Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro secondo - Capo I

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Libro secondo - Capo I

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LIBRO SECONDO.

Delle Arti del Disegno presso gli Egizj,
i Fenicj, e i Persi.





Capo I.


Carattere dell’arte presso gli Egizj... sulla quale influirono le esterne loro sembianze... la loro indole... le loro leggi civili e religiose — La poca stima che faceasi degli artisti... e l’ignoranza loro.


Carattere dell’arte presso gli Egizj... Gli Egizj, siccome non molto s’allontanarono nelle arti loro dall’antico stile, non poterono perciò sublimarle a quel grado di perfezione, a cui esse pervennero sotto i Greci. La figura de’ corpi loro, la loro indole, la religione, le costumanze, le leggi, il poco pregio in cui tennersi i loro artisti, e lo scarso sapere di questi tutto s’opponeva ai progressi dell’arte.

[p. 61 modifica] ... sulla quale influiscono le esterne loro sembianze ... §. 1. Ma l’ origine primaria dell’imperfezione di essa presso gli Egizj deggiam ripeterla dalla loro stessa figura, che tale certamente non era da far nascere nella mente degli artisti l’ idea d’ una beltà sublime. La natura, che le donne egiziane avea fatte singolarmente feconde1, riguardo alla venustà ed eleganza della figura, non era stata loro tanto propizia, quanto alle greche ed alle etrusche, come ne fa fede quel volto mal contornato, e a così dire cinese2, che scorgesi in tutte le figure loro, o sotto la forma di statue sieno, o negli obelischi scolpite, o nelle gemme incise3. Tal figura era comune a tutti gli Egizj, i quali perciò, giusta [p. 62 modifica]l'osservazione di Eschilo, avevano sembianze affatto diverse dai Greci4.

§. 2. Non poteano i loro artisti immaginarsi oggetti varj e belli, de’ quali non vedeano tracce nella natura5: e questa nella costante ed uniforme temperatura di quel clima non [p. 63 modifica]mai allontanavasi dalle sembianze loro ineleganti e caricate6; forse perchè nelle umane forme, come in tutte le altre cose, sempre più difficilmente dagli estremi si scosta, che dal punto di mezzo. Questa stessa forma di volto che hanno le statue egizie, si trova eziandio nelle teste delle figure dipinte sulle mummie, le quali dagli Egizj7 e dagli Etiopi8 faceansi, quanto era possibile somiglievoli alle morte persone; e nel prepararne i cadaveri procuravasi diligentemente di serbar intatto tutto ciò che potea servire a renderli riconoscibili: si studiava di conservar loro persin le palpebre9. Forse dagli Egizj avean preso gli Etiopi la costumanza di pingere le sembianze delle persone su i loro cadaveri, quando sotto il re Psammetico duecento quaranta mila Egizj trasmigrarono in Etiopia, colà i loro riti portando e i loro costumi 10: o forse per l’opposto gli Etiopi aveano apportate queste maniere nell’Egitto, ove ne’ primi tempi diciotto re etiopi successivamente signoreggiarono11.


[p. 64 modifica] §. 3. Aveano gli Egizj naturalmente quel color cupo12, che davano alle teste dipinte sulle loro mummie13; e quindi intendesi il senso della voce αἰγυπτιάζειν14, che significa esser arso dal sole, e come a dire egittizzare. E poiché i volti su tutte le mummie sono d’uno stesso colore, non ebbe alcun fondamento il signor Gordon d’asserire, che la diversità di colore la differenza delle provincie indicasse.

§. 4. E’ vero che Marziale15 pe’ suoi sozzi piaceri desiderò un bel garzone egiziano: non deve intendersi però ch’egli il volesse tale di origine, ma bensì greco colà nato; poiché quelli, e principalmente gli Alessandrini16, erano di costumi sommamente discoli e dissoluti17: greco era d’origine il famoso pantomimo Apolausto nato a Memfi in Egitto, cui Lucio [p. 65 modifica]Vero condusse a Roma, e di cui trovasi fatta menzione in varie iscrizioni18.

§. 5. Belle certamente non erano le figure degli Egizj. Essi, secondo un’osservazione d’Aristotele19, aveano l’osso della gamba alquanto curvo, e piegato all’infuori20, e forse aveano il naso incavato come gli Etiopi21, coi quali [p. 66 modifica]confinavano. Le loro figure muliebri, quanto strette sono sopra i fianchi, altrettanto ampio e rilevato hanno il petto: e poiché gli artisti di quella nazione, al riferire d’un Padre della Chiesa, copiavano la natura esattamente quale la vedeano22; così dalle figure che ci rimangono possiamo giudicare quali fossero di fatti tra loro le femminili sembianze23. Tale struttura però non impediva, che eglino generalmente, e quegli in ispecie dell’alto Egitto, una piena salute non godessero24: argomento di ciò è che tra le innumerevoli teste di mummie egiziane vedute dal principe Radzivil, nessuna aveva guasti o mancanti i denti25. La celebre mummia dell’Istituto di Bologna, la quale ha undeci palmi romani d’altezza, conferma ciò che leggiamo in Pausania26 della straordinaria grandezza degli Egizi27.

...la loro indole ... §. 6. Per ciò che riguarda lo spirito e l’indole degli Egizj, osserverò che essi non pareano, punto fatti per l’allegrezza e pel piacere28, che sembrano molto influire su i [p. 67 modifica]progressi dell’arte. La musica, con cui gli antichi Greci studiaronsi di raddolcire la durezza delle leggi medesime, e la rozzezza de’ costumi29, di cui faceansi in Grecia pubbliche gare anche prima del secolo d’Omero30; la musica, dissi, era negletta in Egitto, anzi pretendesi che essa unitamente alla poesia fosse colà vietata31. Ne’ tempj loro, al dire di [p. 68 modifica]Strabone32, e in occasione de’ loro sacrifìcj non udiasi mai alcuno stromento musicale33. Non dee però quindi conchiudersi, che la musica fosse in Egitto affatto sconosciuta34, a meno che de’ loro antichissimi tempi soltanto non intendasi parlare35: imperocché sappiamo, che le donne colà accompagnavano fra musici concenti il dio Api lungo il Nilo; e veggonsi figure egiziane, che suonano degli stromenti musicali, sì nel musaico del tempio della Fortuna a Palestrina36, che in due pitture d’Ercolano37.

§. 7. Quindi è che gli Egizj cercarono de’ violenti mezzi per riscaldare la loro immaginazione, e mettere in moto lo spirito38: le loro idee oltrepassarono il naturale, e si perderono nelle allegorie e ne’ misterj39. Dall’umor triste e [p. 69 modifica]malinconico di quella nazione ebbero origine i primi anacoreti40; ed ha calcolato un rinomato scrittore della storia ecclesiastica, che verso la fine del quarto secolo v’erano nel solo Egitto inferiore settanta e più mila monaci41. Quindi è altresì, che gli Egizj sempre mantennero in vigore le austere lor leggi, né seppero mai vivere senza re42; e forse a cagione di questa loro austerità Omero diede all’Egitto l’epiteto di amaro43.

... e le loro leggi civili e religiose. §. 8. Costanti gli Egizj nelle loro costumanze, come, nella loro religione, s’assoggettarono sempre rigorosamente alle antichissime pratiche, eziandio sotto gl’imperadori romani44; e ciò non solamente nell’Egitto superiore, ma in Alessandria stessa, ove ai tempi d’Adriano insorse un ammutinamento, perchè non trovavasi un bue, con cui rappresentare il dio Api45. Fino a que’ tempi pur durarono le inimicizie fra le diverse città pei differenti loro dei46. S’ingannarono pertanto que’ moderni scrittori, che appoggiati a qualche mal inteso passo d’Erodoto, e di Diodoro, asserirono essere stato da Cambise interamente eliminato dall’Egitto l’antico culto [p. 70 modifica]religioso, e l’usanza d’imbalsamare i cadaveri47; imperciocchè, anche dopo il regno di Cambise, i Greci stessi preparavano i cadaveri alla maniera egiziana, siccome altrove ho indicato48, traendone argomento da una mummia, che ha la voce 49 scritta sul petto; essa era dianzi nella casa de’ signori della Valle a Roma, e si vede ora nel museo di Dresda50. Essendosi altronde gli Egizj sotto i successori di Cambise più d’una volta sollevati, e avendo messi sul [p. 71 modifica]trono de’ re della propria nazione, che coll’appoggio de’ Greci alcun tempo vi si mantennero51, allora almeno avranno ripigliate le antiche costumanze.

§. 9. Che gli Egizj, anche al tempo de’ Cesari, abbiano conservati gli antichi loro riti, lo dimostrano le statue d’Antinoo, due delle quali stanno a Tivoli52, e un’altra ve n’ha nel museo Capitolino53. Quelle formate alla maniera egiziana somigliano a quelle, che si adoravano in quel regno, e principalmente nella città, ov’egli era sepolto54, la quale da lui aveva avuto il nome di Antinoea55. Un’altra statua simile a quella del Campidoglio ed egualmente grande, colla testa però [p. 72 modifica]che non è la sua propria, trovasi nel giardino del palazzo Barberini; e un’altra pure se ne vede, alta in circa tre palmi, nella villa Borghese; queste hanno una positura diritta colle braccia distese e pendenti ad imitazione delle più antiche figure egizie. È naturale, che Adriano, il quale volea che Antinoo divenisse oggetto d’adorazione presso gli Egizj, lo avrà presentato sotto quella forma, che loro era più venerabile ed accetta56.

§. 10. In conseguenza di quell’amore per gli antichi riti e per la prisca forma delle statue, che erano l’oggetto della loro venerazione, odiarono gli Egizj tutte le usanze de’ Greci57, almeno fino a che sotto il dominio di questi non vennero58. I loro artisti pertanto aveano pel progresso dell’arte presso le altre nazioni quell’indifferenza che suol essere all’avanzamento delle arti, come delle scienze, perniciosissima. Siccome i loro medici non poteano proporre all’infermo altri rimedj fuorché i prescritti ne’ loro libri sacri; così vietato era agli artisti di allontanarsi dall’antico stile. Le leggi costrignevano lo spirito degli Egizj a ricalcar sempre le orme de’ padri loro, ed ogni maniera d’innovazione interdicevano. Di fatti attesta Platone59 che le statue, le quali lavoravansi in Egitto a’ [p. 73 modifica]giorni suoi, nè per la forma né ad altro riguardo differivano punto da quelle che erano state fatte dieci mila anni prima. Quest’osservazione però deve intendersi di quelle statue che erano lavori di scultori nazionali, prima che l’Egitto cadesse sotto il dominio de’ Greci. L’osservanza di quelle leggi era inviolabile, ed era il fondamento della religione come del governo. Quindi l’arte nel rappresentar figure umane sembra che presso gli Egizj non si potesse dipartire dai loro dei, dai re e loro famiglie, e dai sacerdoti60; tranne però quelle figure che erano incise sugli edifizj61. Anzi pare che fosse ristretta ad una sola specie d’immagini, poiché gli dei degli Egizj erano i re62 che anticamente avean colà dominato (almeno secondo la credenza loro); e i più antichi re erano pure stati sacerdoti63. Diffatti presso nessuno scrittore si fa menzione di statue colà erette ad altri, fuorché alle summentovate persone64; onde dobbiamo credere che ciò fosse vietato per una legge, la quale facesse parte della religione.

La poca stima che faceasi degli artisti ... §. 11. Finalmente una delle cagioni, che influirono sulla mediocrità dell’arte presso gli Egizj, fu l’ignoranza generale de’ loro artisti, e la poca considerazione in cui erano tenuti, poiché aveansi quai semplici artigiani, e anche della più bassa [p. 74 modifica]sfera65. Presso di loro chi abbracciava un’arte non seguiva già la propria inclinazione; ma i figli non facevano, così nelle arti come in ogn’altra professione, che calcare le orme del padre66: teneano dietro alle tracce de’ loro maggiori, senza far mai un passo, guidati dal proprio genio, senza mai pensar a superarli; e perciò non v’ebbero mai in Egitto diverse scuole dell’arte, come presso i Greci. Né l’educazione né le circostanze certamente erano tali da sollevar loro lo spirito, e portarli al sublime67; né, ove ben anche superando ogni ostacolo, qualche cosa di grande avessero prodotto, sperarne potevano vantaggi od onorificenze68. Mennone, autore delle tre statue che stavano sull’ingresso del tempio di Tebe, una delle quali era la più grande che vi avesse in tutto l’Egitto, è il solo scultore di quella nazione, il cui nome sia passato ai Greci69.

[p. 75 modifica] ...e l’ignoranza loro. §. 12. Molto ristretta era la scienza degli artisti egiziani su un punto essenziale delle arti del disegno, cioè riguardo all’anatomia del corpo umano, intorno alla quale in Egitto, come anche oggidì nella Cina, nulla sapere o studiare si potea70. La somma venerazione, che aveano pe’ morti, non permetteva di fare sezioni anatomiche fui corpi loro; cosicchè una semplice incisione su di essi, al riferire di Diodoro71, farebbe stata considerata come un omicidio. Quindi è che coloro, i quali dovevano fare l’incisione nel fianco del cadavere per [p. 76 modifica]imbalsamarlo, detti poi da’ Greci paraschisti, erano costretti a sottrarsi colla fuga ai parenti del defunto, e ad altri, che gl’inseguivano a sassate, e li caricavano di maledizioni. L’anatomia in Egitto non ad altro estendevasi, che ad una cognizione delle parti interne, ossia degl’intestini; e questa cognizione medesima, certamente imperfetta, confinata in alcune famiglie trasmetteasi da padre in figlio, restando probabilmente un mistero per tutti gli altri; poichè, tranne gli uomini a ciò addetti, niuno poteva esser presente quando si preparavano i cadaveri.



Note

  1. Plin. lib. 7. cap. 3. sect. 3., Seneca Nat. quæst. lib. 3. cap. 25. [Aristot. de Hist. animal. lib. 7. cap. 4. verso il fine, Strabone lib. 17. pag. 1018. B., Du Puy Acad. des Inscript. Tom. XXXI. Hist. p. 11. Vegg. sopra p. 5. n. E.
  2. L’ argomento ricavato dalla somiglianza del volto e della figura è forse il più sicuro, che addur si possa per provare che gli Egizj e i Cinesi abbiano avuta una stessa origine. Questo vien confermato dalla somiglianza che pur ebbero negli usi, ne’ costumi, ne’ riti ec. Amendue le nazioni, costruendo eccelse piramidi e immense muraglie di separazione, tentarono de’ voli ardimentosi in architettura; ed ebbero da’ più antichi tempi le arti medesime, e quella in ispecie di far figure in porcellana. [Chechè porta dirsi riguardo a tutti quelli altri punti, per quello che fa al nostro proposito, noi unitamente al sig. Paw Rech. phil. sur les Egypt. & les Chin. Tom.I. sec. par. sect. IV. pag. 285. non ci potremo risolvere a trovare fra queste due nazioni la somiglianza di volto, che qui si pretende.] Il signor Paw per negare quella comune origine ha calunniati i Cinesi, volendo che siano un popolo nuovo, ancor mezzo barbaro, ben lontano dalla saviezza e dalle cognizioni degli Egizj, i quali però non sono altronde da lui troppo ben trattati. Ma sì gli Autori delle Memorie sulla Storia, sulle Scienze, e sulle Arti de’ Cinesi, che gli Editori della grande Storia generale della Cina tradotta dal P. de Mailla, hanno valorosamente vendicata quella nazione. Quale dei due popoli sia il più antico non sembra ancor ben definito. Il signor di Caylus Tom. XXXI. Hist. de l'Ac. des Infer. pag. 41. segg., e il sig. de Guignes hanno preteso che gli Egizj sieno stati i maestri, e gli antenati dei Cinesi; ma il signor ab. Mignot, e i mentovati Autori delle Memorie pag. 60. dimostrarono l’insussistenza di questa opinione. [È questo un punto di letteratura, su di cui moltissimo si è scritto da molti uomini dotti, principalmente da cinquant’anni a questa parte; e sembra che si propenda in favore degli Egiziani, credendoli i padri, e maestri dei Cinesi. Si vegga il dotto P. Gabriele Fabricy Recherches sur l’epoque de l'equitation &c. prém. par. pag. 21. not. 1., ove ne parla a lungo, e riporta gli scrittori, che ne hanno trattato. Noi avremo occasione di parlarne nelle annotazioni alla più volte lodata opera del sig. Goguet Della Origine delle leggi ce. ] Essendo stati i Cinesi tra i popoli conosciuti i primi a coltivare le arti, potrebbe forse taluno criticare Winkelmann, che sopra di essi non abbia estese le sue ricerche; ma egli non ebbe altro scopo, che di esaminare l’ arte di que’ popoli, de’ quali aveva egli medesimo veduti i monumenti in Roma e altrove. [ Per la stessa ragione non avrà parlato dei Babiloniesi, dei Celti, e dei popoli del Nord, de’ quali tutti parleremo col sig. Goguet nell’ opera sovra citata.
  3. Niuno pensi di formarsi una giusta idea di volto egiziano sulle figure in rame. Sempre alterati ne sono i tratti, fuorchè in una mummia presso Begero Thes. Brand. T. iiI. pag. 402., e in un’altra decritta da Gordon Essay towards explaining the hyeroglyphical figures on the coffin of an ancient Mummy. London. 1737. fol. [Io non posso credere, che tutte le figure egiziane riportate dal sig. conte di Caylus nella sua Raccolta d’antichità, almeno la maggior parte disegnate da lui, siano tanto alterate; essendo egli stato un valente disegnatore, come ci dice anche il sig. Heyne sopra pagina lxx,: e supponendone esatto il disegno, noi avremo in tante di esse un fondamento di credere, che non fossero poi tutti gli Egiziani tanto deformi nel volto, e in tutto il corpo. Ho veduto molte figure in marmo, ed anche del primo stile, nei varj ninfei di Roma, che tono piuttosto belle; come belle per lo più sono le sfingi, che nella testa erano figure umane. Omero, da Filostrato Epist. LXVII. op. Tom. iI. pag. 946. chiamato giusto estimatore del bello, Odiss. lib. 11. v. 188., parla della bellezza sorprendente, e divina, sopra tutti anche i Greci, di Mennone, o Amenosi, che si vuole re di Tebe in Egitto; e ivi Eustazio pag. 1697., e al lib. 4. v. 188. pag. 1490. dice, che appunto per quella sua bellezza si diceva figlio del giorno, e dell’aurora. Vegg. Jablonski de Memnone, Synt. 1. cap. 1. e 2. In quella città, secondo Strabone lib. 17. pag. 1171. C., si soleva consecrare a Giove una delle più nobili, e belle fanciulle, che poi dopo un mese si dava a marito; e cosi successivamente di altre. La Sagra Sposa de" Cantici, che letteralmente è la moglie di Salomone figlia di Faraone re d’Egitto, doveva essere straordinariamente bella. Non solo vien descritta ed esaltata la di lei bellezza quasi in tutto quel sacro libro, ma nel capo 1. v. 7., e capo 5. v. 9. è detta bellissima tra tutte le donne, e non già dell’Egitto solo, ma ancora della Palestina, che sappiamo quanto fossero belle, argomentandolo da Giuditta, Judith cap. 10. v. 4. e 18., da Ester, Esther cap. 2. v. 7., e da Susanna, Daniel. cap. 13. v. 2., che vissero ne’ secoli appresso. Niteti figlia del re Apria, al dire di Erodoto lib. 3. cap. 1. pag. 194., era grande, e bella. Famosa per quello pregio fu sempre Rodope, che il medesimo l. c. c. 134., e seg. pag. 168. vuole di nazione greca, ma da Ateneo lib. 13. cap. 7. pag. 596. C. D. si sostiene per Egiziana, e diversa da quella; come tale vien detta anche da Eliano Var. hist. lib. 13. cap. 33. Sì Erodoto, che Ateneo nei luoghi citati aggiungono, che in Neucrati v’erano gran belle meretrici; e quest’ultimo scrittore liv. 13. c. 9. pag. 609. A. fa menzione di Timosa concubina di Ossiarte, che avanzava in bellezza qualunque altra donna, mandata poscia da un re d’Egitto a Statira moglie d’un gran Sovrano: e finalmente lo stesso Erodoto lib. 2. cap. 89. pag. 143. scrive, che i cadaveri delle donne belle non si davano a imbalsamare se non che tre o quattro giorni dopo la morte. Conforme a tutte quelte testimonianze è l’osservazione del sig. Maillet Descript. de l’Egypte. let. VII. pag. 279., che fra le molte mummie da lui vedute ve ne erano delle più belle delle altre nel volto.
  4. Suppl. v. 506.
  5. Dato che non le vedessero nei veri Egiziani, le vedevano continuamente nei forastieri di ogni nazione, che andavano in quel regno. Bella sopra modo era Sara moglie di Abramo benché in età già avanzata; e perciò il re Faraone volse prendersela per consorte, quando colà si ritirarono per la carestia, Genes. cap. 29. v. 10. segg. Molto avvenente era, e di bella presenza il patriarca Giuseppe, ibid. cap. 29 v. 6., che ebbe per moglie la figlia di Putifare sacerdote d’Eliopoli, cap. 41. v. 50., e per tanti anni governò l’Egitto in qualità di viceré, ibi. v. 40. e segg.; e così lo era Mosè, che fu adottato per figlio dalla figlia di Faraone, e fu allevato, e istruito alla corte, Exodi cap. 2. v. 2. e segg, ad Hebræos cap. iI. v. 23. e segg., e vi dimorò fino all’età di anni quaranta, Actuum c. 7. v. 23. Né deformi saranno stati tutti gli Ebrei, che in numero sì grande, fino a qualche milione, stettero in quel regno per lo spazio di duecento quindici anni. Cosi diremo di Geroboamo, che colà si rifugiò alla corte di Sefac, e ivi stette fino alla morte di Salomone, Regum cap. 11. v. 40.; di Adad idumeo, che vi si ritirò parimente, ed ebbe in moglie la cognata del re Faraone, ibid. v. 19.; del re Gioachaz, che vi fu condotto schiavo dal re Faraone Necao, ibid. lib. 4. c. 23. v. 34.; e di tutti quegli altri Ebrei, che ai tempi di Geremia si sparsero per tutto quel regno, Jerem. c. 43. e seg.; e così nei secoli appresso. Dei Greci, che vi furono anche nei tempi antichi ne abbiamo accennati alcuni sopra pag. 12. not. a.; tra i quali Pittagora, come osservò Apulejo, Florid. cap. 15. oper. Tom. iI. pag. 792., era dotato d’una insigne bellezza. Ad essi si può aggiugnere la famosa Elena, Euripide in Helena, princip., Erodoto lib. 1. cap. 12. p. 154.; la moglie del re Amasi, che pure era greca, lo stesso lib. 3. cap. 181.; e tanti altri, de’ quali parla Omero. E chi potrebbe numerare quelli, che sotto il re Psammetico, e in appresso sempre più vi andarono in folla, al dire di Filostrato Vita Apollon. lib. 5. cap. 24.. op. Tom. I. pag. 206. in Roma, in Italia, in Grecia, e nelle Gallie mai non sono mancate le belle persone; eppure quasi tutti i monumenti loro de’ bassi tempi hanno figure deformi, e quasi spaventevoli.
  6. Ippocrate De aere, aq., & loc. sect. iI. §. 34.. e 44. appunto alla costanza del clima attribuisce l’uniformità di sembianze, che fra di loro aveano gli Egiij. Io ho veduto un monumento antico di quella nazione di granito nero, in cui sono scolpite ventidue figure in forma di mummie a basso-rilievo, tanto fa di loro somiglianti, che pajono fatte colla stampa. Forse avranno appartenuto al sepolcro di qualche famiglia. Per altro quanto ai clima dell’Egitto, abbiamo osservato alla pag. 5. not. c., che non è tutto l’anno uguale, e costante; e chi meglio volesse persuadersene, potrà leggere l'opera di Tolomeo De Apparentiis inerrantium &c., ove dà una minuta descrizione dei venti tempestosi, che vi regnarlo, delle tempeste, freddi ec.; come anche Prospero Alpino De Medic. Aegypt. Lib.i. cap.6. e segg.
  7. Di essi l’osservano Radzivil Jerosol. peregr. epist. iiI. pag. 189., Maillet Descript. de l’Egypt. let. VII. pag. 279.; ma questi, come abbiamo detto sopra, notò che v’erano mummie di volto più e meno belle.
  8. Herod. lib. 2. c. S6. p. 142.
  9. Diod. Sic. lib. 1. §. 91. pag. 102. [ Breves citato dagli autori dell'Hist. univ. lib. 1. cap. iiI. pag. 392. not. †. dice di aver vedute mummie coi capelli, barba, ed unghie ben conservate; ma il signor conte di Caylus nella sua dissertazione sull’imbalsamare degli Egiziani Acad. des inscript. Tom. XXIII. Hist. pag. 127. e 135. pretende, che secondo le regole della chimica, nessuna sorte di pelo potesse conservarsi.
  10. Herod. lib. 2. cap. 30. pag 116. [Nella traduzione di Valla ripetuta da Enrico Stefano si legge erroneamente, ventottomila. Diodoro lib. 1. §.57. pag. 172. scrive, duecentomila e più; e nel lib. 3. §. 3. pag. 173. dice che gli Egiziani erano colonia degli Etiopi, e che da essi aveano imparato ad aver cura dei cadaveri.
  11. Idem ibìd. cap. 100. pag. 148., Diod. Sic. lib. 1. §. 44. pag. 53.
  12. Herodot. lib. 2.. cap. 104. pag. 120., Propert. lib. 2. eleg. 33. v. 15.: fuscis Ægyptus alumnis. [ E solevano per proverbio contrapporsi agli uomini bianchi, come presso S. Zenone lib. 1. Tratt. XV. pag. 116., e ivi la nota dei Ballerini. Più neri erano, e sono quelli dell’alto Egitto, che confinano coll’Etiopia, chiamati perciò anch’essi Etiopi, e neri, Nicolai Lez. iI. dell’Esodo, Tom. VIII. p. 42., Perizonio Orig. Ægypt. cap. 15. Ma tra questi Oro si diceva di color bianco, Plutarco De Isi. & Osir. op. Tom. iI. pag. 359. E.; e Mennone, di cui abbiamo parlato sopra, era piuttosto di color bianchiccio, come scrivono Filostrato Iconum libr. I. cap. VII. pag. 773., ed Eustazio ad Dionysii Periegesin v. 248. Veggasi Jablonski loc. cit. cap. 2. §. 6. Forse di questo colore sarà stata la sposa di Salomone, di cui sopra si è parlato, che Cant. Cantic. cap. 1. v. 4. e 5. si dice nera, fosca, scolorita dal sole. Marziale Epigr. lib. 4. ep. 42. v. 5. e 6. parlando del fanciullo, di cui Winkelmann discorre qui appresso, dice, che pure si trovavano nel ballo Egitto persone di color bianco:

    Sit nive candidior: namque in Mareotide fusca
    Pulchrior est quanto rarior ille color.

    Volea forse dire lo stesso Ammiano Marcellino nel luogo da citarsi qui appresso. Di tutto questo ce ne assicurano anche Filostrato Vita Apollonìi lib. 5, cap. 2. pag. 230., ove scrive, che nel basso Egitto non erano tanto neri gli abitanti, come nell’alto, e nell’Etiopia specialmente, ove erano i più neri di tutti; Pietro della Valle Viaggi Tom. I. lett. XI. §. VIII. pag. 257., ed altri viaggiatori moderni.

  13. Herod. lib. 2. cap. 24. pag.206., Pietro della Valle loc. cit., e presso Kirchero Œd. Ægypt. Tom. iiI. sync. XIII. c. IV. p. 406.
  14. Eustath. ad Odiss. . p. 1484. l. 27 [lo spiega per lo imitare la furberia degli Egizj; e i lessici nell’altro senso.
  15. Lib. 4. epist. 42.
  16. Juv. Sat. 15. v. 45., Quint. l. 1. c. 2.p. 19.
  17. Marziale può intendersi di veri Egiziani, parlando di tutta la Mareotide, come nei versi riferiti poc’anzi. Giovenale citato da Winkelmann non parla di Alessandria, ma di Canopo, città che ne era poco distante: e se ivi, e Sat. 6. v. 84. ne parla come d'una città, in cui la dissolutezza sia arrivata al maggior segno, come anche lo vuol dire Strabone lib. 17. pag. 1153. princ., Stazio Sylv. lib. 3. cap. 2. v. 111., Seneca Epist. 51.; aggiunge però che non era più moderato su questo punto il resto dell’Egitto:

    ...Horrida sane
    Ægyptus; sed luxuria quantum ipse notavi.
    Barbara famoso non cedit turba Canopo.

    Gli Alessandrini erano anche sommamente dissoluti, come abbiamo da Ovidio Trist. l. r. eleg. 2. v. 79., e Quintiliano Inst. Orat. nel luogo citato dall’Autore; e sopratutto, come originarj dai Macedoni, erano pazzamente trasportati per la musica e divertimenti teatrali. Vegg. Dione Grisostomo Orat. 31. Canopo, come più comunemente si vuole dagli antichi scrittori presso Vossio De Orig. Idol. lib. 1. cap. 32., Bottari Mus. Capit. T. iiI. tav. 77., era stato fondato da pochi Spartani ai tempi della guerra di Troja, concorrendovi probabilmente ad abitarlo gli Egiziani; poiché in appresso nei costumi, e nella religione da essi non si distinguevano gli abitanti di quella città. Nella famiglia di Trimalcione, al riferir di Petronio Satyr. pag. 96., v’erano de’ giovanetti alessandrini; ma v’erano eziandio etiopi, pag. 110. e pag. 264., Marziale l. 7. ep. 61. v. 2.; e fanciulle di Memfi, pag. 516.: al che se avesse badato il sig. Paw, non avrebbe anche egli francamente asserito, senza provarlo, Rech. philos. sur les Egypt. ec. sec. par. sect. IV. Tom. I. pag. 252., che i fanciulli, de’ quali parlano Stazio, e Marziale, che tanto si ricercavano dai Romani per la loro vivacità, non erano veri Egiziani; ma nati di qualche famiglia greca stabilita a Neucrati, o nei contorni della Mareotide.

  18. Capitolino in Vero, cap. 8. pag. 429., è quello, che racconta di Apolausto, che fosse dalla Siria condotto in Roma da Lucio Vero. Dice che il di lui nome era Memfi; poi fu detto Agrippa in Roma, e per sopra nome Apolausto. Con che fondamento asserisce Winkelmann, che fosse greco d’origine? Dal primo nome al più si potrebbe arguire, che non fosse nato nella Siria, ma nella città di Memfi; e tanto maggiormente ciò si potrebbe dire, se fosse quello stesso Memfi, di cui parla Ateneo lib. 1. cap. 17. pag. 20. C. come di vero egiziano nato in quella città. Sappiamo, che gli Egiziani, e gli Etiopi, per testimonianza di Luciano Saltar, § 18. 19. op. Tom. iI. pag. 278., volentieri ballavano; e in Roma ve ne era una gran parte, che facevano da istrioni, come osservano Kobierzyhio De Luxu Roman. lib. iI. cap. IV., Demstero ad Rosin. lib. iI. c. XIX. Secondo Ateneo loc. cit. le danze, che si facevano in Memfi, piacevano anche a Socrate. Una poi è l’iscrizione, che Casaubono nelle note al detto luogo di Capitolino, pretendeva spettare ad Apolausto; ma Salmasio nel luogo stesso ha fatto vedere, che vi si parla di altra persona.
  19. Probl. sect. 14. num.4. oper. Tom. IV. pag. 136.
  20. Pignorius Mensa Isiaca, p. 53ì. e segg. [ Questo scrittore prova non solo col passo di Aristotele, ma anche colle figure della Mensa Isiaca, che gli Egizj avessero le ginocchia alquanto piegate in dentro, e le gambe, e piedi storte in fuori, o divergenti. Un tal difetto noi lo veggiamo negli Etiopi anche a' dì nostri, ed è stato ad evidenza rilevato dall’antico scultore di una statua del museo Pio-Clementino in marmo bianco, dell’altezza di 4. palmi e mezzo, non compresa la base, che è di cinqu’oncie, tutta nuda, rappresentante appunto un servo giovanetto di quella nazione. Viene più chiaramente espresso da Petronio, fra gli antichi autori, ove nel Satyr. pag. 365. descrive la forma degli Etiopi, de' quali parla egualmente Aristotele: Numquid a labra possumus tumore teterrimo implere? numquid & crines calamistro convertere? numquid & frontem cicatricibus scindere? numquid & crura IN ORBEM PANDERE? numquid & talos ad terram deducere? Del medesimo parlano probabilmente anche Virgilio, o Settimio Sereno, o altri, che sia l’autore del Moretum, nei versi, che riporteremo qui appresso; Luciano Navig. i. z. Tom. iiI. pag. 246. scrivendo di un giovanetto egiziano, che non poteva esser bello, perchè tra gli altri difetti, era arche di gambe troppo sottili: λεπτὀς ἄγαν τοῖν σκελοῖν tenuis nimis cruribus; ed Achille Tazio parlando di quei ladroni, de’ quali abbiamo fatta menzione sopra nella pag. 47. nota b. De Clitoph. & Leucipp. amorib. lib. iiI. pag. 81. e pag. 70. ediz. dei 1606., ove dice, che erano λεπτοὶ τοὺς πόδας exilibus pedibus, o come ivi si traduce: parvis pedibus. Potrebbe congetturarsi che di esso intenda anche Giovenale, parlando appunto di Egiziani, nella Satyra. 15 v. 47:

    Adde quod & facili s Victoria de madidis, &
    BÆSIS, atque mero titubantibus.

    Ma non è qui luogo da trattenersi a verificare una tal congettura. Ho portato tutte queste autorità per provare simile difetto negli Egiziani; perchè il sigpo Paw Rech. philos. sur les Egypt. & les Chin. Tom. 1. lib. I. sect. I. pag. 58. not. k. scrive di non aver potuto trovare chi confermane il racconto d’Aristotele.

  21. Vegg. Bochart Hieroz. par. I. l. 3. c. 27. pag. 969. [Diodoro lib. 3. §. 8. pag. 178., e §. 28. pag. 194., Teodoreto Serm. 3. op. T. IV. pag. 519. B., Clem. Ales. Strom. lib. 7. n. 4. oper. Tom. iI. pag. 841. princip. Nelle figure egiziane però non vediamo un tal difetto generalmente; e in alcune pare che se ne veda appena un indizio.
  22. Theodoret. Serm. 3. pag. 519. B. oper. Tom. IV.
  23. Gli Egiziani almeno confinanti cogli Etiopi avranno per lo più in qualche cosa partecipato di tutte le sembianze di questi, come abbiamo veduto sopra del colore. Delle fattezze degli uomini etiopi abbiamo veduto come ne parla Petronio nelle parole riportate alla pag. antec. not. b. Delle donne ce ne dà un’elegante descrizione l’autore del Moretum, ivi puro citato:

    Afra genus, tota patriam testante figura,
    Torta comam, labroque tumens, & fusca colore,
    Pectore lata, jacens mammis, compressior alvo,
    Cruribus exilis, spatiosa prodiga planta,
    Continuis rimis calcanea scissa rigebant.

    Infatti Luciano Navig. §. 2. Tom. iiI. pag. 246. riportato già poc’anzi, parlando di un giovanetto egiziano venuto in Roma, scrive che era nero, di labbra grosse, e di gambe fottili e piccole: niger, labiosus, & tenui nimis crure: E per tutte quelle cose avrà detto Eliano De Nat. animal. lib. 4. cap. 54., che gli Egiziani non potevano dirli belli.

  24. Herod. lib. 2. cap. 77. pag. 138.
  25. Radzivil Jerosolym. peregrin. epist. iiI. pag. 190. [S. Atanasio, che era alessandrino, e molto aveva girato per l’Egitto, nella vita di S. Antonio abate, in fine, num. 92. oper. Tom. I. pag. 692., rileva come una cosa particolare, che avesse alla sua morte tutti ancora i denti. Morì peraltro in età di anni 105. Alle mummie, che vengono in Europa, mancano per lo più in qualche parte; come alcuni ne mancano a quella di S. Maria Novella in Firenze, e a quella dell’Accademia di Cambrigia., Middleton Antiq. Monum. Tab. XXII. pag. 256.
  26. lib. 1. c. 35. pag. 86. lib. 27.
  27. Straordinariamente grandi ci descrive Achille Tazio quei ladroni, de’ quali si è parlato poc’anzi.
  28. Amm. Marcell. lib. 22. in fine. [ Homines Ægyptii plerique subfusculi sunt, & atrati, magisque moestiores, gracilenti, & aridi, ad singulos motus excandescentes, controversi, & reposcones acerrimi. Questo passo conferma ciò, che si è detto sopra pag. 64. del colore olivastro, e nero degli Egiziani; e che fossero di temperamento macilente, e secco, del quale ho parlato alla pag. 47. n. b. Colle parole magisque mœstiores, piuttosto maliconici, avremmo una prova sicura del carattere austero, serio, e mesto di molti di quella nazione, se Valesio, nelle note ad esso luogo, non pretendesse dopo Salmasio, che ne fosse guasta la lezione, e non l’emendasse in un senso tutto opposto: & atraci magis, quam moesis oris. Io non mi so accordare a tal correzione; poiché non può negarsi, che molti vi fossero degli Egizj trasportati per la serietà, e malinconia; ma per gli altri generalmente non faranno stati così. Credo di poterlo asserire, considerando, per esempio, che Tifone uno dei primi loro sovrani era stato allegro di molto, e trasportato per il ballo, per cui radunava quanti mai vi erano in Egitto uomini più licenziosi, e petulanti, Sinesio De Provid. lib. 1. pag. 92. B.; e Amasi altro sovrano era anch’esso di umor gajo, e licenzioso, Erodoto lib. 2. cap. 61. pag. 132. Eliano De Nat. Anim. lib. 10. cap. 23., Massmo Tirio Dissert. 8. §. 5., e da tanti altri; onde ebbe a dire Apulejo De Deo Socr. op. T. iI. p. 685.: Ægyptiaca numina ferme plangoribus, graca plerumque choreis (gaudent); ma nel resto delle stesse feste, e in tutte quelle altre, in cui avea parte il popolo, per lo più si andava agli eccelli dell’allegrezza, e vi si commettevano le maggiori indecenze del mondo, empiendosi di vivande, e di vino, e cantando, e ballando pazzamente. Vegg. Erodoto loc. cit. Diodoro lib. 1. §. 85. pag. 96. Strabone l. 17. pag. 1153. princ., Goguet Della Orip. delle leggi ec. Tom. I. par. I. lib. VI. cap. iI. verso il fine. I Marinari nei porti, e i barcajuoli del Nilo cantavan sempre, e facevan festa, come narra Achille Tazio De Clitoph. & Leuc. amor. lib. 5. pag. 123. Quello poi, che osserva Ateneo, nativo di Neucrati, lib. 1. in fine, pag. 34., che gli Egiziani cioè fossero gran bevitori; che per poter bere anche prima del pranzo mangiavano in principio dei cavoli lessati; e che col zito, bevanda fatta con l’orzo, si rallegravano a segno, che cantavano, e ballavano come gli ubbriachi, ci fa credere, che quelli, che erano dominati da malinconia, cercassero tutti i mezzi di liberarsene. Mi resta qui ad osservare intorno allo spirito degli Egiziani, che essi erano gente astuta, al dire di Sinesio Calvit. encom. pag. 71. princ.; e come diceva Giuliano l’Apostata presso S. Cirillo Alessandrino Contra Julian. lib. IV. p. 116. A. oper. Tom. iI., in scaltrezza, sagacità, ed ingegno superavano i Greci, e i Romani: per la qual cosa dovremo considerarli come una eccezione della regola, che Winkelmann ha stabilita sopra pag. 50. §. 9.
  29. Plutarc. in Licurgo, op. Tom. I. p. 53. A., in Pericle, pag. 160. B.
  30. Thucyd. lib. 3. cap. 104. p. 230. Vegg. Taylor Comment. ad Marmor. Sandvic. p. 13.)
  31. Dio Chrysost. Orat. 11. pag. 162. C [Dice solamente della poesia, che, come seducente, non fosse permessa in Egitto. Ma questo ancora dovrà intendersi con discrezione; essendo certo, che v’erano inni sacri; che si cantava da tutti in tante occasioni, come già si è osservato, e si ridirà in appresso, principalmente dai Terapeuti, che in gran parte ancora erano poeti, come scrive Filone De Vita contempl. pag. 893., Mamachi Orig. & Ant. Chrift. Tom. I. lib. I. cap. 1. §. V. pag. 21. San Gio. Grisostomo Homil. VIII. in Matth. num. 4. oper. Tom. VII. p. 126. B. dice, che l’Egitto era una volta il paese dei poeti; probabilmente volendo dire dei tempi avanti Gesù Cristo, e dei detti Terapeuti: e Mosè, il quale dopo il passaggio del mar rosso compose con estro divino quel sublime cantico registrato nell’Esodo cap. 15., avrà imparato a far versi nella corte, ove fu educato, ed istruito in tutte le scienze degli Egiziani, Actuum Apost. cap. 7. v. 22. non avendo noi fondamento di credere, che l’arte poetica egualmente gli fosse ispirata, come pretende Racine Acad. des Inscript. Tom. XXIII. Hist. pag. 93. e seg.
  32. Geogr. Lib. 17. pag. 1169.
  33. Strabone in questo luogo parlando del tempio di Osiride in Abido, nota come cosa straordinaria, che in esso non si desse principio ai sagrifizj con canti, ed istrumenti, come si usava nei sagrifizj di tutte le altre divinità: il che è ben diverso da quello, che gli sa dire il nostro Autore: Abydi Osiris colitur: in ejus templo non licet nec cantori nec tibicini, nec citharedo sacrificium auspicari, quemadmodum mos est aliis diis. Da Clemente Alessandrino Strom. 1. 6. n. 4. op. Tom. iI. pag.757. lin. 10. abbiamo parimenti, che nelle cerimonie religiose il cantore precedeva tutti gli altri, portando simboli musicali. Il sig. Jablonski De Memnone ec. Synt. . cap. 4. §. 8. crede, che nel detto tempio soltanto si cantassero, e suonassero per più volte sette lettere vocali, come se fossero stati inni in onore di quel dio; fondandosi sopra Demetrio Falereo, il quale nel suo libro De Elocut. §. LXXI. scrive: In Ægypto vero, sacerdotes edam per VII. vocales, quasi hymnis deos celebrant, dum eos ordine continuo sonant, & apud ipsos loco tibiæ, & citharæ litterarum harum sonus auditur ab suavitatem vocis. Ma non pare, che un tal luogo possa intendersi del tempio, di cui parla Strabone; perocché se questi escludesse gli strumenti da tutte intiere le funzioni, che in esso si facevano, ne escluderebbe anche ogni forte di canto, mettendo questo al paro di quelli; e non potrebbe quindi neppure aver ivi luogo il canto delle lettere vocali.
  34. Della musica degli Egizj, e de’ loro musicali stromenti parla fra gli altri assai diffusamente, e con molta erudizione il ch. P. Martini nella sua Storia della musica, Tomo I, cap. 11. pag. 75. Egli adduce a questo proposito l’autorità di Platone, di Diodoro, di Filone, di Clemente Alessandrino, e di altri; e molto s’appoggia al racconto, che leggiamo nella Bibbia, del culto prestato dagli Ebrei al vitello d’oro coi cori: la qual cola certamente dovevano aver appresa dagli Egizj.
  35. Platone De Legib. lib. 2. oper. Tom. iI. pag. 656. E., e pag. seg. scrive, che non solamente vi era da tempi antichissimi in Egitto la musica; ma che vi erano leggi pubbliche invariabili, che la regolavano; e alcune composizioni egli le aveva trovate si belle, che credeva, che altri non ne fosse l’ autore, che un dio, o qualche uomo divino: aggiungendo, che dalla dea Iside si credevano composte certe canzoni, che cola si cantavano, probabilmente nelle di lei feste.
  36. Di cui si parlerà più a lungo in appresso lib. XI. cap. l. §. 6. e 7. Si può dire, che in tutte le loro benché piccole feste si usavano strumenti, e si cantavano inni. Così fu anche fatto, come riferisce Filostrato Vita Apollon lib. 5. cap. 42. in fine, quando fu accompagnato fino all’alto Egitto dai Sacerdoti quel leone, nel quale disse Apollonio, che vi era l’anima di Amasi antico loro sovrano.
  37. Tom. iI. tav. 59. e 60.
  38. Bont. De Medic. Ægyptior. pag. 6.
  39. Qui pare che l’ Autore contradica a ciò, che scrive sopra pag. 54. §. 14.
  40. No: la vita solitaria ha avuto probabilmente il suo principio nella Palestina, o almeno là vi erano monaci prima che in Egitto, come ne convengono gli antichi scrittori. Veggansi presso Redinghio Veritas vindex annal. Baronii, cent.1., Bulteau Essai de l’hist. monastiq. d’orient, lib. 1. cap. i. 2., il card. Nicola Antonelli Dissert. de Ascetis, cap. 1. & 2. tra le opere di S. Giacomo Nisibeno pag. 107. segg., Paciaudi de Cultu S. Joantis Bapt. Antiq. Christ. dissert. 3. c. 5. p. 185.
  41. Fleury Istor. ecc’. Tom. VII. lib. LXX. cap. IX. pag. 191. [ Dice di tutto l’Egitto, e ne conta in numero di settantasei mila. Molti non faranno stati Egiziani; sapendosi che colà vi si portavano da tutte le parti, perchè vi fioriva la virtù, e i luoghi erano più opportuni per la vita solitaria, e per sottrarsi alle persecuzioni dei gentili.
  42. Herod. lib. 2. c. 147. pag. 175.
  43. Odyss. lib. 17. v. 448. V. Blackwall’s Enquiry of the life of Homer, pag. 245 [ La ragione, per cui Omero da all’Egitto l’epiteto di amaro, è relativa alli guai, e disgrazie, che vi aveano sofferte i Greci, non al carattere della nazione: e basta leggere quella parte di discorso per esserne persuasi senza bisogno d’interprete.
  44. V. Walton Biblicus appar. ad Polyglott. Proleg. z. §. 18. pag. 226.
  45. Spartian. in Hadr. pag. 6. [Non perchè non si trovasse; ma perchè avendolo trovato contrastavano diverse città dell’Egitto fra di loro a quale toccasse di custodirlo; e probabilmente, come osserva il signor Paw Recher. philos. sur les Egyptiens & les Chin, prém. par. sect. iiI. Tom. I. pag. 171, la città d’Alessandria volea togliere questo privilegio a Memfi, ove sempre si era venerato per lo avanti, e lo fu anche in appresso. Diodoro lib. 1. §. 85. pag. 96. princ., Plutarco de Iside, & Osir. oper. Tom. iI. pag. 359. B., Luciano Deor. conv. §. 10. oper. Tom. iiI. pag. 690., Solino cap. 32., Amm. Marcellino lib. 22. cap. 14.
  46. Plutar. de Isid. & Osir. oper. Tom. il. pag. 380. B., [Giovenale Sat. 15.; e nei secoli dopo ancora, Giulio Firmico Octav. princ.
  47. De la Sauvagere Rec. d’antiq. dans la Gaule, pag. 329., De la Croix Relat. univ. de l’Afriq. Tom. I. prém. part. sect. IV. §. 6.
  48. Gedanken &c., cioè Pensieri su l’imitazione de’ greci lavori, pag. 90.
  49. Il Tau greco avea presso i Greci d’Egitto la forma d’una croce, come rilevasi da un prezioso antico ms. in pergamena del nuovo Testamento Siriaco, nella biblioteca di Sant’Agostino a Roma. Questo ms. è in foglio dell’an. 616., con note marginali greche. Fra le altre io vi ho notata la parola in luogo di ΗΤΑΙΡΕ. [ Lasciata da parte l’antichità di questo codice, che da qualche bibliografo si diminuisce senza ragione, mi tratterrò soltanto sulla forma del Tau, che vi ritrova il nostro Autore; riportando intorno ad essa la risposta, che mi ha gentilmente favorito il P. M. Agostino Giorgi bibliotecario della detta libreria Angelica, la di cui grande perizia nelle lingue orientali è ben nota alla Repubblica letteraria principalmente per l’illustrazione dell’Alfabeto Tibetano, e della Iscrizione Palmirena inserita in appendice del quarto volume del Museo Capitolino.
    „Il signor abate Winkelmann uomo di grande ingegno, e di vastissima erudizione in ogni genere di profana, e sacra antichità, osservò in due diversi giorni il codice siriaco da lui citato della Biblioteca Angelica; e ne raccolse o tutte, o almeno in gran parte le voci greche sparse pe’ margini laterali, e intercolonnari de’ fogli scritti a due colonne; ma ben mi rammento, che egli ciò fece in fretta, e senza aver prima meditata la relazione, che le dette voci hanno col siriaco testo. E però non dee recar maraviglia, se egli al fogl. 38. col. 2. lin. 2. ha malamente creduto, che nella corrispondente marginale εχαιρε, il χ fosse un + simile al egiziaco; onde ha poi pensato che lo εταιρε fosse scritto in iscambio d’εταιρε; quantunque meglio farebbe stato, se in vece d’εταιρε avesse detto ἕταιρε poiché in Esichio trovo ητερα, forse per ἡ ἕτερα o ἄτερα, ma non ηταιρα o ηταιρε.
    Ora se codesta voce si riferirà a quel luogo del testo siriaco, a cui veramente ella risponde, si ritroverà senza fallo, che la lettera presa dal signor Winkelmann per un greco - egiziano, è un vero χ, e che anche la stessa voce possa dallo Scrittore delle marginali greche nell’addotto luogo del codice, è un errore originale. Imperocchè la vera lezione non è εχαιρε ma bensì χαῖρε.
    L’Autore della versione siriaca Filosseniana, qual’è quella del nostro codice fatta sul testo greco, al cap. 26. di S. Matteo v. 49., non avendo in pronto dalla lingua sira un vocabolo, o una frase eguale al χαῖρε Ῥαββί. ave Rabbi; con quel χαῖρε marginale ha voluto indicare, che nel testo della versione siriaca si è tradotto ad litteram lo stesso χαῖρε Ῥαββί dal greco. In fatti non v’è altra differenza tra il testo, e la versione, che quella semplice della diversità delle lettere, le une greche, e le altre siriache. Onde nella versione si legge ܚܪܝ ܪܒܝ appunto come sta nel greco χαῖρε Ῥαββὶ."
    A queste critiche, e giuste riflessioni noi aggiugneremo, che in qualunque parola di dette marginali, e intercolonnari si trovi la lettera, che assomiglia alla +, essa fa certamente la vece del χ, al quale è molte volte anche quasi del tutto simile; come in parte assomiglia nella addotta da Winkelmann, che ho emendata sull’originale: e in quelle altre parole, nelle quali occorre il Tau, esso viene fatto costantemente come è solito τ. Nell’alfabeto greco del sesto secolo presso il P. a Bennettis Chronol. & crit. hist. &c. par. I. Tom. I. proleg. §. CVII. pag. 226. osservo, che la forma di croce greca la aveva il ψ.
  50. Pietro della Valle, che acquistò questa mummia nel suo viaggio in Egitto, nella descrizione, che ne dà nella lettera XI. n. VIII. Tom. I. pag. 259, riportata anche dal Padre Kirchero Œdip. Ægypt. Tom. iiI. synt. XIII. cap. IV. pag. 407., dice che essa fu trovata nei sotterranei di Memfi, e che ha geroglifici, come li vediamo anche nel disegno datone dal P. Kirchero loc. cit., e scritta con tinta nera la detta parola sopra una fascia alla cintura. Tutte queste cose sono argomenti da credere la mummia egiziana; né avremo ragione di crederla piuttosto dei tempi dopo Cambise. E volendo ancora supporre, che la iscrizione sia greca, non potremmo asserire, che sia il defunto qualcuno di quei tanti Greci, che si portarono in Egitto, e in Memfi stessa, e vi ebbero onori, e cariche prima di Cambise, come diremo appresso nel capo iI. princ. not. r. ? Ma per provare, che si continuò ad imbalsamare i cadaveri anche dopo Cambise, potremo ricorrere all’autorità di Diodoro, che viaggiò colà ai tempi di Augusto, e lib. 1. §. 91. pag. 101. discorre di tal funzione, come di cosa che si usava a’ suoi giorni; come ne parla Luciano de Luctu in fine, e come ne avea scritto anche Erodoto lib. 2. c. 86. pag. 142., il quale pure visse, e andò in Egitto dopo Cambise; e S. Atanasio nella vita di S. Antonio abate, il quale morì nell'anno 357. dell’era volgare, n. 90. Tom. I. part. iI. pag. 689., probabilmente intendeva parlare di mummie, scrivendo, che in Egitto i corpi degli uomini pii, e de’ martiri in ispecie solevano involgersi in pannilini, e conservarsi nelle case dai fedeli, come usavano anche i gentili.
  51. Erodoto lib. 7. cap. 2. pag. 506. Tucidide Hist. lib. 1. cap. 104. segg. pag. 67. segg., Hist. univers. Tom. I. lib. I. ch. iiI. sect. V. p. 491. Si veda qui appresso c. iI. princ. not. 1.
  52. Ora nel Museo Pio-Clementino. Se ne riparlerà nel capo iiI. §. 10. e 11.
  53. Gli Egizj hanno conservato la stessa religione fino al quarto secolo dell’era volgare, e poco più, come tutti gli scrittori di quel secolo ce lo attestano, e fra gli altri Ammiano Marcellino lib. 22. cap. 14., Ausonio Epist. ultim. v. 20. e segg., Prudenzio Peristephan. v. 255. segg., in Symmach. v. 38. segg., Giulio Firmico Oslav. princ., Sant’Atanasio Vita S. Ant. num. 75. oper. Tom. I. par. iI. p. 680. Finalmente colla legge di Teodosio il grande emanata l’anno 391., e registrata nel Codice Teodosiano lib. 16. tit. 10. leg. 11. fu proscritta, e distrutti vennero i tempj degl’idoli, o convertiti in chiese dei cristiani. E qui può dirsi, che avesse fine l’Arte del Disegno presso gli Egizj. Fino a quelli tempi si era mantenuta probabilmente con qualche riputazione; sapendosi da Sinesio, che appunto scriveva in fine del quarto secolo, Calvitii encom. p. 73., che i sacerdoti continuavano ancora ad avere lo stesso impegno, affinchè gli artisti nulla alterassero di quello prescrivevano le leggi intorno alle figure de’ numi: Ægyptiorum sane prudens ea in re institutum est, apud quos qui ex prophetico genere sunt sordidis, atque illiberalibus opificibus deorum simulacra nequaquam permittunt, ne quid tale contra leges, juraque moliantur. Ammiano Marcellino l. cit. cap. 16. non ha difficoltà di asserire, che dopo il Campidoglio non v’era al mondo tempio alcuno più magnifico di quello di Serapide, ove erano statue, che parevano vive, simulacra svirantia: ed il signor Paw Recherch. philof. sec. part. sect. IV. pag. 26o. not. h. crede probabile, che gli Egizj continuassero ad imbalsamare i cadaveri fino al regno di quell’imperatore. Vedi qui avanti.
  54. Euseb. Præv. Ev. lib. 2. c. 6. p. 72. B.
  55. Paus. lib. 8. cap. 9. pag. 617. lin. 18. v. Pococke Descript. of the East. ec. Tom. I. book iI. chap. I. pag. 73.
  56. Anzi gli Egiziani stessi, e le più cospicue città della Grecia, e dell’Asia di propria volontà alzarono tempj, e boschi sacri, istituirono oracoli, sacerdoti, giuochi, e feste, batterono medaglie in onore di Antinoo, e lo rappresentarono fotto la sigura, e i simboli delle loro divinità, per cattivarsi la benevolenza di Adriano, per altro ben voluto; e a fine di ottenerne poi benefizi, e privilegi alle loro comunità. Vegg. Buonarroti Osservar. istor. sopra alcuni medaglion. cap. iI. pag. 25. e segg., e Bottari Museo Capit. T.iiI. tav. 56.
  57. Herodot. lib. 2. cap. 91. pag. 143.
  58. Vedi appresso al capo iI. pag. 79.
  59. De Leg. lib. 2. oper. Tom. iI. pag. 656. in fine. [ Platone pensava forse più da filosofo, che da storico, e da artista, quando scrisse in questo luogo, che le statue, e le pitture, che si facevano in Egitto a’ suoi giorni, non erano nè più belle, nè più brutte, nè differenti per che siasi da quelle di diecimila anni prima; perchè fatte a norma di quello era prescritto ne’ libri sacri. Io ammetto, che vi fossero delle forme determinate dai sacerdoti per le figure delle divinità, e per li geroglifici; ma non potrò giammai credere, che essi avessero stabiliti tutti i soggetti anche di altro genere, e le loro forme, da copiarsi in appresso materialmente dagli artisti; né che fossero queste poi tutte di uno stesso tenore né più belle, nè più brutte degli originali dei libri. Noi vediamo per esempio le figure dell’obelisco del sole in Campo Marzo più belle di tante altre; ed abbiamo dagli storici, che si facessero dei lavori di maggior eccellenza di altri; come per esempio ci attesta Diodoro lib. 1. §. 46. p. 55. delle pitture, e sculture del sepolcro del re Osimandue, che non avessero le uguali; e così anche di quelle, colle quali i dodici sovrani, che contemporaneamente governarono l’Egitto, fecero adornare il loro sepolcro, che fossero fatte con un impegno, e diligenza straordinaria, §. 66. pag.76. E siccome le une, e le altre, secondo che le descrive il lodato Diodoro, e come in parte si vede di quelle del detto sepolcro di Osimandue nelle tav. 42. 43. presso Pococke Tom. I., rappresentavano cose diverse, non più vedute, e in diversi atteggiamenti, non potevano certamente esser cavate dagli antichi archetipi dei sacerdoti. Lo stesso Pococke liv. I. chap. iiI. pag. 61 dice di aver osservato negli avanzi del tempio d’Iside nella citta di Butiride, di cui parla Erodoto lib. 2. cap. 59. p. 132., i geroglifici di una scultura squisita, e le figure delle divinità e dei sacerdoti di una maniera, da lui non veduta altrove.
  60. Herod. lib. 2. cap. 143. pag. 174., Diod. Sicul. lib. 1.§%. 44. pag. 53.
  61. Id. ibid.
  62. Diod. Sicul. ibid. §. 47. e seg. pag. 56.
  63. Plat. Polit. pag. 190. D. oper. Tom. iI. [Plutarco De Iside & Osir. dopo il princ. Si vegga appresso al capo iI. §. 15.
  64. Già abbiamo fatto osservare alla pagina 12. nota A., che secondo Diodoro ne furono onorati Dedalo, ed altri Greci. Lo stesso scrittore lib. 1. §. 26. pag. 31. princ. scrive, che in un tempio di Osiride vi erano le statue di certi giganti in mostruosa forma, che ogni giorno venivano flagellate dai sacerdoti in segno di detestazione del loro attentato; e §. 48. pag. 58. princ. parla delle trenta statue di legno collocate nel monumento d'Osimandue, rappresentanti altrettante persone in atto di guardare giudici, che amministravano la giustizia. Le casse delle mummie in legno, e in pietra, dorate, o dipinte, o scolpite, nella effigie del morto, sono innumerabili.
  65. Secondo Erodoto lib. 2. c. 167. p. 185. gli artigiani si consideravano per la classe più alta del popolo; ma secondo Diodoro lib. 1. §. 74. pag. 85. 86., e §. 92. pag. 103. lin. 70. non v’era distinzione, e tutti gli Egiziani si riputavano fra di loro egualmente nobili. Per il nostro proposito credo vi fossero artisti meno stimati, e considerati come più vili; ed altri più riguardevoli, e distinti, come erano quelli, che lavoravano alle statue degli dei, e agli altri oggetti di religione. Parmi che ciò si rilevi da Sinesio sopra pag. 71. not. c.
  66. Paw lo nega nelle sue Rech. philos. sur les Egypt. ec. sec. part. sect. IV. T. I. p. 264.; e noi esamineremo meglio la questione nelle osservazioni a Goguet Tom. iI. par. iI. lib. 1. cap.iiI., e Tom. iI. part. iiI. lib. I. cap. IV., ove a lungo se ne parla.
  67. Se pochi progressi fecero gli Egizj nelle arti della scultura e della pittura, ben maggiori cose fecero in architettura; tali almeno che se non dimostrano il loro buon gusto, fanno però vedere quanto versati fossero nella meccanica, e quali sublimi idee concepissero. Fanno di ciò fede i monumenti rammentati dagli antichi, cioè i mausolei, il faro d’Alessandria, i due tempj di Sais, l’uno, e l’altro di Butos, ciascheduno di un solo masso di dura pietra, Herodot. lib. 2. cap. 155. pag. 160., e c. 175. pag. 189. Avea il primo cubiti 21. egiziani dì lunghezza, 14. in larghezza, e 8. in altezza, pel cui trasporto impiegaronsi tre anni e due mila persone: il secondo avea 40. cubiti per ogni dimensione, ma il coperchio era d’un masso staccato. [Si veda il sig. conte di Caylus, che gli illustra amendue a lungo Acad. des Inscr. & beli. lettr. Tom. XXXI. Hist. pag. 23. e segg.] Un monumento tuttora esistente sono le piramidi, immense moli sovente d’un sol masso, che si ammirano come opere superiori alle forze umane. [Piramidi d’un sol masso di pietra non vi sono state mai. Bensì vi furono adoprate, principalmente per intonacarle al di fuori, delle pietre di smisurata grandezza. Leggasi Goguet Della Origine delle leggi, delle arti ec. T. iiI, pant. iiI. lib. iI. capo iI.
  68. Fra le cagioni del poco progresso delle arti in Egitto si deve annoverare una legge riferita da Eliano Hist. var. lib. 4. cap. 4., per cui, almeno secondo l’interpretazione di Schefero, e di Kunio not. in Ælian., punivansi i pittori e gli scultori, che lavoravano male. Bisognava ricompensare i buoni artisti, e non punire i cattivi, già castigati abbastanza dal loro medesimo lavoro. V. Recher. phil. sur les Egypt. &c. Tom. I. sec. part. sect. iV. p. 246. [Eliano, e il signor Paw, che lo cita, parlano di Tebe in Grecia; ed io credo piuttosto con Perizonio nelle note al detto luogo di Eliano, che la legge vada intesa della deformità morale, ossia dell’immodestia delle statue.
  69. Diod. Sic. lib. 1. §. 47. pag. 56. [Sì, se questo passo di Diodoro, per comun sentimento, non fosse guasto. Secondo la volgare lezione si traduce: In aditu tres statuas videri ex uno saxo omnes, Memnonis Syenita (opus). Vesselingio ivi nella nota, dopo Salmasio Exerc. in Solin. cap. 32. pag. 337., vuole si legga τεμνομένους in vece di μέμνονος, cosicchè dica: videri ex uno omnes lapide syenite cæsas. Jablonski De Memnone &c. Synt. 3. c. 5. §. 3. colla sola trasposizione di μέμνονος rende il senso più chiaro, e giufto: In aditu perhibent, tres slatuas videri, omnes ex uno lapide. Syenite videlicet. Harum unam Memnonis sedere, omnium in Ægypto maximam: riferendolo al celebre Mennone, di cui parlammo pocanzi pag. 66. not. *.; e di lui credo parli Diodoro veramente, non di altro Mennone scultore. La statua propriamente era una, cioè quella di Mennone sedente colle mani stese sulle ginocchia. Le due altre che rappresentavano la di lui madre, e la figlia erano scolpite alla base, ove sedeva, una da una parte, l’altra dall’altra, come racconta Diodoro loc. cit., e si può vedere nella figura presso Jablonski loc. cit. pag. 71. Tab. I., Pococke Description &c. Tom. I. pag. 102. Tab. XXXVI., e nella tavola IV., che noi aggiugneremo in fine del volume, cavata da questi due scrittori.
  70. Il signor Paw loc. cit. pag. zyo. nega a Winkelmann, che in Egitto s’ignorasse l’anatomia. „ Si sa, dic’egli, che alcuni re d’Egitto hanno fatti anatomizzare de' corpi, umani per conoscere l’origine di certi mali.... Manetone, assai versato nelle cose egiziane, riferisce nella sua storia, che un re d’Egitto ha composto un libro sull’anatomia, o piuttosto fu l’arte d’imbalsamare, la quale esercitandosi su i corpi umani, d’amendue i sessi, e su venti o trenta differenti specie di bestie dovea procurare a que’ popoli delle nozioni superiori a quelle che hanno oggidì gli Asiatici, i quali non per altro hanno in orrore la notomia, se non perchè in que’ paesi caldi i cadaveri presto infradiciscono, e puzzano... Altronde l’ignoranza della notomia non dovea punto ritenere gli statuarj dall’esprimere i musculi, i nervi, le vene, le ossa ec...." [Così per esempio non avranno anatomizzato i Satiri; eppure Callistrato Statuæ, num. l. oper. Philostr. Tom. iI. pag. 890. parla di uno di essi scolpito in marmo in un antro di Tebe, cui si vedevano le vene sulle braccia molto ben rilevate. Io tengo per certo, che gli Egiziani non fossero tanto poco versati nell’anatomia; e ne discorreremo più opportunamente nelle annotazioni alla parte I. libro iiI. capo I. artic. iI. Della Origine delle leggi, delle arti ec., ove il signor Goguet ne tratta diffusamente.
  71. lib. 1. §. 91. pag. 102. Ne eccettua però l’incisione per imbalsamarlo, la di cui grandezza era determinata da una legge. Io no inserita nella pagina appresso una parte di pittura fatta sulle fascie di una mummia, e riportata dal P. Kirchero, nella quale si rappresenta la funzione d’imbalsamare. Vi si vede il cadavere steso su d’una tavola, sotto alla quale stanno due vasi degli aromi, che vi si adopravano. Due incisori con un cortello alla mano fanno i tagli necessarj; uno al fianco sinistro per estrarne le viscere, e poi mettervi dentro gli aromi; l’altro, per quanto mi pare, fa un buco intorno allo sterno, o bocca dello stomaco per intrudere così una parte di aromi nel torace, e lasciare illeso il diaframma. Gli antichi scrittori, che io sappia, non fanno parola di questo secondo taglio; e perciò il signor Goguet Della Origine delle leggi ec. Tom. I. par. I. l. iiI, capo I. art. iiI. in fine n. 2. non avendo veduto quella pittura, non ammette che il taglio del fianco; confessando però nel tempo stesso, che non sa capire, come gli Egiziani potessero introdurre i balsami nel petto,