celebre Studio: Così nelle patentali lettere si legge, date in Bologna l'Anno del Signore 1553. le quali trovansi hoggi nelle mani di Stefano Magini, Medico spiritoso, e saggio di Donna Livia Duchessa d'Urbino. Mà dall'invidia oppresso, à pena il quarto lustro compito, da gl'invidiosi ricevè la non consciuta, nè meritata morte, la qual non tanto à gli suoi parenti, & alla Patria rese indicibil dolore, quanto à tutte le Scuole d'Italia; stando elle con aspettatione, che nell'età più matura dovesse (ogni contraria opinion rimovendo) ne i passi più difficili delle scienze, concordare non solo Scoto con S. Tomaso, Aristotile con Platone, e con Heraclito Democrito: mà serrare anche la bocca ad ogni Sofista, Hippocrita, e Tiranno, che con varij sillogismi, & ascoste fallacia oscurano il vero, e rendono ogni più certa Scienza dubbiosa.


S
imone Fata fu Dottor esprerimentato nell'una, e nell'altra Legge. Hebbe molti Governi de i Sommi Pontefici, & in tutti felicemente portossi. Si trovò presente al Concilio di Trento, e con gli altri Padri af[p. 152 modifica]faticossi nelle determinazioni della Christiana riforma. Servendo nella carica di Auditor, e di Consegliero il Cardinale Delfino, fu da esso condotto in Alemagna, quando v'andò Legato del Pontefice, per interessi della Catolica Fede: ove contro gli Heretici Luterani disputò più volte, e li confuse; che se bene alcun profitto non ne potè ritrahere, reportonne però dalla loro confusione gran vanto.


B
runoro di Viviano, fu huomo nell'arte Oratoria singolare: Onde l'Anno 1517. lì 2. di Giugno, fu spedito Ambasciatore à Francesco Maria Duca d'Urbino, mentre saccheggiava Iesi, ad offerirli la Patria, per placar l'ira sua contro li Corinaltesi, minacciando loro il ferro, ed il fuoco, per non haver essi voluto alla sua ubbidienza (come l'altro Terre della Provincia) rimettersi. Questi non solo seppe co'l suo dire acquietare quel Prencipe: mà con vantaggiosi patti (ad esso promettendo la Terra) molti favori, e gratie da lui ottenne, come dalle patentali lettere apparisce, che nell'Archivio del Pubblico nel suo Originale si trovano. Fù dall'istesso Prencipe, conforme alla consuetudine militare, con molti honori trattenuto per ostaggio, e pegno della sua data fede, insieme con Ser Sante, che nell'Ambascieria li fu compagno: mà essendoli poscia da i Corinaltesi la fede rotta, furono questi amendue condennati à morte; dalla quale con modo più tosto prodigioso, che humano fuggendo, scamparono, e salvi si ridussero alla Patria, non con minor stupore i Compatrioti, che giubilo de' parenti. Fù di conseguenza tale questa fuga, che nell'animo de i Difensori centuplicò l'ardire, e da' timidi ancora iscacciò il timore, consolidando tutti nella virtù della fortezza, in morire gloriosamente à difesa della Patria. Si gran piacere prese la Romana Corte di questa heroica attione di Brunoro, che in quella salì à grande stima: Onde dalla Santa Sede facilmente impetrava tutto, che per se, e per gli suoi figliuoli ragionevolmente chiedeva: Et in particolare à favore di Viviano suo secondo genito, che dalla medesima Sede transmesso fu allo Studio della Sorbona in Parigi, dove in pochi Anni fè tal progresso in ogni scienza humana, e Divina, che acquistò nome del più famoso letterato di quell'età, sì che da i Moderatori della medesima fù eletto per Maestro di studio, l'Anno 1536. li 20. di Genaro; in cui diportandosi egregiamente, l'Anno 1540. lì 10 di Giugno, fu alla Dignità del Dottorato assunto; come le lettere patentali raccontano, che in mano de' suoi parenti in Corinalto serbansi. E nella medesima Università ottenne una Cathedra delle più stimate; in cui, con gli ordinarij stipendij molti Anni lesse, non men con vanto straordinario del suo valore, che con progressi incredibili de' Scuolari. Giunta in italia del suo saper la fama, da diversi Prencipi fù al servitio loro, con promesse larghe di ricchi stipendij chiamato: mà facendo [p. 153 modifica]questi come generoso, più stima assai di Giulio della Rovere Cardinale d'Urbino, che di ricchi guadagni, à lui da Parigi se'n venne, tanto nell'ufficio di Auditor, e Consigliero servendolo, come nella privanza, sino all'Anno 1573. Mancando poscia questo Prencipe, per Breve speciale di Gregorio XIII. dato lì 9. di Novembre, l'Anno detto 1573. che appresso gli suoi medesimi parenti si serva, fù alla carica posto di Bibliotecario della Libraria Greca nel Vaticano; e perseverandovi molti Anni, anche dopò la morte di Gregorio, divenuto assai vecchio vi morì. Ricusò più volte ricchi Vescovadi, Arcivescovadi, & altre Dignità più stimate nella Chiesa Romana, riputandosi per la sua profonda humiltà indegno di questi honori, dà altri ambiti. Mentre ch'egli soggiornò alla Corte fu più volte spedito Ambasciatore à diversi Prencipi da Gregorio sudetto, e da Sisto V. tanto in Italia, come fuori; specialmente al Battori, Prencipe di Transilvania, con cui trattava importantissimi secreti, all'augumento della Religione Christiana, & alla diminutione della Ottomana potenza. Trà l'altra cognitioni c'hebbe quest'huomo essimio delle Scienze men conosciute, fu perfetto Astrologo; e molti effetti, che dalle Celesti cause naturalmente procedono, ei predisse, i quali dal suo Pronostico non variarono punto. Fù profondissimo Filosofo, e Teologo celebre, versatissimo ne i Sacri Canoni. e nelle Leggi Civili. Nella Cosmografia avanzò tutti gli altri, che sino al suo tempo ne scrissero; come certa testimonianza ne fanno le maravigliose descrittioni della Terra, ch'egli con incredibile proportione disegnò nella Galaria famosa del Vaticano. Scrisse sopra le Illiade d'Homero nell'idioma Greco; e nel medesimo cantò d'Athene, di Corinto, di Creta, e di Sparta il miserabil fine; di Dione la morte; i vitij, & le virtù d'Alcibiade; l'espulsione di Dionisio; la crudeltà di Fallere; la forte di Agatocle; la pena di Perillo; e di Arione il caso. Di Segesta, e d'Himeria gl'incendi atroci, di Eraclea, e di Agrigento le ruine acerbe; E queste manuscritte io vidi l'Anno 1603. in mano di Francesco Brunori suo nipote, Rettore di Corinaldo; Et al presente (stimo) in mano de' suoi heredi si trovino. Morì Viviano di meriti, e di Anni ripieno, sotto il Pontificato di Sisto Quinto; lasciando per la sua morte non meno la Patria, che tutta la Corte in lutto; la qual'havendo delle sue antiche attioni fresca memoria, sino à questo dì, viene la sua morte compianta.


M
arco Antonio Fata eminente Dottor di Legge, dopò haver varij officij di Governo in molti luoghi principali d'Italia, essercitato, conosciuto il merito del suo sapere dal Vicerè di Napoli, al tempo, che tutto quel Regno veniva in ogni parte invaso dalle scorrerie de' ladroni, che crudelmente mettevano ogni cosa à sacco, fu proposto à Filippo II. [p. 154 modifica]Rè di Spagna per Commissario Regio contro gente si avida, & havendo ricevuto da quella Corona suprema auttorità contro de' detti; scorsa più volte la Campagna armato; & usando non meno la forza, che la prudenza, in pochi Anni hebbe tutti i delinquenti in mano, i quali facendo secondo le lor colpe morire, liberò affatto il Regno da sì aspri flagelli. Fù perciò da quella Maestà Catolica eletto all'ufficio di Avvocato Fiscale della Vicaria di Napoli, & assonto al supremo grado di Regio Consigliero in quel Regno; e dopò havere per corso lungo di Anni fedelmente servito, della Corte di Spagna fù Regente chiamato. E mentre stava per sopra una Galera imbarcarsi, à questo effetto per commissione delo Vice Rè preparata, essendo vecchio, all'improviso venne da grave infermità assalito, la qual divenuta incurabile, reselo del tutto al viaggio, & all'essercitio di quell'ufficio invalido. Morì, dopo non lungo tempo, lasciando herede Fabio suo figlio, che fu anch'egli gran Dottor di Legge, e molto oprato nella Vicaria sudetta intorno gli offici, che si sogliono conferire à i primi Dottori di quel Regno. Morì anch'egli nel colmo della sua virilità, dopò esser stato per assai tempo infermo, l'Anno 1612. senza legitimi posteri, e naturali successori: Onde lasciò universal herede sua Moglie, la quale persuasa da persone divote, prese l'habito d'una Religione stimata, & à quella fece non solo dell'heredità del Fata donatione, (ch'ascendeva alla somma di centomila scudi) mà insieme di tutti gli suoi beni dotali, & estradotali, di valore di trenta altri mila; lasciandosi per una poca somma, secondo la dispositione delle Leggi, solo da poter testare.


S
tefano Magini Dottor classico in Medicina, fu condotto per primo Medico delle più grosse Città della Marca, ed Umbria; ove non meno con l'arte, che con la sorte riuscì maraviglioso nell'esperienze. Hebbe la gratia di Guido Baldo Duca d'Urbino, che sempre gli si mostrò favorevole, e ne i maggiori travagli de' suoi sudditi, volle di quello servirsi; e specialmente in Senigaglia, che sendo molestata da una generale influenza d'epedimia, dalla sua virtù ne ricevè la salute, contro la credenza commune, sendo riusciti vani di ogn'altro tutti gli esperimentati rimedi. Oltre le Medicinali, e Filosofiche Scienze, possedeva anco perfettamente l'Astrologia, sopra di cui cruditamente egli scrisse; come io posso farne l'attestatione, havendo veduto, e bene gli suoi scritti considerato, i quali si trovan'in mano di Gasparo Magini, Medico anch'esso di stima, di lui non meno stretto parente, che delle sue virtù imitatore verace.


M
agio Santarelli militò contro gli Ottomani con honorevole carica di Capitano, e di Sargente Maggiore, in tutte quelle asprissime guerre, che da medesimi furono mosse contro li Venetiani in Albania, Dalmatia, e [p. 155 modifica]Romania; nelle quali diportandosi sempre da Capitan generoso, fece attioni degne di sempiterna lode: Onde da quella Serenissima Repubblica fu grandemente remunerato. Giunta la fama de gl'inclitti fatti di questo gran Soldato all'orecchie della Santa memoria di Pio Quinto Pontefice Massimo, fu da esso chiamato alla Corte Romana; e l'Anno del Signore 1571. sotto l'ubidienza di Marco Antonio Colonna venne spedito Capitano di 200. fanti in Lepanto, sopra dell'Armata Navale contro gli Ottomani, ove virilmente combattendo à danno di quesi Barbari, fece di loro sanguinosissima strage, come attestarono quelli, che si trovarono presenti. Morì lasciando due figliuoli, che furono simili ad esso valorosi in armi, e riusciron gran Conduttori in guerra, come farassi noto, quando al suo luogo ragioneremo di quelli.


I
ntorno à questi tempi passò da Corinalto al Cielo (come si crede,) Arsenio Frate Novizzo de' Padri Capuccini, prima che del suo vivere compisse il quarto lustro; il quale si come in vita con gli ornamenti delle virtù beate mostrò al Mondo dell'anima sua la candidezza vera; così in morte dal suo Dio ottenne d'esser visitato da i Cittadini Celesti, e da quegli animato de i beni eterni all'honorato acquisto. Onde à ragione si mosse la pietosa penna di Zaccaria Boerio à scrivere di lui ne gli Annali di quella Religione, come quì sotto.


Hoc tempore [Anno scilicet 1569.] Novitius quidam è Corinalto, Piceni Oppido, qui Arsenius appellabatur,ne dum probationis anno expleto ex humanitas sublatus fuit: qui cum vitam in saeculo, magna cum puritate, & honestate, usquè ad 18. annum actam, pluribus in Novitiatu virtutibus auxisset: vitae filo morte interciso, antequam ad superos migraret, Sanctum Ioannem Baptistam saepè in extrema aegretudine sibi apparentem, & ad meliora provocantem vidit. Deniquè in mortis articulo plerosquè Sanctos, quos is proprio nomine appellabat, sibi adstantes, & ad praemia allicientes conspicit; quibus cum ad superna conscendisse creditur. [p. 156 modifica]


P
ier Antonio Tarducci di gloriosa memoria, da Cosmo Duca di Firenze fu spedito capitano di ducento fanti alla guerra di Siena, essendo ancor giovanetto di dieciott'Anni; dove si acquistò tanto nome di saggio, e di valoroso, che non tantosto fu la detta guerra finita, che venne chiamato da Ferdinando Imperatore al suo soldo, à cui servì molti Anni fedelmente nell'ufficio di Capitano, & di Consigliere di guerra. Dopò la morte di Ferdinando, fu confirmato nell'istessa carica da Massimigliano suo successore, ed anco honosrato dell'habito di Cavagliere, ed'altri Privilegi di Nobiltà, & essentioni, com'hò veduto io nelle patentali lettere, date in Praga, l'Anno 1562. sottoscritte di propria mano dal medesimo Imperatore, e segnate co'l suo Imperial sigillo, le quali pochi Anni adietro trovaronsi nelle mani di Silvia, sua figliola. Essendo ritornato per suoi affari in Italia fu da Guid'Ubaldo Duca d'Urbino trattenuto nella sua Corte, e l'Anno 1571. alla Guardia di Francesco Maria suo figlio lo mandò in Lepanto alla Guerra navale, contro gli Ottomani: ove alla difesa di quel Prencipe egregiamente portossi, e fè sentire à Barbari quanto pesassero i colpi del suo generoso braccio: Onde dal medesimo Duca fù con molti honori, e doni riconosciuto. Morì di morte, ch'è ordinaria à gli huomini di grand'animo, per lo sospetto c'hebbe Francesco Maria Successore del Padre nel Ducato, che volesse cacciarlo, per occuparsi lo Stato. Lasciò due figli maschi (come più à basso diremo) e tre femine, nelle quali non fù bastevole la debolezza del sesso ascondere il valore, c'hereditato havevano dalla generosità paterna; però che con animo invitto trattarono tutte l'honorate attioni loro; specialmente Panta, la qual maritata l'Anno 1589. con Andrea Ebradi di Rauberin, Nobile Barone di Talberge, Frich perche Rainech', nella Provincia di Stiria; accorgendosi dopò alcuni Anni, che quello imbrattandosi della sozza macchia dell'heresia Luterana, sprezzava la nostra vera, e Sacrosanta Catolica Fede; con risolutione virile separossi da lui, e ritiratasi dentro una Fortezza, ch'era sotto il Dominio del sudetto Marito, da Vienna poco più di una lega distante, ivi fortificossi in guisa, che con l'aiuto d'Italiani, non solo di difese dalle continue molestie di quello; mà ella à lui fè si aspro contrasto, che in Zagabria disperato lo fè morire: E perciò restando essa vittoriosa, vendè la Fortezza con alcuni Molini congiunti; e ripigliandosi per Decreto Imperiale in quel denaro la dote, se ne tornò in Italia in Corinalto sua Patria; ove rimaritossi col Capitan'Horatio Orlandi, huomo Nobile di sangue, e di valore: onde al presente in quella stima che si deve di ragione à i loro gran meriti vivono felici, e prosperosi. [p. 157 modifica]


F
rancesco Orlandi molto in buontà, & in lettere stimato, fù liberalissimo; perchè non solo in riedificare la Chiesa di S. Pietro, & à beneficio de' poveri spese tutte l'entrate di quella; mà etiandio buona parte del Patrimonio suo. E se nel mezo al corso di sua vita non fosse mancato à i vivi, nella sopradetta Chiesa una Collegiata di dodeci Canonici erigeva di certo; havendo già incomincio con la Sede Apostolica il trattato: La onde avvenne, che di rincrescimento maggiore à tutti fosse la sua morte, principalmente à gli suoi, che tanto desideravan questo accrescimento d'honore alla Patria loro: che però il pietoso Cavagliere Lucangelo Orlandi suo Fratello, non potendo ritenere nel petto suo la doglia di sì gran perdita, à perpetua memoria de' posteri la menifestò in un marmo, che à capo de l'honorata sua Tomba vedesi, con la seguente Iscrittione eretto.


D. O. M.


D. FRANCISCVS ORLANDVS

I. V. D. optimus, D. Petri Rector, cuius Ædem condidit, ac decorauit. Vir præclaris moribus præditus in omnes, præcipué in pauperes munificus, Iuſtitiæ, Religioniſq; obseruantiſsimus; Obijt incredibili ſuorum, mœrore 1575. Annum agens quinquageſimum; cuius pijſsimus Frater Lucangelus Orldandus Æques Pius, hunc Sarcophagum erexit. [p. 158 modifica]


P
ier Francesco Clemente, sendo il primiero Mathematico della sua età, diede appo diversi Prencipi d'Italia gran saggio della sua somma virtù a beneficio di essi, e de' loro popoli; però che inondando il Pò nel Ferrarese, e Bolognese; per ordine di Gregorio Terzodecimo, & Alfonso Duca di Ferrara, livellò detto fiume, e ritrovando il difetto nel Reno, co' suoi ordini diede alle dannose inondationi opportuno rimedio. Dal Pontefice medesimo sendoli imposto, che trovasse il modo da divertire la Nera, perche non entrasse in Tevere, si come le Chiane, per liberare dalle pericolosissime inontationi Roma; havendo ciò con moltà facilità trovato, publicollo alla Romana Corte; mà dimostrando con ragioni evidnenti, che maggiore fora stato il danno di quest'acque divertite altrove, che non facevano, per lo antico letto scorrendo, consigliò, che non fosse bene tentare l'impresa: Onde fù la sottigliezza dell'ingegno suo, co'l sano giudicio, regolato dalla prudenza, ammirata dal pari. Non minor lode accrebbe al suo nome l'utilitade alli Folignati recata, mentre nettò loro dall'acque, e dalle pernitiose paludi tanto terreno, quanto al presente possono cento famiglie coltivare. Tentò di rendere l'antica navigatione al Tevere, dal vecchio Tiferno sino al Mar Tirreno; e gli sarebbe riuscita l'impresa, quando dall'invidiose Parche non gli fosse stato con gli suoi generosi disegni lo stame vitale con doglia universale reciso.


F
rà Aurelio Fintij Heremitano, Maestro della Sacra Teologia, fu gran Filosofo, profondissimo Teologo, e celebre Concionatore. Lesse in molte Cathedre generali della sua Religione: Onde non meno per la fama della sua sapienza, che per la buontà della vita, fu eletto dalli Signori Svizzeri per Teologo del loro Ambasciatore nel Concilio di Trento; ove in ogni disputa, che giornalmente tenevasi da quei Padri sopra i ponti principali della nostra Fede, con tal profondità, e sodezza dispiegava il suo voto, che ne ottenne al pari d'ogni altro honor, e lode. Scrisse con istile chiaro, e facondo sopra le Filosofie d'Aristotile un grosso volume di cui l'originale è fama, che nella celebre Libraria di Milano si serbi. Morì in Corinalto, ove per aventura trovandosi da esso molto honorate l'essequie del suo cadavero, con funebre Discorso; il qual dato alle Stampe, sino al presente appresso molti si vede, riconoscendosi del lodato i meriti, e del lodatore l'artificio grande.


G
iacomo Fontini Capitan valoroso, militò in Savoia più Anni al soldo di quel Duca, nelle guerre contro Francesi; del quale conosciuto l'invitto coraggio, da quell'Altezza, l'Anno 1577. fu dichiarato Capitano di ducento fanti; e dopò haverlo fedelmente lungo tempo servito in [p. 159 modifica]quella carica, accompagnato con favoritissime lettere patentali, ritornò per suoi affari alla Patria. Et essendo penetrata la fama de' suoi meriti nella Corte del Gran Duca Tosco, à quel servitio chiamossi, à cui da quell'Altezza furono molti carichi militari conferiti, specialmente il Governo della Fortezza di Pistoia, la qual custodì fedelmente due Anni. Mà essendo richiesto dal Sommo Pontefice Sisto Quinto, e da esso con piena potestà Capitano dichiarato, contro i banditi, che davano il guasto alla Marca: volendo licentiarsi dal servitio e con la buona grazia partire da quel Prencipe, fu assalito all'improviso da un'ardentissima febre, che in breve tempo gli levò la vita, nel mese di Decembre, l'Anno del Signore 1588. e della sua età 52. Fù sepelito con solenni essequie, nella Chiesa di S. Francesco di Pistoia. Dispiacque molto questa morte al Papa, conoscendo egli molto bene quanto fora stato alla Santa Sede proficuo in quel presente bisogno il servizio di sì esperto Capitano, come appare da una scritta lettera dal Cardinal Mont'alto al Capitano Christoforo Fontini, suo Consobrino, la quale appresso del sudetto Girolamo Fontini di presente si trova asieme con l'altre, che dall'accenate glorie à pieno parlano. Volle il Sommo Pontefice, in vece del valoroso Defonto sostituire alla medesima carica Christoforo suddetto, come dalle patenti consta, date sotto li xx. Decembre dell'istesso anno 1588. Questo, accettata prontamente la carica, ratto inviossi di quei Luoghi alla difesa, che furono S. Severino, Tolentino, e Montecchio. E volendo in questo servitio non meno alla generosità del suo grand animo corrispondere, che al buon concetto del Sommo Pontefice da Capitano invitto in quella carica diportossi: onde contro li Fuoriusciti à continue scaramuccie trovandosi, sempre ne riuscì con honore, e lodi. Et havendo con la morte de gli Avversarij liberato il paese, trionfante ritornossene alla Patria, gran vanto dal Papa, e dal la Corte Romana trahendo, e maggiore da gli habitatori de i sudetti luoghi, i quali disgravati da si fieri nemici. Liberatore delle loro Patrie l'acclamarano. Giunto il grido dell'attioni magnanime di questo vittorioso Capitano all'orecchie di Gregorio Quartodecimo, lo volse vedere, e honorollo d'altri carichi militari: mà egli per suoi affari domestici non potendo abbandonare la sua Casa, contentossi d'accettare il Capitanato delle militie della Patria, e l'essercitò molt'Anni, con utilità evidente di quei Soldati, che disciplinati da esso nei militari principij, sotto il suo comando riuscirono esperti, e come veterani nelle armi. Morì questo lodevole soggetto in Foggia di Puglia, ove trovandosi à trattare negotij gravi, nell'Anno 1611. e della sua età 57. e fù honorevolmente nella Chiesa Maggiore di quella Terra sepolto. [p. 160 modifica]


P
ier Agostino Santarelli figlio del valoroso Capitano Magio, partì giovanetto da Corinalto, e militando al soldo del Rè di Spagna contro gli Heretici in Fiandra, fè della sua Persona ne i maggiori pericoli della guerra maravigliose prove. Conosciuto l'animo suo invitto, fu dichiarato Luogotenente d'una Compagnia di Cavalli del Marchese Renthij: Mà crescendo con le generose imprese la fama del suo valore Alessandro Farnese Duca di Parma fello Capitano di Lancie, nel cui commando s'acquistò tanto credito, che divenne spaventoso à gl'inimici, e di gran fama appresso quelle Provincie; specialmente per questo atto heroico, ch'essendo nella ricognitione di un posto fatto da gli Olandesi prigione, da quelli subito riconosciuto, con molta instanza pregato venne, rimaner al lor soldo, con cariche principalissime nel loro Essercito: Mà egli, che più in prò della fè militava, che per la gloria vana del Mondo, rifiutò tutte queste offerte, non curandosi punto di lasciar la vita, frà quei nemici dì Christo. Riscosso dal Duca di Parma con molti cambi, e grossa somma di danari, tosto ritornò alla sua carica, e volendo pochi giorni dopò la sua liberatione soccorrere Nicolò Basto, da nemici assediato, generosamente combattendo con le sue genti, da tre colpi di moschetto venne mortalmente ferito. E ritornato al suo Quartiero nella villa di Als, l'Anno 1590. finì la sua gloriosa vita, ergendo nel Campidoglio della Gloria gli suoi amici, e tutti quelli che gli si mostrarono grati co'l servitio loro, lasciando ad essi tutte le sue ricchezze in molta copia, che per troferi della sua virtù s'ahaveva riportate dalle nemiche spoglie massimamente de' cavalli, i quali dopò la sua morte venduti, di due mila scudi ascesero alla somma d'oro. La sua morte fu da tutti gli veri professori dell'arte militare universalmente compiante, affermando ciascuno esser mancato in quesli Esserciti uno de' primi splendori della militia. Seguì l'orme di questo segnalato Duce il Capitano Gioseppe suo fratello, che anch'esso fu honoratissimo, e nelle guerre riportonne sempre honori, e premi.


C
amillo Simonetti soldato egregio, servì Emmanuelle Filiberto Duca di Savoia, per un gran corso d'anni ne i più degni, & honorati carichi, che da quell'Altezza potessero conferirsi ne' suoi Esserciti, e nella Corte: però che d'Alfiere fu eletto di una Compagnia d'Infanteria Capitano, con la quale avanzandosi ne i meriti, dallo stesso Duca fu Cavagliere della Religione creato di S. Mauritio, e Lazaro: Indi à pochi giorni Commendatore, e Visitator Generale della medesima, e poi Colonello d'un Terzo, con la carica di Luogotenente Generale di tutto l'Essercito. Et essendo ben conosciuta la sua candida fede da quell'Altezza, in tutti i più [p. 161 modifica]importanti affari del suo Stato, non si serviva d'altri, che della sua Persona. Quindi avvenne, che da certi principali di quella Corte molti invidiavasi, singolarmente da Francesco Birago Signore di Sant'Albino, che l'Anno 1567. nel mese d'Agosto, vestito di piastra, e maglia, e spalleggiato da buon numero de servi, con disegno di levarlo dal Mondo, alla sprovista l'assalse. E gli sarebbe l disegno riuscito, quando co'l suo solito ardire non si fosse gagliardamente difeso. Mà sendo egli solo contro tante spade, nè potendo ripararsi da tutti gli nemici colpi, fu gravemente nel braccio destro ferito. Indi à poco delle sue piaghe sanato, à campo aperto sfidò l'avversario, e con l'autorità di quell'Altezza per duellare nello steccato entrarono, ov'egli havendo di molti colpi mortali l'inimico depresso, vittorioso, accolto fu dal Duca, e dalla Corte, con incredibil'applauso. Et in premio dell'ottenuta palma, tosto suo Maestro dechiarollo di Camera, nel qual honore non solo in vita di Emanuelle Filiberto continuò, mà sotto la Signoria di Carlo Emanuelle ancora, per lo spatio di quindeci Anni: Indi vecchio essendo, & infermo, con buona gratia di quel prencipe, alla sua Patria tornossi, di ricchezze, e di Privilegij carco; ergendo in quelle Provincie i termini del non plus vltra, alle sue memorande attioni. Morì nel fine del passato secolo: Il cui cadavero fù con solennissime essequie nella Chiesa di S. Francesco sepolto, dentro la Cappella da lui vivente eretta, laquale ornossi dell'armi, e de gli stendardi, che in guerra à gli nemici tolse; de' quali trè sino à questo giorno sopra la detta Capella ispiegati si veggono, testificanti delle sue gloriose vittorie i meritati trionfi.


L
ivio Fontini, bellissimo d'aspetto, fu da Emanuelle Filiberto fatto Capitano di Fanteria, e l'Anno 1578. ricevè dal medesimo l'habito di Cavagliere della Religione di S. Mauritio, e Lazaro, havendo prima sofficientemente la sua nobilitade provata. Si trattenne quattro Anni à quel servitio, ove diede gran segni della sua virtù, tanto nelle guerre di Francia, come del Piemonte. Ritornato alla Patria l'Anno del Signore 1582. sprezzate le grandezze del Mondo, che giudicolle del tutto esser caduche, e vane, entrò nella stretta Riforma de' Padri Capuccini, in cui Frà Paolo chiamossi, e nel Luogo di Camerino, in capo all'Anno fece la professione solenne. Nel poco tempo, che in quella santa Religione dimorò, diede con giovevoli essempi, ed ottimi costumi, della sua bontà gran saggio al Mondo: Onde mancando da questa miserabile valle dè lagrime, l'Anno 1588. in Monte Alboddo, salì (come si spera) per goder'in Cielo delle sue fatiche il premio. [p. 162 modifica]


P
andolfo Fontini figlio di Nero Fontini, del sudetto Livio Consobrino diletto, nell'istesso tempo in sua compagnia passò in Savoia, e la medesima fortuna correndo, con lui fu à gli honori di Capitano, e di Cavagliero assonto. Indi al paese tornati insieme, nel Convento di Camerino nella Religione sudetta de' Padri Capuccini entrorno; e si come quello chiamossi Paolo, cosi per segno della vera fratellanza esso nomossi Pietro. Et essendosi cordialmente in vita amati, e nella stretta Osservanza della Regolar disciplina sempre mostratisi uniformi, anco nella morte ottennero da Dio non esser separati; però che nell'istesso Anno; e nel medesimo Luogo di Monte Alboddo, anch'esso l'anima rese al Creatore, lasciando à vivi grande speranza della sua salvezza.


F
rà Nicola Falaschi Heremitano, Maestro della Sacra Theologia, dopò fatta lunga esperienza del suo sublime ingegno nelle principalissime Scuole dell'Ordine suo, in ispiegare in Cathedrale le sottigliezze Filosofiche, e Theologiche, applicò l'animo à gli essercitij dell'intelletto prattico, però c'hebbe in governo li maggiori Conventi della Religione sua, e molte Provincie della medesima. Et essendo Provinciale di Puglia, invidioso il Cielo di si raro soggetto, rapillo al Mondo l'Anno 1583. con doglia universale de' Padri, c'havendolo esperimentato in tanti ufici gravi, desideravanlo sopra modo di tutto l'Ordine Generale. Alla cui dignità, non solo sarebbe stato assonto, quando alcuni altri pochi Anni vissuto fosse; mà parimente ad altre assai maggiori, essendo egli stato lungo tempo di Sisto Quinto Pontefice (mentre era Minore) amico intrinseco.


F
rà Virgilio Malabruscia Heremitano Maestro della Sacra Theologia, fu Predicatore di gran nome, e sottilissimo Scolastico, il qual havendo per molti anni predicato ne i primi pulpiti d'Italia, ed anco letto nelle più famose Catedre dell'Ordine suo, ritornò alla Patria, con disegno di riposarsi. Mà non tantosto fu noto il suo ritorno à Giulio della Rovere Cardinale d'Urbino, che per Lettore de i Monaci della Badia del Fonte Avallano chiamollo, ove il detto Cardinale si trattenea; e poscia da quel luogo partendo, co'l titolo di Teologo seco il condusse, honorando infinitamente i suoi gran meriti. Morì l'Anno 1584. in Corinalto assai vecchio, lasciando delli guadagni suoi faticosi al Convento, meglio di cento Ducatoni d'entrata annua: Onde per tutti li secoli in quello (per li beneficij ricevuti) viva di lui si conservarà la memoria.


B
iagio Alessandri, eruditissimo nelle Greche, & nelle Hebraiche lettere, fu sottilissimo Medico, e Filosofo celebre. Essercitossi con grandissima fama in Iesi, in Città di Castello, in Ancona, & in altri luoghi degni. Da Giulio Terzo, l'Anno 1550. mandossi con la carica di Protomedico nell'Emilia, di dove per la chiarezza del suo nome, fu chiamato in [p. 163 modifica]Roma da Paolo Quarto, ove con infinita lode, e sommo applauso del suo profondo sapere, medicò molti Anni à concorrenza di Lutio Cordella, à cui in tutte le sue attioni non mai inferiore di credito, e di valore si rese: Onde non solo veniva adoperato da i primi Personaggi di quella Corte; mà dal Papa istesso fu della sua Persona Protomedico dichiarato; e per questo di molti favori, & Privilegi adorno. Morto questo Pontefice, continuò con l'istess'Anno sotto il Pontificato di Pio Quarto, & anco di Pio Quinto; alli cui santissimi piedi (spedito essendo Ambasciatore della Provincia della Marca) con tal'efficacia spiegò i bisogni di essa, che ottenne di remissione dieci milla scudi all'Anno, delli quarantamila, che ella sborsar doveva, secondo la tassa, fatta dal Sacro Collegio, stato essendo ad ogn'altro Ambasciatore, non men di questa, che d'ogni altra Provincia dello Stato suo, altre volte negato. Ottenne ancora dall'istesso Papa un Canonicato nella S. Casa di Loreto, l'Anno del Signore 1571. per Giovan'Angelo suo figlio, il quale possedè gran tempo, con maestà, e decoro; essendo egli Nobil soggetto, e nelle Sacre lettere versato molto. Nella morte lasciò herede Flaminio Alessandri suo primogenito, non tanto delle sostanze terrene; quanto de i beni dell'animo, e delle sue virtù: però che anch'egli fu molto intendente delle Greche, e dell'Hebraiche lettere, e della Scienza Medicinale sopra ogni credere esperimentato, in cui del continuo essercitandosi, sempre mai era in Condotta nelle Città più stimate della Marca, nelle quali essercitò anco l'ufficio di Protomedico, come consta per una patente, data il primo d'Agosto l'Anno 1589. che in mano di Giacinto Alessandri suo nipote si trova, come tutte l'altre, testificanti quanto si è scritto de i Soggetti Illustri di questa Nobil Famiglia de gli Alessandri.


F
rà Lodovico Panta Minore Conventuale, fu singolar Soggetto nelle Filosofiche, e Theologiche lettere, che dell'una, e dell'altra professione fu creato Maestro: Onde riuscì non meno celebre ne i Pulpiti, che nelle Scuole. Hebbe gran talento nel governare, come dimostrò con gli effetti; perchè oltre i Guardianati de' Conventi famosi, sei Anni continui resse le provincie d'Alemagna. Mosso dal grido Illustre del suo valore Stefano Battori Prencipe di Transilvania, e di Valachia, e poi Rè di Polonia alla sua Corte chiamollo, & per suo Theologo, Consigliero, e Confessore l'elesse, del quale si servì molti Anni. Sendo finalmente vecchio, e volendo ritornar in Italia, fu da quel Serenissimo Prencipe con favori, e doni liberalmente trattato, co'l valore de' quali, havendo ritrovato, che il Convento della sua Religione in Corinalto, da i Padri Minori Osservanti occupato ne stava, passò in Recanati, e vi riedificò un [p. 164 modifica]Convento, che quasi destrutto, fu da suoi Padri abbandonato. Questo per sua habitatione elegendo, molte entrate annue gli diede: Onde al presente frà i primi Conventi della Provincia s'annovera; come parimente l'accenna Frà Pietro Rodulfi nel secondo libro dell'Historie di S. Francesco, in queste seguenti parole: Magistrum Ludovicumm Panta de Corinalto, qui ad meliorem spetiem redegit, in pluriumque construxit locum Recineti. Hebbe questi nella Corte Romana credito grande; Onde gli suoi pareri nelle cose ardue, spettanti alla fede, furono sommamente stimati. Morì in Recanati carico d'Anni, con tal'edification, che lasciò à vivi buona opinione della sua salute.


F
rà Filippo Ranieri Minore Conventuale, Maestro della Sacra Theologia, fu sottile Scolastico, Predicatore celeberrimo, e nella prudenza politica eminente: Per lo che dalla sua Religione hebbe molti governi, si come dalla Sede Apostolica, da cui fu mandato con autorità plenaria General Commissario in Puglia, e nella Dalmatia Ministro Provinciale; ove promosse la Regolar Osservanza, e co'l suo buon'essempio in quelle parti, molto accrebbe l'Ordine suo. Fù coetaneo, e compagno nelle Scuole di Frà Felice da Mont'Alto, il qual creato Pontefice, Sisto Quinto chiamossi; da cui per gli suoi meriti venne singolarmente amato; tanto che, subito al Pontificato assunto, determinò, ch'ei fosse chiamato in Roma, con intentione alla dignità suprema di Cardinal'inalzarlo; & havendo inteso, che pochi giorni avanti fosse all'altra vita passato, non potè dalle lagrime astenersi, dicendo à chi portolli la nuova. Io del mio caro amico non piango il caso, sapendo ch'egli era mortale: mà ben si della mia sorte dolgomi, non havendomi concesso il tempo di potere le sue virtà, & il cordiale amore verso la persona nostra, premiare.


F
rà Bartholomeo Vetoli del medesimo Ordine, fu della Sacra Theologia Maestro Illustre, e Predicator fruttuoso. Mentre lontano dalla Patria essercitavasi nelle Catedre, intese con infinito cordoglio, che il Convento di Corinalto, dalla sua Religione levato, fosse à Padri zoccolanti conferito, da quali come proprio veniva pacificamente goduto; & accorgendosi non esservi per rihaverlo rimedio, navigò in Sardegna, ove conosciuti gli suoi gran meriti, honorato fu in diverse cariche di governi, del Provincialato in ispecie, nel cui ufficio diportossi co' suoi sudditi sì mansueto, e zelante, che da loro come cosa Divina era in un'istesso tempo temuto, amato, e riverito. Indi udita la nuova, che Frà Felice da Mont'Alto era stato al Pontificato assonto, ritornò tosto in Italia, e trattando in Roma del sopradetto Convento il desiato possesso (se bene con gran difficoltà) finalmente co'l mezo efficace del Cardinal Sarnano, l'ottenne; [p. 165 modifica]ed'eglì fu il primo, con molti altri Soggetti primieri della sua Religione ad habitarvi. Procurò (per l'affetto de' Corinaltesi alla divotione della sua Religione tirare,) che ivi un numneroso Novitiato s'ergesse, ove non furono ricevuti all'habito altri Soggetti, che delle principali Famiglie di quella Terra, de' quali molti famosi riuscirono, & Illustri.


M
arc'Antonio Guglielmi Dottor essimio di Legge, in molti carichi di governo servì l'Apostolica Sede in Città, e Luoghi principali dello Stato, e sempre con somma sadisfattione de' Padroni. Et hormai vecchio, sendo ritornato alla Patria, fu sempre da quella più che ogni altro stimato; havendosi da riformare in essa le Leggi Municiali antiche, & aggiungervene dell'altre, per li vitij correggere, che con la successione de gli Anni provenivano dalla malitia humana, dal Consiglio frà il numero di trentasette Dottori, che in quel tempo fiorivano in Corinalto, egli con altri due d'uguale virtù, à quest'importante carica fu eletto, e ne riuscì felice nella promulgatione non meno, che nel procurare l'osservanza d'esse. Morì carco d'honori nella medesima Patria, Successori lasciando, che sino à questo giorno seguono nella linea.


P
ier Domenico Martinelli, fu huomo di gran talento nel trattare i negotij, ed'incredibile energia nel persuadere; Onde dal suo Pubblico veniva ben'ispesso mandato à trattare con Prencipi. Fermossi molt'Anni alla Corte Romana, ove dal Pontefice Gregorio Terzodecimo veniva continuamente oprato à comporre le paci, & à sedare le discordie, che sovente anco frà Grandi di quella Corte suscitar solevansi; Onde qual Mercurio alato interponendo prontissimo il caduceo della pace, e riuscendone sempre con somma lode, fu dal medesimo Pontefice nella persona di Gasparo suo Germano fratello rimunerato, conferendo à quello una ricca Badia in Norsia; ov'egli dopò haverla posseduta molti Anni. Morì in concetto di huomo giusto, e di sincera fede. Ritornato Pier Domenico alla Patria, non solo immediatè Paciero generale fu da quei Cittadini eletto: mà perciò anco veniva da molte Città principali della Marca chiamato; come chiaro costa da certi Stromenti publici di pace da lui trattate, i quali si conservan'in mano di Martinello suo figlio. Anzi dall'Altezza d'Urbino in tutte le maggiori controversie de' Sudditi suoi, eravi per giustamento frammesso: Onde sentitasi la sua morte, molto il detto Duca si afflisse, & alla presenza di molti, con chiari encomi celebrò del suo valore i meriti.


M
ichele Martinelli strenuo Capitano, passò (desideroso di gloria) nel principio delle guerre di Fiandra, à gli Esserciti della Maestà Cattolica, ove creato Capitano di Fanteria, molti Anni con le sue genti militò [p. 166 modifica] contro gli Heretici; & all'imprese più ardue fece gran prove del suo valore. Sendo poi reso impotente à tal'ufficio per le molte ricevute ferite dagl'inimici in guerra, tornò carico d'honori alla Patria, & assai ricco delle spoglie hostili; Così notato appare nelle patentali lettere de' suoi ben serviti, che in mano de' suoi Parenti conservate si veggono. Morì nel passato secolo in Corinalto, lasciando la memoria de gli suoi honorati fatti nella mente de gli huomini, assai più viva, che non haverebbe fatto ne i proprij figliuoli; quando ne fosse fatto degno dal Cielo.


M
artinozzo Martinelli fratello di Pier Domenico, Dottor'egregio dell'una, e dell'altra Legge, dopò have fatto passaggio à molti Governi di Città principalissime della Chiesa, chiamossi alla sua Corte da Nicolò Cardinal Caetano, à cui nell'ufficio d'Auditore servì un tempo, e dopò la morte di quello, nella medesima carica seguitando, servì Henrico Cardinale, del già defonto nipote, con tal diligenza, e fedeltà, che veniva da molti Prencipi desiato: per lo che Sisto Quinto Pontefice Massimo appo di se chiamollo, nè più difficili affari dello Stato Ecclesiastico impiegandolo; specialmente nel Governo della Regione di Farva, mentre che veniva da' Banditi gravemente oppressa, con auttorità plenaria dell'uno, e dell'altro foro; di cui servendosi con discrettion, e prudenza, in tre Anni, che dimorovvi, liberò non solo affatto il paese da si pernitiosi nemici: mà insieme à i fautori di quelli diede il condegno castigo; da che acquistò tal nome, che sino à questo giorno di lui conservasi memoria. Morì in quel Governo in Poggio Mirteto d'Anni 68. e del Signore 1588. Vacarono per la sua morte due mila scudi di moneta Romana d'entrata l'Anno, iquali dal Sommo Pontefice furono ad Antonio Martinelli, suo nipote conferiti, che in Roma trovavasi, essercitando l'officio d'Avvocato, qual volle, che di tutti gli honori del suo defonto zio restasse herede; Onde spedillo tosto al Governo della Contrada medesima di Farva, di dove richiamandolo, Prelato, e Referendario dell'una, e dell'altra Signatura, e Vicedatario creollo, honore di somma stima nella Corte Romana. E quando da gli emoli stata non gli fosse (come credesi) accelerata la morte, per certo si teneva, che alla dignità Cardinalitia dovesse essere assonto. Afflisse questa morte inaspettata Gio: Domenico suo Padre, & ogn'altro suo parente non solo; mà tutta la Patria, per la sicurezza, che concepito haveva doversi della sua essaltatione gloriare. Anzi nell'istessa Corte fu pianta, singolarmente dal Cardinale Mont'Alto, e dal medesimo Pontefice, il qual volle, che solennissime fossero l'essequie, e'l suo funebre mortorio da tutta la Corte accompagnato. [p. 167 modifica]


G
iovan Boni, havendo studiato le Mathematiche, sotto la disciplina di Federigo Comandini d'Urbino, in quelle eccellentissimo crebbe. Del cui valore divulgata la fama, fu chiamato da Grandi al lor servitio, specialmente da Ferdinando Medici Gran Duca Tosco, e da Alfonso da Este Duca di Ferrara, appresso de' quali non difalcando punto della estimatione co' fatti, da quelli venne sopramodo amato. Et havendo al servitio loro spesi i più fioriti Anni, nell'età matura tornossi alla Patria; ove per fuggir l'otio, non isdegnò applicare l'acutezza dell'ingegno suo alle prattiche manuali, servendosi de gli scarpelli per iscolpire in marmi, & intagliare ne' legni quelle figure, che prima ideava nella sua mente purgata, in cui riuscì di eccellenza tale, che anco nomatamente il Maestrin chiamossi. E non solo discepoli facendo nelle Mathematiche speculative, e mecaniche: quanto nell'arte Scultoria, grand'utile apportò co'l suo saper à gli huomini; Onde il suo nome nel Tempio de la Fama viverà per tutti li secoli immortale.


F
rà i Discepoli di questo gran Maestro, assai famoso divenne Giacomo Franceschini, detto Carabotta, il quale nella Scoltura à tal credito salse, che all'opre suo non si tassava il prezzo, stimandosi che ogni paga rigorosa diminuta fosse al valore di quelle specialmente la Cappella Sacre, che in Caramanico eresse, l'eccellenza di cui à più famosi scultori di questa età presente porta non ordinario stupore. Morì questo grande Artefice infelicemente all'Aquila: havendo compito à pena il Tabernacolo, e gl'ornamenti celebri della sontuosa Capella, ov'è l'Ara maggir nella Chiesa de' Padri Predicatori. Fuor che la fama del valor di Giacomo, e l'essistenza de gli suoi artificij, altro non si trova di lui, che lo ravvivi à' posteri, essendo ch'egli d'oscuri parenti sia nato, e nella morte non instituisse heredi: Onde anch'avvenne, che da diversi furono le sue sostanza pretese: anzi da chi non vi hà ragione carpite.


D
ionisio Silvestri Dottor di Legge, e nelle humane lettere eruditissimo, trovandosi giovanetto in Corinalto, per desiderio d'honore se ne passò à Roma per tentare la sorte; dove à pena giunto, fu da Innico Cardinl d'Aragona alla sua Corte chiamato; & havendolo nel servitio con l'esperienza intieramente compreso, dichiarollo suo Consigliero, e Segretario primiero: à cui, e non ad altro (quantunque stretti parenti) tutti gli suoi più intimi secreti fidando, giornalmente mandavalo co' Prencipi grandi à trattare negotij, in Roma non solo, mà per diversi luoghi d'Italia, ed anco per l'Europa, fuori. Nel cui servitio essendo quarant'Anni continui dimorato, lo pianse morto, e sconsolato volle ritornar' alla Patria; mà con grand'istanza richiesto da D. Tomaso d'Avalos, nipote del suo Padrone defonto, per non disgustarlo, anco per alcuni Anni vi si trattenne, [p. 168 modifica] di Maggiordomo essercitando la carica, e della sopraintendenza de' suoi Stati. Vecchio divenuto essendo, mosso dal natural desiderio, che hà ciascheduno di morir nella Patria, tornò à Corinalto d'Anni, e di ricchezze ripieno, havendo sopra mille scudi annui de' beni Ecclesiastici. Al fine dell'andato secolo morì nella casa paterna, lasciando heredi Gioseppe, e Marc'Antonio Cimarelli suoi nipoti, figli di Urania, che fù sua diletta, & unica Sorella. La sua morte fu universalmente nella Patria pianta, per la rimembranza de' beneficij, che da gli suoi favori nella Corte Romana, (mentre ch'egli nel tempo accennato vi stette) ricevuti s'erano.


P
ier Andrea Santarelli Nobile Cittadino di Corinalto, ritrovandosi nell'età di sedici Anni, navigò in Candia, ove servì Soldato Caporale sotto il commando del Capitan Muricone da Iesi. Dopò ivi haversi trattanuto due Anni, se ne passò con la carica d'Alfiere in Lepanto, nell'Armata Navale, sotto il commando del Capitano Magio suo zio; dove si diportò contro gli nemici nostri con tal valor', e coraggio, che meritò (subito ritornato alla Patria) essere dall'Apostolica Sede per Capitano delle militie eletto; in cui sendosi dodeci Anni essercitato, più voglioso d'honori passò in Avignone, dentro il cui presidio due Anni con molta puntualità servì la medesima sede per Huomo d'Armi, sotto il commando del Colonello Alessandro Amici da Iesi. Conosciuto per fama il suo coraggio dal Duca di Pernone, con gran desiderio fu dimandato al soldo della Corona di Francia, dove andò nel medesimo ufficio d'Huomo d'Armi, sotto il governo dell'istesso Duca, dal quale (dopò lungo servitio) licentiandosi, ne ottenne lettere amplissime di ben servito, scritte in lingua Gallica, l'Anno 1587. in cui d'ogni suo honoratissima fattione si fà piena memoria, lequali da me nell'Originale suo proprio appo li suoi Discendenti son state vedute. Tornato in Italia, dal Sommo Pontefice Sisto Quinto fu dichiarato Capitano delle Militie di Iesi, e Territorio suo, con lettere patentali del Cardinal Mont'Alto, date in Roma lì 17. Decembre 1589. Dopò due Anni da quel servitio rimosso, fu mandato dal Pontefice successore Gregorio Quartodecimo, per Capitano delle militie del Presidato, con lo stipendio di buona somma di moneta al mese, come appare per lettere patentali di Paolo Sforza, all'hora di Chiesa Santa Generale Tenente, date in Roma 10. di Luglio 1591. Nel medesimo Anno crescendo in quelle parti la forza de' Banditi, fù dichiarato Condottier di Cavalli contro Marco Sciarra, Duce di molti scelerati ladroni (come appare dalle lettere di Vincenzo Giustiniano, all'hora Generale Tenente dell'armi della Chiesa, date in S.Severino lì 9. d'Ottobre 1591.) contro quali havendo egli più volte combattuto, ne riportò molte vittorie, [p. 169 modifica] e liberato da questi co'l suo ardire, il paese, glorioso ritornò alla Patria, ove assai vecchio morendo, con gran pompa funebre da' suoi heredi fù nella Chiesa di Santa maria del Confalone sepolto, di cui anco in vita era Confratello devoto.


P
ompilio Sandriani Dotto di Legge insigne, e nelle politiche Architetoniche sperimentato molto, dall'Apostolica Sede in ufficij degni più volte impiegato venne. Es essendo nella Patria molto il suo saper stimato, fu nella riformation de gli Statuti, dal Consiglio per uno de i tre, che à tal carica dovevansi impiegare, eletto, il qual non ricusando la fatica, (come prattico delle communi Leggi) seppe le Municipali accommodare al vivere di quel tempo, & in rimedio vero alla corruttione de' Popolari costumi. Morì in Corinalto, lasciando herede in un del sapere, e delle sue sostanze, il Dottor Battista unico suo figliuolo, il qual giovin morendo, lasciò fanciullo Curtio figliuol suo. E riuscito anch'esso Dottore (all'Avolo, & al Padre consimile nei progressi) dalla sorte invidiato, nel mezo de' suoi verd'Anni finì la vita, lasciando herede ancor Bambino in fascia Gio:Battista unico suo figliuolo, che hoggi honorato vive in Corinalto, di 100. cavalli Capitano.


A
lovisio Amati, figlio di Viviano Amati, fù celebre Dottore nelle Civili, e Canoniche Leggi, Filosofo profondissimo, Cosmografo, e professore della cognition delle cose antiche. Hebbe memoria tenacissima; però che di tutto quello che letto, udito, ò veduto haveva, sin'alla morte ne tenne rimembranza vivace. Molti Popoli hebbe nello Stato Ecclesiastico in governo, con cui benignamente portandosi, lasciò tutti nella sua partenza contenti. Divenuto poi vecchio, alla quiete della Patria ritirossi; dove per non rendersi à quella inutile, con Pompilio Sandriani, e Marc'Antonio Guglielmi, riformò le Leggi Municipali, e con amor, e fede dava continuamente saggi, & ottimi consigli à coloro, che facevan à lui ne' loro bisogni ricorso. Morì assai vecchio, lasciando Nipoti, e figli suoi heredi. Rincrebbe à tutti la sua morte, non potendosi tolerare, che tante segnalate virtù restassero co'l cadavero suo, in una Tomba giacenti.


P
ietro Sandriani Capitano glorioso, al servitio de' Venitiani, militò lungo tempo, e nell'occasion dell'assedio di Dulcigno, con le sue gloriose imprese acquistossi tal fama, che il suo nome nella memoria de' posteri viverà in eterno; però che ritrovandosi con la sua Compagnia nelle Ville di Zorzi della Briava, di un passo alla guardia, non solo più volte s'oppose alle schiere armate de Turchi, e con vergogna, e danno loro lo risospinse indietro; mà con valor incredibile si costante resistenza fece [p. 170 modifica]al numeroso Essercito di quei Barbari, guidato da Emat Bassà Visir, e dallo Spachì della Grecia, che à mal suo grado forzollo con grande spargimento di sangue ritornare à dietro, e fare di altro viaggio elettione, se giunger voleva di Dulcigno à i danni, secondo che il gran Turco ordinato haveva. Dopà questo grand'atto, havendo il medesimo Capitan penetrato, che vicino à Scutari Città nella Liburnia posta, un'altra gran quantita di Turchi à danni de' Christiani veniva, dando à la Regione il guasto, colà si spinse con le sue genti, e postosi in aguati frà quegli stretti viali, con tal'empito assaltolli, che ne pur uno lasciò in vita. Et havendo nel conflitto semivivi li Subassi presi dell'Alaybech Brià, con un'altro Spachì, tagliò loro le teste, le quali per segno delle sue vittorie, fece nella Porta maggiore di Dulcigno appendere. Tutte queste gloriose imprese vengono riferite dalle sue lettere di ben servito, che date in Venetia lì 11. di Genaro 1572. in mano de gli suoi heredi, sino al presente si trovano, che da me lette nel suo originale già furono. Sì per queste, come per altre simili attioni, volle il Serenissimo Senato inalzarlo à i primi carichi dell'Essercito suo: Mà egli contento di questi homori, sendo vecchio, con buona gratia del medesimo Senato, se ne tornò alla Patria, ove al fine del passato secolo mori decrepito; il cui cadavero fù sepolto con le solennità funebri, che dovute erano à si glorioso, & à sì egregio Soldato.


GG
IO: Battista Baffi Medico, e Filosofo della prima Classe al suo tempo, essercitò con somma lode l'arte della Medicina in molte gran Città dell'Italia. Lesse la medesim'Arte molt'Anni in Perugia, con incredibil concorso, non men de' Paesani, che di forastieri Scolari, iquali da lontani paesi à posta venivano per udirlo. Nel leggere (come quegli, ch'era profondissimo Filosofo) hebbe chiarezza tale, che ogni mediocre ingegno poteva distintamente capirlo; Per lo che de gli suoi discepoli infiniti Medici eccellenti riuscirono. Compose elegantemente un libro sopra le Comete, pieno di maravigliosi secreti della Natura, che à beneficio del Mondo publicò alla luce. Scrisse ancora molte altre cose utilissime tutte, che à posteri renderanno la sua memoria eterna; specialmente un grosso, & eruditissimo Volume sopr'Avicenna, il quale di presente servasi manuscritto, nella famosa Libraria d'Urbino. Morì in Perugia decrepito pochi Anni à dietro, da quell'Università communemente pianto, e dalla Città medesima; restando herede delle due sostanze, e delle Scienze insieme Lucullo suo figliuolo, in questa nostra età Medico insigne. [p. 171 modifica]


D
emafonte Fontini, conosciuto in Napoli per giovine di grand'animo, dal Prencipe della Noglia fù condotto in Fiandra, ove fece molte honorate prove; singolarmente quando alla sprovista essendo solo, assalito venne da un Capitano Spagnuolo, e suo Alfiere, per causa del suo Signore, e Padrone, il qual'odiava à morte: Onde fece con la sua spada si valorosa difesa, che ambidue in pochi colpi uccise; per lo che di coraggioso acquistando il nome, tosto fù dichiarato d'una Compagnia del detto Prencipe Alfiere, e da gli Officiali Regij possessor in vita d'una Piazza morta. Dopò alcuni Anni tornato in Napoli, dal Consiglio di guerra di Sua Maestà Catolica portato fù alla carica di Capitano di Fanteria Italiana, nel partimento di Salerno, e di Tiano; & avanzandosi in quest'officio, per ordine speciale dell'istessa Maestà fu Sargente Maggiore di mille Fanti della nation'Italiana dichiarato per la Fiandra, come dalle sue patenti appare, che in mano de gli suoi nipoti in Corinalto conservansi. Et havendo già in pronto questo Reggimento, nell'imbarcarsi per lo viaggio, l'Anno del Signore 1594. nel mese d'Ottobre, da certi pretendenti di questi honori gli fu dato il veleno; nde nel salire a gli ambiti monti della fama, cascò nella valle funesta della morte, l'Anno della sua età trigesimoterzo, con partilar disturbo del ViceRè, e di tutti gli altri officiali Regij, che informati della sua virtù, il gran pregiudicio conobbero della mancanza di si valoroso, e strenuo Capitano: il cui cadavero portato in Venafrio, nella Chiesa di S. Agostino, con gran pompa nella Tomba fu sepolto, dove l'ossa di sua Moglie giacevano, che dua Anni prima era mancata à' vivi.


T
arduccio Tarducci figlio del sudetto Capitano Pier'Antonio, fù anch'esso non men per li paterni meriti, che per lo suo valore à Massimiliano Imperatore, & à Ridolfo suo Successore grandemente caro, da' quali fu in diversi carichi militari contro gli Ottomani promosso; specialmente nella Servia, e Croatia, dove per lungo giro d'Anni delle principali Fortezze di quelle Provincie hebbe il governo. E con la Compagnia de Cavalli (sopra cui haveva il commando) scorrendo la Campagna ne i confini de Turchi, virilmente combattendo, più volte ne riportò gloriose vittorie. Morì à quel servitio, pugnando in guerra, con dispiacere di Cesare, il qual molto nella sua sincera fede tant'Anni da lui conosciuta, sperava.


chille Tarducci, anch'esso figlio di Pier Antonio, non men fù Capitano invitto, che Mathematico eminente; per lo che della sua fama in Asia, e per tutta l'Europa essendo sparso il grido, anco in Transilvania pervenne, ove dal Battori, di quella Provincia Prencipe generoso, [p. 172 modifica]al suo servitio chiamato, nelle guerre, che à gli Ottomani faceva, la carica di supremo Ingegnero, e Tenente Generale dell'artiglierie gli diede; ne' quali officij sino al caso del detto Prencipe si trattenne: Di dove incontinente fù da Ridolfo Imperatore alla medesima carica richiamato, & all'ambito grado di Consultore di guerra, à cui sempre servì con tal utile del Romano Imperio, e de' Christiani d'Europa, che chiuse co' suoi disegni al fiero Trace il passo in Ungaria, oscurando in quel Cielo la Ottomana Luna, e pose à i rapidi fiumi della violenza sua in quella parti, oltra il Danubio, le mete, e gli argini. Et affinche da quello queste non mai s'aprissero, ne compose un grosso Volume, e diedelo alle Stampe, co'l Titolo alla Dottrina, che in esso insegna corrispondente, il quale in frontispicio contiene

Il Turco vincibile in Vngaria.


Et oltre à questo, pose anco alla luce il Libro intitolato

Le Mecaniche antiche, e moderne.


E quello dove si raccontan i fatti di Giorgio Basti nella Valacchia, utilissimi tutti à Christiani per conoscersi in quelli le vie da difendersi da gli Esserciti numerosissimi di quei cani, i quali usan gran forza per inondarci, e far di Christo i sacri Tempij non che Moschee, mà stalle. Morì questo Capitano glorioso nella Fortezza di Luano, mentre disegnava i posti dove si dovevano collocar l'artiglierie per colpir l'inimico. Lasciò la sua morte tutta la Corte Imperial sconsolata, e tutte le militie Christiane confessavano haver da esso la salute assai volte, per l'accennate ragioni, goduta; e con esso mancò nella linea mascolina in Corinalto la Casa Tarducci: ben che di presente fiorisca in Mondavio, ove andò ad habitare Pandolfo fratello germano di Pier'Antonio, da cui sono discesi Cavaglieri, Dottori, ed altri Soggetti degni.


B
enedetto Fontini fù Poeta raro, Iurisconsulto, e facondissimo Oratore; Onde spedito più volte dal suo Publico à diversi Prencipi Ambasciatore, riportonne sempre benigne le desiate gratie: specialmente da Clemente Ottavo Sommo Pontefice più di una volta, e da Francesco Maria della Rovere Secondo Duca d'Urbino, appresso alquale concluse gli aggiustamenti della descritta lite, per tanti lustri, e secoli (come sopra scrivessimo) trà Mondaviesi, e Corinaltesi agitata. Perciò da suoi Concittadini fù singolarmente amato, e riverito. E la sua morte, che non molti Anni à dietro in Corinalto successe, à tutti fù di rincrescimento grande. [p. 173 modifica]Lasciò due figli, ambi Dottori di Legge, i quali dall'essempio paterno stimoltai, à molte cariche di Governi furono assunti. Et il Minor Pier Maria nomato, secolar Sacerdote essendo, morì Vicario del Vescovo d'Isola, ne Brutij, lasciando con la sua morte sconsolati non tanto co' Diocesani quel Vescovo, che molto per la buontà l'amava, quanto i compatrioti medesimi, che in speranza vivean dovesse à maggior grandezze salire, per honorar in uno con se la Patria.


G
iovan Battista Ottaviani, sottile Dottor di Legge, essercitò la sua proffessione molti Anni in Roma, dove conosciuto il suo merito, la Sede Apostolica volle di lui servirsi ne' più difficili Governi del suo Stato; in cui felicemente riuscendo, fino al fine della sua vita fello continuare. Molto accrebbe in queste cariche de i beni di fotuna, i quali molto liberamente spese, non meno con gli amici, che à beneficio de' poveri, singolramente de' Padri Capuccini, à cui (oltre l'elemosine quotidiane) più volte ancora ne i Capitoli, che in Corinalto fecero, con lautezza somministrò gli alimenti, e nella sua morte di spose, che il simigliante gli suoi heredi facessero; come da suo figlio Angelo s'essequisce à pieno. Morì colmo d'opre buone, che gli fecero al Cielo (come si spera) nobile corteggio, con doglia universale di tutti li Corinaltesi, e de' poveri in particolare. Lasciò heredi Marc'Antonio, ed'Angelo, amendue Dottori di Legge. Marc'Antonio mancò alla Corte Romana, in cui con riputatione, e credito si essercitava nella professione legale, e di lui confidano molto i Cardinali della prima Corte: Onde non poco perciò della sua morte si dolsero.


C
intio Clemente, figlio di Diomede Clemente, svegliato ingegno essendo, fè in ogni Scienza profitto grande, particolarmente nella Medicina, in cui ad ogni altro del suo tempo prevalse. Medicò assai tempo in Roma i primi Cardinali del sacrato Collegio, & i Maggiori Personaggi di quella Corte, con tanto applauso, che à gran favore stimavasi essere da quello nelle sue infermità visitato. Quindi il Sommo Pontefice Paolo Quinto per suo Medico l'elesse, à quello solo la sua salute fidando; la onde esperimentato più volte nella propria persona il suo valore, accompagnato da sincera fede, dichiarollo suo Cameriero Secreto, Canonico di S. Giovan Laterano, & Abbate d'alcune Badie, che ogn'Anno tre mila scudi di Camera gli rendevan d'entrata. Nella vacanza dell'Apostolica Sede, dopò la morte del Pontefice Gregorio XV. in Conclave trovandosi à servire il Cardinal Borghese, hebbe occasione di trattare domesticamente col Cardinale Mafeo Barberino, il quale ne gli suoi discorsi conoscendo il saper' suo profondo, molto se gli affettionò: per lo che sendo egli eletto [p. 174 modifica]Pontefice, di repente al suo servitio chiamollo, dichiarandolo (come già fù di Paolo Quinto) suo Camerier secreto, con intentione di portarlo anco à dignità maggiori. Mà uscito à pena dal Conclave, sendo da non aspettata infermità assalito, in brevi giorni perdè la vita, e con la vita, in mezo à tanti honori, il felicissimo corso delle sue sperate grandezze.


F
rancesco Brunori, (di cui regionossi sopra,) dopò haver servito in molti officij honorevoli alla Corte Romana, eletto fù per gli suoi meriti Rettori di Corinalto, nella Chiesa di S. Pietro, con tutte quelle ricche rendite: ove tratenendosi, per lo spatio di cinquanta quattr'Anni, che di detta carica hebbe il possesso, non meno co'l buon'essempio di se medesimo, che nella particolar diligenza, e sollecitudine, (la quale usò sempre co' sudditi) in tal concetto egli salse, che come Angelo era tenuto, e riverito. Scrisse sopra molti luoghi della Sacra Scrittura, & sopra altre materie utili, che di presente in mano de gli suoi nipoti si trovano. Mancò l'Anno 1629. e da tutti fù pianta la sua morte, stimandosi anco probabilmente, che intatta sino alla sua morte la sua Verginità conservasse.


A
driano Sandriani fù huomo prudente, savio, e bravo Soldato. Questo nelle guerre di Fiandra essendo Alfiere, contro gli Heretici militò lungo tempo, & in ogni sua fattione generosamente portandosi, gran nome di se lasciò in quegli Esserciti. Ritornato in Italia per aggiustare gl'interessi di sua Casa, alcuni Anni alla Patria si trattenne. Di nuovo da quella uscendo, con l'occasion delle guerre nel Friuli, da Signori Venetiani, con lettere Ducali fù dichiarato Capitano ordinario, e Condottiere di ducento Fanti; nella qual carica non solo servì con diligenza, e fede, sin che finì la guerra: mà parimente dopò seguitò à quel soldo, essendo impiegato con le sue genti in quelle fattioni, che maggior esquisitezza nel servitio cercavano. Ed egli per al concetto corrispondere, che di lui tenevano quei Signori, accrescendo al suo valore l'affetto, non men bravo nel combattere, che vigilante nell'osservare gli andamenti nemici continuamente mostrossi; e singolarmente questo all'assedio di Gradisca faceva in tanto, ch'un giorno s'avide, dover da gli assediati la seguente notte esser nel suo posto assalito, ove vigilante, e co' suoi in ordinanza trovato, fè di quelli riuscire i disegni vani. Quindi Pompeo Giustiniano, Generale de' Venetiani questo fatto al Senato riferendo, soggiunse in lode di lui, ch'egli nell'andare à rivedere i posti, anco all'improvisto, ed hora inaspettata, non haveva conosciuto più diligente, e vigilante Officiale in tutto l'Essercito, del detto Capitano Adriano Corinaltese, non haven[p. 175 modifica]dolo mai ritrovato à sedere, non che à dormire, mà in continuo moto, tenendo svegliate le sue genti, e nelle fattioni occupate. Ottenne da quella Republica una Piazza morta in premio delle sue fatiche. Mori finalmente nella sua Patria pochi Anni à dietro di una lunga infermità, nella quale era cascato per gli varij patimenti della guerra; lasciando heredi Magio suo figliuolo, dell'una, e dell'altra Legge Dottore, il quale in uno de i proprij, e de i paterni meriti gli honori si gode.


F
rà Giovan Battista Castagna dell'Ordine de gli Heremitani di Sant'Agostino, essendo trascendente d'ingegno, fè gran progresso nelle Theologiche, e Filosofiche lettere: Onde ne gli Studij Generali della sua Religione hebbe tutti i gradi soliti conferirsi à più purgati soggetti. Finalmente assunto alla dignità Magistrale di Sacra Theologia, fù da gli suoi superiori mandato Regente à Cesena, di lì havendo compito il solito triennio nella medesima carica, passò a RImino, e poi à Padova; di dove per alcuni non meritati disgusti, partì per Milano, chiamatovi per Lettore de' Monaci Cisterciensi. Et al Capitolo celebrato in Roma, quando fù eletto per Generale della sua Religione il Padre Asti, hebbe l'assistenza della Cathedre, che da valorosi Reggenti di quell'Ordine d'ogni Provincia del Mondo erano per sostentarle venuti: le cui sottili risolutioni ogni letterato fecero stupire: Onde divulgatosi del suo valor la fama, i primi Dotti di Roma, come ad Oracolo concorrevano per udirlo. Nel medesimo Capitolo, da quei Padri fù eletto Diffinitore, honore segnalato à i più degni solo della Religione conferito. Dopò infiniti stenti, per riposarsi tornato alla Patria, in varij Conventi principali fù Prior eletto, ilquale (eccetto quello di Corinalto) accettar non volle, parendoli di perder in quegli officij (quantunque per se stessi honorati, e da altri ambiti) oltra misura il tempo. Accettò nondimeno il Provincialato della Marca; essendo stato eletto à voce viva in Cingoli, al principio intorno di questo secolo; nel qual'ufficio, secondo l'espettatione egregiamente portossi. Morì in Corinalto pochi Anni à dietro, con doglia infinita non tanto della Religione, per la perdita di si utile, e stimato Alunno; quanto della Patria, che non poco vantavasi di havere un tanto meritevole figlio generato.


F
rà Stefano Magini anch'esso Heremitano, fece li Filosofici, e Teologici corsi con infinito applauso, e riuscendo in tutte le sue virtuose attioni egregio, con facilità conseguire potè ogni grado, solito conferirsi à i più elevati spiriti delle Scuole. Fù finalmente (dopò lunghi sudori) creato Maestro, e mandato Reggente in Trivigi, e poi nella Città di Fermo. Di dove per la fama della sua Dottrina, fù condotto Lettore [p. 176 modifica]della Sacra Theologia nell'Università di Macerata: in cui con progressi non ordinari quattordici Anni continui il suo talento spese, seguito da un numero incredibile di scolari. Et essendo eletto Provinciale della Marca, con applauso commune de gli elettori, resse quella Provincia con benignità, e con giustitia. Morì in Macerata il 12. di Novembre, l'Anno 1622. essendo ivi da tutti pianta la sua morte, & in particolare da gli Studianti, à cui pareva, che di quello Studio la corona fosse nell'occaso di lui caduta.


F
Bartolomeo Cimarelli Minore Conventuale Osservante, stato è dè più chiari Theologi, e profondi Filosofi di questa nostra età. Hà scritto vagamente sopra varie Scienze, come io ne posso fare indubitata fede, havendo gli suoi scritti veduti, e con attentione benissimo di essi la dottrina compresa, i quali non ancora dati alle Stampe, furono alla sua morte de gli suoi Padri à questo effetto pigliati. Scrisse anco la quarta Parte delle Croniche di S. Francesco, divisa in cinque Volumi, de' quali trè solamente veggonsi alla luce, sendo gli altri due rimasti alla sua morte in mano dello Stampator in Venetia, il qual'essendo anco similmente il seguente Anno mancato, non hebbe di restituirli potere: one di stimano smarriti. Lesse in mole Cathedre della sua Religione con gran profitto, & utilità de gli Scolari, per la profondità, e chiarezza della sua dottrina. Fù da' suoi Superiori mandato, con carihi degni della sua persona nella Spagna, ove dimorò cinque Anni in stima tale presso à quella Corte, che da tutti per gli suoi pronti, e virtuosi discorsi ammirato veniva, e per divino huomo tenuto. Per questo più volte introdotto fù all'udienza di quella Maestà Cattolica, riportandone pretiosi doni, e segnalate gratie; e quando da suoi emoli stato impedito non fosse (troppo vivace tassandolo, e nelle sue risolutioni violento) senza fallo sarebbe stato co'l mezo della detta Maestà, al Generalato della sua Religione promosso. Tornato in Italia, essendo Guardiano del Convento di Fano, fatta una gran raccolta di Libri, à spese del suo patrimonio, una ricca, e sontuosa Libraria v'eresse, si come una Speciaria v'aprì à beneficio publico. Fù gratissimo à Francesco Maria Se.o Duca d'Urbino, che conoscendo gli suoi gran meriti, honoravalo sopra modo, e famigliarissime lettere piene d'affetto gli scriveva, le quali sino à questo giorno in mano de gli suoi stretti parenti si servano. Ritrovandosi Commissario Apostolico della Provincia dell'Umbria, nel Convento di S.Maria de gli Angeli d'Assisi, ricevè in hospitio Vincenzo Secondo Duca di Mantova, il quale per le cortesi maniere del suo trattare, e per la dolcezza de gli suoi ragionamenti affattionosseli tanto che lo volle seco in Mantova con amoroso [p. 177 modifica]sforzo condurre, ove lo dichiarò suo Theologo, è Consigliero di Stato; e dopò non molti giorni lo dimandò anco per Vescovo titolare alla Santa Sede, da cui ottenuta la gratia, de' beni Ecclesiastici assai ricca entrata procuravali. E mentra che in Roma la conclusione di questo negotio trattavasi, in Venetia per esporre in suo nome alcune Ambasciate à quel Senato mandollo. Poterono tanto gli accennati honori nel cuor de' maligni, ulcerati dalle cantaride dell'invidia, e punti dal tarlo del livore, che co'l veleno si spinsero à procurarli la morte, la qual successe l'Anno 1628. Il cui cadavero fu nella Chiesa di S. Francesco delle vigne, nella medesima Città di Venetia, riposto. Di sommo dispiacere fu la morte di questo gran Religioso all'Altezza di Mantova, & à tutta la sua Corte, come se ne videro con chiarezza i segni, honorando egli con la sua presenza, e con l'assistenza della medesima Corte, gli offici funebri, che con solennità gli si celebrarono da' Padri della sua Religione in San Francesco di Mantova.


D
i questo, Frà Marco del medesimo Ordine fù germano fratello, il quale non meno nelle compositioni Musicali si tenne eccellentissimo, che ne i Governi maraviglioso; essendo stato Prelato quarantacinque Anni continui ne i Conventi più stimati della Provincia sua della Marca. Glorioso morì in Recanati l'Anno 1631. lasciando per l'integrità della passata vita, grande speranza à' vivi della sua salute.


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rà Giulio Santarelli Heremitano, dopò haver consumato assai tempo nelli Theologici, e Filosofici studij, venne alla dignità Magistrale portato, di cui non si servì per esser l'honorato; mà perche la dottrina insegnata da lui, fosse come soda, & all'anime de' Christiani giovevole, accettata. Quindi (quantunque infermo) sempre occupato ne gli essercitij trovavasi delle lettere, tanto in leggere à Scuolari nelle Catedre, come in predicar sù i pulpiti. In molti Conventi principali fù per Priore chiamato, i quali governò con zelo, e promovimento della Regolar'Osservanza. Nel Capitolo Generale, che si celebrò in Recanati (ov'egli era Priore) fù da quei Padri Diffinitore eletto; E non molti Anni à dietro in Sant'Elpidio Provinciale della Marca: Onde felicemente riuscendo nell'una, e nell'altra carica (per esser di vita integerrima) ne' Governi sempre austero non meno con se medesimo, che benigno, e piacevolo co' gli suoi sudditi dimostrossi. Morì lì 12. Decembre, l'Anno della vostra Salute 1620. lasciando al Mondo soavissimo odore delle sue sante operationi. [p. 178 modifica]


F
rà Bartolomeo Orlandi Heremitano, di quindeci Anni l'habito prese della sua Religione in Corinalto. Compito il Novitiato, non tento per lo ingegno sottile, di cui fù dotato, che per la Nobiltà della Casa, tosto da gli suoi Superiori allo studio s'inviò di Napoli; ove con li proprij sudori tutti li gradi acquistossi, de' quali solamente i megliori studenti si rendono capaci. Et havendo fatto del suo sapere molte isperienze, fù dalla Sede Apostolica Maestro della Sacra Theologia creato. Hebbe gratia più che ordinaria nel predicare, e quando non fosse stato da questo santo impiego da gli suoi Superiori, per metterlo al governo, levato, famoso Predicatore sarebbe riuscito senz'altro. Diè tal saggio nella prima Prelatura, qual'hebbe nel Convento di Corinalto, che i primi Conventi dell'Ordine suo desideravanlo sommamente: Onde fù dall'Ubbidienza astretto, molti Priorati, ed'altre più degne cariche accettare, particolarmente nel Convento di Fano, Cesena, Recanati, Perugia, Pavia, e Firenze, il Presidentato del Capitolo di Pisa, il Privincialato di Campagna, e Lucania, con quello ancora del Regno di Sicilia. Fù chiamato all'assistenza d'Italia per la sua Religione; e mentre si preparava al viaggio, morendo il Cardinale Sauli Protettore di essa, si mutarono i Dominij, & egli ritornò alla Patria, portando seco pretiosissimi ornamenti per la Chiesa di S. Nicolò, dove quella nobile, e sontuosa Capella in honore di S. Bartolomeo eresse, di cui sopra mentione facessimo. E perche egli fosse de gli ordini della sua Divina providenza essecutore fedele, in quei brevi Anni, che si fermò alla Patria, Giudice di trenta sei cause esser gli convenne, tutte alla sua Religione spettanti, ò à particolari di essa; & io rendendomi difficile à crederlo, volsi (per poterlo testificare all'occorrenze) vedere di ciascheduna la lettera patentale di commissione. Ritrovandosi l'Anno del Signore 1627. al Capitolo della sua provincia nella Marca, che si celebrava in Monte Cosaro, entrò con gli altri al luogo delle determinationi di esso, & impensatamente si sentì acclamar Provinciale, con incredibile applauso non solo de gli Elettori, mà di tutti quei Padri, che si trovaron presenti, che il numero di cinquecento passavano. Accettò l'honorata carica, & essercitolla con la dolcezza solita. Havendo visitato il Convento di Mont'Alto, e dato li buoni Ordini per la Regolar'Osservanza, e volendo poi partire per seguitare la Visita, nell'ascendere à Cavallo fù assalito all'improvviso da un'accidente, che riuscì mortale: Onde in un momento pose i limiti alla sua honorata vita. Fù con amare lagrime la di lui morte dalla sua Religione compianta, e specialmente da i Siciliani, ricevendo quegli gior[p. 179 modifica]nalmente da i favori di lui beneficij immensi. Lasciò al Convento di Corinalto (di cui egli era figlio) tutta l'heredità paterna, che molti Anni avanti per la morte di Giacomo suo fratello germano, hereditato haveva: Onde il detto Convento assai più ricco divenne. Si vede il suo ritratto similissimo nell'Icona della Capella di S. Bartolomeo, ch'io per sua commissione feci pingere in Urbino da Cesare Magieri famoso Pittor di quei tempi, che all'attuale servitio stava di quel serenissimo Duca.


F
rà Gregorio Cimarelli Heremitano, essendo conosciuto da giovinetto da' suoi superiori molto riuscibile nelle Scienze, lo posero à studiare, e facendo egli non meno in tale impiego, che nella buontà de' costumi grandissimi avanzi, fu dichiarato per Maestro di Studio, e gradatamente Lettore, Respondente, e Bacciliero; nel cui grado servì la sua Provincia due Anni per Secretario, con sadisfattione universale di essa, parimente nelle Filosofiche, e Teologiche letture un tempo: per lo che meritò di essere alla dignità Magistrale assunto, à punto quando nella sua Religione la Sede Apostolica andava molto riservata in cibìnferirle; dove che à maggior sua gloria risultò la consecutione di essa. Fatto Maestro, non ritirossi alla Patria per godere del Magistero gli honori, mà più che prima alle assidue letture, & alle sante predicationi attese, con applauso infinito, e di scuolari con numeroso concorso. L'istessa gratia hebbe anco nel governo, si come videsi quando Prelato in diversi Conventi principali si trovò di Studio, singolarmente à Fermo; peròche da gli suoi sudditi era in un'istesso tempo temuto, e cordialmente amato. Trovandosi Priore in Borano nella Provincia d'Abruzzo, & insieme Theologo di quel Vescovo, l'Anno 1630. fece à miglior vita passaggio: lasciando sconsolato chiunque delle sue rare virtù hebbe notitia. Nella sua Chiesa fù sepolto con quegli funebri honori, che meritava un sì stimato, e dotto Religioso.


F
rà Alessandro Bartoli Minore Conventuale, prese nella Patria l'habito, al tempo, che la sua Religione impossessossi di quel Convento, che da i Padri Minori Osservanti tenevasi; e riuscendo giovine di grande spirito, fu da gli suoi Superiori ne gli Studi Generali mandato; in cui fè tal progresso, che in breve degno si rese di esser'efficacemente dal Cardinale Mont'Alto favorito della stanza del celebre Collegio de' Santi Apostoli in Roma; dove gli suoi studij compiti, fù con gran vanto della sufficienza sua creato Maestro, e subito mandato Reggente à Fano, e dopò trè Anni, passò nell'officio medesimo in Urbino: ove per esservi gratissimo dimorò sei Anni. Da Urbino (sempre avanzandosi co' passi de gli honori, ) con la medesima carica andò in Perugia, da Perugia [p. 180 modifica](dopò l'ordinario triennio) à Palermo, da Palermo finalmente à Venetia: di dove consumato ne gli studij ritornò alla Patria per riposarsi; quivi in premio delle sua tante fatiche da i Padri della marca fù Padre di quella Provincia eletto, non trovandosi alcuno che gli facesse contrasto, havendo co' suoi gran meriti superata l'invidia. Non meno si dimostrò nelle Cathedre, circa le dottrine di Scoto, ed' Aristotile speculativo sottile, che ne i Pulpiti Predicatore celeberrimo: però che trà tante sottigliezze delle Scuole, non volle abbandonarli già mai: massimamente in tempo di Quaresima nelle principali Città d'Italia, e di Sicilia. Lasciate le Cathedre, dopò ch'egli ritornò da Venetia, al buon governo del Convento si diede in modo, che in brevissimi Anni per la settima parte di più gli accrebbe l'entrate. Co'l commune consenso de' Padri, e particolare licenza da gli suoi Superiori, fece generosa risolutione di demolire l'antica Chiesa, e di riedificarla secondo l'Architettura moderna, più spatiosa. Et havendo già compita l'opera: mentre attendeva ad ornarla, da non conosciuta infermità assalito, l'Anno del Signore 1633. lì 11. di Settembre, e della sua età 58. mancò à vivi, per vivere (come pienamente si crede) in Cielo frà gli spiriti beati. Molto havrei che dire di questo Religioso insigne; mà dubitando non mi transporti l'affetto della congiuntione nel sangue; essendo egli nato da Berardina Cimarelli; Sorella di Lorenzo mio Padre, fermo la penna, lasciando che altri non interessati, con più purgati inchiostri tingano delle sue lodi le carte.


G
iacomo Alessandri figliuol di Flaminio Alessandri, da cui non meno che le sostanze hereditò le lettere Hebree, in tal perfettione, che nell'interpretar le Scritture Sacre à favor del vero, e della nostra Fede, in uno stupido, e confuso rendeva l'Hebreo. E nelle Leggi Humane vi profittò di modo, che sin dal principio essercitossi mai sempre nell'honorevole professione di Giudice, e nel governo de' Popoli, essendo stato Podestà in Belforte, & anco à Fano, Luogotenente in Iesi, tanto del Civile, come del Criminale; sicome in Narni ancora nella medesima carica; Auditor Cavalcante di Ferrara, e di tutta la sua Legatione; e Fiscal Generale della medesima, Governatore di Costignola, di Bagnacavallo, di Lugo, & ultimamente Governatore d'Assisi. Et in ogni luogo di questi, per la sua intiera Giustitia, e cortese modo, à tutti si rese gratissimo, come nelle patentali lettere de gli suoi ben serviti chiaramente si scorge, i quali nel proprio originale, in mano di Giacinto suo figlio ben custoditi vedonsi. Ritrovandosi pochi Anni à dietro in Corinalto per suoi domestici affari (havendo da passare ad altre più degne cariche) in una rissa, che suscitò improvisa fra certi Nobili Cittadini, dove interessato [p. 181 modifica]era un suo Congiunto, ricevè disgratiatamente una ferita in testa, la quale benche fosse giudicata leggiera, per l'imperitia del Chirurgo però, riuscì mortale, & in brevi giorni inaspettatamente li tolse la vita, con incredibil doglia di tutta la Patria (per sino de gli avversari) confessando essi questo miserabil caso esser nel bollor del sangue accaduto, e fuor di pensiero: non havendo mai eglino havuto intentione di levare alla Patria Huomo sì degno, dalli cui meriti giornalmente ne riportava honore. Rimase delle sue sostanze Giacinto suo figliuolo herede, Dottore anch'egli dell'una, e dell'altra Legge, il quale giovin'essendo, sperasi non debba ritirare i passi da gli honorati calli della virtù paterna: Fratello di questo fù Alessandro Medico, ed'Oratore facondo, che perciò da Prencipi grandi si tenne in conto.


C
hristoforo Cimarelli nipote di Nicolò sudetto, venti Anni continui militò al soldo di Prencipi diversi, con cariche honorevoli di commando ancora, & in ogni sua attione benissimo diportandosi, accreditossi assai di buon Soldato; specialmente l'Anno 1603. nell'Armata del Gran Duca Etrusco, sotto il commando del Colonello Ghislieri Romano, à gli assalti della Fortezza Preusa ne i Regni Greci; ov'essendo egli delli primi all'ingresso, meritò nel Trionfo della ricevuta vittoria di riportarne i vanti. L'Anno 1605. incontrandosi questa medesima Armata, nel Mare d'Egitto, sopra le Crociere d'Alessandria con cinque grossissime Navi Traci, come forti Castelli muniti, che li Tributi d'Egitto in Bisantio al gran Signore portavano, con esse attaccò la zuffa, e dopò infiniti pezzi di Artiglierie dall'una, & dall'altra parte sparati, vennesi finalmente al bordo; Christoforo, che sopra la Galera Santa Maria trovavasi, vedendo, che al salite della principal Nave niun disponevasi, desideroso di gloria, per dar coragio à gli altri, ratto come fulmine dal suo legno staccandosi, dentro l'inimica Nave si spinse, la qual per disaventura dalla bordata Galera disgiungensoi, egli solo restò à gli nemici in mezo, contro di cui fieramente pugnando, à guisa d'Horatio Cocle, sostenne per buon spatio la pugna, che contro esso era tutta rivolta, e riunendosi finalmente i legni, egli solo con la sua spada glorioso facilitò à Christiani l'ingresso. E quantunque nel capo, e in una mano gravemente ferito: tutta volta cavando dalla debolezza vigore, per inalzare delle sue gloriose vittorie i memorandi Trionfi, caricossi delle nemiche spoglie. Tornati poi con l'Armata à i lidi Toschi; benche da gl'invidiosi Capitani cercassesi questo gran fatto opprimere, giunse (ad onta loro) in Firenze la fama, e del successo al Gran Duca la notitia vera; il qual havendo molto del Soldato valoroso l'ardire ingrandito, in [p. 182 modifica]rimuneratione di sì gran prova, una Piazza morta durante la sua vita assegnolli, delle più ricche, che à benemeriti conferir solea; e per memoria di questo fatto à posteri, volle che in lettere anco patentali di ben servito si registrasse, come dal Capitan Caponi fù esseguito à punto. Et oltre il testimonio delle sudette lettere patentali, hoggi li suoi Commilitoni viventi à piena voce questa veritade confermano; massimamente quelli, che all'una, & all'altra impresa si ritrovaron presenti, come Pietro Paolo Ridolfi dalle Fratte, il quale serve hora per Dispensiero alla Corte di D. Livia Duchessa d'Urbino, e Bartolameo Bartolucci dal Piobico, nobile Soldato, e per lo suo valore assai temuto. Oltre queste, molte altre imprese raccontano, che sopra la sudetta Armata facesse, degne tutte di memoria à posteri, le quali per al solito la mia brevità servare, nella mia penna lascio. Vedendo Christoforo da quella quiete restar il suo valor inquieto, e solo trovando il riposo nel moto, renuntiando la Piazza; al soldo de' Venetiani si spinse, da cui fù di commandi degni honorato; e ritrovandosi à gli Orci Alfiere di una Compagnia di ducento Fanti, fù al Senato per la carica di Capitano proposto, la qual senza dubbio ottenuto haverebbe, quando non havesse considerato, che lo star ne i Presidij otioso, non era mezzo sofficiente d'inalzarlo à meriti maggiori; si licentiò per tanto da quel servitio, e tosto se ne passò in Piemonte al Campo Cattolico, in cui giunto à pena, fù arollatto nella Compagnia di Lancie, sotto il commando di D. Diego di Luna, ove la sua virtù conosciuta, servì quattr'Anni continui, à lui commettendosi delle più ardue imprese il commando, massimamente nell'assedio di Vercelli in molte scaramuccie, & all'acquisto de' posti da' nemici tenuti. Quindi finita la guerra, fù di tre Lettere patentali di ben servito honorato dà tre principali di quell'Essercito, come da D. Francesco Paravicino, Tesoriere Generale del Milanese Stato, da D. Marcello Piementelli, Tenente Generale della Cavalleria d'Italia, e dal sudetto D. Diego, in cui tutti concordevolmente testifican, questo Soldato Christoforo in quattro Anni continui, che servì nella Compagnia di Lancie, non solo essere stato pontualissimo nell'ordinarie fattioni; mà in qualunque impresa, per ardua, che si fosse, à lui per ispecial commissione imposta, con grand'ardire, e coraggio, & con somma gloria del suo valore essersi diportato; perciò come benemerito dell'armi della Maestò Cattolica, erasi fatto degno di havere ogni maggior rimuneratione da quella, & essere di qualunque grado, e dignità decorato. Tutte queste lettere furono date in Milano, l'Anno 1618. una lì 15. di Luglio, la seconda li 27. di Novembre, e l'ultima lì 28. del medesimo Mese, in lingua Castigliana, le quali con [p. 183 modifica]tutte le altre di ben servito da più Prencipi ottenute, appresso di me nell'originale si trovano. Tornò alla Patria per aggiustar le sue cose, con pensiero di far di nuovo ritorno alle guerre, Ma da un suo nemico alla sprovista con un colpo di ferro infelicemente percosso, perdè questo gran Soldato la vita. Tal'essito hebbe Christoforo, le cui attioni furono sommamente pregiate dalla Gloria, verificandosi, che le disgratie fanno faccia à qualsivoglia valore.


Q
uarantadue Dottori vivono hoggi, frà Theologi, Medici, e Leggisti, che in questa Patria hebbero i natali, i quali con le penne, co' Governi, con dotte Predicationi, e letture illustrarono la medesima, che i passati non meno; in particolare Frà Angelo Amati famoso Teologo dell'Ordine de' Predicatori, il quale oltre le honorate cariche di Governo, e di lettura, che nella Religione, & à servitio de' Vescovi grandi essercitò, hà composto anco sopra la Politica d'Aristotile un grosso, ed erudito Volume, intitolato Arcani di Dominatione à Monarchi, e Prencipi, come à sudditi di vera soggettione, ed'ubbidienza. Evvi Frà Nicola Bartoli Heremitano (del sopranominato Maestro Alessandro fratello, e mio German secondo) Maestro della Sacra Teologia, il qual benche nelle Prelatura di diversi Conventi Generali dell'Ordine suo, nella Segretaria della Provincia, e ne gli officij di predicationi, e di letture in varij luoghi d'Italia sia stato sempre occupato; scrisse anche dottamente Discorsi vaghi sopra la Sacra Scrittura, e sopra i PP. con altre simili materie, che manuscritte appresso la sua persona si servano in Iesi, ove già vecchio, e di vista privo trattiensi, aspettando quel giorno, in cui di far passaggio à vita più felice aspira. Nell'armi ancora vivono molti, che in carichi honorati hanno mostrato in guerra, & in altri essercitij militari il lor valore, si come fan di presente dodici Capitani, trà quali Cimarello Cimarelli per il lungo servitio, che alla Veneta Republica hà nel medesimo officio di Capitano prestato; in particolare nelle guerre d'Istria contro gl'Imperiali, ne' Mari di Puglia contro gli Ossonisti, nelle Fortezze d'Islan contro Turchi, & in Malpaga, e Possidonia contro i medesimi, da quali assediato, co'l proprio, e co'l valor delle sue Genti à campagna aperta virilmente pugnando, liberossene; come ne' suoi favoritissimi Privilegij chiaramente scorgesi. Similmente in altre fattioni, per le quali da quel Serenissimo Senato fù assonto alla carica di Sargente Maggiore, ove al presente in Dalmatia si trova. In raccontare i meriti di questi non mi stenderò più inanzi, ne meno d'altri, che vivono (benche sian per li lor fatti egregi di sempiterna memoria) per non transgredire i precetti del Savio, che lodar non si deve alcuno, mentre che vive; [p. 184 modifica]anzi per non metter la mia penna in evidente pericolo di essere adulatrice stimata, anche di alcuni tacerò i fatti essemplari, che come Santi furono stimati al Mondo: havendo risoluto comporre de’ più degni le Vite al tempo suo, e quelle in Discorsi poste, transmettere alla mia Patria, affinche da quel Magistrato nel pubblico Archivio si servino, per al suo tempo à questo Libro aggiungerle; non essendo giusto defraudare d’honori coloro, che meritevoli sono: Essendo della virtù, e delle honorate fatiche in Terra premio verace la Fama, e sù nel Cielo la Gloria, ove il nome di essi à caratteri d’oro, e ziffere di Stelle ne gl’eterni Diamanti eternamente serbasi.



IL FINE.




IN BRESCIA.

Per gli Sabbi, Stampatori Episcopali.

1642.