Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro I/Capo II

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Capo II – Studi sacri.

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Capo II.

Studi sacri

. I. Nel parlare che fatto abbiamo finora dello stato in cui fu la letteratura italiana di questi tempi, il celebre Cassiodoro ci ha quasi unicamente occupati: perchè a lui più che ad ogni altro si dee, se i sovrani che a questa età signoreggiaron l’Italia, furon liberali e magnanimi protettori de’ buoni studj; e lo stesso ci convien fare anche a questo luogo, ove degli studj sacri di questo tempo medesimo dobbiam ragionare. Questo grand’uomo, di cui non v’ebbe altri più ardente nel fomentare le scienze, a questi ancora volse il pensiero; e sin da quando egli era ministro de’ re ostrogoti, cercò di avvivarli e di farli fiorire felicemente, Io vedeva, dic’egli stesso (praef. ad l. de Instit. div. lit.), con dolore gravissimo , che mentre i secolari studj si coltivavano con non ordinario fervore, non vi era alcun pubblico professore o Tirabusciò, Voi III. 3 [p. 34 modifica]34 LIBRO interprete della sacra Scrittura. Mi adoperai pertanto presso il pontefice Agapito (che fu innalzato al pontificato l’anno 535, ma il tenne meno di un anno) perchè a comuni spese si stabilissero in Roma professori di scienze sacre. Ma questa sì vantaggioso disegno rimase allora per la calamità de’ tempi senza effetto alcuno; e solo molti anni dopo fu da’ seguenti pontefici , come a suo luogo vedremo, felicemente eseguito. Ù. Ma dappoichè egli, abbandonato il mondo , ritirossi nel monastero, allora il pensier degli studj alla nuova sua profession convenienti occupollo interamente. Il luogo da lui preso pel suo ritiro fu presso Squillaci sua patria , come evidentemente mostra il P. Garet nell’altre volte citata Vita di Cassiodoro, contro il parer di quelli che pensano ch’egli si ritirasse presso Ravenna. Ivi in un luogo cui gli orti ameni e le limpide acque scorrenti e il vicin mare rendeva amenissimo , come egli stesso descrive (de Instit. div. lit. c. 29), e a cui dalle copiose peschiere che vi erano, diè il nome latino di Vivariense, fabbricò a sue proprie spese un monastero, e innoltre sulle pendici del monte, detto Castello, un eremo per coloro che vi volesser vivere da anacoreti. Che lo stesso Cassiodoro vi abbracciasse la vita monastica, non può negarsi. Egli stesso, oltre l’accennare più volte, espressamente nomina il tempo della sua conversione, col qual nome soleasi ne’ più antichi tempi chiamare la professione monastica (V. Mabillon. Ann. Ord. S. Bened. vol. 1 ad an. 528, n. VIII Du Cange [p. 35 modifica]PRIMO 35 Gloss. ad voc. Conversus, ec.). Al che io mi stupisco che non abbia posto mente l’erudito Fabricio, il quale dal vedere che Cassiodoro s’intitola Cassiodori Senatoris jam Domino praestante conversi, ne ha inferito (Bibl. lat. l. 3, c. 16) ch’egli fosse prima idolatra, e che poscia abbracciasse la religion cristiana. Se poi egli ai suoi monaci prescrivesse la Regola di S. Benedetto, o quella di Cassiano, o qualunque altra , nè è facile a diffinire, nè a me appartiene l’esaminarlo. Il suddetto P. Garet alla Vita di Cassiodoro ha aggiunta un’erudita dissertazione in cui usa di ogni sforzo a provare ch’egli seguì , e seguir fece ai suoi monaci, la Regola di S. Benedetto, e a ribattere la contraria opinione dei cardinale Baronio e di altri scrittori. Se egli abbia provata abbastanza l’opinion sua, io lascerò che altri il decida. E molto men mi tratterrò a ricercare s’ei fosse, o non fosse abate del suo monastero, di che io penso che assai poco sian solleciti i miei lettori. Checchessia di ciò, era allora Cassiodoro in età di circa settant’anni, supposto ch’ei nascesse , secondo la comune opinione, verso l’anno 480. E nondimeno egli applicossi e a coltivare egli stesso gli studi sacri, e ad avvivarli tra’ suoi con tal fervore ed impegno, che maggiore non poteva aspettarsi da un uomo della più verde età. III. I libri da lui scritti furono singolarmente indirizzati a vantaggio de’ suoi monaci, e in essi egli continuamente gli esorta ad occuparsi negli studi lor proprj. Egli esercitavali singolarmente nel trascrivere i libri, ed io confesso, die’ egli stesso sinceramente (de Instit div. lit. c,3o), [p. 36 modifica]36 LIBRO che fra tutte le corporali fatiche quella singolarmente mi piace de’ copiatori, che egli coll’usata voce latina chiama antiquarii. E non si posson leggere senza un dolce sentimento di tenerezza le minutezze a cui egli discende, nel raccomandar loro qual maniera debban tenere per ben copiarli (ib. c. 15). Egli giunse perfino a chiamare al suo monastero artefici valorosi per legare i codici pulitamente, e a disegnare egli stesso le immagini di cui poteansi adornare (ib.). Anzi questa sua sollecitudine fu tale, che in età di ()93 anni (praef. ad l. de Orth.) non si sdegnò l’ottimo vecchio di comporre ad uso de’ suoi monaci un trattato, di Ortografia, perchè apprendessero a scrivere esattamente. Nè pago di esortare gli altri a questo lavoro, vi si esercitava egli stesso, ma in quella maniera che si conviene ad uom dotto} perciocchè egli rammenta (praef. ad Instit. div. lit.) di avere esaminati e confrontati tra loro parecchi codici della sacra Scrittura, per averne un ben corretto esemplare. A questo fine medesimo egli arricchì il suo monastero di una copiosa biblioteca. Aveane già egli una in Roma, e ricorda egli medesimo (de Musica) un libro da un certo Albino scritto intorno alla musica, ch’egli avea ivi nella sua biblioteca. E questa probabilmente avrà egli fatta trasportare al suo monastero} benchè la maniera con cui egli a questo luogo ne parla, mi sembri indicare ch’ei non l’avesse ancor fatto. Ma oltre ciò, egli mandò in ogni parte a cercar libri ad uso dello stesso suo monastero. Noi veggiamo ch’egli parli a’ suoi monaci de’ [p. 37 modifica]PRIMO 3^ codici ch’egli sperava di ricevere presto da diverse parti ove avea inviato a farne ricerche (de Instit. div. lit. c. 8); e nomina singolarmente i Comenti sulle Pistole di S. Paolo di un certo Pietro abate di Tripoli, ch’egli aspettava dall’Africa (ib.): e il libro intorno alla Musica di Gaudenzo Greco, ch’egli da Muziano avea fatto recare in latino, e ch’essi aveano nel lor monastero, insieme col libro di Censorino sul Dì Natalizio (de Mus.). Dalla menzione de’ quali libri noi raccogliamo ancora che non solo ne’ sacri, ma anche ne’ profani studj voleva egli che fosser colti i suoi monaci, in quanto essi potevan giovare a meglio intendere la sacra Scrittura. Perciò egli loro ricorda che i santi loro istitutori non avean già divietato lo studio delle lettere secolari; perciocchè molto vantaggio da esse si trae alt intelligenza de’ santi libri (de Inst. div. lit. c. 28). Anzi nella medicina ancora bramava egli ch’essi fosser periti a sollievo de’ lor fratelli infermi; e nomina molti libri di tale argomento, di cui perciò avea egli provveduta la biblioteca del monastero: Voi avete, ei dice loro (ib. c. 3i), l Erbario di Dioscoride il quale , ha descritte e dipinte con ammirabile proprietà l’erbe de’ campi. Leggere ancora Ippocrate e Galeno recati in lingua latina, cioè le Terapeutica di Galeno scritta al filosofo Glaucone, e un Anonimo che ha uniti insieme molti autori. Innoltre, i libri di medicina di Aurelio Celio (forse Celso) , e qué (f Ippocrafe sull’erbe e sulle cure, e più altri libri di medicina ch’io col divino ajuto ho riposti nella vostra biblioteca. [p. 38 modifica]38 LIBRO IV. Queste sue occupazioni però non gli vietarono di comporre al tempo medesimo molte opere, la più parte delle quali ci sono rimaste. Nella prefazione al citato libro della Ortografia, che fu tra gli ultimi da lui composti, egli le annovera coll’ordine stesso con cui aveale scritte. E in primo luogo il Commentario su’ Salmi ch’egli raccolse dall’opere singolarmente de’ Padri latini, e ch’egli dice di aver composto prima d’ogni altra cosa dopo aver abbracciata la vita monastica. Soggiugne poscia le Istituzioni delle divine ed umane lettere in due libri divise, nel primo de’ quali ei tratta in qual modo si debba attendere allo studio della sacra Scrittura, quali autori l’abbiano più felicemente e più dottamente spiegata, quali altri libri siano a’ monaci più opportuni e giovevoli; libro a parer di tutti eccellente, e che ci mostra l’erudizione, l’ingegno, il discernimento del suo autore. Il secondo libro, eli1 è intitolalo ancora delle Sette Discipline, è un breve compendio della gramatica, della rettorica, della dialettica, della geometria , dell’aritmetica, della musica c dell’as tron orni a; nelle quali scienze ancora voleva ei saggiamente che istruiti fossero i suoi monaci. Quindi nomina un Comento sull’Epistole di S. Paolo, che sembra essere quel di Pelagio, e da cui dice eli’ egli avea tolto ciò che a’ Pelagiani poteva essere favorevole, avvertendo a far lo stesso coloro che prendessero a trascrivere i Comenti sulle altre Epistole. Poi il Comento sopra Donato, ossia il libro delle Otto Parti del ragionare, e un cotal Compendio della sacra Scrittura, ch’egli perciò intitolò Memoriale. [p. 39 modifica]primo 3g Inoltre le celebri Complessioni sugli Atti e sulle Epistole degli Apostoli e sull’Apocalissi, che dal chiar. march. MafFei furono per la prima volta pubblicate in Firenze l’anno 1721. Finalmente il libro dell’Ortografia, di cui abbiam poc1 anzi parlato, scritto da lui quando già avea 93 anni di età. Queste sono le sole sue opere di cui fa egli stesso menzione. Credesi nondimeno ch’egli scrivesse ancora dopo esse il piccol trattato del Computo pasquale, che ancora abbiamo. E inoltre, benchè ei rammenti, come abbiam detto, l’ordine con cui egli scrisse le sue opere, ella è nondimeno opinione del P. Garet, e parmi bastevolmente provata, ch’egli le cominciasse bensì con quell’ordine che egli descrive, ma che alcune, benchè più presto incominciate, fossero nondimeno da lui condotte a fine più tardi che non altre posteriormente intraprese. Di alcune altre opere che falsamente si attribuiscono a Cassiodoro, veggansi le Biblioteche degli Scrittori Ecclesiastici, e singolarmente il Ceillier (Hist. des Aut. eccl. t 15). V. Nè pago di ciò, altri ancora animò egli a intraprendere altri eruditi lavori che alla Chiesa e alle lettere fosser giovevoli. E in primo lungo Epifanio soprannomato Scolastico per consiglio di lui tradusse di greco in latino le tre Storie ecclesiastiche di Socrate, di Sozomeno e di Teodoreto (de instit div. lit. c. 17), che poscia ridotte in compendio diviso in dodici libri furono intitolate Istoria tripartita, la qual opera ancor ci rimane. Questo compendio credesi comunemente opera del medesimo Cassiodoro, e [p. 40 modifica]40 LIBRO così sembra egli indicare nella prefazione eh1 ci vi premise. Ma io rifletto ch’ei non fa menzione di questa tra le altre sue opere di sopra accennate, e 11011 sembra probabile che dopo 93 anni di età ei potesse intraprendere sì gran lavoro. Per altra parte egli nel luogo sopraccitato sembra indicare che il compendio ancora in dodici libri fosse fatto da Epifianio: Quos a viro disertissimo Epiphanio in uno corpore duodecim libris fecimus Deo auxiliante transferri. E io perciò inclino a pensare che Cassiodoro altra parte non vi avesse che la direzione e il consiglio, e che in questo senso soltanto si debba credere ch’egli parli nella prefazione accennata. Per consiglio parimenti di Cassiodoro, Muziano, detto egli pure Scolastico, tradusse dal greco in latino 35 Omelie di S. Giovanni Grisostomo sulla Epistola agli Ebrei (ib. c. 8), la qual versione di nuovo è stata pubblicata dal P. Montfaucon nella sua edizione dell’Opere di questo santo Dottore (vol. 12); e questi è quel Muziano medesimo che avea pur recato di greco in latino il libro di Gaudenzio intorno la Musica. Da lui pure veggiamo che Bellatore fu persuaso a comporre i comenti su molti libri della sacra Scrittura, e a tradurre dal greco in latino alcune omelie di Origene; delle quali fatiche di Bellatore parla egli stesso più volte (de Instit div. lit. c. 1, 6). Di esse nulla ci è pervenuto, seppur non vogliasi adottare la congettura di monsig. Huet, che l’antica versione di alcuni opuscoli di Origene, che tuttora abbiamo, sia quella appunto di Bellatore. Qual parte avesse per ultimo [p. 41 modifica]PRIMO 4* Cassiodoro negli studj di Dionigi soprannomato il Piccolo, il vedremo tra poco, ove di lui stesso ragioneremo. VI. In tal maniera questo grand’uomo affaticavasi con instancabile zelo in coltivare, in promuovere, in fomentare gli studj d’ogni maniera. Egli giunse perfino, per render più agevoli a’ suoi monaci cotali studj, a provvederli di certe lucerne a uso delle notturne fatiche, di cui egli parla come di cosa di sua invenzione (ib. c. 30). Quali esse fossero, nol dice; ma solo accenna ch’esse gittavano copioso e durevol lume, e che V olio non veniva lor meno, benchè nutrisse continuamente la fiamma. Le quali parole han fatto credere ad alcuni che le lucerne di Cassiodoro tali fossero veramente, che avessero un lume non mai manchevole. Ma i valorosi fisici non s’indurranno a crederlo così di leggieri; ed è probabile che Cassiodoro altro non voglia dire, se non che le sue lucerne conservavano il lume più lungamente assai, che non soleano fare le usate comunemente. Egli ancor fa menzione di due orologi ch’egli avea lavorati ad uso del suo monastero, l’uno solare, l’altro ad acqua (ib.). Ma di questi già abbiam veduto che fin da’ tempi più antichi conoscevasi l’uso in Roma. In somma, come egli era stato in corte, così fu ancora nel monastero, coltivatore e fomentatore indefesso delle scienze, e vi aggiunse insieme l’esercizio delle cristiane virtù, per cui ne rimase a’ posteri venerabile il nome per modo, eli’ esso vedesi inserito in alcuno degli antichi martirologi. In qual anno ei morisse, [p. 42 modifica]\l LIBRO non si può diffinir certamente. Alcuni pensano ch’egli oltrepassasse il centesimo anno, e ne recano in pruova quelle sue parole: Pudet enim dicere, peccatis obnox ’uim centenarii numeri foecunditate provectum (in Psalmo 100). Ma a dir vero, per quanto io abbia più volte letto quel passo, non saprei accertare se queste parole debban intendersi in senso letterale, o in altro senso allegorico. Certamente ei giunse a novantatrè anni di sua vita, come si è dimostrato, e a me pare perciò che l’opinione la più probabile sia quella appunto eli’ è ancora la più comune, cioè ch’egli nato l’anno 479» o 480, morisse l’anno 575 in età di circa novantasei anni. VII. I monaci di Cassiodoro non erano i soli che in tali studj si occupassero. Anche negli altri monasteri era, come abbiamo mostrato nell’epoca precedente, comune l’uso di avere biblioteca; e benchè il lavoro delle mani fosse ai monaci caldamente raccomandato , quello nondimeno dell’esercitarsi nel leggere e nel ricopiare i libri sembra che più di tutti si avesse caro. E di S. Fulgenzo singolarmente raccontasi (Mabill. Ann. bened. t. 1, l. 2, n. 11) che avendo egli due monasteri fondati nell’isola di Sardegna , per tal maniera raccomandava a’ suoi monaci il lavoro e la lettura, che minor amore mostrava per quelli che lavoravan bensì, ma non godevan di leggere; e sommamente amava color che studiavano, benchè non avesser forze per le corporali fatiche. Dal frequente uso di copiar libri ne venne tra’ monaci il nome di antiquario ossia copiatore, che sì spesso [p. 43 modifica]PRIMO 43 s’incontra nell’antica Storia monastica (V.Mobili, praef ad vol. 1 A et. SS. Ord. S. Benedicti, n. 114, ec.). Anzi tra le monache ancora vedevansi talvolta alcune occuparsi anch’ esse nel copiar libri, come del monastero di vergini da S. Cesario fondato in Arles l'anno 521 afferma e prova il dotto P. Mabillon (ib. l. 1, n. 5 2) che più altri esempi produce altrove a provare che gli studj sacri furon talvolta usati ancor fra le monache (praef. ad Act. SS. saec. 3, p.1, n. 47)• ^ tal maniera mentre i Barbari co’ frequenti incendj e co’ rapaci saccheggiamenti devastavano ogni cosa, e a’ codici e alle biblioteche recavano incredibile danno, adoperavansi i monaci colle loro fatiche a compensare in qualche modo sì fatte perdite; e ad essi singolarmente noi siam debitori, se abbiamo ancor molte dell’opere degli antichi che senza la loro industria sarebbono probabilmente perite. VIII. Non è perciò a stupire se molti monaci dotti si vedessero fino da questi tempi recare non piccol vantaggio alle scienze co’ loro studj. Fra questi uno de’ più famosi fu Alionigi soprannominato il Piccolo per la piccolezza della sua statura. Era egli scita di nascita, ma di costumi romano, come afferma Cassiodoro (de Inst. div. lit. c. 23), e possiam aggiugnere ancora di abitazione, poichè da Paolo Diacono (De gestis Lang. l. 1, c. 25) e da Beda (De tempor. rat. c.) si dice eli’ egli era abate in Roma; colle quali parole non è chiaro se vogliano essi indicarci eli’ egli avesse la dignità di abate, o solo che fosse monaco, come osserva il P. Mabillon essere stato costume degli Orientali [p. 44 modifica]44 LIBRO per riguardo a’ monaci per virtù e per sapere più illustri. Un magnifico elogio di questo erudito monaco ci ha lasciato Cassiodoro (l. cit,), il quale volendo provare che la Chiesa cattolica avea anche a’ suoi giorni uomini dotti ed illustri, rammenta il monaco Dionigi eh’ è stato, dice, a’ giorni nostri, e il chiama uomo nella greca e nella latina lingua dottissimo; e in cui il sapere vedeasi congiunto con una grande semplicità, colla umiltà la dottrina, e l’eloquenza colla sobrietà nel parlare; cattolico perfetto, e delle tradizioni de’ Padri fedel seguace. Egli ancora rammenta la facilità ch’egli avea a sciogliere prontamente o in greco o in latino qualunque dubbio sulle sacre Scritture, di cui venisse richiesto, e insieme le virtù religiose di cui era mirabilmente adorno. Ciò che aggiugne qui Cassiodoro, che amendue insieme avean letta la dialettica, ha fatto credere ad alcuno ch’egli facesse al suo monastero venir Dionigi, e di lui si valesse a istruir nella dialettica i suoi monaci. Ma, come riflette il P. Mabillon (Ann. ben. t 1, l. 5, n. 25), Cassiodoro nel passo citato delle sue Istituzioni delle divine lettere parla di Dionigi come d’uomo già trapassato; e quest’opera fu la seconda, come egli stesso c’insegna, da lui composta dopo la sua conversione, cioè poco tempo dopo ch’egli ebbe abbracciata la vita monastica. Oltre che, se ciò fosse stato, pare che Cassiodoro avrebbe citato il testimonio de’ suoi monaci stessi che l’aveano conosciuto, e avrebbe rammentato il vantaggio che dalle istruzioni di lui aveano ricavato: di che ei non fa motto. Sembra [p. 45 modifica]PRIMO 45 dunque probabile che altro non voglia egli indicare con quelle parole, se non che in Roma si erano esercitati insieme nello studio della dialettica. IX. Ciò che ha renduto più celebre il nome di Dionigi, sono il nuovo ciclo pasquale di novautacinque anni da lui ritrovato a determinare per ogni anno il dì di Pasqua, e l’uso di segnar gli anni coll’uso dell’era cristiana da lui primieramente introdotto. Intorno a che veggasi il P. Petavio (De doctr. temp. l. 12, c. 2, 3), il quale ha ancor pubblicato qualche frammento di due lettere inedite dello stesso Dionigi su tale argomento. Egli fissò il primo anno dell’era cristiana, cominciandolo dal gennaio seguente alla nascita del Redentore, all’anno della fondazione di Roma 754; nel che però credesi comunemente da’ moderni cronologi eli’ egli prendesse errore, e che la nascita del Divin Redentore si debba anticipare di 4 anni, benchè in questo numero stesso non tutti convengano. Ma non è di quest’opera l’entrare a contesa su tal quistione. Egli innoltre ad istanza di Stefano vescovo di Salona recò dal greco in latino la Raccolta de’ Canoni Ecclesiastici, e poscia ancora raccolse le Lettere Decretali cominciando da Siricio fino ad Anastasio II, oltre più altre operette ch’egli parimenti dal greco traslatò in latino, e che si posson vedere annoverate dagli scrittori di Biblioteche Ecclesiastiche, e singolarmente dal P. Ceillier (Hist. des Aut. eccl. t. 16, p. 220). Ma intorno alle Raccolte de’ Canoni e delle Decretali da lui fatte merita di esser letto ciò che ne limino [p. 46 modifica]40 LIBRO scritto i dottissimi Ballerini (Diss. de Collect. Decretal pars 3, c. 1, vol. 3 Op. S. Leon). In qual anno ei morisse, non si può accertare; ma pare che non si possa differir molto dopo l’anno 540, verso il qual tempo, come abbiam detto, Cassiodoro ritirossi nel monastero. X. Aggiungansi a questi que’ molti monaci che cominciarono di questi tempi a scriver le Vite de’ fondatori de’ lor monasteri, o di quelli che in essi per la santità de’ loro costumi si renderono illustri; molte delle quali si posson veder raccolte e date alla luce dall’eruditissimo P. Mabillon negli Atti de’ Santi dell’Ordine di S. Benedetto. Ed io ben so che molti troppo severi critici de’ nostri giorni hanno cotali Vite in conto di favolose, e le dicono piene di puerili e di claustrali semplicità. Nè voglio già io negare che alcuni di questi scrittori non siano stati creduli oltre il dovere, e molte cose non ci abbian narrate inverisimili e false. Ma parmi ragionevole primieramente, che col rigettare ogni cosa non si cada in un difetto uguale, o forse ancora maggiore di quello di credere ogni cosa; in secondo luogo, che allor quando s’incontra qualche racconto maraviglioso, non si gridi tosto all’impostura (seppure non si pretenda di aver dimostrato che cose maravigliose non posson mai accadere), ma si esamini su quai fondamenti esso si asserisca; in terzo luogo, che a ciò che uno assicura di aver veduto j cogli occhi suoi propj, non si neghi fede così 1 di leggieri; nè si dia ad altri senza gravissimo fondamento la taccia di mentitore, che troppo mal volentieri si soffrirebbe di ricevere; per , [p. 47 modifica]PRIMO 47 ultimo, che per gli storici sacri si abbia almeno quel riguardo medesimo che si ha pe’ profani; nè si uniscan tutti in un fascio, e si gettino con dispetto come indegni di fede. Ed è certo che a cotali scrittori sacri noi dobbiamo non poco per le notizie apprtenenti ancora alla storia profana, ch’essi ci hanno lasciate, e che inutilmente si cercherebbono altrove. Io non mi tratterrò nondimeno a parlare di ciascheduno di essi, e lascerò ancora di favellare di altri monaci che a questo tempo diedero qualche saggio del lor sapere; intorno a’ quali si potrà vedere, oltre altri scrittori, la Storia letteraria dell’Ordine di S. Benedetto del P. Ziegelbaver. XI. Il clero secolare ancora ebbe a quest’epoca valorosi coltivatori, per quanto il permetteva la condizione de’ tempi, de’ buoni studj. Abbiamo altrove (t 1, p. 391, ec.) fatta menzione del Concilio di Vaison tenuto l’anno 529, in cui si ordina che i parrochi tutti debban nelle lor case tenere alcuni giovinetti, e venirgli istruendo negli studi opportuni a coloro che debbon servire alla chiesa; e si rammenta che tale appunto era l’uso di tutta Italia: secundum consuetudinem, quam per totam Italiam satis salubriter teneri cognovimus. Era dunque questo general costume in questi tempi in tutta la nostra Italia, che i parrochi tenessero una cotale scuola di studj sacri. Io credo però che solo i primi elementi vi s’insegnassero; perchè parmi strano che se usavano i parrochi d’insegnare anche le scienze sacre, in Roma non ve ne fosse pubblica scuola, come abbiam [p. 48 modifica]48 unno udito narrarsi da Cassiodoro, il quale adoperossi con grande ardore per introdurla, ma per le sciagure de’ tempi nol potè ottenere. Sembra dunque probabile che in tali scuole s’insegnasse ciò solamente che ad un ecclesiastico è necessario precisamente; ma non si andasse più oltre. XII. Non sono nè molti nè molto celebri comunemente gli scrittori sacri italiani di questi tempi; e due ragioni vi concorsero a mio parere. Nell’epoca precedente, cioè ai tempi di Costantino e de’ suoi successori, la religioni cristiana cominciò ad alzare liberamente il capo; e a’ pastori fu lecito l’istruire a tutto loro agio i fedeli e colla voce e cogli scritti de’ dogmi della lor fede. Quindi molti vi furono che presero a scriver libri e trattati a comune istruzione, e i sermoni ancora tenuti da alcuni al lor popolo furon raccolti, e per maggiore utilità pubblicati. Questo bisogno cominciava ora ad esser minore, poichè i Cristiani venivano più facilmente istruiti, e le opere degli scrittori dell’età precedenti bastavano ancora all’istruzione de’ posteri. Inoltre nell’epoca precedente l’eresie di Ario e di Pelagio e di altri aveano anche in Italia non pochi seguaci; ed era d’uopo perciò che da’ Padri venissero confutate, ed avvertiti i fedeli, perchè fosser cauti a non lasciarsi trarre in errore. Ma ora queste eresie cominciavano ormai ad essere dimenticate e neglette; e benchè i re ostrogoti fossero comunemente ariani, come nondimeno essi non molestavano per tal riguardo i Cattolici, nè si studiavan di stendere i loro errori, e gli Ostrogoti ch’erano pure in gran parte ariani, non [p. 49 modifica]PRIMO 4lJ eran uomini a convincersi con dottrina e con libri, perciò i Cattolici paghi delle confutazioni già fatte di cotali eresie non furon molto solleciti , nè crederon esser d’uopo di rinnovar le battaglie. XIII. Di alcuni tra que’ medesimi de’ quali abbiam qualche opera, come di S. Ennodio, di Aratore, e di alcuni altri, mi riserverò a parlare nel capo seguente, al cui argomento propriamente appartengono i loro libri. Io accennerò qui solamente Vittore vescovo di Capova, che fiorì verso f anno 545, e che oltre l’aver tradotto dal greco in latino l’Armonia evangelica attribuita ad Ammonio, ch’è inserita nella Biblioteca de’ Padri, scrisse ancora qualche trattato sul ciclo pasquale, impugnando un nuovo canone che da Vittorio d’Aquitania erasi divulgato, e una Catena ossia un Comento raccolto da più autori sopra gli Evangelj; Pascasio diacono della Chiesa romana, che al principio del vi secolo scrisse due libri intorno allo Spirito Santo contro l’eresia di Macedonio, i quali però da altri si attribuiscono a Fausto di Riez; e quel Lorenzo, chiunque egli fosse, e a qualunque tempo vivesse, la cui eloquenza fu in sì gran pregio, ch’ei n’ebbe il nome di Mellifluo, e di cui abbiamo ancora qualche omelia. De’ quali, e di altri scrittori sacri ch’io tralascio e per brevità e perchè non ci han lasciate opere di gran nome, veggansi gli scrittori di Biblioteche Ecclesiastiche, e singolarmente il più volte citato Ceillier (t. 16, p. 547, ll^ì <• io, p. 35a).

Tnunosem, Voi. Ili [p. 50 modifica]

Capo III.

Belle lettere.

I. I giorni lieti e tranquilli che sorsero all’Italia, mentre regnavano Teodorico e Atalarico, sembrarono risvegliare negl’Italiani per qualche tempo quel vivo e fervido entusiasmo nel coltivamento degli ameni studj, onde essi erano stati compresi ne’ secoli addietro, ma che per le pubbliche calamità che travagliarono nella sua decadenza il romano impero, erasi rattepidito, e quasi interamente estinto. Furono dunque all’epoca di cui trattiamo, non pochi che nello studio dell’amena letteratura si esercitarono; e benchè la maggior parte di essi lasciassero penetrare ne’ loro scritti quella barbarie medesima che contraevano nel ragionar I famigliare dal continuo commercio co’ Barbari, furon però degni di lode i loro sforzi co’ quali si adoperarono a tener viva la memoria de’ buoni autori, e a persuaderne l’imitazione; e alcuni di essi ancora si sepper difender pellai maniera dalla comune rozzezza, che parvero richiamare lo stile de’ tempi andati. Fra questi fu singolarmente Boezio, i cui versi son certamente migliori assai che non quelli della più parte degli scrittori de’ due ultimi secoli. Ma come più che in ogni altra sorte di studio ei si rendette celebre nella filosofia, di lui ci riserberemo a ragionare nel capo seguente, e qui rammenteremo coloro che o per eloquenza, o per poesia, o per qualche altra parte di amena letteratura divenner famosi.