Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo XIII
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[Anno 1849]
Trasferitosi il Santo Padre in Gaeta in sullo scorcio del novembre dell’anno passato, noi compiemmo il nostro dovere di parlarne non solo, ma di enumerare ben anco tutte le onorificenze che v’incontrò, e di schierare sotto gli occhi dei nostri lettori quella corona eletta di personaggi di tutte le nazioni che in quella città confluivano. Descrivemmo pure il corpo diplomatico che vi si raccolse, e che più distinto e più numeroso di quel di allora non erasi veduto circondare il pontefice giammai.
Enumerammo quindi ancora tutti gl’indirizzi che l’episcopato, e i municipi, e i collegi, e le associazioni cattoliche a conforto dell’animo suo contristato inviarongli da tutte le parti del mondo. Bastò a noi questo, affinchè i contemporanei nostri e la tarda posterità formarsi potessero una idea adeguata delle onorificenze e degli omaggi rispettosi che in qualunque tempo riseotè il papato dalla classe eletta della umana società, e maggiori se in tempo di persecuzioni od esilio, più splendidi ben anco se in più modesti palagi, che sotto le magnifiche volte o le aule dorate del Vaticano. Poiché le persone che meglio si amano e si stimano, nei pericoli e nelle sventure devonsi circondare di sollecitudini. E in ciò parlano il cuore, l’intelletto, il dovere, e tutti i più nobili sentimenti; dove il farlo in momenti di auge e di gloria, ti lascia incerto nel giudicare se i veri moventi siano la verità e l’affezione, ovvero i rispetti umani e la cupidigia del proprio interesse.
Trascrivemmo in fine del capitolo precedente un sunto dell’allocuzione pontificia del 20 aprile, riassunzione importantissima delle vicende non solo, ma degl’inganni, e delle traversie, cui sottostette il papato in benemerenza dello avere steso la mano amorevole ai suoi nemici.
Ora sarebbe d’uopo che riconducendoci su quella sede la quale venne onorata dal volontario esilio dell’augusto capo della Chiesa, e del forse troppo mite sovrano ch’era stato eletto a reggere il freno degli stati romani, narrassimo alla meglio ciò che nello intervallo, cioè dal marzo a tutto il 20 di aprile, ivi occorse.
Poco però avremo a dire, perchè poco o nulla troviamo scritto. Gli atti emanati nel febbraio gli abbiamo accennati tutti, e furono quello del 2 per la Immacolata Concezione, quello del 14 contro la repubblica, quello del 19 del cardinale Antonelli contro l’incameramento dei beni ecclesiastici, non che l’altro del 27 contro i prestiti all’estero, e tutti si troveranno sotto le date rispettive.
Parlammo pure della visita del granduca di Toscana dopo il suo arrivo colà. Ora aggiungeremo soltanto, perchè nel febbraio non ne facemmo menzione, che il Santo Padre restituì la visita al gran duca il giorno 24 a Mola di Gaeta, e che in quel giorno vi si recaron da Gaeta il re e la regina di Napoli coʻ principi e con le principesse reali.1 La piccola corte o seguito del granduca era composto dei seguenti:
Il generale Sproni comandante la real guardia del Corpo.
Il commendatore Giuseppe de S. Marc ff, di maggiordomo maggiore.
Il cavalier Francesco Arrighi cavaliere di compagnia dei reali arciduchi.
I commendatore Matteo Bettheuser segretario intimo.
Tito Pollastro E Luigi Venturi commessi.
La contessa Palagi dama di compagnia.
La contessa Brady aia delle reali arciduchesse.
Giorgina Nevel damigella di compagnia delle medesime.
Nel marzo troviamo che il giorno 6 il Santo Padre si recò col cardinale Antonelli e seguito a visitare la fregata spagnuola la Ville de Bilbao inviatagli dalla cattolica Spagna.2 Il 2 aprile vediamo che il Santo Padre tenne concistoro in Gaeta per provvedere ad una sede arcivescovile ed a sei vescovili.3
Troviam pure che il Santo Padre celebrò in Gaeta tutte le cerimonie della settimana santa.4
Ciò è quanto spigolando ne’ giornali di quel tempo, ci è avvenuto di poter apprendere. Questa povertà di materiali circa quell’epoca presenterà forse delle lacune; ma se non furono pubblicati, o se nelle mani nostre non pervennero, non fu nostra la colpa ma delle circostanze, e noi d’altra parte scrivendo la storia appoggiata costantemente su’documenti, ove questi ci manchino, nulla possiam dire, perchè non sapremmo indicare le sorgenti sulle quali sarebber basati i nostri racconti.
Ciò non è da far maraviglia, poichè in que’ tempi tristissimi il giornalismo romano era muto sulle cose di Gaeta, e niuno osava di parlarne per tema di essere preso in sospetto di mantener rapporti con quel luogo. Bensì seppesi quasi universalmente per moltiplici relazioni, non però stampate , che di colà giungevano, esservisi aperte le conferenze diplomatiche per provvedere all’intervento armato; e questo intervento verificossi poi nella terza decina di aprile, cioè dal 20 al 30 come in questo capitolo narreremo.
Nè già si creda che talune cose che pure eran conosciute dal governo repubblicano, venissero a cognizione dei Romani. Roma era in una ignoranza completa di ciò che accadeva, specialmente a Gaeta; e se qualche atto del Santo Padre vi penetrava, egli era sempre clandestinamente, e chiunque sarebbesi guardato dal dargli pubblicità. Vi furon taluni atti o avvenimenti che solo per via indiretta vennero appresi dal pubblico un venti o trenta giorni dopo. Lo sbarco per esempio degli Spagnuoli a Terracina in sullo scorcio di aprile non si conobbe dai Romani se non che per mezzo della Gaezetta di Genova in sul 18 di maggio. Ma di ciò meglio a suo tempo.
Poter dare adunque una storia per ordine cronologico di ciò che si passò in Gaeta in quel periodo di tempo ci riuscirebbe impossibile; si saprà un giorno, se qualcuno di coloro ch’erano al seguito di Sua Santità avrà il mandato di pubblicarne le memorie.
Quello sì che possiamo asseverare, perchè da fonte autorevolissima statoci assicurato, si è che secondo i desideri del Santo Padre e della sua corte, esternati nelle conferenze per l’intervento, si sarebbe voluto che gli Austriaci occupassero il nord degli stati della Chiesa; i Napoletani la parte meridionale e porzione delle Marche; gli Spagnuoli Roma, il Patrimonio di san Pietro, e la Sabina; i Francesi Civitavecchia e il littorale Tirreno. Il duca d’Harcourt rappresentante della Francia però non volle prender su di se il dare l’assenso, e si riservò di sentirci il governo di Francia. La risposta del governo di Francia fu la spedizione di dodici mila uomini, e l’incarico eslcusivo di prendere Roma.
Lasciata Gaeta, le conferenze e la trepidazione della corte pontificia (perchè le riserve del duca d’Harcourt, e le ignote intenzioni della francese assemblea non potevano se non mantenere gli animi in uno stato d’incertezza e direm pure di timore), incominceremo la narrazione delle cose occorse dal 21 al 30 di aprile.
Diremo pertanto che il giorno 21 venne disposto dal governo che il giudizio della causa politica in cui era imputato il general Zamboni ed altri complici venisse rimesso al tribunale criminale ordinario.5
l.o stesso giorno 21 poi avrebbe dovuto aver luogo la festa del Natale di Roma, ma per ragione della pioggia fu forza rimetterla al giorno seguente domenica 22.
La festa consistette in questo. Tutti i monumenti di Roma dal Campidoglio al Colosseo furono illuminati la sera con fuoco di bengala. La mattina vi fu rivista militare, e distribuzioni di doti. La illuminazione della sera attirò molto concorso, e nello insieme riuscì una bella festa. Essa venne diretta da
Curzio Corboli | per la commissione municipale |
Giovanni Paolo Muti | |
Pietro Sterbini | per il circolo popolare.6 |
Serafino Cola |
Se non che la sera, terminata la festa, una mano dì giovani non certamente d’idee temperate, portossi alla farmacia di sant’Ignazio (amministrata poco stante dagli stessi Gesuiti ed in allora appartenente a fratel Tironi che la conduceva per proprio conto) la invase, vi cagionò un tafferuglio, e vi commise guasti per alcune migliaia di scudi. Fratel Tironi venne insultato, e per iscampare a più serie minaccie, si mise in salvo colla fuga.
Venne istruito in seguito un processo su questo fatto più che incivile, abbominevole. Il processo resta aperto tutt’ora. Un cenno del fatto si dette nella Pallade, ma nulla si disse delle indegnità commesse, perchè in que’ tempi, anche i misfatti, purchè commessi a danno dei Gesuiti, divenivan peccati veniali (pecadillos).7
Il Monitore romano riportò per extensum tanto il programma, quanto la narrazione della festa pel Natale di Roma.8
Nella mattina dello stesso giorno 22 partì da Roma per Napoli il principe Torlonia. La sua partenza fu motivata dallo spoglio illegale e tirannico dell’amministrazione dei sali e tabacchi, da lui tenuta in appalto; perchè dopo un fatto simile, per non compromettersi, prudenza voleva che si allontanasse da Roma.9
Un giorno dopo la sua partenza, il 23, venne pubblicato il decreto del triumvirato in data del 21 per l’aboliziove dell’appalto sotto la denominazione di amministrazione cointeressata dei sali e tabacchi;10 ed essendo in seguito della disposizione sul prezzo del sale del giorno 15, esaurite le provviste della saletta, ne venne dal governo sospesa intieramente la vendita.11
Il Monitore poi dello stesso giorno de informava che il governo romano veniva adottando per l’armata romana gli stessi regolamenti ch’erano in vigore in Francia; più talune disposizioni sulla percezione della dativa; ed infine ch’erano per ordine del ministro della guerra Avezzana istituite tre scuole di scherma.12
Il Monitore del 24 riportava un indirizzo del triumvirato alle milizie repubblicane sulla festa del giorno 22, ed un ordine del giorno del ministro della guerra Avezzana col quale rallegravasi tanto col comandante Roselli, quanto co’ militi del secondo reggimento leggiero, ed inoltre con le altre truppe sotto i suoi ordini, per la estirpazione del nascente brigantaggio, nella provincia ascolana, sotto il famoso capo sacerdote Taliani.13
Il brigantaggio (che così repubblicanescamente nominavasi una reazione nel senso pontificio capitanata dal sacerdote Taliani) fu sicuramente di qualche importanza, ed avrebbe potuto estendersi sopra più larghe proporzioni, ove il governo non vi avesse provveduto per tempo ed energicamente, inviandovi, siccome fece, un buon nerbo di truppe.
Parlò il Farini del brigantaggio ascolano, ed altri ancora ne parlarono:14 e noi conserviamo la sentenza in originale che venne affissa in sui luoghi, in epoca però posteriore.15
Sotto lo stesso giorno 24 poi venne sospesa indeterminatamente la così detta tassa patenti, e condonata l’esazione degli arretrati.16
Questa disposizione governativa non poteva se non amicare al governo repubblicano quella parte del popolo che ne fruiva. Fu essa adottata con molta accortezza, e diremo con un principio di giustizia. «Considerando (diceva la narrativa) che la classe dei bottegai è quella più operosa ne’ ranghi della guardia nazionale sebbene sia occupata nelle sue negoziazioni, e che non è meno animata di spirito patriottico, il Triumvirato, volendo in qualche modo gratificare l’opera fruttuosa alla patria; ordina ec.»
Dovrà convenirsi che come era biasimevole il governo di allora per le avanie e le persecuzioni a danno degli uomini di Chiesa, altrettanto era sollecito e scaltro nel sapersi gratificare gli animi del popolo e sopratutto del popolo minuto, della qual cosa sapeva lare uno studio particolare; mentre i chierici, ci rincresce il dirlo, sia per infingardaggine, sia per attaccamento alle consuetudini, quantunque avrebbero potuto ancor essi in molti casi far qualche cosa per assicurarsene la benevolenza, non troviamo che lo facessero. Non sempre vediamo che ponessero uno studio speciale nel cogliere le opportunità del momento, e mostrarsi almeno solleciti e vogliosi di alleggerire odiosi e vessatori balzelli, a sollievo di quella classe meritevole di speciali riguardi e che trovasi in più immediato contatto colle moltitudini che costituiscono il vero popolo, e che è nell’interesse dei governi di amicarsi per quanto è possibile. La tassa patenti per verità era di attribuzione municipale, e quindi non è imputabile al governo la odiosità di que’ balzelli; ma noi diciamo ciò non già per applicarlo al caso speciale della tassa patenti, sibbene ad altri casi, ne*quali ci sembra che il governo avrebbe potuto più che non fece mostrare sollecitudine e antiveggenza.
Finalmente la risposta del governo francese alle richieste di Gaeta, quella risposta che il duca d’Harcourt, come dicemmo, riservossi in petto, si rivelò lucidamente coll’annunzio che fecesi al governo di Roma dello essere una squadra francese in vista del porto di Civitavecchia. Ciò si conobbe il giorno 24, e lo stesso giorno il triumvirato emanava le sue disposizioni a quel preside Mannucci con queste parole che vennero inserite nel Monitore del 25:17
«Circolare.
- » Cittadino Presule,
» L’avanguardia d’una Divisione Francese è in presenza del porto di Civitavecchia. Il forte è apparecchiato a difesa.
» Nessuna comunicazione è stata fatta dal Governo Francese a quello della Repubblica Romana.
» Quali che siano le intenzioni straniere a nostro riguardo, l’Assemblea e il Governo della Repubblica sapranno compiere il dover loro, protestando con la forza contro ogni offesa al diritto e alla dignità del paese.
» A voi incombe di cooperare con risoluto animo ail’adempimento della missione comune.
» Importa che le Rappresentanze municipali rispondano degnamente con solenni manifestazioni al voto de’ popoli.
» Sia salvo l’onore del nome italiano.
» Roma 24 aprile 1849.
» I Triumviri.»
Oltre la sovraccennata circolare lo stesso triumvirato emanò il seguente proclama:
- » Romani,
» Un intervento straniero minaccia il Territorio della Repubblica. Un nucleo di soldati francesi si è presentato a Civitavecchia.
» Qualunque ne sia l’intenzione, la salvezza del principio liberamente consentito dal popolo, il diritto delle nazioni, l’onore del nome romano comandano alla Repubblica di resistere; e la Repubblica resisterà.
» Importa che il popolo provi alla Francia e al mondo che è popolo non di fanciulli ma d’uomini, ed uomini che hanno dettato leggi e dato incivilimento all’Europa.
» Importa che nessuno dica: I Romani vollero e non seppero essere liberi. Importa che la nazione francese impari dalla nostra resistenza, dalle nostre dichiarazioni, dal nostro contegno, i nostri voti, la nostra irrevocabile decisione di non soggiacere più mai al Governo abborrito che rovesciammo.
» Il popolo proverà queste cose. Disonora il popolo» e tradisce la patria chi si oppone altrimenti.
» L’Assemblea siede in permanenza. Il Triumvirato compira, avvenga che può, il proprio mandato.
» Ordine, calma solenne, energia concentrata. Il Governo vigila inesorabile su qualunque tentasse travolgere il paese nell’anarchia o levarsi a danno della Repubblica.
» Cittadini, ordinatevi, raggruppatevi intorno a noi.
» Dio e il popolo, la legge e la forza trionferanno.
» Dato dalla residenza del Triumvirato, il 25 aprile 1849.
» I Triumviri.»18
L’assemblea poi il giorno stesso dirigeva ai cittadini una protesta presso a poco dello stesso tenore, la quale potrà leggersi per extensum in Sommario.19 Vi si diceva che l’invasione del territorio della repubblica per parte della Francia «viola a un tempo il diritto delle genti, gli obblighi assunti dalla nazione francese nella sua Costituzione, e i vincoli di fratellanza che dovrebbero naturalmente annodare le due repubbliche;» per cui l’assemblea romana «protesta in nome di Dio e del popolo contro l’inattesa invasione, dichiara il suo fermo proposito di resistere, e rende mallevadrice la Francia di tutte le conseguenze.»20
A mezzo il mattino del 24 gittò l’ancora in vicinanza di Civitavecchia una Fregata francese, e mise a terra i parlamentari signor d’Espivent, capo squadrone aiutante di campo del generale Oudinot, il signor de la Tour d’Auvergne, ed un colonnello, latori del seguente dispaccio:
«Il Governo della Repubblica francese, animato da spirito liberale, desiderando nella sua sincera benevolenza per le popolazioni romane, mettere un termine alla situazione in cui gemono da parecchi mesi, e facilitare lo stabilimento di uno stato di cose egualmente lontano dall’anarchia di questi ultimi tempi, e dagli abusi inveterati che avanti Tavvenimento di Pio IX desolavano gli Stati della Chiesa, ha risoluto d’inviare a questo effetto a Civitavecchia un corpo di truppe, di cui mi ha confidato il comando.
» Vi prego di dare gli ordini opportuni perchè queste truppe mettano piede a terra al momento del loro arrivo come mi è stato prescritto, e sieno ricevute e installate come conviensi a degli alleati chiamati nel vostro paese da tre nazioni amiche.
» Il Generale Comandante in Capo |
La dichiarazione che fece il colonnello Espivent, sceso a terra, fu la seguente:
«Il Governo della Repubblica Francese animato da spirito liberale dichiara dover rispettare il voto della maggioranza delle popolazioni romane, e divenire amichevolmente nello scopo di mantenere la sua legittima influenza; è deciso ancora di non imporre a queste popolazioni alcuna forma di Governo che non sia da esse bramata.
» Per ciò che concerne il governatore di Civitavecchia sarà conservato in tutte le sue attribuzioni, e il Governo Francese provvederà all’aumento delle sue spese derivanti dall’accrescimento del lavoro che produrrà il corpo di spedizione.
» Tutte le derrate, tutte le requisizioni necessarie al mantenimento del corpo di spedizione saranno pagate a moneta contante.
» Civitavecchia 24 aprile 1849.
Trasportiamoci ora a Civitavecchia, e sentiamo come passaronsi le cose, a seconda di quanto ce ne lasciò scritto quel preside Mannucci.22
Racconta il medesimo che fin dalla mattina del 23 alle 9 giunse da Marsiglia il vapore postale francese, e discese da quello un colonnello. Disse avere urgenti comunicazioni pel governatore di Civitavecchia. Egli si annunziò per Mr. Adelphy. Asseriva il Mannucci aver detto l’Adelphy senza tanti preamboli, che i Francesi, come l’altra volta, venivano ad afforzare in Italia l’impero della libertà, che il telegrafo di Parigi aveva ordinato al comandante in capo dell’esercito delle Alpi la spedizione di quindici mila uomini per Civitavecchia, che egli n’era il precursore, che la flotta già veleggiava e che il giorno seguente sarebbe apparsa in prospettiva del porto. Prometteva l’immediato arrivo dei parlamentarî del generale.
Querelavasi intanto il Mannucci di aver previsto qualche cosa di simile, di averne scritto fino dal 5 al Mazzini, e di aver ricevuto in risposta, che il caso previsto dal Mannucci non si sarebbe verificato, che pure tuttavia, dandosi il caso di una dimostrazione francese, era debito di protestare in armi contro qualunque intervento, ed il resistere, necessità . Il ministro di guerra avrebbe dato le sue istruzioni. Ma intanto nè istruzioni, nè disposizioni, nè armamento qualunque per parte del ministro della guerra avevano avuto luogo.
Dietro tutto ciò che abbiamo esposto ci sembra evidente che il governo romano poco credeva all’intervento, e che la spedizione francese venne a sorprenderlo impreparato e fidente nell’amicizia di Francia.
Riuniva intanto il Mannucci nelle sue sale il Consiglio di guerra e gli uffiziali della guardia nazionale e dei Corpi attivi per provvedere ad un piano di difesa. Immense furono le querimonie contro il governo per la trascurauza de’ necessari provvedimenti. Pur si fece quello che si poteva nelle circostanze che stringevanli.
Riunivasi il municipio, e decretava un amichevole dichiarazione al generale Oudinot.23
Le parole del capo squadrone Espivent ai Civitavecchiesi, quantunque poi non rispondessero ai fatti, piacquero a loro siffattamente, che ne furono ringalluzziti, e la magistratura, e la Camera di commercio, ed il colonnello della guardia nazionale diressero al governatore il seguente manifesto.
«La flotta della Repubblica francese è a vista del nostro porto. Sono note ormai le intenzioni che la guidano nella nostra città, le più amichevoli ed affettuose, dirette alla conservazione della Repubblica romana, dell’ordine, della tranquillità dello Stato romano; voi, Preside cittadino, ne avete le più consolanti assicurazioni.
» La Francia non può mancare alle sue promesse, nelle quali impegna il suo onore in faccia all’Europa.
» Voi chiedete tempo per avvisare il governo della Repubblica, secondo le istruzioni che avete, ma un ritardo potrebbe indispettire le truppe poste alle sofferenze ed ai pericoli del mare; esse potrebbero alterare i sentimenti di fraternità ed amicizia dai quali sono animate.
» Noi, consapevoli del voto pubblico di questa città, non esitiamo un istante a farvi noto essere nostra mente che non sia frapposto ritardo al disbarco delle truppe, e protestiamo contro chiunque volesse compromettere la pace e gl’interessi di questo popolo.
» Civitavecchia, 24 aprile 1849.»
Quest’atto fu sottoscritto dal gonfaloniere, dal vice presidente della Camera di commercio, dal colonnello della guardia nazionale, e da altri sette individui.24
Ad onta di ciò, il Mannucci inviò la sua protesta al generale Oudinot. Difese le popolazioni romane dalla imputazione di anarchia; disse essere la Francia male informata delle cose nostre; essere tutto a ordine e moralità composto. Non credere, aggiungeva, che la Francia repubblicana abbatter volesse colla forza i diritti di una repubblica nata sotto i medesimi auspici della sua.25
Giungeva intanto in Civitavecchia il battaglione Melara di quattrocento uomini con lettera di Mazzini pel preside Mannucci.26 Questi rianimossi, e convocati gli officiali nella sua residenza, gl’informò del vero stato delle cose. Arser di sdegno per la diserzione delle autorità municipali, e promisero, giurando vita per vita, di difendere onore e patria, e obbedire ai comandi del ministero di guerra.
Si riuniva il circolo popolare, e firmava una protesta contro il francese intervento.
All’alba del giorno seguente il municipio ricevette un dispaccio del Mazzini per la resistenza, con un post scriptum nello stesso senso del ministro della guerra Avezzana.27
Il console di Francia fu informato dello apparecchiarsi Civitavecchia a resistere. Questa nuova doversi recare ai parlamentar! rimasti a bordo della fregata il Panama, affinchè al generale in capo riferisserla. Il popolo basso intanto schiamazzava; ei pareva nou approvasse la resistenza ai Francesi. Si ebbe orrore dei guasti, si ebbe orrore della guerra civile. Il Melara confortò gli animi, ma se pure avesse voluto resistere, mancavangli nientemeno le munizioni. In una parola si riconobbe impossibile di eseguire gli ordini del triumvirato.
Dopo di ciò il Mannucci si recò al generale Oudinot sul Labrador. Propugnò strenuamente, ma inutilmente, la causa della repubblica romana. Il generale approvò e confermò il discorso dello Espiveut, ma sostenne la necessità dello sbarco. Permise ai repubblicani romani di conservare la fortezza, la darsena, l’antemurale. Conservare nella sua integrità municipio, e guardia nazionale. E preconizzava già che le due bandiere francese e romana, legate insieme all’asta italiana, sventolerebbero sull’altura delle torri. 28
Dopo l’abboccamento fra il generale francese ed il preside repubblicano, furon chiamati il 25 a consulta i magistrati municipali. Fu invitato il municipio a fare dichiarazione esplicita di fede politica al generale Oudinot e ad esprimere che solo in forza di promesse inalterabili, le autorità della provincia accoglievano amici i Francesi. La proposta venne accettata, ed il civitavecchiese municipio emise la sua dichiarazione in questo senso. Detta dichiarazione potrà leggersi nei documenti che indichiamo a piè di pagina. 29
In seguito di ciò i Francesi sbarcarono in numero di novemila circa, come da memorie particolari che abbiamo, e le bandiere delle due repubbliche (una delle quali chiamava sorella l’altra, quantunque la così chiamata sembrava non riconoscer la parentela) sventolarono insieme; e di tal guisa almeno sopra un’asta comune di legno figurò per qualche giorno la contrastata connessione di famiglia.
Lasciando per ora Civitavecchia, riportiamoci a Roma e vediamo che cosa in essa accadesse in quei momenti importantissimi.
Oltre alla grida del triumvirato colla quale informavansi i Romani del minacciato sbarco dei Francesi, ed alla protesta dell’assemblea decretata in seduta pubblica, di cui già abbiamo parlato, i membri del comitato francese residente in Roma emettevano il seguente proclama ai cittadini francesi che parimenti in Roma risiedevano, il quale si esprimeva così:
«Dei rumori strani circolano in Roma. Violando apertemente la Costituzione, calpestando i diritti dei popoli, facendo in fine dei soldati della libertà i sostegni del dispotismo, il governo della Repubblica francese interviene negli affari di Roma.
» In presenza degli avvenimenti che potrebbero sorgere da questa intervenzione impopolare, egli è dovere dei cittadini francesi di riunirsi, per decidere quale deve essere la loro prossima condotta.
» Un comitato eretto ad urgenza vi convoca dunque per oggi a cinque ore di sera al Caffè Nuovo.
» Confidando nel vostro patriottismo, noi speriamo, cittadini, che voi risponderete tutti al nostro appello.
» Viva la Repubblica romana.
- » Roma, 25 aprile 1849.
» I Membri del comitato provvisorio | |
» Terral | » Morton Frères |
» Pilhes | » Avesme (Avenne?) |
» Laviron | » H. Besson.»30 |
Altro proclama emetteva inoltre il comitato centrale in Roma di pubblica sorveglianza, col quale eccitavansi i Romani ad aver coraggio, stare all’erta e prendere le armi. Esso era sottoscritto da
P. Sterbini presidente |
Ed anche il generale Sturbinetti dirigeva, con un proclama, calde parole ai cittadini formanti parte della guardia nazionale, alludendo all’occasione.32
Aveva intanto luogo una riunione sulla piazza del Po polo. Parlarono G. B. Nicolini (detto il romano per di- stinguerlo dal fiorentino) e quindi lo Sterbini. In seguito los turba recossi alla Cancelleria ov’era l’assemblea, ed il principe di Canino, Carlo Bonaparte, nella sua enfatica magniloquenza, e nel suo desiderio di dire cose strepitose, si mise a gridare: Rispetto alla religione, odio eterno ai preti.33
Come potesse conciliarsi il rispetto alla religione coll'odio eterno ai preti che ne sono i ministri, e quelli che devono insegnarla, applicarla, difenderla, non basta a noi l’animo per comprenderlo, a meno che potesse foggiarsi una religione a modo del Canino di cui egli solo esser dovesse il gran sacerdote. Senza di ciò non sapremmo conconciliare la prima colla seconda parte del suo discorso.
Disponeva infine il triumvirato il giorno 25 che fosse proibita l’affissione, la divulgazione, e la pubblicazione di qualunque bollettino di notizie.34
Ordinavansi poi il giorno 26 la demolizione del viadotto coperto che dal Vaticano conduce al forte sant’Angelo,35 ed emettevasi un decreto per la requisizione di cavalli.36
Appariva pure un indirizzo dei cittadini francesi residenti in Roma al corpo di spedizione francese comandato dal generale Oudinot, per distoglierlo dal combattere contro i Romani e ricordargli che la insurrezione è il più santo dei doveri. Eranvi sottoscritti:
Laviron presidente | |
Marton (Martin?) | vice presidenti |
Ardillon | |
Terrus (forse Terral) segretario.37 |
Lo stesso giorno 26 l’assemblea pubblicava il seguente proclama:
«Repubblica romana
» In nome di Dio e del Popolo.
» L’assenblea, dopo le comunicazioni ricevute dal Triumvirato, gli commette di salvare la Repubblica e di respingere la forza colla forza.
» Roma 26 aprile 1849, ore 2 e mezzo pomeridiane.
» Il presidente C. L. Bonaparte. |
» I segretari |
» G. Pennacchi. G. Cocchi. |
» A. Fabretti. A. Zambianchi.38» |
Emettevasi un proclama dal generale Sturbinetti e dalla magistratura ai Romani col quale lodavansi per la loro condotta e si esortavano a perseverare.40 Sembra poi che se ne vollero inviare delle copie all’armata francese, perchè furon tirati degli esemplari in quella lingua, uno dei quali trovasi nella nostra raccolta.41
Un indirizzo poi compilato in comune dal municipio, dalla guardia nazionale, e dal comitato dei circoli, inviavasi la mattina del 27 a Civitavecchia;42altro in lingua francese diretto al corpo spedizionario di quella nazione pubblicavasi il giorno 28, e noi lo riportiamo in Sommario.43
Tutti questi indirizzi e proclami di tutti i formati, non escluso taluno quasi impercettibile, che nel gallico idioma trovansi stampati (mentre i Francesi eran sul punto di assalire Roma), ci sembrano provare due cose.
La prima che si fece di tutto per subornare l’armata francese, e sedurre individualmente quelli che ne facevan parte onde non combattessero contro i così detti Romani.
La seconda che, non ostante ciò, il rigore e la severa disciplina di quelle soldatesche, insieme col punto di onore che le tiene strette alla propria bandiera, prevalser costantemente in guisa, che la lor fedeltà mai non venne contaminata, come abbiamo le tante volte detto e ripetuto. Ma ciò che reputiamo esser cosa di gravissimo momento, fu il cambiamento del comando militare trasferito quasi interamente nelle mani degli esteri, Francesi, Ungaresi, Polacchi, Austriaci, Prussiani, Liguri, Lombardi e Napoletani colati in Roma, come abbiamo ripetutamente rilevato per norma de’nostri lettori; e questo cambiamento venne notificato al pubblico nel Monitore del 27 mediante una nota sottoscritta dal ministro della guerra Avezzana.44
Dalla detta nota apparisce che i Romani vi erano in minima proporzione compresi. Eccola:
» Quartier generale.
distribuzione del servizio per lo stato maggiore generale.
» 1.ª Sezione.
» Riconcentrazione di tutti i rapporti delle diverse Sezioni ed emanazione degli ordini.
» Capo Sezione | ||
» Colonnello Pisacane (napolitano). | ||
» Mussolino (napoletano) | Capitani del Generale in Capo. | |
» Vecchi (ascolano o fermano) | ||
» Camorri | ||
» Bixio (ligure) | Tenenti. | |
» Mameli (genovese) | ||
» Sardi (lombardo) |
» 2.ª Sezione.
» Riunione dei rapporti degli avamposti delle riconoscenze e tutta la difesa interna della città, compresi gli approvvigionamenti.
» Capo Sezione | |||
» Colonnello Hangg | (austriaco), quello stesso che aveva comandato la legione universitaria nella rivoluzione di Vienna. | ||
» Caldesi (faentino) | Capitani. | ||
» Laviron (francese) | |||
» Podulak (polacco austriaco) | |||
» Besson (francese) | Tenenti. | ||
» Töpfer (prussiano) | |||
» Cattabeni Vincenzo (senigalliese) |
» 3.ª Sezione.
» Munizioni da guerra, artiglieria, lavori di fortificazione passeggiera, piani topografici e movimenti eseguibili.
» Capo Sezione | |
» Tenente Colonnello Cerroti. | |
» Roselli | Capitani. |
» Ravioli | |
» Azzarelli | |
» Pesapane | Tenenti. |
» Lironi | |
» Gabet |
» I cittadini Colonnelli | |
» Alessandro Ysenschmid de Milbitz | (polacco) |
» Dionisius Maslowsky | id. |
» ed il Capitano | |
» J. E. Dobrowolsky (polacco) |
restano provvisoriamente aggregati allo Stato maggiore generale, a disposizione del Generale in Capo.
» Il Generale in Capo dello Stato maggiore generale verrà nominato successivamente.
» Il Ministro |
Ma il giorno 27 fu memorabile pei repubblicani, imperocchè in quel giorno il Garibaldi colla sua legione giungeva in Roma, verso le 6 pomeridiane, e recavasi direttamente, per prendervi alloggio, nel convento di san Silvestro in capite. Era la sua legione forte di un 1300 uomini fra fanteria e cavalleria. I cavalieri erano un centinaio circa, e comandavali il Masina di Bologna. Vedevi fra i fanti dei giovinetti di 13 a 14 anni colle picche. I cavalieri erano armati di lancie.45
Diciamo che il giorno 27 fu memorabile per i repubblicani, in quanto che l’arrivo di Garibaldi rianimò il loro spirito abbattuto. Il partito della resistenza era ben piccolo e impotente sul principio, e, per convincersene, non si avrà che a consultare l’articolo del repubblicanissimo Miraglia, riportato nel Positivo di monsignor Gazola, ove dice chiaramente che il partito della resistenza era piccolo in Roma.46 Quando il Miraglia scriveva cosi, il Garibaldi non era ancor giunto.
Decretavasi inoltre il giorno 27 l’abolizione dei voti religiosi. Il decreto diceva:
«La società non riconosce perpetuità di voti particolari ai differenti ordini religiosi così detti regolari.
» È in facoltà d’ogni individuo facente parte di un ordine religioso regolare qualunque, di sciogliersi da quelle regole, all’osservanza delle quali s’era obbligato con voto entrando in religione.
» Lo Stato protegge contro ogni opposizione o violenza le persone che intendessero profittare del presente decreto.
» Lo Stato accoglierà con gratitudine fra le file delle milizie que’ Religiosi che vorranno con le armi difendere la patria per la quale finora hanno innalzato preghiere a Dio.
» Il presente decreto verrà comunicato da un Commissario governativo a tutti i Religiosi riuniti in piena comunità nei rispettivi conventi.
» Dato dalla nostra Residenza li 27 aprile 1849.
» Il Triumvirato. |
Questo decreto ci sembra ingiusto, sleale, improvvido. Ingiusto perchè attentatorio alla libertà degli individui. Sleale perchè contrario al decreto della notte del 9 febbraio col quale si lasciava e garentiva al pontefice l’ingerenza esclusiva sulle cose ecclesiastiche; il proscioglier quindi dai voti religiosi era e sarà di unica competenza del pontefice stesso. Improvvido poi perchè senza costrutto veruno. Quali furono domanderemo i frati che prevalendosi del decreto fuggissero dal convento, e andassero ad ingrossare le file dell’esercito?
Anche il generale Avezzana riscaldava i soldati romani con un ordine del giorno e con altre disposizioni che posson leggersi nel Monitore;48 ed il comitato dei circoli faceva altrettanto.49
E mentre queste cose accadevano in Roma il giorno 27 di aprile, lo stesso giorno ponevasi in istato di assedio la città di Ancona dal capitano Felice Orsini inviatovi dal governo di Roma con la qualifica di commissario straordinario, non che da quel preside Mattioli.50 Ciò è in coerenza a quanto raccontammo nel capitolo XI sulla necessità di reprimere quelle associazioni sanguinarie che eransi formate in Ancona e in altre città, e che disgraziatamente finchè rimasero impunite, fecer tante vittime per ispirito di parte.
Anche in Roma il partito esagerato avrebbe voluto alzare la testa e organizzarvi il terrore, per fare anche in questo una parodia alla rivoluzione di Francia sotto l’epoca così detta del terrore, nell’anno 1793. Era a capo di questo partito il genovese Daverio, uno degli aiutanti di campo del general Garibaldi. Egli ne fece la proposta al Mazzini, ed il Mazzini rispondevagli nel modo seguente, con un biglietto che conserviamo in originale e che fa parte della nostra raccolta.51 Esso diceva così:
- «Caro Daverio,
» 28 aprile.
» Vi vedrei più che volentieri. I consigli che date specialmente per ciò che riguarda il terrore organizzato non corrono. Del resto ci occuperemo; ma ora siam sulla breccia. Domani saremo probabilmente assaliti. Abbracciate Garibaldi.
» Vostro |
» Al cittadino Daverio.»
Questo biglietto fa onore al Mazzini, perchè con esso respinse il consiglio di organizzare il terrore in Roma. È vero ch’egli potrebbe non averlo adottato, perchè non credutolo necessario, quasi fra sè dicesse: a che una misura siffatta? I partigiani della repubblica mi sostengono, i clericali non mi avversano. Tutto il potere è in me riconcentrato. Perchè adottare una misura odiosa, tirannica, e che porgerebbe un arma a due tagli nelle mani dei nostri nemici? Può darsi, ripeto, che dicesse così. Può darsi che fosse sinceramente ripugnante a questo tirannico espediente. Ma è un fatto che contrastò alla proposta di organizzare il terrore, e quindi la imparzialità storica c’impone il dovere di tributargliene lode.
Ma se si ebbe la forza di opporsi alla organizzazione del terrore, non si ebbe quella d’impedire atti nefandi e barbari che vennero a contristare tutti gli animi onesti. Dovremo pur troppo raccontare siccome il giorno seguente 29 di aprile venisse fatta una requisizione violenta delle carrozze di alcuni cardinali, ed in ispecie di quelle degli eminentissimi Della Genga e Vannicelli, le quali furono distrutte, dell’eminentissimo Gazzoli che vennero distrutte egualmente, e dell’eminentissimo Brignole che vennero riscattate mediante lo sborso di scudi mille quattrocento.52
E in detto giorno veniva barbaramente ucciso dagli uomini del capo dei finanzieri Zambianchi, il sacerdote don Massimo Colautti sulla piazza di santa Maria in Trastevere. Chi si sente voglia di conoscere i particolari di questo atto nefando, lo cerchi nel ristretto del processo dei finanzieri,53 e legga pure ciò che in proposito delle uccisioni in san Calisto saremo per dire nel capitolo seguente.
Roma in quel mezzo apparecchiavasi a resistenza, ed eleggevasi pure con decreto del triumvirato una commissione centrale delle barricate della quale eran capi
Il maggiore | Vincenzo Caldesi (di Faenza) |
Il capitano | Vincenzo Cattabeni (di Senigallia) |
Enrico Cernuschi (lombardo).54 |
Lo stesso giorno in cui istallavasi la commissione, ordinava un deposito di materia prima per le barricate.55 Ed emetteva un indirizzo al popolo per assicurarlo che tutto andava bene, che le porte della città erano bene assicurate, che quindi il nemico non poteva entrare, e che se osasse di penetrare, si dovessero scagliare su di esso e tegole e vetri e sassi, e perfino le sedie.56
Creavasi un comitato per l’amministrazione delle ambulanze, la cui residenza era al municipio in Campidoglio.
Ne facevan parte
Una principessa Trivulzio di Belgioioso,
Una Enrichetta Pisacane,
Giulia Paolucci e undici uomini, fra i quali il padre Gavazzi.57
Delle disposizioni governative che vennero comunicate al pubblico il giorno 29, enumereremo le seguenti:
Una circolare del triumvirato per invitare i cittadini a recare immediatamente gli argenti alla zecca.58
Un decreto per consegnare le armi da munizione da caccia ai commissari militari.59
Un decreto in data del 27 per la dotazione del clero.60
Una circolare del 28 del ministro dell’interno ai reverendissimi cittadini ed alle reverende madri, per invitarli & fornire pannilini e biancheria.61
Un decreto del 28 per porre gli stranieri, e segnatamente i Francesi, sotto la salvaguardia della nazione.62
Un decreto per dare alle truppe un soprassoldo di campagna.63
Un decreto del 28 per conservare ai commestibili i prezzi dei giorni passati.64
Una lista in data del 28 di nomine e promozioni nell’armata.65
Un ordine del 28 del capo militare d’officio Galvagni, perchè non si possa, senza permesso, entrare o uscire dalla città.66
Un decreto per dare disposizioni in caso d’attacco.67
Un decreto per accordare le pensioni ai feriti ed alle famiglie degli estinti in guerra.68
Il giorno 30 poi pubblicavasi un decreto del triumvirato del 27 per dare a coltura alle famiglie povere pezzi di terra e di vigneto provenienti da corporazioni religiose.69
Altro del 28 per la emissione dei boni di 40 e 24 baiocchi.70
Ordine del ministro della guerra Avezzana per lasciare i portoni delle case aperte.71
Avviso affinchè le famiglie che posseggono armi le portino ai rispettivi rioni per esser distribuite al generoso popolo romano.72 Decreto per la formazione di tre compagnie di tiragliori a cavallo, formate dai guardiani e butteri.73
Avviso del triumvirato affinchè al primo suono delle campane a stormo sia esposto il Santissimo nelle principali chiese.74
Decreto per trasferire a santa Croce in Gerusalemme la famiglia religiosa di san Bernardo alle terme.75
Simile pel trasferimento dell’assemblea al Quirinale.76
Simile per trasferire gli alienati di mente alla villa Montalto a Frascati.77
Simile par la proroga del pagamento delle cambiali a tutto il 10 maggio.78 Ordine per far restare aperte le botteghe ove vendonsi i commestibili.79
Tutti questi ordini, tutte queste disposizioni, date in due soli giorni, non possono non colpire di stupore. E non son tutte, ed altre ancora dovremo pel dovere che c’incombe enumerare.
Noi non loderemo il principio o i principi che animavano i promulgatori di quelle leggi, ma non possiamo non lodare l’attività che spiegavan per la cosa pubblica. Lo avran fatto in senso cattivo; sia pure. Ma l’esempio serva di sprone agli altri per farlo in senso buono.
11 giorno 28 poi orasi pubblicato in lingua francese un indirizzo al corpo di spedizione francese, scritto in senso atroce contro il governo dei preti, e contro la stessa spedizione francese diretta a sostenerli e ristabilirne il comando; incominciava così:
«Francesi! La terra sulla quale voi camminate porta ancora l’impronta dei passi dei vostri antenati: ma essi ci apportarono la libertà; voi ci apportate la schiavitù.
» Badate bene! Abbattendo la Repubblica romana voi uccidereste la vostra; sarebbe un fratricidio prima; dipoi, un suicidio.»
In fondo all’indirizzo era trascritto l’articolo quinto della costituzione francese. Esso diceva:
«La République Française respecte les nationalités étrangères comme elle entend faire respecter la sienne, n’entreprend aucune guerre dans des vues de conquète, et n’emploie jamais ses forces contre la liberté d’aucun peuple.» | «La Repubblica Francese rispetta le nazionalità straniere, com’essa intende di far rispettare la sua, non intraprende alcuna guerra con viste di conquista, e non impiega giammai le sue forze contro la libertà di verun popolo.» |
Questo articolo della costituzione francese venne anche trascritto e pubblicato a parte; si trascrisse perfino a grandi lettere, e si fece trovare ai Francesi sorretto da tanti pali lungo lo stradale che da Civitavecchia a Roma dovevan percorrere.80
Affiggevasi pure il 28 di aprile un proclama ai Romani così concepito:
«Armi! armi!
- «Fratelli!
«Sorgete! — Gli stranieri, i nemici della gente romana, si avanzano. Vogliono trattar noi, uomini liberi, come bestiame in mercato. Vogliono venderci —
» Dicono insultando che non si farà battaglia in Roma, perchè i Romani non hanno cuor di combattere; e si avanzano insolenti.
» Vengono ad abbattere il governo che voi creaste; vengono a cacciar con le baionette, a incarcerare, a trucidare i nostri magistrati, i vostri legislatori — vogliono calpestar tutto nel sangue; libertà ed onore; doveri e diritti —
» L’Europa repubblicana vi guarda. Vi guardano quei Polacchi, quei Tedeschi, e quei Francesi, sventurati apostoli della libertà, ma gloriosi nella sventura; vi guardano Lombardi, Genovesi, Siciliani e Veneziani.
» Provate all’Europa che non è perduto l’onore italiano.
» Salvatelo in Roma e sarà salvo in Italia — Difendete dalla crudeltà dello straniero, dagl’insulti suoi le vostre donne, i vostri figliuoli, i vostri averi, le vostre credenze e tutto quello che adora l’anima vostra —
» Armi! armi! armi!
» Quando s’accenderà la battaglia ricordatevi le antiche grandezze romane, le iniquità, le infamie della tirannia abbattuta; pensate a chi verrà dopo noi e combattete.
» In nome di Dio e del popolo sorgete dunque, o fratelli —»81
Furono poi lo stesso giorno emanate dal triumvirato le seguenti disposizioni per la difesa.
In ogni rione i capipopolo ed i rappresentanti dell’assemblea, di cui riferiremo i nomi, dovevano avvisare con tutta l’energia a difendere il terreno palmo a palmo.
Promettevansi al popolo le armi.
Pone vasi la costruzione delle barricate sotto la direzione dei capipopolo e de’ rappresentanti del popolo.
Assicuravasi che il municipio romano aveva provveduto la città di carni, farina ed altri commestibili.
Le campane di Monte Citorio e di Campidoglio destinavansi a dare il segno di allarme.
Ecco i nomi dei capipopolo e de’rappresentanti del popolo giusta il Monitore:
Rione I — Monti. | |||
Felice Scifoni | Rappresentante del popolo. | ||
Niccola Ferrari | Capopopolo. | ||
Rione II — Trevi. | |||
Tito Savelli | Rappresentante del popolo. | ||
Filippo Meucci | Capopopolo. | ||
Rione III — Colonna. | |||
Patrizio Gennari | Rappresentante del popolo. | ||
Ignazio Palazzi | Capopopolo. | ||
Rione IV — Campo Marzio. | |||
Pietro Guerrini e G. B. Luciani | Rappresentanti del popolo. | ||
Angelo Brunetti (detto Ciceruacchio) | Capopopolo. | ||
Rione V — Ponte. | |||
Orazio Antinori | Rappresentante del popolo. | ||
Carlo Sozzi | Capopopolo. | ||
Rione VI — Parione. | |||
Ludovico Caldesi | Rappresentante del popolo. | ||
Giuseppe Santangeli | Capopopolo.
|
Rione VII — Regola. | |
Guglielmo Caiani | Rappresentante del popolo. | ||
Francesco Invernizzi | Capopopolo. | ||
Rione VIII Sant'Eustachio. | |||
Luigi Salvatori di Senigallia | Rappresentante del popolo. | ||
Giuseppe Gregori | Capopopolo. | ||
Rione IX — Pigna. | |||
Giulio Govoni | Rappresentante del popolo. | ||
Vincenzo Longhi e Biagio d’Orazio | Capipopolo. | ||
Rione X — Campitelli. | |||
Niccola Carcani | Rappresentante del popolo. | ||
Tenente Cavallini | Capopopolo. | ||
Rione XI — Sant'Angelo | |||
Cimone Santarelli | Rappresentante del popolo. | ||
Avvocato Martinetti | Capopopolo. | ||
Rione XII — Ripa. | |||
Massimino Allè | Rappresentante del popolo. | ||
Carlo Vari | Capopopolo. | ||
Rione XIII — Trastevere. | |||
Primo Collina | Rappresentante del popolo. | ||
Herzog Giuseppe e Angeloni Giuseppe | Capipopolo.
| ||
Rione XIV — Borgo. | |||
Pietro Sterbini | Rappresentante del popolo, | ||
Attilio Ricciardi | Capopopolo82. |
L’avvocato Martinetti avendo subito rinunziato, se gli sostituì Giovanni Antonio Egisti.
La mattina poi del 28 alle ore 9 antimeridiane circa, vi fu rivista della guardia nazionale sulla piazza dei santi Apostoli, presenti i deputati dell’Assemblea.
Il generale Galletti e Pietro Sterbini arringarono la guardia nazionale, e richiesero ai militi se avesser voluto tornare sotto il passato regime o rimaner fedeli alla repubblica; tutto ciò, come si comprende bene, era preventivamente combinato, altrimenti non si sarebbe rischiato.
Si rispose alla prima domanda con degli scarsi no, alla seconda con degli scarsi sì, e questi sì e questi no partivano dagli iniziati al segreto di cui eranvene iu tutti i battaglioni.
Allora coloro che avevau gridato alzarono gli elmi sulla punta delle baionette, e quindi a poco a poco tutti, anche i più renitenti, pel solito effetto della intimidazione, ne seguiron l’esempio. Le arringhe e le risposte furono riportate dal Monitore. 83
Mancò alla rivista il colonnello del 7° battaglione Regola, commendatore Pietro Campana, perchè si disse ferito in casa da un colpo di stile.
Ciò che abbiamo raccontato in sui primi di aprile circa la sua compartecipazione non solo, ma l’essersi posto a capo di un movimento in senso di restaurazione papale, rese verosimile quello che si disse; e se pure non avesse avuto luogo l’incidente dello stile, è per lo meno ragionevolissimo che il Campana compromesso in un piano di reazione discoperto e sventato dal governo, non avrebbe dovuto giammai compromettersi coll’intervenire ad una riunione armata il cui scopo quello si era di fare atto di adesione alla repubblica. Questo incidente rimase occulto e misterioso. Il giornalismo non ne parlò affatto.
In detto giorno ebbe luogo altresì la rivista della truppa di linea sulla piazza di san Pietro.84
E mentre i Francesi col loro sbarco a Civitavecchia apparecchiavansi ad assalire Roma, il battaglione lombardo vi giungeva, secondo il Vaillant, il giorno 28.85 La Speranza dell’epoca però registrò detto arrivo sotto il giorno 29,86 e così fu, come ci racconta il conte Dandolo che ci dette la storia della legione lombarda.87
Reputiamo interessantissimo il racconto che fa il Dandolo della venuta in Roma della legione, tanto per l’intelligenza della storia, quanto per far conoscere i sentimenti che animavano quell’onorato corpo militare. Eccolo:
«CAPITOLO III.
» Roma.
» Qual avvenire ci si preparava entrando nello Stato romano? Noi non sapevamo affatto immaginarlo. Della spedizione francese non avevamo ancora notizia sicura, e certo nessuno di noi sapeva allora prevedere quel miserando conflitto che poi ha fatto meravigliare i più accorti. I più fra noi avevano pochissima simpatia per quel governo alla cui testa era Mazzini, e motivi tutt’altro che politici ci avevano indotti ad abbandonare il Piemonte. Convinti che in quest’ultimo paese i nostri soldati non potevano rimanere, desiderosi di assicurar loro, almeno pel momento, di che vivere onoratamente, noi li mettevamo al servigio di quella repubblica, libero essendo ai soldati che non amassero tentar la sorte colà, di chiedere prima d’imbarcarsi il congedo, e agli ufficiali di dare, una volta arrivati, la loro dimissione.
» Se giungendo, noi trovavamo accesa la guerra civile, era nostro fermissimo intendimento di rimanere a qualunque prezzo neutrali. A ciò che la maggioranza del popolo romano avrebbe deciso, i nostri si sarebbero piegati; e uomini che non politici erano ma semplici soldati, non erano tenuti a convinzioni sì profonde, che non potessero ugualmente servire una repubblica o una ristorazione italiana. Quanto alla maggior parte degli ufficiali, ripeto, nè l’una nè l’altra avrebbero a cose ordinarie servito, e alcuni di noi s’imbarcavano colla domanda della loro dimissione già scritta. È superfluo che aggiunga per quali circostanze ci fu impossibile il pensare a dare effetto a tale divisamente.
» La partenza del battaglione Manara assumeva così un carattere assai meno grave di quello che gli uomini di partito le vollero ad ogni costo attribuire. Ridotta la questione ai minimi termini, erano seicento soldati i quali non avendo la facoltà di scegliere, venivan condotti dai loro ufficiali, che non volevan lasciarli, a procacciarsi pane onorato in una terra amica la quale poteva aver bisogno di loro.
» Chiamati alla difesa di una repubblica di cui avemmo a lodare in progresso la militare resistenza, ma i cui principi politici non erano i nostri, noi non ci piegammo mai a mascherare o disconfessare le nostre opinioni. Luciano Manara e una parte di noi mantenemmo sempre, a dispetto di mille dispute e di sciocche filippiche, sopra i cinturoni delle nostre spade l’onorata croce di Savoia, affine di chiarir chicchessia, che se noi eravamo primi al pericolo sotto le mura di Roma, a ciò moveaci desiderio di difendere dallo straniero una città italiana e non di farci giannizzeri di una fazione. I Mazziniani com’è giusto, ci gratificavano del titolo di corpo aristocratico, e tal epiteto in bocca di certi eroi da caffè era per lo meno un elogio al nostro carattere.
» Noi impiegammo parecchi giorni nel penoso tragitto. I vapori erano l’uno della forza di 80 cavalli, o aveva quattrocento uomini a bordo, l’altro della forza di 30 e ne portava duecento. Si progrediva pertanto colla più grande lentezza; il mare era grosso e ci costrinse a fermarci a Porto Venere nel golfo di Spezia e a Porto Longone nell’isola d’Elba. I soldati stivati e senza poter muoversi soffrivano assai. Quando Dio volle, il 26 aprile noi entrammo in porto a Civitavecchia.
» Quattordici fregate francesi stavano schierate davanti ad esso. Mentre noi facevamo ingresso da una delle imboccature, la prima fregata francese entrava dall’altra. Civitavecchia impaurita a tanto apparato di forze, ed ignara d’altronde dei disegni di quella spedizione, non ardiva nè poteva resistere. I Francesi cominciarono subito la lunga operazione dello sbarco. Un commissario romano si recò a bordo e ci dichiarò presi al servizio di quel governo. Mio fratello venne più volte spedito a terra a domandare al generale Oudinot il permesso di sbarcare. Fu accolto con molta alterigia ed intimatogli di significare a chi lo mandava che noi avessimo immediatamente a tornare addietro. Manara stesso non potè sul principio ottener nulla. Voi siete Lombardi, gli disse aspramente il Generale, che c’entrate dunque negli affari di Roma? — E voi, signor Generale, rispose senza sconcertersi Manara, siete di Parigi, di Lione o di Bordeaux?»
» I nostri soldati, all’udirsi respinti, proruppero in uno stato d’esasperazione indescrivibile. Agitavano furibondamente i fucili, minacciavano di gettarsi a nuoto; ad ogni patto su quei battelli, dove avevano tanto sofferto, non volevano più rimanere. — Manara tornò a terra, e dopo lunga insistenza ottenne finalmente che il battaglione potesse sbarcare a Porto d’Anzio. Pretendeva Oudinot che Manara promettesse di tenersi lontano da Roma e affatto neutrale fino al giorno 4 maggio. «Generale, rispose questi, io non sono che un Maggiore al servizio della repubblica romana; subordinato quindi al mio Generale e al Ministero: a loro e non a me tocca assumere tali obbligazioni pei loro dipendenti. Io non posso rispondere delle mie operazioni come militare.»
» Il preside di Civitavecchia M. Mannucci credette di potere, a nome del ministro della guerra, ottemperare alle condizioni che esigeva Oudinot. La sera pertanto noi potemmo proseguire il viaggio per recarci a Porto d’Anzio, dove sbarcammo il 27 mattina. Il 28 proseguimmo per Albano e vi pernottammo, dopo aver fatto 25 miglia attraverso alla Campagna Romana e sotto un sole cocente che affaticò molto i soldati ancora malfermi pel viaggio di mare. La notte arrivò un ordine del Generale Giuseppe Avezzana ministro della guerra e marina, il quale, o ignaro della convenzione pattuita dal preside di Civitavecchia, o non volendo assoggettarvisi, c’ingiungeva di recarci con tutta sollecitudine a Roma.
» La mattina del 29 aprile noi facevammo il nostro ingresso in quella città. . . . . .»
Dal racconto del Dandolo apprendiamo pertanto:
- 1° Quando giungesse in Roma la legione lombarda.
- 2° Che consisteva di seicento uomini armati.
- 3° Da quali sentimenti fosse animata.
E tutto ciò è raccontato dal Dandolo con tale accento d’ingenuità e di verità, che è da tributargliene molta lode.
I Napolitani intanto appareochiavansi a valicare il confine pontificio a Terracina;88 ed a Terracina pure sbarcavano gli Spagnuoli. Ecco a tal proposito il racconto dello sbarco, il quale in Roma non si conobbe che molto tempo più tardi:
«Gazzetta di Madrid, 8 maggio 1849.
» Nella notte del 28 aprile scorso uscì dal porto una squadriglia spagnuola, sotto gli ordini dei Brigadiere Bustillo, composta delle fregate Cortes e Città di Bilbao, dei vapori Leon e Vulgano e del pacchetto Bidassoa nello scopo d’impadronirsi di Terracina, e di facilitare il passaggio di questa città alle truppe napoletane che, comandate dal Re in persona, dovevano intervenire negli stati pontifici. I nostri legni fecero vela verso Terracina, e giunsero innanzi a questa città il 29 sull’albeggiare. Il capo della spedizione avendo osservato che uno dei tre forti muniti di artiglieria che formano la difesa della città dalla parte del mare era sormontato da una bandiera tricolore, fece mettere i legni in ordinanza da battere in breccia le fortificazioni: ai momento in cui era per darsi il segnale dell’attacco generale, fu calata la bandiera. Tosto un aiutante di campo del generale e il luogotenente di vascello D. Juan Tapete, discesero a terra, per far conoscere agli abitanti e alle truppe del presidio che la spedizione non aveva altr’oggetto che di contribuire co’ maggiori sforzi al ristabilimento del Santo Padre nella pienezza de’ suoi diritti; che non si risparmierebbe alcun mezzo per riuscirvi, nello stesso tempo che si proteggerebbero gli interessi degli abitanti e le persone.
» Queste parole furono bene accolte e la bandiera del Santo Padre di cui gli Spagnuoli si erano provvisti, fu inalberata in mezzo al più grande entusiasmo. La spedizione operò quindi il suo sbarco e le truppe spagnuole s’impossessarono di tutti i forti distruggendo una mina che gli insorti avevano praticato nei dintorni della torre Gregonana, sotto una via angusta per dove dovevano necessanamente passare le truppe napolitaue.
» Terminate le operazioni dell’occupazione, 8. M. il Re di Napoli arrivò a Terracina alla testa della sua armata, e il generale Bustillo ebbe l’onore di consegnargli i forti.
» In seguito alla notizia che la squadriglia spagnuola aprì la via a’ Napolitani impadronendosi dei forti di Terracina, il ministero decise che un corpo di spedizione di quattromila uomini sarebbe diretto immediatamente a Roma, sotto gli ordini del generale Cordova, avendo per secondo nel comando il generale Lersundi. Il generale Cordova partirà domani da Madrid per Barcellona, dove deve imbarcarsi la spedizione.»89
Tutto ciò fu conosciuto sicuramente dal governo romano a suo tempo, per mezzo de’ suoi agenti o affigliati, chè certo ne aveva ovunque; ma esso pose ogni cura di tenerlo celato ai Romani, e solo se ne venne in cognizione quando i giornali che abbiamo accennati ne parlarono molto tempo dopo.
Siamo ora al famoso di 30 aprile, in proposito del quale diremo per prima cosa che il Monitore di detto giorno riportò un decreto del triumvirato in data del 29, nel quale ordinavasi che i certificati i quali trovavansi emessi per le rendite consolidate intestate alle mani morte s’intendessero di niun effetto e valore, e che fossero creati ed emessi sopra la rendita di scudi 627,950 intestata alle mani morte, certificati al portatore per scudi 328,185, e per i residuali scudi 299,765 venissero creati ed emessi altrettanti certificati intestati all’erario.90
Fu inoltre pubblicato un decreto con il quale istituivasi una commissione che mediante la parola viva e ardente della fede infiammi e sostenga il coraggio del popolo. Così diceva lo scritto.
I cittadini che componevanla dovevano portare al braccio sinistro un nastro tricolore per distintivo della loro missione.
Deputavansi a tale ufficio
Giuseppe Cannonieri | rappresentanti del popolo |
Dottore Carlo Arduini | |
Dottore Pietro Guerrini | |
Serafino Cola consultore governativo di Roma e Comarca.91
|
II triumvirato poi fece pubblicare per detta commissione un foglio stampato intitolato come appresso e portante i precetti di questi nuovi apostoli:
«Ricordi al Popolo Romano
» suggeriti dai discorsi degli Oratori del Popolo.
» La guerra è sacra quando difende il territorio dall’ assalto straniero.
» Dio e il Popolo sono il fondamento di ogni giustizia.
» La religione pura di Cristo dà coraggio e costanza.
» Chi muore per la patria compie un dovere d’uomo e di Cristiano.
» Il dominio temporale dei preti è contrario alla dottrina di Cristo.
» La Repubblica è il governo più giusto: quindi si deve difendere anche a costo della vita.
- » Roma 30 aprile 1849.
Sottoscrivevano questo foglio i quattro membri enunciati di sopra.92
Noi possediamo nella nostra raccolta una copia stampata dei detti Ricordi, dietro alla quale è trascritto un ordine pressantissimo del Mazzini di tirarne il maggior numero di copi e, affinchè le massime fondamentali o i principi repubblicani aver potessero in quella occasione una diffusione nel senso più lato. L’ordine diceva così:
«Appena la stamperia può, ne tiri quante copie è possibile.
» Giuseppe Mazzini.»
A questo invito si dette la seguente risposta da uno dei quattro commissari nominati di sopra:
«Occorrono migliaia di esemplari della presente stampa per una utilissima diffusione di principi.
» Non ne ho potuto ritirare che sole 50 copie circa dalla stamperia, la quale non ne aveva di più.
» S. Cola.»93
Noi chiamammo il 30 aprile dì famoso; questo epiteto ben gli si attaglia, perchè in detto giorno Roma venne attaccata dai Francesi, ed essi ne furon respinti.
Fu questa una macchia grandissima al nome francese. Il loro operato incontrò la disapprovazione degli uomini temperati, rincrebbe ai Francesi di retto sentire che eran molti, suscitò le ironie e i sarcasmi degli avventati di tutti i paesi, e in Roma specialmente aumentò l’ardire e il coraggio dei repubblicani che vi erano in piccolo numero, accrebbe questo, lo imbaldanzì, e confermollo nella tenacità dei propositi. Può dunque qualificarsi apertamente per un passo intempestivo, improvvido, malaugurato, compromettente. Non vuolsi dire con ciò che la Francia potesse esser vinta da Roma; ma intanto il generale Oudinot, che così leggermente attaccolla, si acquistò per lo meno la taccia d’imprevidente, di mal accorto, e compromise manifestamente agli occhi del mondo il nome francese. Le conseguenze poi di questa sconfitta (che così deve chiamarsi) potevano essere immense, e se tali non riuscirono, meno sen debbe agli uomini, e tutto alla Provvidenza che ricoprì i loro falli.
Roma è vero non era difesa che da un diecimila soldati, oltre la guardia nazionale, ma questa limitossi a preservare l’ordine pubblico nella capitale, e quindi non fu da calcolarsi per la resistenza. Il numero pertanto non costituiva un’armata, perchè troppo tenue. Fu però valorosa, e doppiamente, perchè composta di pochi soldati e nelle fazioni militari inesperta. Dividevasi come segue la piccola armata romana.
1. Brigata. | ||||
Comandante generale Garibaldi | ||||
Legione italiana (Garibaldini) | 1300 | 2750 | ||
— universitaria. | 300 | |||
— emigrati. | 300 | |||
— reduci. | 600 | |||
— finanzieri mobili | 250 | |||
2. Brigata. | ||||
Comandante colonnello Masi | ||||
5.° reggimento. | 1700 | 2700 | ||
Civica mobile. | 1000 | |||
3. Brigata. | ||||
Comandante colonnello Savini | ||||
1.° reggimento dragoni. | 155 | 304 | ||
2.° — — | 149 | |||
4. Brigata. | ||||
Comandante colonnello Galletti | ||||
1.° reggimento. | 600 | 1810 | ||
2.° — | 400 | |||
Legione romana. | 810 | |||
Bersaglieri lombardi. | 600 | 600 | ||
Carabinieri a piedi cd a cavallo | 511 | 511 | ||
Batteria de' zappatori del genio | 450 | 450 | ||
Artiglieria. | 505 | 505 | ||
Totale | 9630 | 94 | ||
A questi può aggiungersi qualche centinaio, forse un migliaio di volontari.
Il generale Oudinot viveva fidato che in Roma non sarebbesi fatta resistenza. Tali erano le sue informazioni, tali senza dubbio le opinioni di quelli di parte clericale che lo contornavano e lo consigliavano al campo. Era fra questi il Mercier, il quale, ritornato testé da Roma, ov’era rimasto fino al 27 di aprile (prima che giungesse il Garibaldi) praticando con quelli del partito Mamiani, recato aveva nuove incoraggianti al francese generale.
Egli è vero che, come già dicemmo, si dovette soprattutto alla presenza del Garibaldi, e de’ suoi il rianimamento dello spirito repubblicano, e forse senza il suo aiuto il Mercier avrebbe finito per aver ragione, perchè il partito tenace nelle idee di resistenza era tenue. Scarsi eran pure i veri repubblicani romani; molti come sempre gl’indifferenti e gli egoisti; pochi e avviliti i clericali fidenti sul ritorno di un governo di preti. La stampa e i liberi parlari di tre anni, se pur non avevano resa Roma repubblicana interamente, avevano affievolito per lo meno il rispetto e la confidenza ne’ preti, contro i quali erasi votato il sacco delle accuse e delle calunnie. I loro aderenti guardavansi dal pronunziar motto in loro favore, cosicché tutte le voci che sentivansi erano contro de’ medesimi. Tutte queste circostanze, l’energia che vedevasi spiegala, soprattutto dopo Farrivo del Garibaldi, non potevano non guadagnare partigiani alla resistenza. Era una valanga di neve che rotolandosi si veniva accrescendo di mole.
Le parole di Roma, di repubblica, di Romani conquistatori del mondo, gli esempi degli Scipioni, dei Bruti, dei Camilli, de’ Catoni, l’eloquenza di Cicerone, il valore di Cesare e di Pompeo erano per le bocche di tutti, e ne incendevan le menti. E que’ monumenti che ad ogni piè sospinto rinvengonsi, e che in tempi calmi e tranquilli restan quasi inosservati, erano allora oracoli parlanti ed eccitanti a rinnovar le gesta memorande di valore c di gloria.
I Francesi, venuti in piccol numero per soggiogare i Romani, dicevasi, essere un insulto. Dire che i Romani non sarebbersi battuti, un’offesa. Voler ristabilire il governo clericale essi che n’erano stati i più accaniti nemici, una contradizione vergognosa. Conculcare la libertà i Francesi che ne erano stati i più caldi propugnatori, essere una violazione dei diritti più sacrosanti dei popoli. Venire in fine una repubblica a immergere un pugnale nel cuore della repubblica sorella, essere una violenza non solo, ma una atroce tirannia.
Arrogi che spargevasi ad arte essere essi infetti dall’asiatico morbo, e venircelo quindi ad inoculare col loro contatto. Tutto doversi temere per parte loro: profanazione di templi, rapine degli averi, violazione di domicili, attentati all’onor delle donne romane.
Tutte queste dicerie sparse ad arte, e magistralmente usufruttuate a vantaggio dei resistenti da uno stuolo attivissimo di persone che qui erano da tutte le parti confluite, potranno somministrare un’idea dello eccitamento delle menti in Roma, ed una spiegazione plausibile delle cose che vi si operarono allora ed in seguito.
S’immagini poi ognuno quale esser dovesse la effervescenza dopo respinto l’attacco dei Francesi di cui ora terremo proposito; quali le idee superbe dei Romani e di quelli che di Romani assumevano il nome; e quale infine lo sbigottimento e la prostrazione di animo negli aderenti tuttora al partito clericale.
Erasi in Roma in questa disposizione di animi quando la mattina del 30 aprile, fra le ore 10 alle 11 antimeridiane, venne attaccata la città dai Francesi in numero circa di seimila uomini con dodici cannoni da campo. Presentaronsi essi alla porta san Pancrazio ed alla cinta dei Vaticano. Furono ricevuti con iscariche di moschetto. Ebber luogo allora dei parziali combattimenti fra i Francesi e i legionari di Garibaldi che affrontavanli fuori la porta san Pancrazio, sostenuti dalla legione romana, dalla legione universitaria, dai corpi dei reduci, degli emigrati, dei finanzieri, e dalla guardia nazionale mobilizzata. La legione dei bersaglieri lombardi fedele alla promessa data al generale Oudinot, non prese parte all’azione. Ebber luogo in quell’incontro molti gloriosi fatti di bravura personale da una parte e dall’altra. Francesi e Romani battevansi corpo a corpo e si urtavano, e si stringevano, e si uccidevano. È innegabile che i Francesi non indietreggiarono al fuoco giammai, ma i Romani e i loro sostenitori pugnaron da forti. È incontestabile pertanto che essi ebbero in quel giorno il di sopra, talchè i Francesi ne rimaser sorpresi e disanimati. Allora il generale Oudinot vedendo la inutilità dei loro sforzi, e riconoscendo di essere stato da inesatte informazioni ingannato, fece sonare a raccolta. I Francesi si ritirarono: non tutti però poteron raggiungere il corpo principale, e ne rimasero molti erranti pe’ campi, e molto soffersero prima di raggranellarsi agli altri compagni. Soffermaronsi e per breve tratto a Bravetta, quindi si ritrassero a Castel di Guido, tenuta appartenente all’arcispedale di Santo Spirito, a 13 miglia da Roma.
Morirono in questa fazione fra i Romani
Il capitano Montaldi
I tenenti Righi e Zamboni.
Rimasero feriti
Il maggior Marocchetti
Il chirurgo Scianda
L’ufficiale Ghiglioni
Il cappellano Ugo Bassi
Il giovane Statella figlio del generale napoletano
I tenenti Dall’Oro, Tressoldi e Rota.
Fra gli artiglieri dell’armata romana morirono
Il tenente Paolo Narducci
L’aiutante maggiore Enrico Pallini
Il capitano Leduc, del Belgio.
Il capitano Pifferi
Il tenente Belli
li cadetto Mencarino
Il maresciallo Ottaviano.95
Oltre questi furonvi altri morti e feriti.
Ebbero i Francesi molti morti e feriti, non che dugentosessanta prigionieri. La loro perdita in tutto si calcolò ad un migliaio di uomini.96
Ciò che abbiamo narrato è il complesso dei fatti meglio verificati, e riportati da chi ne ha scritto prima di noi la storia, corroborati dalle nostre informazioni orali, e dalle nostre memorie particolari. Pur tuttavia vogliamo riportare per intiero la relazione che ne dette il governo romano, non già perchè diversifichi dall’esposto, ma perchè la relazione che in Roma e fuori andò sotto gli occhi di tutti allora, e prima che fosser pubblicate le storie che citiamo, è documento importantissimo, stante la influenza che esercitò sulla pubblica opinione. Estragghiamo la detta relazione dal Monitore nella sua parte officiale.97
«Il triumvirato, sul ragguaglio somministrato dal Ministro della guerra, cittadino Generale Avezzana, pubblica il seguente rapporto:
» Ragguaglio sul fatto d’armi
» del giorno 30 aprile.
» Il tempo necessario per raccogliere dai diversi capi militari i particolari relativi al fatto d’armi dei 30 aprile, con che i Francesi vennero respinti dalle mura di Roma, ci ha impedito finora di mettere fuori una relazione categorica. Ora che tali particolari ci sono stati minutamente trasmessi, adempiamo a questo dovere con quella scrupolosa esattezza che viene reclamata dalla severità della storia, e dalle giuste esigenze del pubblico.
» Sin dal giorno 29 il Comandante supremo delle armi della Repubblica, Generale Avezzana, Ministro della guerra, era pienamente istruito dello avvicinarsi del nemico per le moltiplici bande dei nostri esploratori, le di cui relazioni erano anche confermate da un prigioniere francese, che nello stesso giorno cadeva in un’imboscata dei nostri avamposti.
» Nella mattina del giorno 30 il telegrafo avvisando l’avanzarsi dell’oste nemica la segnalava alle ore 9 alla distanza di cinque miglia da Roma; ed il Ministro della guerra inviava sulla cupola di San Pietro un Capitano dello Stato Maggiore generale, perchè, rimanendovi sino a che s’impegnasse il fuoco, osservato avesse tutti i movimenti del nemico, ed indagatone il numero e le intenzioni.
Intanto tutte le misure erano prese in città per respingere l’aggressione con quella disperata energia, ispirata dalla santità del diritto, e dalla giustizia della causa. Valide e numerose barricate a tutte le porte, ed in tutte le vie, segnatamente sulla riva diritta del Tevere, impedivano ogni accesso in città: i bastioni soprastanti, coronati di cannoni, erano disposti a fulminare il nemico: e la giovine armata, fremente d’impazienza e di ardore bellicoso, accantonata nei vari punti in cui si prevedeva l’attacco, era disposta nell’ordine seguente. La prima Brigata comandata dal Generale Garibaldi, e composta della prima legione italiana, dal battaglione universitario, battaglione dei reduci, legione degli emigrati, e finanzieri mobilizzati, occupava fuori le mura tutta la linea da Porta Portese a Porta San Pancrazio: la seconda Brigata composta da due battaglioni della civica mobilizzata, e dal primo leggiero, comandata dal Colonnello Masi, occupava le mura da Porta Cavalleggieri, Vaticano, e Porta Angelica: finalmente la terza Brigata comandata dal Colonnello Savini, e composta dal primo e secondo reggimento di dragoni a cavallo, formava la riserva in piazza Navona. La quarta Brigata composta del primo e secondo reggimento di linea comandato dal Colonnello Galletti era in riserva alla Chiesa Nuova, e piazza Cesarmi con tutti i cannoni di campagna che non erano in posizione. Il Generale Giuseppe Galletti Comandante dei carabinieri, il Maggiore Manara col battaglione lombardo, formando dei corpi staccati, si tenevano pronti ad accorrere ove il bisogno esigesse.
» Ogni cosa concorreva a ritenere che il nemico forte di circa otto mila uomini con due squadroni di cavalleria, e dodici cannoni da campo, diviso in due colonne, intendeva dirigere simultaneamete un doppio attacco a Porta Cavalleggieri e Porta Angelica. In effetti verso le 11 del mattino, procedendo per Villa Pamfili, vi occupò due case da dove incominciò un vivo fuoco di moschetteria e di artiglieria contro Porta Cavalleggieri. Si mosse ad attaccarlo di fianco da Porta San Pancrazio il prode General Garibaldi con tutti i suoi e col battaglione universitario; e quivi s’impegnò un combattimento micidiale ed ostinato, in cui cento fatti di bravura personale provarono che i moderni Italiani hanno tutta la attitudine d’imitare le antiche glorie dei loro padri. Resistevano tenaci i Francesi all’urto del Garibaldi; lo respingevano ancora favoriti dal maggior numero, e dalle artiglierie che tiravano a scaglia; ma sopravvenuti in rinforzo la legione degli emigrati, il battaglione dei reduci, la legione romana comandata dal Colonnello Galletti, e due compagnie del primo reggimento di linea caricando contemporaneamente alla baionetta, lo costrinse a ritirarsi precipitosamente lasciando in mano dei nostri circa trecento prigionieri fra’ quali sei ufiiziali con un Comandante di battaglione, e gran numero di morti.
» Mentre in tal modo si combatteva a San Pancrazio altri attacchi erano diretti ai giardini del Vaticano, e lungo tutta la linea da Porta Cavalleggieri sino a Santa Marta, dove il nemico si sforzava con tutti i mezzi di smontare le nostre artiglierie, e dove diede due furiosi assalti, respinti valorosamente dalla Brigata Masi e dalla civica mobilizzata, soccorsi in tempo dai bravi ed ardenti carabinieri. In tutti questi punti i nostri sostennero con mirabile fermezza e sangue freddo Furto dei nemici, e combattendo col valore di vecchi soldati V obbligarono ad una ritirata precipitosa. Merita in tale incontro speciale commemorazione l’Artiglieria nazionale sotto gli ordini del Tenente Colonnello Calandrelli, che vi perdè due distinti uffiziali oltre i feriti, non che l’Artiglieria civica che gareggiò con la prima in zelo ed ardore.
» Respinti così da tutta la linea i Francesi si ritrassero da prima a Brevetta, a tre miglia dalla città, donde dopo breve sosta continuarono la loro ritirata verso Castel di Guido, da cui non par dubbio che debbano guadagnar presto Civitavecchia.
» Questo fatto di armi, che consolida meravigliosamente la fondazione della nostra Repubblica, durò circa 7 ore, come quello che cominciato alle 10 antimeridiane finiva alle 5 pomeridiane, non comprendendo come parte della mischia le piccole scaramucce che si protrassero sino a sera tra i nostri ardenti soldati e le bande nemiche incalzate senza posa. — Dietro i dati raccolti, e le deposizioni degli stessi prigionieri, pare che il nemico abbia perduto oltre millecinquecento uomini tre morti, feriti e prigionieri. — Da parte nostra non abbiamo a deplorare che cinquanta morti e duecento feriti, fra i quali molti uffiziali subalterni, e superiori.
» Noi non abbiamo che un sentimento di ammirazione ed una parola d’elogio uguali per tutti, uffiziali, soldati, e popolo, che presero parte al combattimento del giorno 30. — Tutti pugnarono da eroi: tutti mostrarono che quando viva ed ardente è la carità di patria, dolce riesce il sagrifizio della vita. — A tale proposito non possiamo fare altro omaggio al valore dei nostri bravi, che ripetendo un brano di lettera scritta dal General Garibaldi al Ministro della guerra:
«Tutti i Corpi, che hanno combattuto in questo giorno, si sono resi immensamente benemeriti della patria. — Un distaccamento di linea, la prima legione romana, il battaglione universitario, la legione Arcioni, il battaglione de 1 reduci, e la prima legione italiana hanno realizzato in valore. — I Capi uffiziali ed i militi di quei Corpi hanno meritato la gratitudine dell’Italia, ed il titolo di valorosi. — Molte armi, tamburi ed altri oggetti di guerra sono rimasti in nostro potere.»
» Nè deve dimenticarsi la virtù degli uffiziali sanitari delle nostre ambulanze, sollecite raccogliendo pei campi i feriti, ai quali sonosi prodigate come si prodigano negli ospedali per opera delle signore assistenze veramente fraterne: e nel dolore delle perdite ci è grato il dire che fra gli stessi Francesi molti prima di soccombere han dichiarato di morire col rimorso di aver combattuto dei fratelli repubblicani, ed i salvati, imprecando contro il loro governo, non sanno altrimenti gratificarci delle assidue cure di cui sono l’oggetto che ripetendo spesso come fanno i loro compatriotti prigionieri — Viva la Repubblica Romana.
» In fine un profondo sentimento di riconoscenza c’impone l’obbligo di tributare all’italianissimo Generale Avezzana una parola di encomio sempre inferiore a quella immensa patria carità che gli fa provvedere a tutte le esigenze del grave Ministero affidatogli con una tenace perseveranza e con una infaticabile alacrità, che sarebbero prodigiose anche in un giovane. Sin dal primo appressarsi del nemico, seguito da una parte del suo Stato Maggiore (giacché molti altri uffiziali dello stesso erano destinati alle porte per dirigere i Corpi che le difendevano), il Generale Avezzana percorse successivamente i luoghi attaccati, e colla voce, e colf esempio portando al colmo l’universale entusiasmo del popolo che chiedeva armi, e delle milizie valorosamente combattenti, assicurò il trionfo della giornata, e l’onore del paese.
» In questa aggressione la Francia, sacrificata da un governo nemico dei veri interessi del suo paese, ha fatto delle immense perdite più morali che materiali. Essa ha perduto su noi ogni influenza politica: essa ha perduto ogni diritto alle nostre simpatie: e se la giustizia della nostra causa ci ha dato tanta energia di vincere il soldato più bellicoso, noi abbiamo adesso la profonda convinzione, di potere lottare con gloria e successo contro tutti i nemici della Repubblica e dell’Italia.
» I Triumviri |
Abbiamo estratto queste particolarità dal Monitore, perchè l’unico giornale «he godesse dell ’aperilio orti; a tutti gli altri, come accade in tempo di guerra, essendo stata posta la mordacchia alla bocca. Si asserisce in detta relazione che i Romani ebbero un cinquanta morti e duecento feriti.
Il governo subito dopo accaduto il fatto, fece pubblicare una lista particolareggiata dei morti e feriti colla indicazione della patria. Questa lista non porta per verità che centundici feriti e quindici morti, fra i quali i veri Romani feriti non furono che ventiquattro, e otto i morti; se pertanto sopra i centundici feriti i Romani furono 24, ne emerge che i Romani ai non Romani stavano quasi nella proporzione di uno a cinque.98 Circa ai prigionieri francesi sembrerebbe secondo il Précis historique99 che fossero stati fatti per una di quelle che chiamansi ruse de guerre, ossia una astuzia guerresca che li trasse in inganno. Comunque si voglia, i prigionieri vi furono, e racconteremo nel seguente capitolo come e quando fossero restituiti.100
In complesso pertanto può convenirsi che il fatto del 30 di aprile fu una disfatta pei Francesi. Il generale Oudinot ne fu talmente addolorato che ne cadde infermo; tantopiù che dovette temere la sinistra impressione, che l’annunzio di uno scacco così completo produr potesse a Parigi.
E le conseguenze per vero potevano essere immense, perchè tremendo dovette essere per un momento l’effetto morale in Francia non disgiunto da sbigottimento e da sdegno. Ciò era tanto più temibile, in quanto che l’opposizione ch’era pure formidabile nella francese assemblea contro la spedizione di Roma, non avrebbe mancato di profittarne per biasimarla e con più ragione, perchè alla fin fine il nome francese era stato compromesso, e i Francesi, pochi o molti che fossero, avevano subito uno scacco, e da chi? Da quelli che la stampa francese qualificava come un pugno di faziosi.
E se lo scacco sofferto avesse provocato un cambiamento nei consigli di chi reggeva in allora la somma delle cose di Francia, se una sommossa in Parigi avesse rimesso il potere nel partito degli esaltati, che cosa non sarebbe potuto accadere? Il fatto, considerato sotto l’aspetto semplicemente di fazione militare, era di piccola importanza, ma le conseguenze, lo ripetiamo, esser potevano incalcolabili.
Se non che, messi da parte per poco il principio e lo spirito della spedizione, dal momento che i Francesi erano stati respinti, chiaro emergeva ch’essi ad ogni costo avrebber dovuto e voluto prendere la rivincita, e così la resistenza dei repubblicani romani andava a convertirsi in tanto danno, chiamando su Roma un’oste ancor più formidabile per rivendicare il per un momento offuscato onore delle armi francesi.
Ciò difatti che sarem per raccontare a suo luogo proverà che i Francesi, poi che vennero respinti, non vider più come primo movente nè lega cattolica, nè ristabilimento d’ordine in Roma, nè distruzione di anarchia, nè reintegrazione di papa e di cardinali, ma la necessità soltanto di prendere Roma a qualunque costo essi soli, e così rivendicare l’onore delle armi loro. Di questa guisa il disastro del 30 aprile per disposizione della Provvidenza tornò a profitto del partito clericale, perchè chiamò su Roma uno sforzo supremo per conquistarla. E così quella operazione che farsi doveva in comune colle altre potenze, Austria, Spagna e Napoli, stante lo svolgimento degli eventi di guerra fu esclusivamente devoluta alle armi francesi. Ciò formerà uno dei soggetti del capitolo seguente.
Note
- ↑ Vedi la Speranza italiana, n. 40.
- ↑ Vedi detta, n. 47.
- ↑ Vedi il Costituzionale del 25 aprile. - Vedi Moroni, vol. LIII, pag. 209, ove si enumerano invece 5 Sedi vescovili e 2 Palli.
- ↑ Vedi Moroni loc. cit.
- ↑ Vedi il Monitore del 21, pag. 350.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 528.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 528.
- ↑ Vedi il Monitore del 21, pag. 359, e quello del 23, pag. 368.
- ↑ Vedi detto del 27 aprile, in fine.
- ↑ Vedi detto del 23, pag. 365.
- ↑ Vedi detto del 23, pag. 365.
- ↑ Vedi il Monitore del 23, pag. 365.
- ↑ Vedi detto del 24, pag. 369.
- ↑ Vedi Rusconi: La repubblica romana (del 1849), vol. I, pag. 186.
- ↑ Vedi Proclami e indirizzi dei circoli e municipi, volume in foglio atlantico, n. 121.
- ↑ Vedi Monitore del 25, pag 375.
- ↑ Vedi il Monitore del 25, pag. 375.
- ↑ Vedi il Monitore del 25 aprile, pag. 375.
- ↑ Vedi il Sommario, n. 85.
- ↑ Vedi Mannucci, Il mio governo in Civitavecchia e l’intervento francese, Torino, 1850, pag. 122 e segnenti. — Vedi il Monitore, pag. 375.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 530.
- ↑ Vedi Mannucci, op. eit. pag. 113.
- ↑ Vedi Mannucci, op. cit., pag. 153.
- ↑ Vedi il Mannucci, op. cit., pag. 132.
- ↑ Vedi detto, pag. 134 e 135.
- ↑ Vedi l’Italia del popolo, n. 10.
- ↑ Vedi Mannucci, op. cit., pag. 142, e 143.
- ↑ Vedi Mannucci, op. cit., pag. 155.
- ↑ Vedi la dichiarazione del municipio di Civitavecchia del 25 aprile 1849 tanto nella Pallade del 27, n. 532, quanto nei Documenti vol. IX, n. 36. — Vedi Proclami e indirizzi dei circoli e municipi, n. 74.
- ↑ Vedi Pallade, n. 530.
- ↑ Vedi Pallade, pag. 2, n. 531.
- ↑ Vedi detta, n. 532, pag. 2 - Vedi Monitore, pag. 379 — Vedi Documenti, vol. IX, n. 39.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 530.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 379.
- ↑ Vedi Monitore del 27. — Vedi Documenti, vol. IX, n. 38.
- ↑ Vedi detto del 26, pag. 383.
- ↑ Vedi l'Italia del popolo del 26, n. 11. - Vedi Monitore, pag. 386. Vedi Documenti, pul. IX, n. 37 4. – Vedi Sommario, n. 86.
- ↑ Vedi il Monitore del 27, pag. 383.
- ↑ Vedi Monitore del 27, pag. 383.
- ↑ Vedi detto del 27, pag. 383. - - Vedi Documenti, vol. IX, n. 40.
- ↑ Vedi fra i Documenti, vol. IX, n. 42. — Vedi il Sommario, sotto il n. 87.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 532, pag. 2.
- ↑ Vedi il Sommario, n. 88.
- ↑ Vedi il Monitore del 27, pag. 385.
- ↑ Vedi la Pallade del 28, n. 533, pag. 3. — Vedi il Positivo, pag. 266. — Vedi la Speranza dell’epoca, n. 90, la quale per isbaglio pone sotto il 28 in luogo del 27, l’arrivo del Garibaldi. — Vedi il ritratto di Garibaldi non che i figurini dei Garibaldini nelle Stampe e litografie sotto i numeri 79, 98, 99.
- ↑ Vedi il Positivo del 24 aprile, n. 64.
- ↑ Vedi il Monitore del 28, pag. 387.
- ↑ Vedi il Monitore del 28, pag. 387 e 388.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 533.
- ↑ Vedi l’atto, col quale venne reso di pubblica ragione, fra i Proclami e indirizzi dei circoli e municipî delle provincie, n. 70. — Vedi il Monitore del 30 aprile.
- ↑ Vedilo nel volume intitolato: Autografi di personaggi politici, 1848 e 1849, n. 21.
- ↑ Vedi il Ristretto del processo sulle carrozze dei cardinali, pag. 10, 67, 170, 176. — Vedi la Speranza dell’epoca, n. 90.
- ↑ Vedi il Ristretto del processo dei finanzieri pei fatti di san Calisto, pag. 5 e seg.
- ↑ Vedi il Monitore, pag 394.
- ↑ Vedi Documenti, vol. IX, n. 49.
- ↑ Vedi Bollettino delle leggi della Repubblica romana, pag. 532.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 397. .- Vedi Alti officiali, vol. II, n. 134.
- ↑ Vedi detto, pag. 393.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 393.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 393-394.
- ↑ Vedi detto, pag. 394.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 397.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 398.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 401.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 402.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi Documenti, vol. IX, n. 43 e 47.
- ↑ Vedi l’Italia del popolo, n. 13.
- ↑ Vedi il Monitore 28 aprile, pag. 387.
- ↑ Vedi detto, pag. 391, 392, 394, e 395.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 392.
- ↑ Vedi l’opera del generale Vaillant, intitolata: Le Siege de Rome, en 1849, par l’armée française ec. Paris, 1851 pag. 6.
- ↑ Vedi la Speranza dell’epoca, n. 90.
- ↑ Vedi Dandolo, I volontari ed i bersaglieri lombardi ec., pag. 166.
- ↑ Vedi il Tempo, anno II, n. 83, del 28 maggio, pag. 1.
- ↑ Vedi la Speranza dell’epoca del 30 maggio, e la Gazzetta di Genova del 18 detto.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 397.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 398.
- ↑ Vedi detto, pag. 402.
- ↑ Vedi il detto curioso documento fra gli Autografi di personaggi politici, n. 22.
- ↑ Vedi Torre, Memorie storiche ec., vol. II, pag. 25.
- ↑ Vedi Torre, vol. II, pag. 28 e seguenti.
- ↑ Vedi Sommario storico ec. vol. II, pag. 186. — Vedi Farini, vol. IV, pag. 17. — Vedi Précis historique et militaire de l’expédition française. Marseille, 1849, pag. 23, nel vol. LXII delle Miscellanee, n. 3 — Vedi Miraglia, Storia della rivoluzione romana, pag. 176. — Vedi Rusconi, La repubblica romana, ec. vol. II, pag. 27 e seguenti.
- ↑ Vedi il Monitore, n. 92, pag, 419.
- ↑ Vedi la lista dei feriti fra i Documenti, vol. IX, n. 51.
- ↑ Vedi Précis historique, ec. nel vol. LXII. Miscellanee, n. 3, pag. 29.
- ↑ Vedi sui fatti del 30 aprile anche il Monitore, pag. 403. — Vedi Documenti, numeri 48, 43 A, 48 B, 51 e 52.
- Testi in cui è citato Nicolas Charles Victor Oudinot
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