Vai al contenuto

Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro secondo - Capo II

Da Wikisource.
Libro secondo - Capo I

../Libro secondo - Capo I ../Libro secondo - Capo III IncludiIntestazione 18 novembre 2014 75% Storia dell'arte

Libro secondo - Capo I Libro secondo - Capo III
[p. 77 modifica]


Capo II.


Varj stili dell’arte egiziana — Stile antico nel disegno del nudo... considerato nella figura intera dell’uomo — Differenza tra questa e la figura degli animali — Parti dell’umana figura — Capo... mani e piedi — Osservazione sulle statue restaurate — Figure degli dei... con teste d’animali... e interamente umane... Sfingi — Disegno del panneggiamento... nelle figure femminili — Della berretta... de’ calzari ed altri fregi.


Varj stili dell’arte egiziana. Possiamo fissare tre epoche delle arti del disegno presso gli Egizj, e quindi distinguere tre stili o maniere differenti. La prima epoca sembra aver durato dall’origine delle arti in Egitto fino alla conquista fattane da Cambise; e nei monumenti di que’ tempi scorgesi il primo stile. La seconda comprende il tratto di tempo, in cui gli Egizj ai Persi ed ai Greci soggiacquero; e allora gli artisti nel secondo stile [p. 78 modifica]lavorarono1. Il terzo, detto stile d’imitazione, fu introdotto probabilmente sotto l’impero di Adriano, a’ cui tempi furono più che mai imitati gli egiziani lavori. Parleremo dei primo stile in questo capo, e degli altri nel seguente.

[p. 79 modifica] Stile antico nel disegno del nudo §. 1. Il disegno del nudo presso gli Egizj ha nel più antico stile de’ caratteri particolari, pe’ quali non solo dal disegno delle altre nazioni si distingue, ma ben anche da quello degli Egizj della seconda epoca. Si scorgono questi caratteri sì nel contorno della figura intera, che nel dileguo e nella forma d’ogni singolar parte di essa.

[p. 80 modifica] ... considerato nella figura intera dell'uomo. §. 2. Il più generale e più rimarchevole distintivo del disegno del nudo in quel primo stile degli Egizj si è di non incontrarsi mai nelle loro figure se non linee rette, o pressochè rette; proprietà, che le loro fabbriche pur distingue e i loro ornati. Perciò ai lavori egiziani, secondo l’espressione di Strabone2, mancavano e l’aria pittoresca e le Grazie, divinità in Egitto non conosciute3: Πολύστιλος, οἶκος ἐν Μέμφει, dic’egli parlando d’un tempio di Memfi, οὐδὲν ἔχει χαρίεν ... ὀυδὲ γραφικόν. L’attitudine delle figure è ritta e forzata; ma i piedi paralleli e strettamente insieme uniti, quali da alcuni autori descrivonsi come un carattere distintivo delle figure d’Egitto, e quali pur si veggono nelle antichissime figure in bronzo degli Etruschi, trovansi soltanto nelle figure sedenti; nelle figure in piedi non fono già paralleli, ma l’uno passa avanti l’altro. V'è nella villa Albani una figura virile alta palmi quattordici, in cui la distanza da un piede all’altro oltrepassa i tre palmi. Le braccia nelle figure virili generalmente sono diritte, pendenti lungo i fianchi, e come attaccate ad essi: quindi è che tali figure aver non possono nessun’azione, poiché questa col movimento delle braccia e delle mani generalmente s’esprime. La mancanza d’azione però non è sicuro argomento dell’inscizia degli scultori, ma piuttosto d’una certa norma fissata e ricevuta presso quegli statuarj, per cui tutte le statue virili dovean essere formate sul modello stesso. Diffatti sugli obelischi e in altre opere non [p. 81 modifica]hanno eglino messe le figure in azione? Delle statue medesime forse alcune ebbero un braccio in atteggiamento, come aver lo doveva naturalmente la statua di quel re che tenea un sorcio nella mano4, se pur non era quella una statua sedente5. Nelle figure femminili pende solamente lungo al fianco la man destra, e la sinistra sta piegata sotto il petto; amendue però le braccia pendono diritte a quelle che accompagnano la statua di Mennone6. Varie figure siedono sulle gambe ripiegate sotto, o s’appoggiano sulle ginocchia, che perciò chiamarsi potrebbono engonasi7; e tale è l’attitudine dei tre dii nixi8 che stavano a Roma innanzi alle tre cappelle di Giove olimpico.

§. 3. Gli Egizi nelle loro figure con grossolana semplicità disegnate poco indicavano le ossa e i musculi, e meno ancora i nervi e le vene; ma le ginocchia, le caviglie delle gambe, e i gomiti faceansi rilevati quali sono naturalmente. Non vedeasi punto il dorso alle statue, poiché erano appoggiate ad un pilastro formato col sasso medesimo.

Differenza tra questa e la figura degli animali. §. 4. Ma questi caratteri generali dell’antico stile egiziano, cioè i contorni rettilinei e la poca espressione delle ossa e de’ musculi, non hanno luogo nelle figure degli animali. Tra quelli meritano una particolare attenzione la sfinge di [p. 82 modifica]basalte esistente nella villa Borghese9, i due leoni che sono all’ingresso del Campidoglio, e i due altri della Fontana Felice10: essi son lavorati con molta intelligenza; ne son molli e con graziosa varietà ondeggianti i contorni, e le parti tutte senza interrompimenti ben distinte e svelte. Le grosse apofisi fotto le anche, sì poco riconoscibili nelle figure umane, scorgonsi espresse negli animali colla maggior eleganza, come lo sono ancora le ossa delle cosce ed altre. Notisi che nei leoni della Fontana Felice sono incisi de’ geroglifici, che non hanno gli altri summentovati nè la sfinge, e vi si scorgono altri chiari indizj d’egiziano lavoro. Le sfingi dell’obelisco del sole, che sta in Campo Marzo, sono del medesimo stile, e con grandissim’arte e diligenza ne sono lavorate le teste11.

§. 5. Da quella differenza di stile, che v’ha tra le figure umane e quelle de’ bruti, conchiuder deggiamo che la religione medesima determinasse le forme, con cui esprimevansi le divinità e le persone sacre, tra le quali, siccome sopra osservammo, annoveravansi pure i re; e che nel rappresentare gli animali avessero gli artisti una libertà maggiore, onde dar prove della loro abilità. Per formarci un’idea del sistema delle antiche arti in Egitto riguardo alla rappresentazione delle umane sembianze, figuriamci che adottata fosse colà la legge di Creta e di Sparta, ove nemmeno d’un punto era lecito dalle antiche usanze scostarsi: solo creder dobbiamo che i bruti non fossero compresi nelle leggi rigorosamente prescritte a quegli artisti12. [p. 83 modifica] Parti dell'umana figura. Capo... §. 6. Per ben giudicare del disegno del nudo deggiamo separatamente trattare delle parti estreme della figura, cioè del capo, delle mani, e de’ piedi. Nelle teste egiziane gli occhi sono piani e porti obbliquamente: non sono profondamente incavati, come nelle statue greche, ma quasi a fior di testa; piane o compresse pur ne sono le sopracciglia che soltanto da una leggera e sottil prominenza veggosi indicate. Nelle figure egiziane, che hanno molto ideali le forme senza però avere una bellezza ideale, gli artisti non mai giunsero ad esprimere negli occhi e nelle ciglia l’idea del grande, siccome poscia fecero i Greci internando maggiormente la pupilla, onde nascono de’ lumi e delle ombre che fanno un grande effetto13. Le ciglia, le palpebre, e gli orli delle labbra per lo più sono indicati soltanto con linee incavate. In un’antichissima testa muliebre di grandezza naturale in basalte verde, esistente nella villa Albani, la quale ha gli occhi [p. 84 modifica]scavati, le ciglia sono indicate da una striscia piana alquanto prominente e larga quanto l’ugna del dito mignolo; estendesi fino alle tempia ov’è tagliata ad angolo: dall’orbita inferiore della cavità dell’occhio parte una simile striscia, e termina come la precedente. Gli Egizj non aveano nessun’idea de’ proffili diritti e gentili delle teste greche, e davano alle loro un naso fimo e compresso come il vedean generalmente in loro medesimi14; per l’opposto l’osso della guancia è fortemente espresso e rialzato, piccolo è il mento e portato in dietro, il che rende imperfetta l’ovale del volto. Il taglio della bocca cioè le estremità delle labbra, che verso gli angoli presso i Greci e gli Europei tendono al basso, hanno nelle teste egiziane una direzione opposta. La bocca medesima n’è sempre chiusa in guisa che le labbra appena per un picco! taglio son tra di loro staccate15; laddove, siccome osserveremo più sotto, le statue delle divinità greche hanno per la maggior parte le labbra aperte. Straordinaria certamente farebbe stata nelle teste degli Egizj la posizione delle orecchie, se le avessero avute collocate sì alte, quali si vedono nelle loro statue, e principalmente in due che io posseggo. In una testa della villa Altieri, che ha gli occhi incassati, e in una figura sedente [p. 85 modifica]sotto la punta dell’obelisco Barberini, le orecchie sono sì alte che il lobo vien ad essere al livello degli occhi16.

... mani e piedi. §. 7. Le mani delle figure egiziane sono quasi simili a quelle d’un uomo, che avendole avute dalla natura mediocremente belle, le ha poscia sformate e guaste. I piedi distinguonsi dalle figure greche per essere più larghi e stiacciati: comprese pur ne sono le dita, se non che hanno un pò di variazione e gradazione nella loro lunghezza, e non hanno punto indicate le articolazioni, le quali neppur veggonsi segnate sulle dita della mano. Il dito mignolo non si piega nè sporge in fuori, siccome fa nelle statue greche; quindi è probabile che i piedi della statua di Mennone non sieno stati formati quali ce li disegna Pococke17. Le ugne sono indicate semplicemente con un tratto angolare senza rotondità e senza incurvamento18.

§. 8. I piedi delle statue egiziane del Campidoglio, alle quali però non sieno stati rifatti, sono d’ineguale lunghezza: ciò che pure si osserva nel Laocoonte e nell’Apollo di Belvedere. In una di esse il destro piede, che è quello su di cui posa il corpo, è di tre pollici di palmo romano più lungo dell’altro19. Questa ineguaglianza però non è senza fondamento, poiché si volle così supplire quella lunghezza che il piede posteriore, siccome posto in maggior lontananza, veniva a perdere all’occhio. L’ombilico nelle statue sì virili che femminili è molto incavato.

Osservazione sulle statue restaurate. §. 9. Gioverà qui rammentare quanto ho già avvertito nella mia prefazione, cioè che non si dee formar giudizio [p. 86 modifica]le stampe delle figure. In quelle, che come rappresentanti statue d’Egitto ci hanno date Boissard, Kircher, e Montfaucon, non vedesi alcuno dei fin qui descritti caratteri dello stile egiziano. Dobbiamo in oltre nelle statue ben distinguere ciò che è veramente antico, da ciò che vi si è posteriormente aggiunto per restaurarle. Nell’Iside del Campidoglio, che tra le quattro grandissime statue è la sola di granito nero20, la parte inferiore del volto non è che un restauramento moderno; ad essa, come pure a due altre di dette statue di granito rosso, sono state aggiunte le braccia e le gambe. Tanto più volentieri ho parlato di quelli restauramenti, quanto che non cadono sì facilmente sott’occhio; e ometto perciò di far menzione d’altri molti che ognuno può agevolmente conoscere, quali fono, a cagion d’esempio, la nuova testa in una figura muliebre del palazzo Barberini, che tiene sulle ginocchia un piccolo Anubi entro una cassa, simile ad una figura virile della villa Albani21 (Tav. VI.); e le gambe d’una piccola figura in piedi nella villa Borghese.

[p. 87 modifica] Figure degli dei ... $. 10. Trattando del disegno del nudo potremmo noi qui soggiugnere, ad istruzione di coloro che studiano le arti del disegno, quanto deve osservarsi circa i particolari atteggiamenti delle divinità egiziane e i loro attributi; ma poiché altri ne hanno già diffusamente trattato22, ci ristringeremo a far su di ciò alcune osservazioni.

...con teste d'animali.. §. 11. Poche statue si sono conservate di quelle divinità alle quali gli Egizj davano la testa dell’animale, sotto il cui emblema le adoravano; né credo che in Roma altre ve n’abbia fuorché le seguenti. La prima vedesi nel palazzo [p. 88 modifica]Barberini con testa di sparviere, e rappresenta Osiride23, cioè l’Apollo de’ Greci, di cui, secondo Omero24, è proprio tal uccello, il quale gli fu dato per messaggiere, perchè può fissare lo sguardo nel sole25. La seconda sta nella villa Albani: è di simil grandezza con una testa participante del leone, del gatto, e del cane, come vedesi dalla figura (Tav. VIII.). E’ questa la statua d’Anubi26 nel cui volto mescolavasi qualche somiglianza col leone, a cui colà rendeansi una volta gli onori divini27; la terza (Tav. IX.) nella villa medesima è una piccola figura assisa colla testa di cane28; la quarta colla stessa effigie è nel palazzo Barberini; la quinta colla testa di [p. 89 modifica]gatto sta nella villa Borghese29; le prime quattro son di granito nero.

§. 12. La parte posteriore del capo della seconda di queste figure è ricoperta d’una specie di cuffia usata ordinariamente presso gli Egizj, che formando molte pieghe riesce tonda per davanti, e dietro scende alla lunghezza di due palmi. S’innalza dietro la testa un disco rotondo il quale, ove per avventura non indichi il sole o la luna, esser deve uno dei così detti nimbi, che i Greci e i Romani hanno dati dappoi alle immagini delle loro divinità e de’ cesari30. E’ degno d’osservazione fra le pitture d’Ercolano un Osiride, dipinto su un fondo nero, che ha il volto, le mani, e i piedi di color azzurro31; il che probabilmente non è senza mistero, poiché gli Egizj i quali all’effigie d’Osiride davano più d’un colore, usavano l’azzurro per indicare il sole che sta sotto l’emisfero32. I due Anubi, l’uno di marmo nero33, l’altro di marmo bianco34 esistenti nel Campidoglio, non sono lavori d’antica arte egiziana, ma piuttosto de’ tempi dell’imperador Adriano.

... e interamente umane §. 13. Strabone35 e non già Diodoro citato da Pococke, parla d’un tempio a Tebe in cui non vedeasi nessuna figura umana, ma solo v’erano rappresentati degli animali; la [p. 90 modifica]stessa osservazione ha fatta Pococke medesimo in altri tempj, sino a’ giorni suoi confervatisi nell’Egitto36. Warburton fondato nell’indicata testimonianza di Strabone ha conchiuso che le divinità a testa di animale fossero in Egitto anteriori a quelle che hanno la figura interamente umana. Chechè sia di questa opinione, egli è certo almeno che trovasi oggidì maggior numero di figure egiziane (le quali agl’indizj, onde sono accompagnate, sembran essere divinità) coll'intera forma umana, che colla testa di bruto, come si può dimostrare fra gli altri monumenti colla celebre Tavola Isiaca del real museo di Torino37. E’ certo altresì che le statue, in cui l’umana sembianza non è stata deformata, sembran essere non meno antiche delle altre. Né certamente una rimota antichità si può negare alle due grandi statue muliebri del museo Capitolino, le quali, non potendo rappresentare due sacerdotesse d’Iside, poiché al ministero di quella dea niuna donna consacravasi38, denno essere immagini della dea medesima, sebbene non abbiano sul capo le corna indicanti il crescere e ’l decrescere [p. 91 modifica]della luna, quali vedonsi in una delle sue più antiche figure in bronzo da me pubblicata39. Le statue virili, che ivi pur si trovano, non avendo alcun segnale di divinità, esser possono dei re, o de’ sommi sacerdoti: v’erano diffatti statue di questi ultimi a Tebe. Delle ali date alle divinità d’Egitto tratteremo più sotto. Basterà qui notare di passaggio che nessuna delle statue antiche egiziane esistenti in Roma ha in mano il sistro, e fu nessun lavoro di quella nazione s’incontra questo stromento40, fuorché su l’orlo della Tavola Isiaca; Bacchini, che pretende d’averlo osservato fu un obelisco, ha preso un [p. 92 modifica]abbaglio41. I bastoni, che le figure virili tengono in mano, hanno comunemente su la cima, in vece di pomo o di nodo, la testa d’un uccello42, come chiaramente vedesi in una statua della villa Albani (Tav.VIII.), nelle figure sedenti ai due lati d’una gran tavola di granito rosso nel giardino del palazzo Barberini43, e in quelle che sono intagliate presso la cima degli obelischi. Pensa Diodoro che tal bastone prender si debba per un aratro44. Veggansi i miei Monumenti antichi45.

§. 14. Porfirio46 adducendo l’opinion di Numenio intorno al racconto di Mosè sulla creazione, ove dicesi che lo Spirito di Dio era portato sulle acque47, narra che le divinità egiziane non posavano fu un fondo stabile e sodo, ma bensì su di una nave; e che non solamente il sole, ma le anime eziandio, secondo la dottrina dell’Egitco, nuotavano in un fluido elemento. Da quella dottrina allegorica degli Egizj avrà probabilmente Talete, il quale viaggiò colà48, ricavato quel che egli insegnava del moversi la terra sopra le acque a guisa di una nave49, e di essa trovansene le tracce in alcuni monumenti dell’antichità. Nella villa Lodovisi v’ha una piccola Iside di marmo, che tiene fu una nave il pie sinistro; e fu una [p. 93 modifica]nave similmente posa ambo i piedi un’altra figura nella villa Mattei50, luogo ove è stato altre volte esercitato l’egiziano culto che i Romani aveano adottato. Ma ciò che più ancora s’avvicina alla mentovata dottrina degli Egizj, sono il sole e la luna personificati sovra una quadriga collocata in una nave51. Questo monumento, che è un vaso di terra cotta esistente nella biblioteca Vaticana, è stato da me pubblicato52.

Sfingi. §. 15. Le sfingi degli Egizj hanno amendue i sessi, cioè sono femmine nella parte anteriore, avendo femminile il volto e ’l petto, e posteriormente son maschi, avendo le parti sessuali maschili. Nessuno, ch’io sappia, avea fatta quest’osservazione prima di me, che la pubblicai nella descrizione del museo Stoschiano53, spiegando così uno sinallor non inteso passo del poeta Filemone54, ove parlasi di sfinge maschio55. I greci artisti effigiarono anche talora le sfingi colla barba, siccome appare da un basso-rilievo di terra cotta esistente nella [p. 94 modifica]Farnesina56. Erodoto57 quando chiamò le sfingi ἀνδρόσφιγγες, volle, a parer mio, i loro due sessi indicare. Meritano una particolare osservazione le sfingi poste ai quattro lati sotto [p. 95 modifica]la punta dell’obelisco del sole, che hanno le mani da uomo con ugne acute da bestia carnivora58.

Disegno del panneggiamento ... §. 16. Passiam ora ad esaminare il disegno del panneggiamento. Osservo il primo luogo che le vesti degli Egizj erano generalmente di lino, di cui il loro paefe molto abbondava. La tunica detta calafiri, nel cui orlo inferiore era cucita una lifta o benda a molte pieghe59, scendeva loro fino ai piedi60, e sopra la tunica portavano gli uomini un bianco pallio di lino61. I loro sacerdoti vestiansi di candido cotone62. Le figure virili, sì nelle statue che su gli obelischi [p. 96 modifica]e in altri monumenti egiziani, sono tutte ignude fino al ventre, ove un grembiule63 formato a sottilissime pieghe loro copre le cosce64.

$. 17. Se queste figure rappresentano qualche divinità, dobbiam credere che presso gli Egizj, come poscia presso i Greci, usanza fosse d’effigiare ignudi i numi; o forse era questa un’imitazione dell’antica maniera di vestirsi presso gli Egizj: maniera che durò ancora lungo tempo dopo presso gli Arabi, i quali non altro vestimento aveano che un grembiule intorno ai lombi, e le scarpe ai piedi65. Che se vogliamo in quelle egiziane figure ravvisare de’ sacerdoti66, possiamo immaginarceli somiglievoli ai sacrificatori romani, i quali erano ignudi sino alli reni, ove cingevansi d’un grembiule, chiamato limus67, e in tal foggia vestiti immolavano le vittime, come rilevasi da molti antichi bassi-rilievi. E siccome i re d’Egitto, quando finiva una stirpe o dinastia, erano scelti dal [p. 97 modifica]numero de' sacerdoti, e veniva ognun di loro iniziato al sacerdozio, possamo anche pensare che la maniera di vestire delle mentovate figure l’abito pur fosse dei re68.

...nelle figure femminili ... §. 18. La veste nelle figure femminili è indicata da un orlo rialzato o ripiegato in fuori si al collo che alle gambe, come vedell in una creduta Iside, e in due altre statue del Campidoglio. Ad una di quelle statue intorno al capezzolo delle mammelle v’è inciso un cerchietto da cui partono delle linee o tratti, simili a raggi di circolo, i quali stendonsi tutt’intorno alle poppe per la larghezza di due dita. Potrebbe ciò prendersi per un fregio poco proprio ed insulso; ma io sono d’opinione che siasi con queste pieghe voluto indicare il rialzamento delle mammelle, il quale naturalmente le produce nella tela sottile che le ricopre. Ad una Iside esistente nella villa Albani (Tav. X.), d’assai pregevole lavoro benché non sia del più antico stile, intorno alle poppe, che a primo sguardo giudicherebbonsi ignude, l’osservatore attento vedrà delle piccole pieghe rialzate, le quali, partendo dal capezzolo, tutto all’intorno della mammella s’estendono. Malgrado quell'abito le statue sembrano aver ignudo il corpo, e forse perciò ignude parvero ad Erodoto69 le venti muliebri statue colossali che vide nella città di Sais in tal guisa vestite. E tanto è più [p. 98 modifica]probabile che abbia preso Erodoto quest’abbaglio, quanto che lo statuario medesimo Francesco Maratti padovano, che restaurò le statue del Campidoglio, non s’avvide punto del summentovato orlo che solo fa riconoscere il vestito, come appare dai disegni ch’egli ne presentò al pontefice Clemente XI.70. Pococke ha fatta la medesima osservazione su un’Iside sedente, la quale, se non avesse un orlo rilevato sopra le caviglie delle gambe, crederebbesi affatto ignuda71. Egli pretende di ravvisare in quel vestito una finissima mussolina di cui anche oggidì, a cagione del gran caldo, vestonsi le donne in oriente.

§. 19. In un particolar modo è vestita la mentovata figura sedente del palazzo Barberini, la cui tunica va dilatandosi da cima a fondo senza pieghe a foggia d’una campana; e di tal maniera di vestire può darcene idea un’altra consimil figura descritta e fatta disegnare da Pococke72. Ha la stessa forma la tunica d’un’altra statua muliebre di granito nericcio, alta tre palmi, nel museo Rolandi a Roma73, se non che questa non va dilatandosi fino a basso, onde la parte inferiore ha la figura d’un cilindro, e non ha visibili i piedi: tien questa innanzi al petto un cinocefalo sedente in una cassettina ornata di geroglifici a quattro colonne74.

[p. 99 modifica]§ . 20. Le figure colorite de’ bassi-rilievi, conservatisi a Tebe e in altre parti d’Egitto, hanno le vesti dipinte come quelle di Osiri75, cioè senza pieghe, senza lumi, e senza ombreggiamenti76. Ciò tuttavia non parrà strano a noi, come lo parve al viaggiatore che le descrive, poiché i bassi-rilievi hanno di per sé stessi i lumi e le ombre, ancorché lavorati fieno in marmo bianco o di qualunque altro color uniforme; anzi tutto confonderebbesi, ove ci volesse, come nella pittura, indicare per mezzo de’ colori ciò che v’ha di sollevato o d’incavato.

...della berretta... §. 21. L’ammanto del corpo nelle figure egiziane del più antico stile è pertanto quello, che dà men luogo a fare delle osservazioni; ma non è cosi di ciò che ferve a coprirne la testa: questo è assai vario e con particolar diligenza lavorato. E’ vero che generalmente gli Egizj andavano a capo scoperto, distinguendosi in ciò dai Persi che facean l’opposto; onde osserva Erodoto77 che, dopo la battaglia seguita tra quelle due nazioni, i morti degli Egizj si discernevano da quei de’ loro nemici, perchè questi, avvezzi a tenere coperto il capo, men duro aveano il cranio; ma ciò non ostante le lor figure virili hanno fui capo una berretta o una cuffia, come gli dii, i re, e i sacerdoti. In alcune figure sono attaccate alla berretta due larghe fasce, or piatte or eternamente convesse, le quali cadendo per le spalle [p. 100 modifica]vanno sul dorso, o intorno al petto si piegano. La berretta somiglia in qualche modo ad una mitra vescovile, e in alcune figure è superiormente quasi piana, quale usavasi anche presso di noi dugent’anni addietro, e quale, a cagion d’esempio, vedesi nelle immagini di Aldo seniore. La cuffia e la mitra hanno fui capo eziandio alcuni animali: quella vedesi fu una sfinge della villa Albani78, e quella su uno sparviere. Un grande sparviere di basalte con mitra, alto incirca tre palmi, sta nel museo Rolandi79. La succennata berretta piana legavasi con due bende al di sotto del mento, come si vede nello stesso museo ad una figura sedente di granito nero alta quattro palmi80. Tali berrette dilatavansi nella parte superiore a somiglianza del modio posto sul capo a Serapi; e di tal forma erano quelle degli antichi re di Persia, chiamate perciò dagli Arabi Kankal, cioè modio81. Consimile forma hanno le berrette delle figure sedenti sotto la cima di alcuni obelischi, e quelle che ci sono rimaste negli avanzi delle ruine di Persepoli. Sul dinanzi della berretta sollevavasi talora un serpente, qual si vede sulle teste delle divinità fenicie nelle monete di Malta82. Gronovio parlando83 di queste monete s’è certamente abbandonato alla sua immaginazione, allorché si figurò di [p. 101 modifica]vedervi un capo coperto colla pelle d’un cagnuolino maltese, la cui coda gli si venisse a sollevar sulla fronte84; ma forse non per altro gli parve di ciò vedere, se non perchè credea di poter così derivare da κυνὸς (cane) l’etimologia della greca voce κυνῆ (cimiere), che ne’ più antichi tempi, secondo lui, formossi colla pelle di una testa di cane.

§. 22. Non è però del tutto priva di fondamento l’opinione di Gronovio85, e può appoggiarsi ai due giovani Ermi della villa Albani (Tav. XI. XII.) che, come Ercole colla pelle di leone, coperto hanno il capo con quella d’una testa di cane, e ne hanno legate sotto il collo le zampe. Queste figure probabilmente rappresentano due dei Penati o Lari, numi domestici de’ Romani, i quali, siccome avvisa Plutarco86, solevano col capo così coperto effigiarli. Nella villa medesima ancor più chiaramente vedesi quell’antica maniera d’elmo in capo a una bella Pallade di grandezza naturale (Tav. XIII.), la quale in luogo del cimiero usato porta la pelle del capo d’un cane, adattata in guisa che la parte superiore del muso le viene a riuscire sulla fronte87. [p. 102 modifica]Nelle figure degli obelischi88, come pure in quella della Tavola Barberini89, e del museo Rolandi, sulla berretta v’è un fregio, che Warburton90 prese per la pianta, di cui, al riferir di Diodoro, ornavansi il capo i re d’Egitto91. E poiché cotal fregio somiglia, piucchè ad altro, ad un ciuffo di penne, e trovasi altronde che il Cneph degli Egizj, loro dio creatore, portava al capo ale regie (πτερὸν βασίλειον)92, cioè quali portarle soleano i re; v’è quindi tutta l’apparenza che non solo Warburton non siasi in ciò ingannato, ma che eziandio le figure, le quali così fregiate veggonsi ripetute fu gli obelischi, i re stessi rappresentino.

§. 23. Alcune figure muliebri, o a più vero dire, alcune figure d’iside, hanno sul capo un’acconciatura, che somiglia a de’ capelli posticci, ma che in fatti nella maggior parte di esse, e principalmente fu una grand’Iside del museo Capitolino, altro non è che un ciuffo di penne insieme unite93. Lo stesso verosimilmente dirsi dovrà d’un’altra Iside, [p. 103 modifica]pubblicata ne’ miei Monumenti antichi94, la quale sopra la cuffia ha una gallina di Numidia che colle ale copre le tempia, e colla coda l’occipite della dea95.

§. 24. Un altro singolar fregio è quel riccio solitario, che pender si vede presso l’orecchia destra al capo raso d’una statua di marmo nero in Campidoglio, lavoro dello stile d’imitazione di cui parlerò più sotto. Questo riccio è stato omesso nella figura e nella descrizione che ce n’è stata data96. D’un riccio unico sul capo d’un Arpocrate parlai nella descrizione delle gemme Stoschiane, ove pur indicai un simil riccio d’un’altra figura dello stesso dio: quello veggasi pubblicato ne’ miei Monumenti antichi97, e questo presso il sig. conte di Caylus98. Macrobio sembra renderci ragione del summentovato riccio, ove narra che gli Egizj [p. 104 modifica]soleano rappresentare il sole col capo raso, se non che aveva un riccio alla tempia destra99. Quando pertanto Cuper100, anche senza valersi di questo argomento, sostiene che gli Egizj in Arpocrate il sole stesso adoravano, non mal s’appone, e da un recente scrittore viene a torto ripreso101.

...de’ calzari ed altri fregi..... §. 25. Narra Plutarco che in Egitto le donne andar soleano a piedi ignudi102, e diffatti in nessuna delle egiziane figure veggonsi scarpe o suole, se non che nella summentovata statua presso Pococke103 si vede vicino alla caviglia del piede un anello angoloso, da cui parte una stringa che va a passare fra ’1 dito grosso e ’l vicino, quasi per tener ferma e attaccata al piede la suola; quella però non si vede104. [p. 105 modifica] §. 26. Le donne presso gli Egizj, come presso tutti gli altri popoli della, terra, aveano i loro fregi, i loro pendenti d’orecchie, le loro collane, e i loro braccialetti105. I pendenti veggonsi, per quanto io so, ad una sola figura pubblicata da Pococke106, e i braccialetti alla mentovata Iside di granito nero in Campidoglio. Non son essi però, come generalmente nelle statue greche, legati all’alto intorno al braccio, ma bensì all’intorno de’ polsi presso la mano107, [p. 106 modifica]ove gli Egizj portar soleano gli anelli, anzi che alle dita. Questo inferir si può eziandio da Mosè, il quale racconta che Faraone il proprio anello dalla mano si trasse, e alla mano di Giuseppe attaccollo108.



Note

  1. Il signor Winkelmann forse non ben comincia da Cambise la seconda epoca delle arti presso gli Egizj. Vero è che questo conquistatore tentò d’abolire il culto egiziano, ma ignoriamo s'egli tentasse d’introdurvi de’ cambiamenti nelle arti. Probabilmente nemmeno aveano i Persi medesimi uno stile da sostituire a quel d’Egitto, siccome a suo luogo vedremo. Il cambiamento stesso di religione vi fu di poca durata, poiché Dario, successore di Cambise, per conciliarsi l’amore degli Egizj, permise loro di richiamare l’antico culto, Diod. Sic. Bibl. lib. I. §. 95. pag. 106. lin. 80. Altronde Platone de Leg. lib. 2. oper. Tom. iI. pag. 656. in fine, che andò colà dopo quest’epoca, parla come di cosa singolare dell’inalterabile attaccamento che quella gente avea per gli antichi riti e costumi, cosicchè da una lunga serie di secoli non aveano sofferta nessuna mutazione. La seconda epoca dello stile egiziano dovrebbe pertanto, anziché da Cambise e da’ Persi, cominciare da Alessandro il grande e da’ Greci: e da quella opinione non sembra lontano il medesimo Winkelmann in un altro luogo di questa Storia, e più chiaramente ne’ suoi Monumenti antichi, Vol. I. Tratt. prel. cap. 2. num. 3. pag. XX. V. Paw Recherches ec. pag. 289. [Se vogliamo ricercare un poco più minutamente i varj stili delle Arti del Disegno in Egitto, noi potremo stabilirne piuttosto cinque, anzi che tre: o per meglio dire, potremo stabilirne quattro in queli regno, e uno in Roma d’imitazione.
    Per primo noi metteremo lo stile ordinario, e comune dai secoli più remoti fino al nono anno del regno di Sesostri; cioè fino a tanti anni dopo il 1659. avanti Gesù Cristo, nel quale egli salì al trono secondo la cronologia del P. Tournemine nella dissertazione V. in appendice alli commentarj del P. Menochio sulla Sagra Scrittura, abbracciata dal signor Goguet Della Orig. delle leggi, ec. Tom. iI. part. iI. lib.l. cap. iiI. princ.; ovvero a un secolo dopo, secondo che pensa il P. Fabricy Recherches sur l’epoque de l’equit. ec. prém. part. pag. 175.; o anche di più, giusta l’opinione di altri riportati da Bandini Dell’Obelisco di Ces. August. cap. iI. pag. 4. e segg., che non è qui luogo di esaminare. Si può dire impertanto, che quello sovrano introducesse un nuovo stile, almeno fin che durò il suo regno, che fu di altri 14. anni, Diodoro lib. 1. §. 58. pag. 68. Di lui racconta quello scrittore §. 16. pag. 66. princ. unitamente a Erodoto lib. 2. cap. 108. pag. 152., che ritornato vittorioso in Egitto dalla sua spedizione in Asia, intorno alla quale si può vedere una lettera del signor Larcher nel Journal des Sçavans Mars 1774. p. 448. segg contro le objezioni del sig. Paw Rech. phil. sur les Egypt. & les Chin. prém. part. sect. 1. pag. 31. segg., intraprese dei grandi lavori, e fabbriche, le quali vengono riferite dal lodato Goguet l. c. lib. iI. cap. iiI art. I. A noi basta di rilevare, che in primo luogo fece costruire in ogni città un magnifico tempio a quel nume, che vi era più venerato, e per far vedere alla posterità l’ampiezza del suo potere, e il numero delle nazioni da lui conquistate, innalzò due grandi obelischi, uno de’ quali per testimonianza di Plinio l. 36. c. 9. sect. 14. n. 5. fu fatto trasportare in Roma dall’imperator Augusto, e collocato nel Campo Marzo. Aggiungono i detti scrittori, che a tutte codeste opere non impiegò Sesostri alcun artista egiziano, ma soltanto forastieri, che seco avea condotti schiavi, e molti principalmente fatti in Babilonia: il che egli volle far noto ai secoli avvenire con una iscrizione su di esse. Avranno dunque lavorato questi artisti secondo la loro abilità, e secondo il gusto del loro paese per quanto lo avrà permesso la mitologia degli Egizj, e le forme dei geroglifici, che non potevano in certo modo preterirsi, inventati essendo per rappresentare una determinata cosa. E quindi noi abbiamo la ragione, perchè nel detto obelisco di Campo Marzo i geroglifici tutti, e quelli in ispecie della punta, le teste delle sfingi, e quelle di due figure virili, sieno più finiti, e con più diligenza lavorati, onde avanzino in bellezza, come osserva anche Bandini loc. cit. cap. V. pag. 23., le figure tutte degli altri obelischi, che sono in Roma, giacchè degli altri esistenti in Egitto, in Costantinopoli, Fonte/commento: Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/26 non possiamo farne il confronto; e tutti generalmente gli antichi lavori di quella nazione. Dopo Sesostri forse ritornati saranno mano mano gli artisti egiziani al loro primo stile, nel quale avranno lavorato sotto quel sovrano facendo opere private, o figure di deità.
    Il terzo stile non potrà certamente attribuirsi a Cambise; perocché questo principe forsennato in vece d’introdurre nuove arti, ed artisti in Egitto, di là ne condusse molti nel suo regno di Persia; spogliò i tempj d’oro, di argento, di avorio, e di altri ornamenti, Diodoro lib. T. §. 46. pag. 55., e dei preziosi simulacri degl’idoli, S. Girolamo Comment. in Daniel. c. XI. v. 7. 8. 9. op. T. V. col. 706. E. I Greci fono quelli, ai quali debbesi il merito di avere in molte parte riformato, e migliorato il gusto degl’Egiziani nelle arti del disegno; e di avere quindi introdotto fra di loro un nuovo stile. Ma quali saranno questi Greci, e di che tempo ? Comunemente si credono i successori di Alessandro il grande. A me pare che lì possa risalire a’ tempi molto anteriori, cioè fino al regno di Psammerico, e di Amasi, che governò l’Editto prima, e contemporaneamente a Cambise. Il primo di questi sovrani sì per gratitudine agli Joni, ed ai Carj, a’ quali doveva la sua salvezza, e stabilimcnto sul trono di tutto quel vasto reame; e si perchè bene intendea, che la nazione greca poteva moltissimo contribuire alla maggior cultura de' suoi sudditi, e a promovere il commercio, che tanto gli stava a cuore; fece ogni sforzo per attirarvene in gran numero. A tutti quelli, che vi concorsero, che furono moltissimi, distribuì quantità di terreni; consegnò loro in educazione de’ nobili giovani, e gli stessi suoi figli, affinchè gli educassero intieramente all’uso de’ Greci, insegnando loro anche la lingua; e inoltre cercò di mantenersi l’amicizia di quella razione contrattati solenni di alleanza. Amasi ebbe la stessa mira; e ricolmando di benefizj coloro, che continuavano a concorrervi in folla, assegnò loro per una stabile dimora anche la città di Neucrati; e a quelli, che soltanto navigavano in Egitto, diede ampia facoltà di elevarsi in alcuni luoghi dei tempi, e degli altari: ad altri conferì pubblici impieghi nella città capitale; ed egli medesimo prese a consorte una donna greca, come già notammo sopra pag. 62. n. a. Quella culta nazione nel trapiantarsi in Egitto volendo mantenere la sua religione, il suo genio, le sue arti, non dimenticò le arti del disegno, nelle quali avea fatti già grandi progressi, come si vedrà in appresso nel libro IK. capo I. Sappiamo che vi eressero il grande famigerato tempio, chiamato Hellenico, o greco per antonomasia; e molti altri, alla edificazione de’ quali concorsero a gara quali tutte le città, e le isole della Grecia, veggansi Erodoto lib. 2. c. 154. e segg. p. 179.» Diodoro lib. 1. §. 67. pag. 78.; e non avranno tralasciato di far delle statue, almeno per le loro divinità, e alzarvi nobili edifizj. Ora è ben probabile, che in una rivoluzione sì grande introdotta, e protetta dagli stessi monarchi, succedessero presso gli Egiziani, come nel modo di pensare, e nei costumi, cosi anche nelle arti del disegno dei cangiamenti. Diremo, che eglino si saranno riscossi anche in questi tempi nel vedere le belle forme delle figure fatte dai Greci, e l'eleganza nelle loro fabbriche, e in tutto il resto; appunto come vuole il nostro Autore, che introducessero il nuovo stile al tempo dei Tolomei; eccitandosi cioè in essi delle idee di bello, e di buon gusto sugli originali dei Greci. Cosi era succeduto anche nei più antichi tempi, allorché Dedalo vi si portò; il quale fu lodato, ed ammirato ne’ suoi lavori qual uomo divino, e loro servì di modello. E se tanto potè sull’animo dagli Egizj un uomo solo di grande abilità per que’ tempi, ma in sostanza mediocre, e rozza; che non avrà operato in tempi di gran lunga più felici l’impegno della greca nazione intiera? Per mezzo, e occasione di que' principi successori di Alessandro, o almeno dei tre primi Tolomei, il nuovo stile fu portato ad un più alto grado di perfezione; ma in appresso andò decadendo, e principalmente sotto il governo del settimo, detto Fiscone, di cui parlerà Winkelmann nel lib. X. cap. iiI. § 23.; e dopo che finito il regno de' Greci, passò l’Egitto in poter de’ Romani, i quali gran parte ne tolsero de’ più belli monumenti.
    Continuarono ciò non ostante gli artisti egiziani fino al regno de! gran Teodosio a far delle figure; poiché fino a quel tempo in parte non indifferente del popolo durarono le massime stesse, e la stessa religione; come scrissi avanti pag. 71. not. c. E qui avremo il quarto, ed ultimo stile dell’arte in quella nazione; al quale io non dubito punto, che debbano attribuirsi moltissime delle figure di deità, di sacerdoti, e di qualunque altro soggetto, e anche di tante mummie, o riportate dal signor conte di Caylus, o che adornano tanti musei d’Europa, e vengono di colà in tanta copia a’ nostri giorni; e che dai signori Antiquari volgarmente si spacciano con franchezza per opere del primo, o del secondo stile, giusta la divisione del nostro Autore.

    Lo stile d’imitazione in Roma avrà avuto suo principio dal tempo, che vi s’introdusse la religione, e le divinità di quella nazione, di cui parleremo al capo iiI. §. 12., promosso sovra tutti dall’imperator Adriano, e continuato in qualche parte sotto altri imperatori.

    Sono però da osservarsi in ciascuno di questi stili, fuorché in quello di Senostri, varj gradi di maggiore, o minor perfezione, secondo i varj tempi.
  2. Geogr. l. 17. p. 1159. B. [Extat etiam ædes quidam multis columnis structa, sicuti Memphi, barbarica fabrica, nam præterquam quod columna multa sunt, & ingentes, & multipici ordine constitutæ, nihil pictum, aut elegans habet, sed potius inanem quemdam laborem gerit.
  3. Herod. lib. 2. cap. 50. p. 128.
  4. Herod. lib. 2. cap. 141. pag. 172.
  5. Una tale statua dovea stare in piedi, come si rileva da una piccola statuetta antichissima di bronzo, che ne è l’immagine, trovata non ha molti anni nel regno di Napoli, nelle vicinanze del Sele, detto anticamente Silaro, fiume abbastanza celebre presso gli antichi; il quale, dividendo i Picentini dai Lucani, scorreva non lungi dalla famosa città di Pesto. Il dotto P. Antonio Paoli, che ne fece l’acquisto, la illustrò colla veramente erudita, ed accurata dissertazione, che abbiamo lodata innanzi, Della Relig. de’ Gentili per riguardo ad alcuni animali, e specialmente riguardo a’ Topi, pubblicata in Napoli nel 1771.; provando, che altro non possa rappresentare, che un sacerdote Cananeo, con in mano un sorcio, per memoria dell’offerta fatta dai Filistei all’arca dopo lo strepitoso castigo, di cui furono percossi dal Dio d’Israele, descritto Regum lib. 1. cap. 5. v. 6.; e per ottenere nelle occorrenze, colla somiglianza del ricorso ad una superiore potenza, uguale protezione. Ora si trova nel Museo della Biblioteca Vaticana per munificenza del sommo Pontefice Pio VI., promotore insigne delle belle arti, cui fu presentata dal lodato possessore. Questi ci ha favorito il rame della tavola premessa alla dissertazione, che noi aggiugniamo in fine di questo volume, Tav. V.
  6. Della quale noi abbiamo parlato sopra pag. 75. not. a.
  7. Cic. de Nat. deor. lib. 2. cap. 42.:
    Engonasin vocitant genibus quia nixa feratur. Aratus.
  8. V. Fest. V. Nixi dii.
  9. Kircher Œdip. Æg. T. III. synt. XV. cap. 3. pag. 469.
  10. Id. ibid. cap. 2. pag. 463.
  11. Delle due sfingi, che si veggono, la testa di quella, che noi abbiamo rimessa in fronte di questo capo è un poco più bella, e fatta con qualche diligenza di più dell’altra. Il che mi fa credere essere state l’una e l’altra lavorate da artisti diversi secondo la loro abilità. Sul gusto di questa seconda sfinge è lavorata la testa di una figura virile sedente verso la metà dell’obelisco.
  12. Il sig. Paw Recherches ec. T. I. sec. par. sect. IV. pag. 258. non ammette la cagione addotta da Winkelmann della differenza di lavoro tra le figure degli animali e quelle gli uomini. Egli scioglie ogni difficoltà negando che le statue degli animali da Winkelmann rammentate siano veramente del primo stile egiziano. Diffatti se per la legge supposta dall’Autore non hanno potuto gli egiziani artisti rappresentare in miglior maniera le figure delle divinità, per la stessa non avrebbero nemmeno potuto ben esprimere quelle delle bestie; poiché sotto l’immagine di queste, in parte almeno, quelle veniano sovente raffigurate. [Il sig. Paw loc. cit. non nega assolutamente; ma dice soltanto, che non è provato, che tutte le statue d’animali citate dal nostro Autore, e i leoni egiziani del museo di Dresda lodati da Casanova, siano del primo stile. Piuttosto si può negare con sicurezza una tal differenza tra le figure umane, e quelle degli animali. Primieramente, Platone citato sopra pag. 72. n. b., e Sinesio parimenti citato alla pag. 71. n. c. nel riportare la legge fatta dai sacerdoti agli artisti egiziani di lavorare le figure delle divinità secondo le forme loro prescritte, non ne parlano affatto: e argomentando da ciò, che racconta Achille Tazio de Clitoph. & Leuc. amor. lib. 3. in fine, degli stessi sacerdoti, i quali andando a riconoscere gli uccelli sacri per dar loro sepoltura, non si fidavano del solo vederli, e ravvisarli per quelli, che erano; ma li esaminavano diligentemente in confronto della descrizione, che ne avevano nei libri sacri; possiamo credere, che non solamente venissero comprese nella legge le figure loro così descritte; ma che i sacerdoti obbligassero gli artisti a usar più diligenza, e cautele, e star più attaccati a quelle descrizioni, che nel far delle figure umane, le quali non aveano bisogno di tante minute osservazioni per essere riconosciute. In fecondo luogo esaminando i monumenti, ritrovo, che le due figure virili dell'obelisco del sole in Campo Marzo non la cedono alle figure di animali, che vi sono; e la testa ancora intiera di una è bella quanto quella di una sfinge, come ho fatto osservare nella nota precedente. La testa di Canopo in alabastro, di cui parlerò appresso al capo IV. §. 18., è molto bella, e quanto possano essere le dette sfingi; ma bella sopra tutte forse le figure egiziane, che possano vedersi, e di una gran leggiadria, e morbidezza, è la pastosora di basalte verde, che descriverò qui sotto alla pag. 87.; e di altre figure potranno farne il confronto i curiosi.
  13. La forma degli occhi stiacciati, e troppo allungati in tante figure egiziane, se noi ammettiamo che ricopiassero la natura, come osserva il nostro Autore sopra pag. 66. §. 5., deve ripetersi dal male, che generalmente vi soffrivano, e di cui si devono intendere Giovenale Sai. 13. v. 93., e Persio Sat. 5. v. 166. Secondo Giovenale loc. cit., ed altri scrittori presso Jablonski Pantheon Ægypt. lib. 1. c. 5. §. 7. e 11. gli Egiziani lo credevano un castigo della dea Iside; ma alcuni viaggiatori moderni considerando le cagioni fisiche lo attribuiscono alle esalazioni vaporose, che si levano la notte, e cagionano grandi flussioni, che fanno anche perdere la vista a moltissimi; onde viene chiamato l’Egitto, il paese de’ ciechi, Maillet Descript. de l'Egypte, let. I. pag 15. Altri lo derivano dal riverbero dei raggi cocenti del sole in quelle arenose pianure; e per quello, che riguarda l’Egitto moderno, dal bianco, che danno alle loro fabbriche, Hist. univ. Tom. XXIV. liv. XX. chap. iiI. sect. I. pag. 118.
  14. Vedi sopra pag. 65. n. c.
  15. Abbiamo detto alla p. 66. n. a. che gli Egizj doveano avere le labbra un po' gonfie, e grosse, come si veggono nelle figure della Mensa Isiaca; in quelle, che porrà il nostro Autore nei Monumenti antichi, tav. 73 e 74., e nelle altre generalmente. Non so se abbia potuto a quello difetto contribuire almeno in qualche parte l’aver avuto gli Egiziani i denti incisori a modo dei molari, quali si veggono alla mummia di Santa Maria Novella in Firenze, della quale abbiamo parlato alla p. 66. not. c., e in quella dell’Accademia di Cambrigia, come osserva il signor Middleton, che ne dà la descrizione, Antiq. Monum. Tab. XXII. pag. 256.; siccome neppur saprei dire se tal forma di denti si trovi solamente nelle mummie di persone avanzate in età, nelle quali vediamo anche tra noi essere i denti logorati fino a quel modo; oppure se fosse costume degli Egiziani di farseli segare, forse per pareggiarli: il che non è credibile.
  16. Queste, ed altre poche figure non devono far regola. Le teste dell'obelisco del sole in Campo Marzo le hanno a suo luogo, e tante altre, che si veggono. Le ha pure a suo luogo per l’altezza la figura, che ho aggiunta alla pag. 59.; ma pare che le abbia un poco addietro.
  17. Descript. of the East, ec. Tom. I. p. 104. [Vedi la Tav. IV.
  18. La pastofora in basalte verde, di cui si riparlerà in appresso, ha le mani, le dita, e ugne benissimo fatte e decise. I piedi sono dello stesso gusto, ma un pò lunghetti all’egiziana.
  19. Voleva dire Winkelmann il piede sinistro, che va in dietro alzato; come si capisce anche dalla ragione, che ne adduce: e non ha badato, che altrimenti si contraddice manifestamente.
  20. Montfauc. Antiq. Expl. Suppi. T. iI. pl. 36., Mus. Capit. Tom. iiI. tav. 76.
  21. Questa statua inginocchiata di granito nericcio era altre volte a Rignano sulla strada maestra, che conduce da Roma a Loreto. Kircher Œd. Ægypt. Tom. iiI. synt. XVII. cap. iiI. pag. 497. l’ha fatta disegnare assai malamente, rappresentando una sola figura sulla cassa, ove ne sono tre. [ Kirchero non l'ha fatta disegnare. Ha ripetuto il disegno di un’altra statua, a cui la dice uguale, fuorché nelle figurine, che appunto avverte essere tre in questa di Rignano. Il signor abate Raffei Osservaz. sopra alc. mon. ant. Tav. IV. fig. 1. pag.49. la riporta, e non tanto mal disegnata. Egli vi crede rappresentata una sacerdotessa, o sacerdote, che mostra inginocchioni agl’iniziati, o ai divoti, tre misteriosi simulacri d’oro in una cassettina, che Clemente Alessandrino Strom. lib. 5. num. 7. chiama comasia, e Sinesio Calvitii enc. pae. 73, comasterio, per eccitare in essi un più alto concetto del merito di essere venerati. Ne parleremo più a lungo in fine del tomo fecondo nell'indice dei rami. Per non entrate a discutere le opinioni di altri scrittori addotti dallo stesso Raffei intorno a queste statue, o in piedi, o inginocchiate con una statuetta, o più sulle ginocchia, o in mano; io dirò brevemente, che credo siano di quei sacerdoti, e donne iniziate ai misterj delle divinità, che portavano nelle processioni le statue delle medesime, detti perciò Pastofori, o Thalamiferi, e Pastofore, o Thalamifere; come sono quelli, e quelle della processione isiaca presso Apulejo Metam. lib. XI. pag. 369. e 371.; e forse anche in altre occasioni, come pare che possa intendersi Clemente Alessandrino loc. cit., e Apulejo de Abstin. lib. 4. p. 363. In queste processioni solevano farsi delle fermate, come abbiamo da Filostrato De Vit. soph. lib. 2. cap. 20., Meursio Eleusin. lib. sing. cap. 27. oper. Tom. iI. pag. 534. A., che si facevano nelle feste di Cerere in Eleusi. E in queste fermate chi sa che i detti sacerdoti in piedi, o inginocchioni non presentassero al popolo le immagini delle deità o per adorarle, o per baciarle? Racconta Sparziano di Comodo imperatore, in Anton. Carac. cap. 9., che era cosi trasportato per il culto isiaco, che non solo interveniva alle processioni, che si facevano in onore di quella dea; ma portava ancora l’immagine di Anubi, che vi si soleva portare, secondo che scrive Apulejo loc. cit. pag. 377., e che faceva tutte le fermate solite farvisi: Sacra Isidis ita celebravit, ut & Anubim portaret, & pausas ederet, o come nelle antiche lezioni, pausa sederet; e in Pescennio nigro cap. 6.: Sacris Isidis Commodus adeo deditus fuerat, ut & caput raderet, & Anubim portaret, & omnes pausas, siccome emendano i critici in vece di partes, ederet. Nel rilevare che fa Sparziano quest’ultima circostanza, mi fa credere, che forse qualche cosa particolare da rilevarsi per riguardo alla persona d’un imperatore, come se avesse portato dell’incomodo non indifferente, quale sarebbe stato quello appunto di mettersi inginocchio nella positura della statua Albana in tutte le fermate, e stare in quella incomoda positura per qualche determinato tempo. Credo pertanto, che le dette figure, che portano immagini di divinità, possano rappresentare sacerdoti, e donne iniziate, che andavano così nelle processioni, o vi stavano ferme. Arrivati al tempio i sacerdoti posavano a suo luogo i simulacri degli dei, Apulejo loc. cit. pag. 380.; e il popolo baciava i piedi della statua d'Iside posta sulli gradini, p. 381. Io non posso dubitare, che sia una pastofora la fanciulla in basalte verde, di cui riparleremo al capo V. §. 9., vestita di un abito sagro a campana lungo fino ai piedi, e coperto di geroglifici, e in atto di star ferma in piedi, e tener posata la comasia, o pasto, entro cui è l'immagine, probabilmente, di Oro, su di un listello, che serviva di manubrio, per alzarla camminando, e per posarla fermandosi. Abbiamo Apulejo loc. cit., il quale ci assicura, che nelle processioni isiache vi erano donne iniziate che portavano dei simboli; e in una iscrizione riportata dal Montfaucon Diar. Ital. c. 25. p. 391.; ma più chiaramente dal Gori Inscr. ant. in Etrur. urbib. exstantes, par. 1. p. 373. num. 128., una fanciulla alessandrina si dice Pastophoros Deæ Nilotidos Ifidis castæ; e accanto dalla parte sinistra vi si vede scolpito sul marmo il pasto, simile presso a poco a quello di questa statua. Il più volte lodato signor abate Visconti ne ha fatto l’acquisto per il Museo Pio-Clementino; e ce ne ha favorito il disegno, che noi diamo nella Tavola VII.
  22. Tra le statue e figure egiziane molte se ne scorgono espresse in istrane maniere con attributi o simboli inusitati e mostruosi. Sebbene non convengano fra di loro i moderni scrittori nello spiegarle, tutti però le credono allusive a cose sacre e religiose, che i sacerdoti egiziani volessero in tal guisa tenere al volgo celate. Non solamente nelle cose spettanti alla religione pensa il signor Pluche Ist. del cielo, Tom. I. §. 8. e segg. aver que’ sacerdoti guidato il popolo con siffatti simboli, ma in quelle eziandio che riguardavano le funzioni civili, l’agricoltura, il commercio, il governo domestico, e specialmente l’escrescenza o l’abbassamento delle acque del Nilo. Il suo sistema però è più ingegnoso che verisimile. Nelle civili funzioni dovea certamente essere istruito il popolo non con oscuri simboli e astrusi emblemi, ma con regole chiare e precetti semplici: così diffatti rendeansi avvisati gli agricoltori dell’escrescenza o dell’abbaiamento del benefico fiume. Coloro che dal principe erano deputati a fame le opportune osservazioni, come ci assicura Diodoro di Sicilia lib. 1. §. 36. pag. 44., soleano spedirne per lettere l’avviso alle città e ai borghi, acciò sapesse ognuno regolarsi nella coltivazione delle terre.
  23. Kircher Œdip. Æg. T. iiI. Synt. XVII. cap. IV. pag. 501., Donati Roma vet. ac rec. lib. 1. cap. XXII. pag. 80. segg.
  24. Odyss. lib. 15. v. 525.
  25. Aelian. de Nat. animal. lìb. 10. cap. 14. [Altre ragioni li possono vedere presso Clemente Alessandrino Strom. lib. 5. num. 7. op. Tom. iI. pag. 671., Porfirio De Abst. lib. 4.. pag. 375, Eusebio De Præpar. Evang. lib. 1. cap. 3.
  26. Non è altrimenti Anubi, né Osiride, come lo crede il signor abate Raffei Osserv. sopra alc. ant. monum. ec. pag. 53. Tav. V., ove ne da il disegno alterato per ogni parte. Il corpo della statua è certamente di donna; e per tale si riconoscerebbe molto più facilmente, se nel rifarle braccia, mani, e gambe le avessero data una forma più gentile. La testa non è di gatto, come taluno pretende; essendone ben diversa e nelle orecchie, che ha rotonde a differenza del gatto, che le ha lunghe; e nella punta del muso, che ha più allungata. Potrebbe dirli un’Iside colla testa di leone, quale il Pignorio crede essere quella della Mensa Isiaca Tav. 9. lett. YY., alla quale è quasi in tutto similissima. Io però mi accorderei più volentieri col signor Jablonski Conject. in Claus. Tab. Bemb. §. VII. Miscell. Berolin. Tom. VII. pag. 380. a credere la figura delia Mensa Isiaca un’Iside, e cosi anche la nostra, con testa di cebo, o per meglio dire collo Spanhemio De Usu, & præst. num. diss. 5. num. 2. Tom. I. pag. 243., di quella specie di cebo, che secondo Strabone lib. 17. pag. 1121. A., rassomigliava al leone. Nella stessa Mensa Isiaca vi sono leoni, e gatti, che messi in confronto colla testa dell’Iside si conoscono essere diversi.
  27. Euseb. De Præp. Ev. l. 3. c. 4. p. 94. princ.
  28. Il Banier La Mythologie ec. Tom. iiI. liv. VI. ch. iI. art. IV. in fine avverte, che i mitologi sogliono confondere Anubi col cinocefalo; e il nostro Autore lo confonde qui col cercopiteco. Anubi era figura umana, fuorché la testa, che gli si fingeva di cane. Il cinocefalo, il cercopiteco, e la scimia propriamente detta, erano scimie di diversa specie, che si distinguevano fra di loro, come le distingue Aristotele de Histor. animal. l. 2. cap. 8., e tanti altri antichi scrittori, e tra i moderni il sig. Buffon Histor. nat. Tom. XIV. Nomencl. des singes, pag 10. segg. Il cinocefalo era così chiamato dalla testa, che aveva simile a quella del cane; nel resto aveva la somiglianza d’un uomo deforme, a! riferire di Diodoro lib. 3. §. 35. p. 200., Eliano de Nat. animal. lib. 4. cap. 46. I cercopiteci, o scimie colla coda, erano appunto così detti dalla gran coda, che li caratterizzava, e li distingueva dalle altre scimie, Solino cap. 27. in fine., Prudenzio in Symm. v. 387.:

    ...... grandi simia cauda.

    Marziale lib. 14. ep. 202.:

    Si mihi cauda foret cercopithecus eram.

    Nel resto delle membra, fuorché nella testa, si accostavano al cinocefalo. Da Eliano l. cit. abbiamo, che questa scimia si vestiva colle pelli degli animali, che uccideva, e si mangiava, dopo averle ben pulite dal pelo, come osserva Salmasio Exerc. in Solin. cap. 52. pag. 57. E. Tom. iI. pag. 707. F.; e se ne vestiva anche il cercopiteco, in quella guisa che lo vediamo nella nostra statua, in forma di un mantello, che il lodato Marziale, ivi epigr 128., chiama una specie di penula, e lo paragona al bardocucullo dei Galli:

    Gallia santonico vestit te bardocucullo,
    Cercopithecorum pænula nuper erat;

    come appunto si vede in una piccola antica figura di questa nazione alta 11. pollici, larga otto, lavorata in pietra molto dura, presso il P. Martin Explic. de div. mon. singul. plan. VII. pag. 294.; il quale se avesse veduto questi versi di Marziale, e il cercopiteco, non si sarebbe contentato di dire, che l’abito di detta figura era una mantiglia; e avrebbe più facilmente confutato il signor Deslandes, che in una dissertazione inserita nel Mercure de France, Sept. 1736. la credeva il sago. Giovenale Sat. 15. v. 4. parla della statua d’oro d’un cercopiteco veduto da lui in un tempio d’Egitto; e Luciano Toxar. ^. §. 28. op. Tom. iI. pag. 537. di più cinocefali d’argento rubati da un tempio di Anubi; seppure non erano figure di questo dio, impropriamente chiamate cinocefali anche da altri antichi scrittori, come osserva Pignorio Mensa Isiaca pag 64. Della scimia ne parleremo al capo IV. §. 9.

  29. Vi sarebbe anche l’Anubi, di cui parla in appresso al citato cap. IV. §. 9., se fosse un vero Anubi.
  30. Pitt. d’Ercol. Tom. iI,tav. 10. [L’Autore tanto qui, che nei Monumenti antichi part. I. cap. 7. §. 1. pag. 25. seg. per errore scrive limbo in vece di nimbo.
  31. Ibìd. Tom. IV. tav. 69.
  32. Macrob. lib. 1. cap. 19.
  33. Questo Anubi non c'è stato mai nel Museo Capitolino. Winkelmann ha equivocato colla figura, che chiama pure Anubi, qui appresso capo IV. §. 9.
  34. Mus. Capit. Tom. iiI. tav. 85.
  35. lib. 17. pag. 1159. A.
  36. Descript. of the East ec. T. I. Book iI. chap. IV. pag. 65., [e della traduzione francese Tom. 7. pag. 262. e segg. Pococke cita veramente Strabone a questo proposito; e Diodoro lo cita per un altro. Osserva che Strabone parla dell’interiore del tempio, in cui neppur egli ha trovato figura umana; ma però ne ha vedute ben molte negli atrj; come in quelli di altri tempj, nell’interno de’ quali erano figure umane colla testa di uccello, o di altro animale. Dell’interiore del tempio si dovrà intendere anche Origene 'Contra Celsum l. VI. num. 80. op. Tom. I. pag. 693. C., Clemente Alessandrino Pædag. lib. 2. cap. 2. princ., ed altri antichi scrittori ivi citati nella nota, dicendo, che nei tempi degli Egizj non si vedeano che figure di animali.
  37. E colla Raccolta del signor conte di Caylus; ove per altro molte se ne veggono a testa di bruto.
  38. Herod. lib. 2. cap. 35. pag. 120 [Per ciò, che riguarda le Arti del Difegno, noi possiamo assicurare con franchezza, che vi erano donne consacrate alle divinità egiziane: e per salvare l’autorità troppo chiara di Erodoto, diremo, che vi si consacravano in qualità di ministre, o iniziate; come al presente si crede da molti eruditi: non parendomi probabile, stante la tenacità, e costanza degli Egizj nel loro modo di pensare, e nelle usanze religiose, che vi si siano intruse ne’ tempi dopo Erodoto, come pretende il signor Paw Rech. phil. sur les Egypt. ec. par.I. sect. I. pag. 44. Persio Sat. 5. v. 166. chiama sacerdotosse le iniziate al culto isiaco:

    cum sistro lusca sacerdos;

    e di esse pare che vada inteso Giovenale Sat. 6. v. 488.:

    ...isiaca sacraria lana,

    secondo che spiega Van-Dale De antiq. ec. dissert. I. cap. VIII. pag. 85. E apertamente Apulejo citato nella pag. 86. not. *. ci attefta, che v’erano quelle donne dedicate alla dea Iside, le quali andavano in processione vestite di abito sacro, portando simboli delle divinità; quali appunto sono la prima, e l’ultima figura della celebre Pompa Isiaca nel cortile del palazzo Mattei, che cita il nostro Autore qui appresso cap. iiI. § 13., e viene riportata dal P. Bacchiai nel suo trattato De Sistris, dal signor abate Amaduzzi Monum. Mathæj. Tom. iiI. Tab. XXVI. num. iI., e dal signor Lens le Costume, ec. pl. 2. In altro basso-rilievo degli orti Mattejani, passato ora al Museo Pio-Clementino, il cui disegno è riportato dal lodato Amaduzzi Tab. XXIV., si vede una donna in abito sacerdotale, che sacrifica col marito alla dea Iside. Altra donna, col nome anche scritto sotto la figura, che sta in atto di offerire a Iside, e Osiride varie cose sopra un altare, si ha nel basso-rilievo egiziano di Carpentras riportato dal Montfaucon Ant. expl. Suppl. Tom. iI. pl. 54., e meglio illustrato dal sig. Barthelemy Acad. des Inscript. Tom. XXXII. Mém. pag. 731. seg. A queste aggiugniamo la bellissima pastofora sicuramente egiziana; come anche la fanciulla alessandrina, della quale. si è parlato al luogo citato poc’anzi; e Livia Calcedonica dedicata alla dea Iside, di cui si fa menzione in altra lapide presso il Muratori Nov. Thes. Inscr. Tom. IV. pag. 1991. num. 3., e Amaduzzi alla citata tavola XXIV. pag. 42. In questo numero di donne isiache noi potremo dunque annoverare eziandio qualcuna delle statue muliebri del Campidoglio; e credo di potervi mettere un busto di ritratto, per quanto mi pare, già della villa Albani, ora del detto Museo Pio-Clementino, riportato dal signor abate Raffei Osservaz. sopra alc. ant. monum. Tav. I. num. 3. pag. 40., che lo crede un’Iside, con in capo un simbolo circolare rappresentante la luna, sostenuto da due serpi, secondo che scrive Apulejo Metam. lib. XI. pag. 360.: e così diremo di altre figure muliebri, che vengono chiamate Isidi, come osservano il signor Lens livr. I. chap. I. pag. 4. not. *., ed il signor conte di Caylus Rec. d'Antiq. Tom. iI. Ant. Egypt. pl. I. pag. 11.

  39. Mon. ant. Part.I. cap. 27. §. 1. num. 73. 74. [Sono corna di vacca, che era dedicata a questa dea, Erodoto lib. 2. cap. 41. p. 123., Eliano de Nat. anim. lib. i. cap. 27. Il conte di Caylus forse perchè non ha veduta l’espressa testimonianza di quelli due scrittori, crede che siano le dette corna un simbolo di potenza; come di Assarte racconta Sanconiatone presso Eusebio lib. 1. cap. 10. pag. 38., che per insegna reale si mettesse in capo una testa di toro.
  40. Poiché si vede il sistro a testa di gatto nelle mani d’un’antichissima statua di donna, che vien presa per Iside, esistente in Inghilterra, appare non essere stato quello stromento sì nuovo nell’Egitto, come lo pretende il signor Winkelmann. Altronde que’ popoli sì nemici d’ogni innovazione, come avrebbon eglino permesso d’introdurre un nuovo stromento musicale? Egli sarebbesi disingannato se avesse lette le ricerche di Bochart sul sistro. Nota tratta da Paw Recherches ec. sec. par. sect. IV. pag. 292. [Il figror Paw avrebbe potuto risparmiare questa critica se avesse meglio considerato il sentimento, e le parole di Winkelmann. Egli non dice, che il sistro si sia introdotto in Egitto nei bassi tempi. Vuole soltanto, che non si trovi su i veri lavori fatti colà, in quelli cioè del primo, e del secondo stile, che ci fono rimasti, fuorché sull’orlo della Mensa Isiaca. E ammettendo, e sostenendo qui appresso cap. iiI. §. 14., che questa tavola sia del più antico stile, viene chiaramente a dire, che il sistro ancora era antichissimo presso quella nazione. Né per questo avea bisogno, che il signor Paw gli suggerisse di leggere Bochart, mentre egli lo allega a questo proposito nella sua opera, alla quale si rimette qui poco dopo nella nota c.; e in fine la statua, che sta in Inghilterra, sarebbe al proposito, se il signor Paw ci avesse prima fatto vedere, che essa è di uno di quei due sistri, e che non sia ristorata.
  41. De Sistr. pag. 17. V. Descrip. des pierr. gr. du Cab. de Stosch. Préf. pag. XVII. [ Io non ho potuto trovare dove il P. Bacchini in tutta l’opera citata, che ho letta, riletta, e fatta leggere da altri, asserisca tal cosa. Winkelmann potea vedere il sistro scolpito anche nella prima fascia di quel secchio di bronzo, del quale parla in appresso nel capo IV. §. 3. più chiaramente rilevato nel disegno, che ne dà il P. Martin, il quale nel §. V pag 151. osserva, che con quell’istromento viene caratterizzata la più parte dei monumenti, che vengono dall’Egitto: e pare anche a me, che si veda di fatti fu qualcheduno di essi, della forma presso a poco, che ha su quel secchio.
  42. Secondo che scrive Sinesio Calvitii encom. in fine, pag. 114. C. la punta superiore è l’artiglio d’una fiera; quella di sotto il rostro d’un uccello sacro, che Winkelmann nei Monum. ant. nel luogo, che cita qui appresso nota b. dopo il Pignorio Mensa Isiaca lit. E. pag. 28., vuole l’upupa. Il bastone serviva di scettro ai re, come abbiamo da Diodoro qui appresso; e per relazione di Erodoto l. 2. cap. 63. pag. 133. lo portavano i Sacerdoti in una processione, e ritornando si menavano bastonate vicendevolmente con quei, che erano restati alla guardia del tempio. Vegg. Martin Explic. de quelq. mon. sing. Relig. des Egypt. §. XIII. pag. 188.
  43. Monum. ant. num. 79. pag. 103.
  44. Diodoro lib. 3. §. 3. pag. 176., lo dice simile ad un aratro; e così dice anche Winkelmann nel luogo dei Monumenti, a cui si riporta qui appresso.
  45. loc. cit. §. 6. pag. 104.
  46. De Antro Nymph. cap. X. pag. 11.
  47. Genes. cap. 1. v. 2.
  48. Plut. de Iside, & Osiri. pag. 354. D.
  49. Seneca Nat. quæst. 3. cap. 13.
  50. Vedi pag. seg. nota A.
  51. Le barche con divinità egiziane dentro si possono vedere in altri antichi monumenti, come negli avanzi del sepolcro del re Osimandue presso Pococke Description, ec. Tom. I. tav. 42.; Fabretti Inscr. cap. VII. pag. 533.; nel secchio di bronzo presso il P. Martin Explicat. de quelq. mon. ec. Relig. des Egypt. p. 144 §. VI. pag. 62., il quale appunto le spiega colle ragioni di Porfirio; e in una gemma presso il Gori Gemm. ant. cl. IV. tab. 59. num. 1. pag. 125., ove crede poterle riferire alla protezione d'Iside, e Osiride per li naviganti, e alla festa della stessa Dea, chiama Navigium Isidis; o anche di altre divinità, come osserva Martin pag. 164.; e può vedersi Buonarroti Osserv. Istor. sopra alc. medagl. Tav. 37. pag. 434. seg. Di una medaglia del tempo forse de’ Greci ultimi, in cui ii trova un’Iside con altre figure, e che molto ha occupato l'ingegno di varj gran letterati, si legga l’Autore De L’archit. nav. anc. & mod. ec. prém. par, in appendice del III Tomo dell Hist. gcn. de la marine, p. 21O., ove crede, che sia simboleggiata l’invenzione dell’uso della vela.
  52. Monum. ant. Par. I. cap. 7. §. 2. n. 22. pag. 25.
  53. Préface a la description des pierr. grav. du Cabin. de Stosch, p. XVII.
  54. Apud Athen. Deipnof. l. 14. cap. 22. pag. 659. B.
  55. Mon. ant. Par. I. cap. 27. §. 5. p. 103. [Io non vedo cosa particolare in quella osservazione. O vogliamo considerare la sfinge degli Egizj come ideale, e simbolica, secondo che fa osservare il Pluche Istor. del Cielo, lib. 2. §. 8.; e allora non farà né maschio, né femmina; perchè è un composto di testa, e petto di donzella, e qualche volta di testa, petto, e mani, come diremo nella nota seguente; e del corpo d’un leone corcato: colla quale unione simboleggiavano i due segni celesti del leone, e della vergine. Oppure si vuol considerare la sfinge come un vero animale, del genere delle scimie, che dimora tra l’Etiopia, e la Trogloditica, menzionata, e descritta da Diodoro l. 3. §. 35. pag. 200., Plinio l. 8. c. 21. sect. 30., Solino c. 27. in. fine, Strabone l. 17. pag. 1121. A., Ammiano Marcellino l. 22. c. 16., Filostorgio Hist. eccl. l. 3. c. 11., ed altri antichi autori, come simigliante alle sfingi, che facevano gli artisti, fuorché nel pelo, che hanno irsuto; ed allora diremo, che di esse vi è il maschio, e la femmina: il che viene anche notato nel Museo d’Ercolano Pitture, Tom. iiI. Tav. 30. pag. 126., e Tav. 58. not. 5. pag. 305. Il passo del poeta Filemone è stato veduto da Begero Thes. Brandeb. Tom. iiI. pag. 371., e spiegato nel suo giusto senso metaforico. Presso i Greci la sfinge era quel mostro ideale, con testa, e petto di donzella, che proponeva enimmi, Euripide Phœniss. v. 813., Sofocle Œdip. Tyr. v. 516., Ateneo l. 6. c. 15. pag. 253. Plutarco Quod bruta anim. rat. utant. oper. Tom iI. pag. 988. A.; ed era passato tra di loro in proverbio di chiamare sfingi quegli uomini, e donne, che parlavano in modo ingegnoso, arguto, ed enimmatico. Così Filemone fa dire ad un padrone, di aversi preso a servizio uno sfinge maschio, cioè un cuoco, che affettava di parlare a modo di sfinge. E da tale scherzo proverbiale potremo ricavarne con buona fede, che questo poeta supponga veramente l’esistenza di sfingi maschie ? Gli artisti, forse de’ tempi posteriori, si presero la libertà di formare le sfingi maschie colla barba, come si dirà qui appresso; ma io non ho potuto trovare, che ad esse i poeti, o altri autori greci alludano mai. Winkelmann nei Monum. ant. part. I. cap. 27. § 5. pag. 103. tra le sfingi egizie, alle quali si vede lo scroto, ne conta sei di villa Borghese, e due di villa Albani. Noi vi aggiugneremo quella della villa di papa Giulio, ora del Museo Pio-Clementino, e due nel contiguo giardino interiore.
  56. Winkelmann ne ha dato il disegno sul principio di quest’opera nella prima edizione tedesca, ripetuto nella prima traduzione francese. Si vede più interessante arche in un altro basso-rilievo di terra cotta posseduto qui in Roma dal P. Stefano Dumont de’ Minimi, soggetto ben noto per le sue particolari osservazioni, e ricerche sulle antichità di questa Dominante. È di proporzione di 10 oncie dalla estremità delle zampe d’avanti fino all’origine della coda; e giace come le altre sfingi. È molto ben rilevata per ogni sua parte; e potrebbe dirsi di maniera greca. Si veda qui appresso in fronte al cap. iiI. Le gambe deretane non si può capire sull’originale se siano di leone. Pajono di asino, o di cavallo, o piuttosto di caprone, come si può arguire dalle orecchie di Fauno; e nella stampa si sono fatte così presso a poco. I1 nostro Autore Descr. des pierr. ec. cl. 3. sect. 1. n. 27. p. 320., e Monum. ant. par. I. c. 27. §. 5. pag. 103. ha creduto di far una scoperta particolare; di trovar cioè le parti deretane di cavallo ad una sfinge su l’elmo d’una Pallade in una moneta di Velia prezzo Golzio Sicilia, & Magna Grecia, ec. Tab. XXII. n. 7. In quella tavola non vi sono monete di Velia. Egli forse intendeva della Tavola XXIV. n. 1.; ma quivi si vede un intero cavallo. Nel n. 4. e 7. vi sono due sfingi, alle quali non si vedono le gambe deretane. Si vedono però in diverse, che ne riporta il P. Magnan Lucania Numism. Tab. 10. segg.; ma però sono di leone, e niente hanno di cavallo. Il basso-rilievo è dell'altezza di 8. oncie. Ha il fondo colorito in turchino, e parte in rosso; e la barba, e i capelli della sfinge in violaceo. Un’altra di queste bestie colla barba si ha nelle pitture dell'Ercolano Tom. V. Tav. 65.; e le vogliamo credere, che la fronda di persea, o altro che siasi, attaccata al mento delle figure egiziane, stese come per barba, noi avremo una sfinge barbuta anche nei lavori egiziani, cioè, nell’angolo sinistro ascendente della Mensa Isiaca. Qui noterò di passaggio, che il nostro Autore nei Mon. ant. alla cit. par. I. c. 27. §. 5. p. 103., parlando delle sfingi, ha detto sfingi egizie colla barba, in vece di greche, come scrive bene in questo luogo. Il Begero Thes. Brandeb. Tom. iiI. pag. 370., collo Spanhemio De usu, & præst. num. Tom. I. Diss. 5. n. 2. pag. 242. segg trovano un’altra differenza tra la sfinge greca, e 1'egiziana: ed è, che quella ha le ali, come leggo che la descrive Euripide Phœniss. v. 813., Sofocle Œd. Tyr. V. 516., e questa non le ha: e se si trova, dice Begero, in alcuni monumenti egizj, come in fatti si vede nella detta Mensa Isiaca, e in lavori d’imitazione, come nella detta figura del Museo Ercolanese coll'altra del Tom. IV. Tav. 68.; e nella creduta Pompa Isiaca in un cippo già degli orti Mattejani, ora del Museo Pio-Clementino, riportata dal sig. abate Amaduzzi Monum. Matth, Tom. iiI. Tab. XXV. fig. 2., sarà una cosa singolare all’uso de’ Greci, e per particolari ragioni. Osserva anche Begero, che le sfingi greche non hanno la cuffia come si vede nelle egiziane. Ma ciò non potrà sostenersi di tutte; poichè una ne vedo presso il P. Paciaudi Monum. Pelop. vol. iI. pag. 30.; e Spanhemio l. c. pag. 245. riporta la sfinge con in capo un berrettone, come insegna dell’isola di Scio. In un sarcofago romano presso il lodato signor abate Amaduzzi Tab. LXVI. veggonsene due colle ali, e colla cuffia fatta come quella delle egiziane.
  57. Lib. 2, cap, 175. pag. 189.
  58. E dove mai? Sento, che cosi credono comunemente gli antiquarj, e gli artisti; ma egli è un solenne sproposito, il quale ha la sua origine dai gessi, che se ne fanno; perchè non si bada all’effetto che produce il bassorilievo incavato nella pietra, ove le quattro dita lunghe, che non fono ben contornate, e decise, ma soltanto indicate con un taglio profondo, compariscono nel gesso quali acute, e ritorte in dietro, come si vedono anche alle figure della Mensa Isiaca presso il Pignorio; non però i pollici, che fono ben contornati nella pietra, e niente hanno di acuto. Almeno si poteva riflettere, che nessuna bestia, che abbia le ugne acute, o carnivora che sia, o non sia, come è il lepre, secondo l'osservazione di Plinio l. 10. cap. 73. sect. 93., può averle rivoltate in dietro, quali si vogliono quelle delle dette sfingi. Noi abbiamo fatto, e veduto ridisegnare colla possibile diligenza e scrupolosità la sfinge più bella, che sta nella parte superiore dell'obelisco, e l’abbiamo rimessa in fronte di questo capo iI. Quello che c’è veramente di particolare, si è che essa, e l’altra, che si vede, giacché delle due altre una è guasta affatto, e l’altra è sotterra, hanno le mani stravolte, e a rovescio, come si vede nel disegno. Il nostro Autore nei Monum. ant. part. l. cap. 27. n. 5. p. 102, ha creduto, che queste sfingi fossero le uniche con le mani umane; perchè non aveva osservato quella riportata dal conte di Caylus, che noi abbiamo messa in principio di quello libro, come ve l’ha posta il sig. Huber, ma disegnata a rovescio; e due altre del Museo Ercolanefe Picture Tom. IV. Tav. 66. p. 208.
  59. Herod. lib. 2. c. 81. pag. 141. [ Polluce Onom. lib. 7. cap. 16. segm. 71.
  60. Bochart Phal. & Can. lib. 1. cap. 16. pag. 416.
  61. Andavano colla veste sciolta senza alcuna cinta sì gli uomini, che le donne, come vediamo anche nelle loro statue, fuorché nei casi di lutto, all’opposto dei Greci. Erodoto lib. 2. cap. 85. pag. 142. Per cingersi poi nei detti casi, racconta questo scrittore lib. 2. cap. 36. pag. 120., che cucivano il cordoncino, o fascia per di sotto alla veste, come facevano anche degli orli riportati sulle stesse vesti, al contrario delle altre nazioni. Ai casi di lutto aggiugneremo le ceremonie, e processioni religiose, per molti de’ sacerdoti, e donne iniziate, che v’intervenivano; vedendosi nella Pompa Isiaca del palazzo Mattei, di cui si è parlato alla pag. ant. not. a., e in altri monumenti. Intorno agli abiti dei re, dei sacerdoti, e altri uomini, e donne egiziane, può vedersi anche il signor Lens le Costume, ec. l. I. chap. iI.
  62. Plin. lib. 19. c. 1. sect. 2. §. 3. [Plutarco de Iside, & Osir. oper. Tom. iI. pag. 352. E., Grazio Falisco Cyneget. v. 42. 43. ci dicono chiaramente, e senza equivoco, che i sacerdoti vestivano di lino; e quindi da tutti gli scrittori latini, sono chiamati linigeri. Plinio scrivendo in questo luogo, che le vesti di bambace, o cotone erano gratissime ai sacerdoti, non dice il contrario; ma vuol dire soltanto, chi facevano anche uso di cotone, che molto stimavano: altrimenti non avrebbe detto, che tali vesti erano loro gratissime; ma che il cotone era l’unica materia, di cui si vestissero. Erodoto lib. 2. cap. 37. pag. 121. scrive, che essi non usavano altre vesti, che quelle di lino: e sarà stato così a’ giorni suoi; forse perchè il cotone venisse dall’India in Egitto, epperciò non vi fosse allora molto comune. Cosi congetturo dal vedere, che questo scrittore, il quale viaggiò per l’Egitto, non dice, che vi si coltivasse la pianta del cotone; ma bensi, che si coltivava nell’India lib. 3. c. 116. pag. 210. In appresso, forse per opera de’ Greci, si sarà coltivato anche in qualche parte di questo regno, principalmente nella orientale, come vorranno dire Plinio loc. cit., e Polluce Onomast. lib. 7. cap. 15.; e i sacerdoti avranno allora cominciato in qualche modo a farne uso per la sua bianchezza, e morbidezza; giacchè la lana solamente aborrivano, come proveniente da animale, Erodoto lib. 2. c. 81. pag. 141. Alla pag. 59. ho inferita la figura, che vi si vede, ricavata da una breccia gialla di due terzi di palmo, acquistata dal signor abate Visconti per il Museo Pio-Clementino. Io vi credo rappresentato un sacerdote egiziano; parendomi, che gli possa convenire la descrizione, che fa Porfirio De Abstin. l. 4. pag. 360., 362. e 364. del loro portamento serio, e composto; del loro abito stretto, e scarso; aggiugnendo, che tenevano sempre le mani dentro l’abito in una, o in altra positura diversa, colla quale fra di loro significavano diverse cose: Continebant autem semper manus intra habitum, quarum compositio unicuique nota erat significativa eorum, quæ in administratione rerum sacrarum acceperant. Plures enim erant manuum compositiones. Nel volto esattamente disegnato gli si vede il carattere egiziano. Al mento ha un residuo della fronda di persea, e dietro all’appoggio ha i geroglifici.
  63. Anche due femminili si veggono con esso nella Mensa Isiaca lett. Q.; e non sacerdotesse, giusta il pensare di Winkelmann p. 90.
  64. Hanno per lo più anche una specie di gran collare, che loro scende sul petto; presso a poco simile a quello, che abbiamo dato alla pag. 76.; ma però senza quelle figure. Nella Mensa Isiaca vi sono nello stesso modo; altre hanno una specie di stola, ed altre sono tutte vestite.
  65. Strab. Geogr. lib. 16. pag. 1130. D. V. Vales. ad Amm. lib. 14. cap. 4. pag. 14.
  66. Nel citato vaso di metallo presso il P. Martin Explic. de div. monum. sing. Relig. des Egypt. §. I. Tab. 5. pag. 144. nella terza fascia si vede un Anubi così cinto. Dall’altra parte vi è una figura, che il detto scrittore vuole il sommo sacerdote, §. VII. pag. 167.; e in mezzo si vede un altro, che egli crede un iniziato ai misteri d’Iside, §. IX. p. 175., ed ha una veste, che lo copre dalla cintura fino a mezza gamba. Due altre figure con quelle vesti, una più lunga, e l’altra più corta, si veggono sulla punta dell’obelisco Barberini presso Kirchero Œdip. Ægypt. T. iiI. synt. V. pag. 271., e Warburton Essai sur les hierogl. Tom. iI. in fine.
  67. Servio ad Æneid. Lib.i 2. v. 120. Scendeva sino ai piedi.
  68. Il trono d’Egitto era ereditario. Mancando persone della famiglia reale, si sceglieva il re dal numero de’ sacerdoti, o dalla classe militare. Se toccava a uno di questa, egli dovea subito farsi ascrivere all’ordine sacerdotale; e ciò perchè s’istruisse nella sapienza egiziana, non per esercitarne il ministero sacerdotale, o vestirne l’abito, Platone Polit. pag. 150. D. oper. Tom. iI., Plutarco de Iside, & Osir. dopo il princ. pag. 354.; e l’osserva il P. Paoli nella più volte lodata dissertazione Delle Relig. de’ Gentili ec. part. iiI. §. V. VI. VII. pag. 113. segg. Sinesio de Provid. l. 1. pag. 93. D. scrive, che Tifone fu re, e sommo sacerdote insieme; e nella lettera 57. pag. 108. C., e 121. pag. 258. B., che amendue queste dignità furono per lungo tempo unite in una sola persona; ma nel cit. lib. 1. de Prov. pag. 110. A. dice, che aveano abiti, e divise proprie da sovrano: il che conferma Diodoro lib. 1. §. 70. pag 81. annoverando le varie insegne, che portavano in capo; e dando loro un abito di porpora, unitamente a Giuseppe Flavio Antiq. Judaic. l. 2. cap. 5. in fine, e Acmet Oneirocrit. cap. 1578. pag. 131. Osservo per altro nello stesso Diodoro lib. 3. §. 3. pag. 176., che tra le divise dei sovrani era comune ai sacerdoti quella specie di berretta alta, con un serpe avviticchiato, di cui parlerà il nostro Autore qui appresso §. 20.; e lo scettro, di cui sopra ha discorso § 12.
  69. lib. 2. cap. 130. pag. 166. [Dice statue muliebri di legno circa venti.
  70. Non so che mi dire intorno a questa omissione. Ma da essa non deve argomentarsi contro Erodoto, il quale andò in Egitto, e vide, che appunto con quella veste andavano coperte le donne.
  71. Mi pare che si possa dire lo stesso di alcuni sacerdoti, che portano una barchetta con entro una figura egiziana, nei bassi-rilievi del sepolcro d’Osimandue presso lo stesso Pococke Tab. 42. pag. 108.; e di cui ho già parlato innanzi. Si vede loro appena un orlo alli polsi, e alle caviglie, che io non posso credere un anello. Hanno della somiglianza con due sacerdoti della figura iI. nella creduta Pompa Isiaca, della quale abbiamo anche parlato sopra pag. 90. not. b.
  72. loc. cit. Tab. 76. pag. 284. [ Presso Sallengre Nov. Thes. Antiq. Rom. T. iI. p. 1002. si vede una figura di donna vestita come a campana. Pare che abbia la veste di sotto, e una sopraveste alquanto più corta, ma con qualche pieghetta. Le pende avanti, e dietro una striscia della lunghezza della sopraveste, piena di geroglifici.
  73. È bene di avvertire, che questo Museo Rolandi Magnini, una volta celebre per le tante rarità in ogni genere, e lodato dal de la Chausse, e da tanti altri antiquari, è quasi affatto disperso dopo molte vicende. Così avvisava anche il signor abate Venuti Accurata e succ. descr. di Roma mod. ec. Tom. I. Rione V. pag. 188., ove dà una piccola relazione di quel che era una volta
  74. Questa figura passata al Museo Pio-Clementino è d’uomo, non di donna, come si conosce dalle spalle, dalle mani, e dal petto. Rappresenta uno di quei pastofori, de’ quali ahbiarno parlato alla pag. 86., che tiene sulla cassettina l’immagine d'un cercopiteco sedente, simile a quello della villa Albani nella Tav. IX., di cui parimenti si è discorso alla pag. 88. not. b. I piedi non gli fi vedono, perchè gli mancano; e il capo lo ha rifatto di mistura. Nella grandezza e quanto la pastofora in basalte descritta alla pag. 87., cui rassomiglia nell’abito; sul quale però non sono incisi geroglifici, che sono dietro all'appoggio, e sulla cassettina. Una figura consimile nel vestimento, e che pare d’uomo, si vede presso il Padre Montfaucon Ant. Expl. Suppl. Tom. iI. sec. par. pl. 120. e un’altra coperta di geroglifici, come la detta pastotora, e nel la stessa mossa, pl. 109. Alcune della Pompa Isiaca del Museo Ercolanese Pitture Tom. iI. Tav. 59. e 60. hanno l’abito lungo fino quasi ai piedi, e annodato sul petto, come le citate; ma aperto davanti, e sopraposto.
  75. Plut. De Isid. & Osir. pag. 382. C.
  76. Nordens Travel in Egypt, Pref. p. 20. 22. Tav. iI.
  77. lib. 3. cap. 12. pag. 198., Sinesio Calv. enc. pag. 77. B.
  78. Sen veda la figura quì appresso a principio del capo IV. [Leggasi pag. 94. not. a.
  79. Al presente nel Pio-Clementino.
  80. Ora nel Museo Pio-Clementino. Non è di granito nero, ma di una specie di pietra, che sta tra il granito nero, e il basalte; e toccata rende un suono, come appunto i monumenti di questa pietra. Può dirsi un basalte imperfetto, o un granito basaltico. Le bende, che dice Winkelmann, sono dirette verso la punta del mento, luogo improprio per allacciarvele a trattenere la berretta. Piuttosto servivano a tenere la fronda di persea, o altro che fosse, sotto al mento, come si vede chiaramente in due figure presso il conte di Caylus, una Tom. iI. pl. VII. num. IV, che ha la berretta presso a poco simile a quella di Aldo alta qualche dito; l’altra Tom. IV. pl. I. num. V., che è coperta di un semplice berrettino per niente alto, come quello, che portano i nostri religiosi; e il quale per conseguenza non avea bisogno di essere fermato con bende; come neppure hanno questo bisogno le più alte mitre de’ nostri Prelati. Alla detta statua non si vede la fronda; perchè il mento le è stato rifatto di mistura. Per quanto poi abbia osservato nella lodata Raccolta di Caylus, e in tanti altri monumenti, non ho saputo trovare alcuna figura, che abbia le bende senza avere la fronda.
  81. Hyde de Relig. Pers. cap. 23. p. 305.
  82. Cons. Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch. préf. psg. XVIII.
  83. Præf. ad Tom. VI. Thes. Antiq. Grœc. pag. 9.
  84. Per ottenere, e rendere probabile l’opinione di Gronovio si potrebbe dire, che i Maltesi avessero preso per simbolo nelle monete la pelle del loro cagnuolino, che è sempre stato celebre anche nei tempi antichi, come osserva Burcardo Niderstedt Melita vetus & nova, lib. 1. cap. 6. Thes. Antiq. Græc. Gronovii Tom. VI. pag.40. C. Ma io dubito, che la moneta da lui portata sia guasta, e tutt’altro vi sia rappresentato, che la pelle di cane. Trovo lo stesso tipo, fuorché senza quella prominenza, che Gronovio crede la coda del cane, in due monete, che il signor abate Venuti Dissertaz. sopra alc. med. maltesi, n. 5. attribuisce a quell’isola; e in altra creduta dell’isoletta Cossura, o Cosyra, ora Pantellaria. all’oriente di Malta 85. miglia, e dalla Sicilia meridionale 60., come scrive Guyot de la Marne Dissertaz. sopra un iscriz. punica, nei Saggi di dissert. dell’Accad. di Cortona Tom. I. pag. 22., e riportata da Castelli Siciliæ populorum, & urbium ec. vet. nummi Tab, XCVI. n, 11.; e sì nell’una, che nell’altra stimo siano capelli, ciò che Gronovio ha creduto, e rappresentato come una pelle di cane; e la punta, che crede la coda del cane, può essere un serpe.
  85. Nella edizione di Vienna quello passo si legge equivocamente. Quindi Huber lo ha tradotto in un senso tutto opposto; non badando, che così il discorso di Winkelmann non connetteva.
  86. Quæst. Rom. oper. Tom. iI. p. 276. F. Dice che ne li vestivano, non che loro ne coprissero il capo. Una figura di essi presso Baudelot l’Utilité des Voyages, Tom. I. p. 254. la tiene a traverso alla schiena, e al petto.
  87. Ci voleva qualche ragione per farci credere, che la pelle in capo a questa Pallade, e ai due Ermi, sia di cane. Ha la forma in tutto e per tutto di leone, quale li vede nelle innumerabili teste di Ercole in ogni genere di monumenti. E possiamo credere, che i due Ermi appunto rappresentino quest’eroe senza barba, quale si vede molto simile anche nei lineamenti del volto, per esempio. presso Begero Thesaur. gemm. & numm. ec. nelle monete di Crotone, pag. 176.; di Siracusa, pag. 212. 213.; di Coo, pag. 232.; di Corfù, pag. 250.; di Eraclea, pag. 261.; di Velia presso il P. Magnan Lucania Numism. Tab. 17. num. iiI. e X., Tab. 18. num. I. iiI. e XIII; e in una punica presso Pelerin Recueil des medail. ec. Tom. iiI. pl. 88. n. 8.; in due statue, e busti presso Montfaucon l’Ant. Expl. T. I. par. iI. pl. 124. n. 1. 2., pl. 61. n. 1. 3., in una statuina creduta etrusca presso Caylus Rec. d’Ant. T. I. Ant. etrusq. pl. 27. n. 2.; [e in una statua del Museo Pio-Clementino. Potrebbe anche dirsi, che fossero due teste ideali; oppure di qualcuno fra i tanti degli antichi, che facevansi effigiare con questa pelle in capo, quale insegna di Ercole, come si vedono, a cagion di esempio, senza la barba i re di Macedonia, Aminta, Filippo, Alessandro il grande presso lo stesso Begero pag. 113. 119. e 121.; e colla barba gl’imperatori Comodo, e Massimiano nelle medaglie riportate dal Buonarroti Osserv. istor. sopra alc. medagl. Tav. VII. num. 8., Tav. XXXI. num. 5.; e così di altri.
  88. Cioè dell’obelisco Barberini, ora negli orti Vaticani, in cima dalia parte, che il Padre Kirchero chiama orientale nella tavola datane nel suo Œdip. Ægypt. T. iiI. synt. V. pr. pag. 271. Questa figura, di cui parla Winkelmann anche nei Monum. ant. nel luogo qui appresso, si vede eziandio presso Warburton Essai sur les hierogl. Tom. iI. in fine.
  89. Winkelmann ne dà la figura nei Monumenti antichi, num. 79., e la illustra nella Par. I. cap. 27. §. 6. p. 103.
  90. Essai sur les hierogl. Tom. iI. in fine pag. 626. [Non è Warburton che parla in questo luogo. Egli riporta in appendice un lungo squarcio di monsignor Bianchini intorno agli obelischi.
  91. Bianchini dice che è l’arboscello di loto, consecrato al sole, che Diodoro lib. 1. cap. 62. pag. 71. dà a Proteo, e agli altri sovrani d’Egitto.
  92. Porfirio presso Eusebio De Preparat. Evang. lib. 3. cap. 11. pag. 115. A.
  93. Tale fu creduta da monsignor Bottari nella descrizione, che ne dà Mus. Capitol. Tom. iiI. Tav. LXXVI. Il nostro Autore ne avea dubitato nella prima edizione di questa Storia, pensando, che potesse essere una chioma fittizia, o perrucca, quale nei Monumenti antichi inediti Par. I. cap. 27. §. 2. p. 101. parvegli di vedere nelle figure d’Iside nella Mensa Isiaca, ed altre, e pigliandone argomento anche dai Cartaginesi, o per dir meglio, da Annibale, che la usò, come scrivono Polibio Hist. lib. 3. pag. 229. in fine, Livio lib. 22. cap. 1. Senza limitare all’esempio di Annibale, che portava perrucca, e la mutava per ingannare i suoi nemici, poteva il nostro Autore appoggiarsi a Thiers, il quale nella Storia, che appunto fa, delle perrucche, capo I. ne prova l’uso presso tanti antichi popoli. Ma per il nostro proposito si scorge chiaramente nella figura, che noi diamo in fine di questo capo, presa dal più volte citato libro di Guasco de l’Usage des statues chez les anciens, Tav. IV. E una di quelle piccole statue, che si mettevano nei sepolcri, rappresentanti i defunti, come osserva Maillet Description de l’Egyp. let. 7. pag. 280. Racconta Erodoto lib. 2. cap. 360. pag. 120., che gli Egiziani in vita si radevano la barba, e i capelli; e in morte mettevano la perrucca: Ægyptii sub mortes sinunt capitis crines immitti, tum in capite, tum in mento antea rasi: alla quale usanza credo che alluda Clemente Alessandrino Pædag. lib. 3. cap. 11. oper. Tom. I. pag. 201. princ., ove scrive: Alienorum autem capillorum appositiones sunt omnino rejiciendæ, & externas comas capiti adhibere est maxime impium, quo fit ut mortuis pilis cranium induant. Ha i geroglifici dietro le spalle, per cui l’ho citata appa pag. 16. n. a.; e se reggesse la pretensione del nostro Autore nel cap. seq. §. 8., si dovrebbe riputare dei tempi anteriori ai Greci. Presso il P. Montfaucon l’Ant. Expl. Tom. iI. sec. part. pl. 120. si vede un sacerdote, che pare abbia la perrucca; e Apulejo Metam. lib. XI. pag. 368. racconta, che nella processione isiaca v’interveniva un sacerdote, il quale si metteva una perrucca, essendo rasato per professione, ad oggetto d’imitar la capigliatura delle donne: attextis capite crinibus. Vedi anche Tav. X.
  94. Num. 73.
  95. Io non so vedervi quest’acconciatura di penne. È una cuffia a pieghette, come tutte le altre, presso a poco, delle figure egiziane, con un orlo in fondo. Si può credere che fosse, o si fingesse di lino, o di cotone; argomentandolo da ciò, che dice Erodoto lib. 2. cap. 81. pag. 141., che non si usava lana nelle cose religiose.
  96. Mus. Cap. Tom. iiI. tav. 87.
  97. Num. 77.
  98. Recueil d’Ant. Tom. iI. plan. IV. n. 1. [ Di questi Arpocrati se ne trovano molti quasi in tutti i musei, e ne riporta una quantità il P. Montfaucon l’Antiq. Expliq. Tom. iI. sec. part. Tab. 118. e 123. Il conte di Caylus nel T. I. pl. LXXXI. n. 1. descrive una testa di donna colla ciocca sull’orecchia destra; e fra le varie congetture, che adduce per ricavarne il soggetto, pensa, che possa rappresentare una donzella dei Maxyes popoli dell’Africa, che imitavano quasi in tutto il costume degli Egiziani, e solevano radersi la parte sinistra del capo, come abbiamo da Erodoto l. 4. c. 168. p. 356. Dalla rottura, che ha in capo, si può argomentare, che sia un salvadenajo, come lo è un busto parimente di bronzo dell’altezza quasi di un palmo, con occhi d’argento, posseduto dal signor abate Visconti Commissario delle Antichità più volte lodato, che rappresenta un sacerdote, o un iniziato al culto di Osiride. Hanno amendue la stessa caricatura di viso; e dovrebbero essere lavorati in Italia, ove faranno stati in qualche tempio, come si usa tra noi, per ricevere le limosine dei divoti. Si potrebbe anche dire, che sia un ritratto di qualche fanciulla, alla quale fosse stata lasciata questa ciocca di capelli, forse per superstizione, come usavano i Gentili, secondo che bene rileva coll’autorità di Polluce, di Esichio, di Sant’Atanasio, e di Teodoreto, il Buonarroti Osservaz. sopra alcuni framm. di vasi antichi di vetro, ec. pag. 177. Tav. XXVI. in proposito di due fanciulli, ai quali si vede, su di un vetro, e molto somigliante nella quantità dei capelli. Abbiamo da Ammiano Marcellino lib. 22. cap. 11., come osserva lo stesso Buonarroti, e con lui Winkelmann Mon. ant. Par. 1. cap. 27. §. 3. pag. 102., che un certo Diodoro, il quale nell’anno 361. si trovava in Alessandria a sopraintendere alla fabbrica d’una chiesa, fu martirizzato in un tumulto dal popolo, perchè mosso da zelo recideva a quanti fanciulli incontrava quello ciusto, che credeva superstizioso: Dum ædificandæ præesset Ecclesia, cirros puerorum licentius detondebat, id quoque ad deorum cultum existimans pertinere.
  99. Saturn. lib. 1. cap. 21. pag. 303.
  100. Harpocr. pag. 35.
  101. Pluche Istor. del cielo, Tom. I. cap. I. §. 15. pag.88.
  102. Conjugal. præcepta, op. T. iI. p. 143. C. L’autorità di Plutarco fu questo proposito viene anche citata dal sig. Goguet Delle Orig. delle leggi ec. Tom. I. part. I. lib. VI. cap. iI. pag. 287. princ., e dal signor Paw Recherch. phil. sur les Egyp. ec. Tom. I. prém. par. sect. I. pag. 52. senza distinzione di tempi. Ma ciò, che mi fa maraviglia si è, che il signor Larcher nel Journal des Scavans, Mars 1744. pag. 504. volendo confutare il signor Paw, distingue i tempi, facendo dire a Plutarco tutto l’opposto; spiegandolo cioè del tempo, che l’Egitto era in mano dei Persiani, e quindi de’ Greci. Ægyptia mulieres, scrive Plutarco, majorum instituto calceis non utebantur, ut domi meminissent tempus exigendum. Hodie domi mensura sint pleræque, si aureos calceos, & armillas, & periscelides, & purpuram, atque uniones auferas. Non parla dunque de’ tempi suoi, ma degli antichi; e crederei prima dei Persi, e de’ Greci, leggendo in Eliano Var. Hist. lib. 13. cap. 33., che la famosa Rodope, di cui ho fatto menzione, per la rara sua bellezza, alla pag. 62. col. 1., anche prima, che fosse moglie del re Psammetico, portava pianelle bellissime; con una delle quali in mano i vede rappresentata in una statua presso il P. Martin Explic. de div. mon. sing. pl. X. pag. 319. Il volgo sarà andato a piedi nudi, come va anche al presente: e li hanno tanto incalliti, che non sentono molto il caldo di quelle arene cocenti. Radzivil Jerosol. peregr. epist. iiI. pag. 144.
  103. Tab. 76. pag. 284.
  104. Non si vede neppure nella citata figura presso Sallengre Nov. Thes. Ant. Rom. Tom. iI. pag.1002. Questa ha la stessa stringa attaccata ad un anello; il quale però non passa sotto al piede, ma gira intorno alla caviglia; ed è forse un di quei periscelidi, che dice Plutarco citato pocanzi. Non mi pare certo che né in una, né nell’altra figura supponga suola, o scarpa; eppure almeno la suola pare, che vi dovesse essere, pigliandone argomento dalla mummia, della quale diremo qui appreso. I sacerdoti portavano sandali, o scarpe di papiro, secondo Erodoto lib. 2. cap. 37. pag. 21., quale parmi in un sacerdote della Pompa Isiaca del palazzo Mattei, citata alla pag. 92. nota a. Nella [[:w:Mensa Isiaca|]] a lett. S., e HH., vi sono quattro sacerdoti con certe strisce, che pare indichino scarpe.
  105. Per ciò che riguarda gli ornamenti degli uomini, e delle donne, stimo bene di aggiugnere qui la descrizione che fa Pietro della Valle Viaggi T. I. lett. XI. §. VIII. p. 257. della più volte citata mummia da lui acquistata in Egitto; siccome di un’altra femminile. Della prima così scrive.
    “Il velar di quell’uomo, fsi vede esser lungo insino al collo del piede: e mostra, che era di panni lini, de’ quali abbiamo in Erodoto, che gli Egizj antichi del suo tempo usavano di vestirsi: però l’abito di costui, sopra il bianco del lino, si vede essere sparso di piastrelle di oro, con varj ornamenti di gioje, e disegni, o caratteri ignoti, in quelle impressi. La testa è pur coperta di oro e gemme ...... Si conosce chiaramente, che era persona grande tanto agli ornamenti dell’oro e delle gioje, quanto a quei sigilli di piombo, che pendono d’ogni intorno dai lati della involtura del suo corpo, nei quali par che si mostri più che ordinaria premura della sua conservazione; e nell’impronto di essi, che non bene si scorge, pare che vi sia scolpito un animale. È indizio ancora della qualità grande della sua persona una collana d’oro, che porta al collo a guisa de’ nostri tosoni; in mezzo alla quale sopra il petto sta attaccata, come giojello. una piastra grande d’oro, che rappresenta la figura di un uccello, e dentro in mezzo è scolpita con varj segni non conosciuti. Secondo Diodoro Siculo i Pretori de' Giudici portavano anticamente in Egitto di sì fatte collane col simulacro della verità: forse costui era uno di quelli: e forse l’effigiato uccello, che porta al petto, o un cotal segno della verità, o altra somigliante cosa vuol significare. In due diti della man sinistra, cioè nell’indice, e piccolo, ha un anello d’oro per ciascuno negli ultimi articoli presso alle unghie. Le gambe, ed i piedi gli ha nudi, solo con sandali neri, che non coprono altro che la pianta del piede, e passando un laccio di essi pur nero, che vien di sotto dalla suola fra il dito grosso, e l’altro dito al grosso più vicino; si allaccia con due orecchiette che vengono di dietro dal calcagno, e fa ornamento sopra il piede con una graziosa cappietta„. E dell’altra mummia scrive p. 260. „ L’abito della donna e assai più ricco d’oro, e di gioje, che non è quello dell’uomo. Nelle piastre di oro, che vi sono sparse sopra oltre degli altri segni e caratteri, vi sono anche scolpiti certi uccelli, e certi animali, che a me pajono leoni; ed in una più giù nel mezzo, un bue, o vacca che sia, che deve esser simbolo di Apis, o Iside. In un’altra, che pende al petto dalla più bassa collana, perchè di collane ve n’ha molte, vi è l’impronta del sole. Ha di più li pendenti alle orecchie, con gioje, maniglie doppie, ed anche alle gambe; anelli molti in amendue le mani, cioè nella sinistra uno per dito in tutte le dita, fuori che nel grosso: e nell’indice un altro ancora nell'ultimo articolo presso all’unghia; e nella destra due solamente, amendue insieme al luogo solito nel dito, che si chiama dell’anello”.
  106. Descript. of the East, ec. T. I. tab. 61. [Li ha un Oro presso il conte di Caylus Rec. d'Ant. Tom. IV. Ant. Ægypt. pl. IV. n. IV., e la citata statua di Rodope, la quale se non è di lavoro egiziano, come non pare, almeno rappresenta una donna all’egiziana.
  107. I braccialetti si vedono alle figure uomini, e di donne. Al polso li tiene la statua virile già del museo Rolandi, ora del Pio-Clementino, di cui li è parlato pag. 100. n. A., simili presso a poco a quelli della detta Iside, e della figura pubblicata da Pococke. Anguiformi ve li ha la bella pastofora in basalte verde lodata più volte: al polso, e all’alto del braccio si vedono a un’Iside, che tiene Oro sulle ginocchia nella Raccolta di Caylus Tomo IV. pl. IV. num. I., e ad una figura virile Tom. VI. pl. VII. num. I.: un’altra pl. V. num. iiI. li ha all’alto del braccio, al polso, e alla caviglia: al braccio solamente pl. VIII. num. iI.; e presso Montfaucon Antiq. Expl. Suppl. T. iI. pl. XLIV. n.2. a testa di gallo; al braccio destro della citata Rodope, e di tante altre. Erodoto lib. a. cap. 168. pag. 356. scrive, che le donne dei citati popoli Adimarchidi, portavano all’una, e all’altra gamba un’armilla di bronzo. La detta statuetta di Rodope mostra di avere inoltre una mitra, o corona in capo lavorata a piramidette, e una collana di perle. Di quella, che si vede alle figure virili, si è detto pag. 96. not. b. Il re Faraone ne mise una d’oro al collo di Giuseppe, Genes. cap. 41. v. 42.
  108. Genes. cap. 41. v. 42. [ Non so se sia più strana questa opinione, o quella del signor Goguet Della Orig. delle leggi, ec. Part. I. Tom. I. lib. VI. cap.I. pag. 208., il quale pretende rilevare da questo passo della Sacra Scrittura, che in que’ tempi, de’ quali ivi si parla, non si portasse l’anello al dito, ma sul dorso della mano, o attaccandola ad ella per mezzo d’un cordone, o facendo anelli tanto larghi, che vi potesse capir la mano. Per ora mi basterà di osservare per riguardo agli Egiziani, che essi lo doveano portare al dito, come si raccoglie da Eliano de Nat. animal. lib. 10. cap. 15., Plutarco de Idide, & Osir, dopo il princ., Aulo Gellio Noct, attic. l. 10. cap. 10.; e si prova colle mummie, delle quali abbiamo parlato poc’anzi. I braccialetti sono sempre stati diversi; e nei monumenti, che ci rimangono, mai non se ne vede alcuno, che abbia la forma di anello.