La piazza universale di tutte le professioni del mondo/Discorso Secondo

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DE' GOVERNATORI Disc. ij.


P
Arlando io del governo politico e civile, e mediante il quale si reggono i subditi virtuosamente, a fine che ne gli animi loro s'imprima il bene, e l'honesto, et dian ripulsa cődecente al vitio enorme, e nefando, usarò quell'aurea sentenza di Leo papa. Leo Papa, la quale dice, che. Integritas praesidentiũ salus est subditorum. Ogni volta che i Rettori principali son buoni, onde Plutarco scrivendo a Traiano, dice. Si primo te composueris ad virtutem recte procedent universa. Ma i Rettori cattivi constituiscono un stato de subditi tristo, e cattivo, perché (come dice il Poeta)

A bove maiori discit arare minor.

La onde Isocrate Isocrate.diede questo precetto sopra ad ogni altro al suo Re, che vedesse di non esser manco buono di quegli, che sono sotto la sua ubidienza della quale opinione è Dionisio Alicarnasseo. Dionisio Alicarnasseo, discendo, che questa legge della natura è commune ad ogn'uno, che tutti i buoni sian superiori a manco buoni. Dovendo adunque i subditi imparar gli essempi della bontà, et della virtù da' principali governi, che son lor posti come un lui lo specchio avãti a gli occhi, e come una viva idea de gli atti, et operationi loro, è cosa sommamente necessaria, che siano amici della virtù, et accőpagnati con la bontà che si ricerca per instruire, et edificare i lor soggetti. Debbono i Governatori sopra tutto esser ornati di sapienza, di giustitia, de fedeltà, di carità, di religione, di costumi integerrimi, per dar saggio di loro honorevole, et condecente al grado, et alla dignità, che tengono sopra gli altri. Gli è necessaria la sapienza, perché Platone Platone. dice, che ella sola è causa di far benissimo le cose, che si fanno. E Cicerone.Cicerone, dice, che ella è la maestra, et l'arte della vita, Apollofane Stoico fece tanto conto di essa, che solea Apollofane. dire, che solo ella era la virtù; overo ch'ella haveva in se tutte le virtù, overo che tutte le virtù erano sottoposte a lei. Bione. Bione Filosofo molto saggiamente commendolla, dicendo, che la sapienza è da tanto più fra l'altre virtù, da quanto più sono gli occhi de gli altri sensi. Et Epicuro.Epicuro al proposito nostro diceva ancor esso, che il maggior di tutti i beni era la sapienza, perché questa cerca le cause, vuol vedere perché una cosa si debba fare, elegge il bene, e rifiuta il male. Quindi i Stoici. Stoici dicono, che l'ingegno del sapiente è un'habito presto, et spedito, cioè una presta prattica di sapere in un tratto quello, ch'egli ha da fare. Onde Plotino Plotino. scrivendo delle virtù civili, sottopose alla sapienza l'intelligenza, la consideratione, la providenza, la docilità, et la cautione; per dimostrare, che l'huomo savio Ipparco. è intelligente, considerato, providendo, atto d'aprendere il tutto, e cauto nel male, né perigli, secondo il detto d'Ipparco Astronomo,[p. 47 modifica]che l'huomo saggio toglie la forza per sin alle stelle. Quindi gli antichi dipingendo la sapienza formava la sua effigie di questa idea, che pareva, ch'ella guardasse per tutto, e stesse affissa ne gli occhi di chi la guardava; e fu una volta dipinta Dipintura della Prudenza. da Emulio Romano di questa maniera che diede gran lode et ammiratione, all'ingegno, e giudicio del suo auttore. Salomone. Finalmente Salomone nel libro della sapienza dice in sua lode, che, Cőcupiscẽtia sapiẽtiḛ deducet ad regnữ perpetuữ; e soggiőge, che, Multitudo sapientum est sanitas orbis terrarữ. La onde un governatore savio sarà stimato degno di perpetuo reggimẽto, e sarà la salute di quelli, che sono sotto il suo governo. E se in cosa alcuna si ricerca saggio dalla sua sapienza, io giudico, che l'occasione principale sia nel saper reggere con pace, et unione la moltitudine alla sua prudenza confidata, perché Cassiodoro.(come afferma Cassiodoro nella vigesima epistola del primo libro) Ad laudẽ regnantis trahitur, si ab omnibus pax ametur. E nel quinto libro all'epistola vigesima nona dice il medesimo. Quies suavissima popili, et dispositio tranquilla regionum, praeconium probatur esse regnantium. Di qui nasce, che il gran padre Anchise, appresso à Virgilio. Virgilio diede il ricordo principal di questa pace al suo figliuolo Enea, dicendo,

Hae tibi artes, pacique imponere amorem.

E Federigo Imperadore. Federigo Imperadore la cőmendò tãto nel titolo De tenenda pace et anco Baldo Perugino Baldo. sopra il titolo della pace della constanza, con amplissime lodi celebrolla. Dove che Gorgia Leőtino Gorgia Leőtino. d'essa honorevolmente scrisse alle città della Grecia quando erano tra se in discordia, et si portavano odij intestini: E Demetrio Magnesio Demetrio Magnesio. ne scrisse un libro in sua lode à Pőponio Attico, quãdo il popolo Romano era disunito. Ma il frutto della pace dimostra eccellentemente Sallustio. Sallustio in quella volgata sentenza. Concordia parvae res crescunt, discordia aut maxime dilabuntur. Et parimente l'essempio Essempio d'un Rè de' Parthi. di quel Rè de' Parthi, che venendo à morte, chiamò dinanzi à se due piccioli figliuoli c'haveva, e fattasi arrecare una faretra piena di strali cőmandò al maggiore, che tutti unitamẽte gli rompesse alla presenza sua; né potẽdo egli à guisa alcuna con tutti i suoi sforzi essequirlo, disse al minore, che à una à una prendesse quelle saette, e facesse egli quel, che il suo maggior fratello nõ haveva potuto fare; il quale ubbidendo al paterno volere, agevolmente le ruppe, e franse, senza fatica d'alcuna sorte. Ove il sapientissimo Rè con questa inventione, dichiarò à figliuoli il frutto della concordia, et unione, ch'è di tanto potere, che da nessuna forza può esser mossa o conquassata. Quindi Padre Agostino S. Agost. nella Regola, che diede a' Canonici Regolari disse quella sentenza. In unum estis congregati, ut unanimes habitetis in domo, et sit vobis anima una, et copum in Deo: perché vidde egli benissimo di quanto frutto è la pace, et unione, la quale patisce à nostri tẽpi non meno perfida, che iniquissima repulsa. Et Aristotile. Aristotile né suoi Economici diffinendo che così sia una vera città, disse, che, Civitas est civiữ unitas ad bene vivendum ordinata. Imperoche se i Cittadini hanno da viver bene, è di mestieri, che siano uniti, e concordi. Onde nella sua politica prova che l'huomo per l'unione può pervenire alla beatitudine, e felicità; Cosa che prevedendo Licurgo Licurgo. legislatore, ordinò à suoi cittadini fra le pochissime cose la concordia fra loro. Onde saggiamente parlò Democrito. Democrito quãdo disse. Actum est de civitate, ubi imperium traditur discordiae. Ne meno Socrate. saggiamente favellò Socrate dicendo. Nulla est quam dissidens culpa quam discordia civius. Il che venne à confermar Pisistrato. Pisistrato in quel suo detto. Maiores civium hostes esse nequeunt quam dissipent cives. Però il Mantoano Homero in una Egloga Virgilio. si duol cotanto della discordia della sua patria in quei versi.

Impium hoc tàm culpa novalia miles habebit.
Barbarus has segetes, heu quo discordia cives.
Perducit miseros? en quos consuevimus agros.

E Lucano. Lucano Poeta la detestò tanto ancor egli dicendo.

Summum brute nephas civilia bella putamus.

Essempi per la concordia.Non è egli assai noto per l'historie il danno che apporta a' miseri governi la discordia? la potente Babilonia non fu destrutta da Cyro per la discordia de' suoi cittadini? l'antica Cartagine non andò in ruina per le dissensioni di principali? Non andò in esterminio il regno Giudaico per le dissensioni delle tribù discordanti fra loro? Se fra gli Indi non fusser nate le discordie, Semiramis non havrebbe ottenuto la vittoria così facile di quegli. I Lacedemoni non sarebbono stati vinti, e superati da gli Atheniesi infinite volte, se non havessero ricevuto i colpi di questa bombarda, che getta a terra le città intiere rotte, e desolate. I Numidi nõ sarebbon venuti alle mani de' Romani, se non fosse accaduto loro la pericolosa dissensione, che fu l'ultima ruina de' fratelli disuniti. E Roma istessa con tanta pace per tãti anni retta, non sarebbe ita in mal hora, se quel male, che previde Catone, non fosse entrato né furibondi petti de' suoi precipitosi cittadini. A tẽpi nostri è caduto dall'alto seggio della gloria sua la Republica Genoese, solo per questa discordia I Pisani, che già contesero dell'Imperio maritimo assoluto, per le lor dissensioni furono da Fiorentini miseramẽte soggiogati. I Fiorentini anch'essi persero la libertà quel tempo, che cominciarono i plebei a tumultuare contra i nobili, e che la pace della bella città, fu dagli animi del popolo strepitoso discacciata. La miseria de' Sanesi à tẽpi istessi quasi da gli occhi nostri è stata vista nõ esser proceduta da altro, che dalle discordie de' cittadini poco saggi nel governo della florida patria madre di tanti spiriti illustri, e generosi. Onde messer Lelio Tolomei. Lelio Tolomei, in una sua elegante oratione, attribuì la ruina di Siena, alle fattioni, et al mal governo de' superiori, dicẽdo Ne paia maraviglia questo, perché dallo[p. 49 modifica]dallo intendere le cose della Città a monti, et a fattioni, et dalle vostre forme di governo son nate tutte queste ruine, habbiamo ridotta la città, e 'l dominio in una povertà, et debiltà incredibile; habbiamo empito de nostri cittadini tutte le città d'Italia; habbiamo imbrattato di sãgue tutte le strade della città. S'è perduta fuore quasi tutta la reputatione publica. Perché è ruinata Pistoia, se non per le fattioni di Guelfi, e Ghibellini? Perché è conquassata l'Armigera Emilia, se non da queste parti e divisioni? Perché è ita la florida Hesperia nelle barbare mani tante fiate, se non per gli odij intestini, e per l'universali discordie de suoi signori? Perché hãno le fiere genti maometane usurpato i Christiani regni d'Oriente, e posto il piede hormai dovunque signoreggia la Croce, se nõ per le vostri infelicissime dissẽtioni, strage, et ruina di tutto il Christianesimo? Ne segue adữque che la concordia sia cagione d'ogni bene, e d'ogni cõtẽto. Perciò Menenio Agrippa. Menenio Agrippa huomo sagace, et prudẽte vedẽdo la plebe Romana in dispregio de' senatori, ritirata dell'Avẽtino, con l'argutissima favola della cõgiura de i mẽbri fatta cõtra il corpo dimostrò lei chiaramẽte, nella cõcordia sola la fontana, il riposo, et la salute della Città esser collocata. I Lacedemonij accortosi, che l'oro era la semenza, di cui nascevano le dissensioni et le garre, per virtù d'una legge dalla città lo sbandirono. Plutarco Plutarco nel suo Solone raccõta, che Aristide Atheniese più volte s'affaticò per achetar le risse, e le contese, che a guisa di peste fra cittadini d'Athene di giorno in giorno rinascendo pigliavano vigore e accrescimento. Quindi avẽne, che Gaio Cassio Cẽsore prudentissimo, amando la Republica sopra ogni cosa, et il suo bene, e la felicità di lei desiderando drizzò la statua della Concordia nel palazzo, et il palazzo istesso consacrò alla Concordia, a fine che quelli, colà entravano si ricordassero, gli odij, e le dissensioni quivi non havevano luogo, ma che si dovevano tutte dinanzi alla sacrata porta per rispetto et amor della patria, deporre. Però Alberto Lollio huomo per le sue virtù dignissimo di perpetua vita disse in una sua oratione, che la pace, la quiete, la tranquillità, et l'unione sono i fomenti, et i sostegni della Republica. E per il contrario Platone Platone afferma, che non è veleno più aspro, ne peste più crudele che la discordia, la qual subito mette sotto sopra gli ordini buoni, conculca le leggi, disprezza i magistrati, sforza i giudicj, et riempie ogni cosa di furore, di rabbia, et di crudeltà, tal che le città, et le Republiche divengono come oscure selve d'huomini scelerati, anzi d'abbominevoli, et horrendi mostri, la sfrenata arroganza de' quali non ritiene ne vergogna, ne timore, ne fede ne petto, ne religione, ne costume buono. Distrutta che fu' Numantia lungamente in vano assediata da Romani, Scipione Minore dimandò a Tiresio Principe de' Celti che cosa l'havesse fino a quel tempo renduta inespugnabile, il qual rispose incontanente, che la concordia dalle forze de' nemici l'havea [p. 50 modifica]sẽpre difesa, et che la discordia d'ogni suo male era stata cagione. Perciò bẽ disse Cornelio Frãgipane huomo di rare lettere in una sua eloquẽtissima oratione a messer Frãcesco Donato Doge di Venezia. O buona, et dolce pace, figliuola di Dio ottimo massima madre del riposo, et della trãquillità, sorella dell'amore, et della carità, nutrice dell'arti, delle scienze, et delle facoltà, cõservatrice delle republiche, et delle città. Chi mãtiene i cieli se nő armonica cőcordia ricevuta dal primo motore? Chi regge questa grã machina della terra, se nő la pace del suo eterno governatore? Chi dà vita quieta a tutti gl'animali del mődo se nő questa cőcordia, questa pace? Chi ruina, chi dissipa, chi distrugge, chi annichila il tutto, se nő la discordia? Potrà mai saggiamẽte governarsi le Republiche, e Religioni Christiane, quãdo vi sarà nominato in lor l'essecrabil nome di discordia, partimẽto, e divisione? Che cosa vuol dire la scelerata introduzzione di queste fattioni, di queste patrie, di queste parti propriamẽte, che tirano seco tãte seditioni, tãti scãdali, tãti amutinamẽti, tãte rebellioni, tãti eccessi? Chi è potissima cagione, che la Republica vada in ruina, se nõ il mal governo, la tirannia, l'ingiustissimo giogo posto a sudditi, cõ quella inimica d'ogni bene, pestifera discordia, nõ seminata, mà generata nelle viscere de' suoi principali? Et che tira all'ultimo esterminio la madre cõmune, se nõ quel tristo, e iniquo reggimẽto inventato dall'ambitione d'huomini seditiosi, nati per porre il giogo come Silla, e Nerone alla dolẽte madre da si dolorosi figliuoli afflitta indegnamẽte, e calpestata? Chi ha poter d'usurparle la libertà, e darla in preda a ladroni perpetui, se nõ la cieca discordia di quegli, ch'amano più i favori tirannici, che 'l debito, l'honore, la salute, la vita nella Republica istessa? Hor quãto bene scrivẽdo Seneca Seneca. a Lucillo disse all'hora quãto disse. Nõ essere amico d'huomini sediciosi, perché basterãno poi a rivoltarti, ne diventare affettionata di novità, perché potrãno poi alterarti, che a dirti il vero nõ vidi nella nostra republica novità, che nõ generasse ella scãdalo, ò che qualche sciocco nõ l'invẽtasse. Onde procede la dura servitù, che affligge molte dignissime persone, e travaglia lo stato de' virtuosi, se nõ dal cõto che si tiene ognora nell'accordarsi insieme al bene, et mettere i corpi, gli animi, le forze, l'ingegno, l'amicitie, i danari, i favori, cõtra la malitia, la perfidia, l'ingiustitia, la protervia, la sfrenata ambitione de gl'huomini (se pur huomini sono, e non maladetti demonij infernali) cupidi più che Lucifero di signoreggiare? Tutto il dãno adũque, tutta la strage, tutta la ruina procede dalla discordia. E però bisogna, che i Governatori sian molto saggi in mantenere la cõcordia, et la pace nelle città, ò Republiche, o Religioni governate da loro. Ma perché il fondãmẽto della pace è la giustitia, onde nella sapiẽza è scritto. In disponẽda cõcordia est lex iustitiae. E nel salmo si legge. Otietur in diebus eius iustitia, abữdavit pax. è necessario che i Governatori sian giusti, e retti, se questa pace s'ha da introdurre, e [p. 51 modifica]conservare né lor soggetti; perché come si può mai vivere in pace, quãdo tu vedi, che i Rettori principali s'usurpano per loro i beni della Republica, difendono sovente i tristi, e malfattori, favoriscono i ghiotti, e scãdalosi, calpestano i meritevoli, e virtuosi, perseguono ingiustamente i letterati, mantengono in piedi con tutti i sforzi gli ignoranti, negan l'udienza a gli accusati, nõ rispondono a chi chiede giustitia, o favor, fiancheggiano iniquamẽte le persone, privileggiano capricciosamente i minimi, deprimono insolentemente i maggiori, sono acerbi con chi s'humilia, sono infidi con chi si raccomãda, son altieri con chi gli corregge, son distinati sopra tutto in opprimere i sudditi, dãneggiarli, travagliarli cercar novità contra di loro, accettare informationi stolte, querele ingiustissime, relationi indignissime del grado, e del governo loro? come si può vivere in pace quãdo i governatori sõ beccari delle pecorelle cõmesse alla cura, e reggimẽto loro empio, e spietato? come può un'huomo libero tacere, vedẽdo che è assassinato nella libertà che gl'è tolta, neè privileggi che gli son levati, nelle dignità che gli sono usurpate, né titoli giuridici che son cõfiscati nelle vettovaglie, che scemano ogni dì, nella robba, che gl'è rubbata ogn'hora, nell'honore che gl'è furata, nella pace, che gl'è turbata, nel piacer che gl'è conteso, nel vivere, ch'è pieno di calamità, di stenti, e di rammarichi affatto, affatto? Come può egli star quieto sotto un giogo di servitù insopportabile? sotto un tirãno, che molte volte ride del suo male? sotto un'empio governo di chi beffeggia, e saggi, e matti, e vecchi, e gioveni, e virtuosi, e ignoranti, e grãdi, e piccoli, e amici, e inimici in un medesimo tratto? E di mestieri adũque, che i governatori sian giusti, e che tengano la bilancia dritta come si dee, c he giudichino bene, essaminino bene, sententiano bene, e non si muova a passione in modo alcuno: Perché Macrobio.(come dice Macrobio) Iustitia est uniquique servare quod seum est. Quindi Ovidio. Ovidio Poeta), nel sesto delle Metamorfosi, celebra cotanto Eristeo giustissimo Governator in que' versi.

Sceptra loci rerumque capit moderamen Erictheus.
Iustitia dubium est validis ne potentior armis.

Bucchiri (come recita Suida) Re de gl'Egittij è cõmẽdato di tãta giustitia, che appresso à Paolo Manutio Paolo Manutio.passa per proverbio, quãdo si parla d'un giusto governatore, nominarlo un Bucchiri. Herodotto scrive che Galuco Lacedemonio fu huomo di tãta giustitia, et equità ancor egli che molti forastieri partẽdosi dalle patrie loro, venivano a posta per trovarlo nella città Spartana. Ma la fedeltà cõpagna della giustitia, anzi sorella, dee nel medesimo modo esser abbracciata da' governatori, essendogli di gloria infinita in tutte le sue attioni. M.Tullio. Però M.Tullio nel secondo de' suoi ufficij disse. Sũma, et perfecta gloria cõstat ex trib. his, si diligit multitudo; si cũ admiratione quadam honore nos dignos putet, si fidẽ hẽt. E il medesimo disse pur a' proposito di questa fedeltà nel libro delle leggi, che la maestà della fede [p. 52 modifica]sopra tutte le cose era da esser venerato, et cõ sõma riverẽtia affermata. Quindi Platone.Platone sapiẽtissimo disse, che un'huomo fedele è di maggior prezzo, et valore, che tutto l'oro del mǒdo. E Orfeo Theologo antico disse, Orfeo. che la fede è la balia, e la nutrice de gli huomini che s'hãno da felicitare. alla qual cosa alluse Catone Tullio. appresso a Tullio nel terzo de' suoi ufficij, dicẽdo, che la fede ha un tẽpio appresso Giove Ottimo Massimo. Il che anco dice de forse occasione a valerio Massimo Valerio Massimo. di chiamar la fede Numer venerabile. Per questo raccőta Servio Servio.: che gli antichi venerarono il cane a guisa d'ữ Dio, solo per la sua fedeltà. Talchè essẽdo il governatore fedele meritarà tutti i honori, e tutti i pregi del mǒdo. Ma per il cǒtrario nǒ sarà vitupero, e scorno, che nǒ meriti un governatore infido, il quale perfidamẽte assassini la Republica, rubbi il cǒmune, s'approprij l'universale, faccia frode né maneggi, cǒmetta inganno né libri del governo, scriva quel ch'è falso, levi quel ch'è vero, aggioga i debiti, diminuisce i crediti, usurpi il suo a' particolari, dãneggi i beni, che nǒ sǒ suoi, usi per se stesso ogni cosa, neghi a' sudditi anco il vitio necessario alla cǒservatione della vita, e finalmẽte per cǒgregar denari, dissipi, distrugga, spiãni i luoghi del governo proprio. Et si potrà dir di costui più di quel, che dice Servio Servio. di Curione, che egli věde' Roma a Cesare per větisei mila scudi; perché, per accumular pecunia, et ammassar denari per se solo, nǒ vende, ma getta, nǒ getta, ma strugge, nǒ strugge, ma profonda il bẽ della Republica in un tratto. Ma dove lascio la carità, che da' cǒtata lode a' Governatori amorevoli, e da bene? questa ministra volẽtieri a' sudditi i lor bisogni, gli provede le cose necessarie, gli cerca le vettovaglie a buỡ mercato, scaccia la carestia fuori delle città, pone abǒdanza in ogni cosa, aiuta i poveri, sovviene a gli afflitti, consola i miseri, recrea i sconsolati, e porge ogni sorte d'aiuto, e soccorso alle persone destitute. Quindi ragionevolmente Giustiniano Imperatore. Giustiniano Imperatore nella sua instituta, al titolo de Libertini fece professione di possedere questa virtù, dicendo. Nostra pietas omnia augere, et in meliorẽ statữ revocare desiderat. Tutti gli antichi hebbero in sommo honore quelle persone, che l'usarono, per argomẽto del suo pregio, et valore. E perciò Hercole Varrone.(secondo che scrive Varrone) giovando continuamente a gli huomini, fu chiamato per fargli honore ασξίσασαω che proprio vuol dire dissipatore de' mali. E in vero quale è la più bella, et più honorata cosa, che aiutare l'huomo, et soccorrerlo più che possibil sia in tutti i suoi bisogni? Havevano i Romani nel mezo delle lor Corti la casa delle gratie, volendo significare, che a tutti gli huomini era necessario far gratia, e piacere à gli huomini, et essere prontissimi ai servitij né bisogni. Essempio di Ligurgo. Ligurgo, per fare i suoi cittadini humani, gli avezzò a pensare di non esser privati, ne vivere in modo alcuno da persone private, ma che pensassero esser come le pecchie, che fanno ogni cosa à utilità commune. Ausonio. Ausonio scrive di Traiano che fu tanto caritativo, et humano [p. 53 modifica]che s'abbassava à ritrovar gli amici infermi in letto, come persona privata, senza tenere in tal necessità la solita riputatione, et maestà cõsueta. E cosa adunque regia l'esser caritativi, e i Governatori humani riportano infinita lode da gli atti loro; come per l'opposto i strani riceveno biasimo, vitupero, dishonore, ingiurie, e oltraggi. Perché si ribellano loro i sudditi se non per le stranezze? perché eccitano strepiti, e tumultij se nõ per quelle? perché pongono mano all'armi se non per esse? perché fanno gli ammutinamẽti contra di loro se non per lo strano, et iniquo governo c'hãno? Onde nascono le murmurationi, le discordie, le contese, le minaccie, i processi, le ferite, le morti, se nő dal cattivo reggimẽtoda maladetti? qual è la causa di tante querele de' sudditi, di tanti gridi, di tanti rumori, di tãte novità, di tanti machinamẽti, se nỡ il lor governo senza carità, senza pietà, senz'amore? dov'è l'amore? dov'è la carità? a' loro stessi, a' parenti, a' confederati seco, a' compagni delle lor stranezze, a' pessimi adulatori, a' referandarij, a' carnefici de' sudditi sostẽtati da lor favori cỡ tutti i modi, e maniere, de quali non si può dir meglio di quel che disse Solone. Solone, che huomini tali son più presso malandrini da boschi, che Governatori di Republiche, ò città. E' necessaria lor parimente la Religione interiore, et esterioe, sì per bene dell'anime loro, come per l'essempio buono, di che son debitori tutti gli atti publici, dove accada scoprirla. Quindi dicea Quintiliano. Quintiliano, che chi ha nel core la vera religione opera ogni cosa bene. Alessandro veramẽte Magno mostrò quãto ella fosse necessaria a' Rettori, e Governatori, quando ingiuriato da un suo servo, il quale fuggì nell'Asilo, Alessandro Magno religioso. ch'era un luogo, dove per religione ogniuno era salvo, scrisse à Megabiro, che se egli lo poteva haver fuori dell'Asilo glielo mandasse legato; ma se non poteva, lo lasciasse stare, senza fargli violenza. La medesima religione s'osservava nel tempio di Diana Efesina, dove non era lecito pigliar nessuno, et havesse fatto che mal si volesse. Numa Pompilio è lodato da Livio Tito Livio., perché non solo fu osservatore del culto de' suoi Dei; ma insegnò le cerimonie e riti a' Romani, co' quali venerassero le solenni feste di quelli. E per l'apposito è biasimato Annibale da Appiano, et da Plutarco Plutarco., perché oltra gli altri vitij hebbe questo in sommo grado, che fu bestemmiator de gli Dei, e sprezzatore della religione fuori di misura, la qual cosa diede materia a' Hannone d'avisare i Cartaginesi, che non si devea permettere tanta insolenza in un giovene, e tanta temerità quanta alla giornata si discopriva in lui. Deve adunque un'ottimo Governatore essere amico di Dio, e religioso, e devoto, per essere egli un specchio avanti a' gli occhi del popolo, et l'essemplare delle attioni di tanti huomini, che risguardano in lui; et non far come molti, i quali fuggono le prediche, abboriscono le messe, odiano le processioni, si ritirano da' santi ufficij più che il Demonio dalla croce, e seguono più presso le caccie, le feste, i torneamenti, le giostre, i spettacoli del mondo, i piaceri venerei, le dissolutioni lascive, i spassi delle [p. 54 modifica]ville, i solazzi de' giardini, i trastulli delle donne infami, e quanto detta loro, l'otio, la gola, la lasciava, la cecità della mente, nella quale sono sommersi e profondati. All'ultimo si ricercano i buoni, e santi costumi né Governatori delle Republiche, per il qual sono amati dai popoli, e riveriti communemente da ognuno. Tali abondaroo né petti virtuosi de' Romani, Essempio di Demetrio, onde ne 'l primo de' Macabei si trova scritto, che per la soavità de' costumi loro, essi Machabei si confederorno volentieri con essi. Lodano i scrittori antichi la faccia di Demetrio figliuol del Rè Antigono, che haveva un certo temperamento, che pareva, che fosse proprio nato alla modestia, et acquistar con la dolcezza de' suoi costumi la gratia delle persone. Essempio del Rè Filippo. E commendatala benignità de' costumi di Filippo Rè de Macedonia ancora, perché essendogli menato prigione Diogene insieme con molti altri, dimandato chi egli fusse, et rispondendo, ch'era una spia del suo sinatiabil desiderio non solo non l'hebbe a sdegno, ma dolcissimamemnte se la rise, et benignissimamente impose, che fusse liberato. Conobbesi la soavità de' costumi in Tiberio Imperatore Tiberio modestissimo., quando essortato da molti a pover gravezze alle provincie, modestissimamente rispose, che l'ufficio del buon pastore era tosare le pecore, e non le scorticare. Si conobbe anco in Diogene Siracusano, che ottenuto il Regno, non mangiò altrimenti, ne altrimenti vestì, ne procedette altrimenti, che si facesse, quando egli era privato nell'academia con Platone. Per la qual cosa non poca lode sarà quella de' governatorim quando saranno ornati di questa dote, c'hà un vero decoro, et ornamento de gli animi grandi, e signorili. Et all'incontro non poco biasimo, e dishonore meritano quegli, i quali son così aspri né governi, che a' pena l'huomo può parlargli, non che conversar con loro, et hanno una natura tanto fastidiosa, e stomachevole, che solo a vedergli rendono nausea. Huomini veramente ferigni, e meritevoli, più presto d'havere albergo con Timone Atheniese, Misantropo detto per proverbio, cioè odiatore de gli huomini, che conversar nelle città, et nelle Republiche con persone humane, et d'honorati costumi ornate. Hora del magistrato de predetti Governatori quando fusser tali, quali in bontà descritti gli habbiamo, sarebbe qualche dubbio se ottima cosa fusse la perpetuità da molti commendata, la quale in prima faccia ha dell'apparenti assai, ma essendo tristi e rei come sovente si dimostrano non ha' dubbio alcuno, che non solo siano indegni d'essere perpetui, ma di restare anco un giorno nel grado, e nell'ufficio tanto iniquamente amministrato da loro. Ma, per mostrar qualche ragione intorno a' miei detti, ritorno, a dire che il magistrato de Governatori quantunque buoni (io non dirà già che non sia degno in se stesso di perpetuità, non è molto al proposito al giudicio mio d'essere nella Republica perpetuo) ne vale questa consequenza, che può farmi la parte opposita; o egli è buono in se stesso, adunque deve, esser ordinato perpetuo perché molte cose son buone in lor, che non per tutti [p. 55 modifica]i tempi son buone, cioè utili; come la verità è buona in se stessa nṏdimeno se imprữdentemẽte alle volte si dice, torna di danno alla persona che la dice: e la correttione è buona in se, nondimeno usata con imprudenza partorisce più presto cattivo effetto che buono. Così diremo, il magistrato de' presenti Governatori è presupposto buono in se, ma però non è utile per tutti i tempi. Prima ragione.Una delle ragioni cṏtrarie alla perpetuità di questi governi è questa, che quantunque il magistrato fusse ottimo non che buono, havẽdo egli da essere in republica; ove molti fan professione d'esser pari in bṏtà, et valore, et in effetto sono, il dover nṏ cṏporta, che un'ottimo per ottimo che si sia, perpetuamẽte regni sopra tanti ottimi siani perpetuamente infelici, non ricevẽdo mai gli honori alla lor virtù cṏntenẽti, perché l'honore (come dice il Beroaldo nel trattato della felicità) Beroaldo. è un soavissimo posto della virtù però diceva Tullio M.Tullio. nella sua Republica, che il Prencipe buono nṏ dee ricever altro nutrimento, che di gloria. Secṏda ragione. La seconda ragione è questa, che dove molti concorrono per dignità, e per meriti all'istesso grado, et ufficio, porta pericolo di grãdissima discordia nella Republica, se tre, o quattro, o dieci, o venti siano eletti perpetuamente Rettori, vedẽdosi gli altri trattar de indegni, et che lo stato cṏmune non vada sossopra, tumultuãdo la parte ingiustamente trattata da' suoi cỡtrari; ove per rimediare a' questo male della discordia, ruina espressa delle Republiche, come attesta Boetio.Boetio nel 3. lib. della filosofica cṏsolatione in quelle parole. Nosti ne quod omne quod est tam diu manere; atque subsistere potest, quamdiu sit unữ, sed interire pariter, et dissolvi necesse est, quando unum esse desierit?. Fa di mestieri, che tutti i meritevoli habbino da qualche tẽpo i debiti gradi loro. La qual cosa lodò sommamẽte Cornelio Frangipane huomo di rare lettere, Cornelio Frangipane. e d'eloquẽza mirabile sopra tutto, in quella sua celebre oratione al Prencipe Donato nella Republica Venetiana, con quelle parole. Questa prudentissima Republica a' tutti i suoi cittadini comparte con giusta misura i suoi beni, de' da' mai essa potestà intiera ad alcuno, né lo rende sì potente che in lui possa cader folel appetito di far noia alla bella libertà della sua patria. Qui nṏ uno non pochi, non molti signoreggiano, ma anzi et molti buoni, et pochi migliori, et insieme uno ottimo perfettissimo. Oltra di ciò Terza ragione. il magistrato perpetuo anco né buoni è possibile che si converta col tempo in tirannia, perché la sicurezza del regnare cagiona audacia nelle mẽti di chi governa, e spesse fiate accade, che la commodità renda l'huomo animoso a' rapir quello de particolari cṏ detrimẽto dell'honore, e pericolo della vita di chi regge, et cṏ periglio manifesto dell'ammutinamẽto de' sudditi di soverchio angariati dalla tirannide degli empi. Però si legge di Domitiano Imperatore, e, che (come narra Eusebio) voleva da' Senatori, Eusebio. et dal popolo essere adorato come un Dio, e ingiustamẽte angariava i cittadini molto mal sodisfatti del governo [p. 56 modifica]suo tristo, e scelerato. Di quell'altro raccỡtano il Platina, e 'l Corio, Il Corio. che entrò nel dominio come agnello, visse come Leone, e morse come lupo. Né libri de' Regi habbiamo di Ioas figliuolo di Ochezia Rè di Giuda, che per un grã tẽpo fu ottimo governatore del regno, e in fine divẽne come tirāno la onde meritò da' servi proprij esser in letto acciso. Per un'altra ragione è giudicato il governo perpetuo nỡ esser aproposito, perché se un altro ha d'ambire l'istesso governo, egli è molto minor male desiderare la contumacia, o vacatione di quello, che la sua morte, per la quale sola può pervenire al fine del suo desiato intẽto; e perché sovẽte accade, che i buoni Governatori si cãgiano in rei, onde porgono ad altri materia di procurargli dãno, cỡ la vacatione propinqua lietamẽte aspettata essi molte fiate impediscono il dãno, e gl'altri portãdo patiẽza cessano dal male, che forsi operarebbono, dovẽdo il governo esser perpetuo. Per questo si legge in Plutarco Plutarco., che Silla deponendo la dittatura perpetua, e vacãdo spőtaneamente, si rese ammirabile appresso a' Romani, et assicurò talmẽte la vita sua, che cỡ tutto che havesse infinite inimicitie nella città, non si trovò mai altri, che un putto al quale haveva egli ucciso il padre, che osasse fargli oltraggio, e villania. Per il contrario Cesare, fin che fu cỡtento de gradi della republica cỡsueti, passò con felicità grandissima il corso di sua vita, ma quando prese l'imperio assoluto della patria cỡ quella essosa perpetuità, ritrovò un Brutto, e un Cassio, i quali bruttamẽte lo cassarono di questa vita con infelicissima morte. Ne vale quella frivola ragione, che allegano alcuni, cioè che la perpetuità de' governi accẽde i prorij Governatori a' maggiore amore verso i luoghi da lor governati, perché cỡ l'isperiẽza si trova, che a pữto se ne invaghiscono tãto, che voglion esser nỡ Governatorij ma Prẽcipi e si fã così forti in quei luoghi, che paiono signori a bacchetta, e non ministri, come veramẽte sono. Il Corio. L'esẽpio è chiaro appresso al Corio, al Platina, al Sabellico, Il Platina. al Biỡdo di molti tirãni d'Italia, i quali nel tẽpo , che la fede Apostolicaera trasferita in Avignone, Il Sabellico. di puri Governatori delle città della Chiesa , diventarono, Il Biỡdo. mediāte l'amore del regnare assoluti padroni d'esse, e si fecero così forti, che a discacciargli vi bisognaron l'armi , o gli esserciti; e tutte le forze del Papato. Hor cotesto è l'amore, che portano a' luoghi, che si fā èadroni d'essi, e sỡ tāto acciecati dal proprio interesse, ch'ogni cosa par di loro, le possessioni, gli horti, i giardini, le case, i denari, i servitori, la robba tutta in somma è la loro, ne si conosce ministerio d'alcuna sorte, ma solamente principato, regno, e tirannia. Che cosa dirà il mondo? s'hanno da tacere queste ragioni, o nò? Non è egli il vero, che i Governatori con bestiali metamorfosi divengono tiranni? Quando un ministro overo s'arroga il commune per se stesso, dissipa i beni publici, consuma in banchetti l'entrate universali, rende conto alla grossa del suo maneggio, spende, e spande come un Prencipe, tiene copia grandissima di servitù per se solo, s'allarga in tutti i piaceri carnali, e dissolutioni venere, riduce in misera servitù [p. 57 modifica]tutti i subditi, a se stesso solo è clemente, a gli altri duro, ama ufficiali ribaldi, tien servitori ruffiani; è un Nerone co' suoi soggetti, non dirai tu che questi sia un tiranno? Dunque chi vuole esser stimato ottimo Governatore, si rẽda adorno delle qualità sopradette, conventi esso, altrimenti sarà giudicato da tutti un tiranno, non solamente indegno di quel fine che a' tiranni communemente suole avvenire.

Annotatione sopra il ij. Disc.

Chi volesse minutamente sapere quante specie di governi sono al mondo, non si parta da Aristotile nel quarto della Politica al capitolo quinto, et, sesto; e a che modo vanno per terra i governi, s'ha' dal medesimo nel terzo della Politica al capitolo Quinto. Qual sia fra tutti i governi il megliore si cava dal terzo della Politica, al capitolo trigesimo primo. Qual siano i più sicuri, et i più durabili si mostra nel quarto della Politica al capitolo undecimo et nel quinto della Politica, al capitolo primo. Onde nascano le mutationi de' governi si può vedere nel quinto della Politico al capitolo decimo. Marsilio Ficino sopra Platone de Regno, descrivendo che cosa sia un retto governo semplicemente, dice, che, Gubernatio recta est,