Geografia (Strabone) - Volume 3/Libro VI/Capitolo II

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Capitolo II

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Strabone - Geografia - Volume 3 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
Capitolo II
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CAPO II.


Descrizione dei territorii di Reggio, Locri, Crotone, Sibari, Turi, Eraclea, Siri e Metaponto.


È Reggio una citta fondata da’ Calcidesi, i quali ti dice che, secondo un certo oracolo, essendosi in tempo di carestia decimati, consacraronsi ad Apollo, poscia da Delfo si trasferirono in Italia, pigliando seco anche alcuni altri che abitavan colà. Al dire d’Antioco poi i Calcidesi furono chiamati dai Zanclei, e il capo della loro colonia fu Antimnesto. Furono di quella colonia anche alcnni fuggiaschi della città di Messene peloponnese, costretti a lasciare il proprio paese da coloro che non vollero dare veruna soddisfazione ai Lacedemoni della violazione di certe fanciulle avvenuta in Limna. Queste fanciulle essendo mandate a compiere un sacro rito erano state manomesse dai Messenii, i quali avevano anche uccisi quanti erano accorsi per dar loro aiuto. I fuggitivi pertanto essendosi ricoverati a Macisto, mandarono a consultare l’oracolo, per interrogare Apollo e Diana se loro fosse lecito punire coloro che li avevano offesi; e per domandare eziandio qual termine potrebbe avere la loro sventura. Apollo pertanto [p. 104 modifica]ordinò che andassero insieme coi Calcidesi a Reggio, e quivi rendessero grazie alla sorella di lui; aggiungendo ch’essi non erano già sventurati, ma che s’erano invece salvati; perchè eviterebbero di perire insiem colla patria, la quale doveva essere in breve distrutta dagli Spartani. Ed essi ubbidirono. Quindi i capi dei Regini, fino ad Anassilao, furono sempre della stirpe dei Messenii. Antioco poi dice che tutta quella regione fa primamente abitata dai Siculi e dai Morgeti, i quali in progresso di tempo, essendo cacciati dagli Enotrii, passarono nella Sicilia. E dicono alcuni che da questi Morgeti prese il suo nome anche la città di Morganzio che si trova colà. Fu poi la città di Reggio fortissima, ed ebbe parecchie terre sotto di sè, e fu baluardo dell’isola così anticamente, come anche ai dì nostri, quando Sesto Pompeo indusse la Sicilia a ribellarsi. E fu denominata Reggio pel caso, come dice Eschilo, a cui soggiacque un tempo quella contrada: perocchè e questo poeta ed anche alcuni altri affermano la Sicilia essere stata per forza di tremuoti staccata dal continente1. E ne fan congettura dagli accidenti osservati ne’ luoghi vicini all’Etna, e in altre parli della Sicilia, ed a Lipari e nelle isole circonvicine. Ed anche da ciò che si vede nelle Pitecuse e nel continente che sla di fronte a quelle isole si può ragionevolmente conchiudere che questo disgiungimento sia realmente avvenuto. Ora poi dicono [p. 105 modifica]ch’essendosi aperte le bocche per le quali sollevasi il fuoco, e le masse di fiamme e di acqua sprigionatisi, la terra circonvicina allo Stretto non soggiace se non di rado a tremuoti; ma una volta, quando erano chiuse tutte le aperture nella superficie del suolo, il fuoco ed il vento che si trovavan costretti sotterra producevano gagliarde scosse; di modo che urlati e riurtati que’ luoghi dalla forza dei venti, si disgiunsero: e dividendosi ricevettero fra mezzo l’uno e l’altro mare; sì questo, come quello che trovasi colà frapposto alle altre isole. Perciocchè sono disgiungimenti di terra anche Procida e le Pitecuse e Caprea e Leuca e le Sirenuse e le Euotridi. Alcun poi emersero dal mare, ciò che è anche al presente spesse volte interviene: perocchè quelle che sono nell’alto delle acque è probabile che siano appunto surte dal fondo; quelle invece che stanno innanzi a’ promontorii, o che sono divise dal continente per uno diretto frapposto, è più ragionevole a credere che ne siano siate divette. Del resto se cotal nome siasi dato a quella città per la detta cagione, o piuttosto per la sua propria bellezza, per la quale i Sanniti abbiano voluto quasi nominarla con latino vocabolo città regale (giacchè i capi dei Sanniti partecipano della romana cittadinanza, e adoperano per lo più il parlare latino) lascerò ch’altri consideri da qual parte in tal controversia si trovi la verità. Quesla città così illustre, la quale aveva mandate colonie in molte altre, e prodotti parecchi uomini egregi, gli uni nelle cose della politica, gli altri nella dottrina, raccontasi che la distruggesse Dionigi, poichè [p. 106 modifica]i Regini avendo egli richiesta loro una fanciulla in isposa, gli avevano offerta la figlia d’un littore. Il figliuolo poi di quel tiranno ne ristaurò una parte, chiamandola Febia. Al tempo di Pirro il presidio dei Campani uccise ad inganno la maggior parte dei cittadini. Poco prima delle guerre dei Marsii anche alcuni tremuoti atterrarono molta parte delle case: ma finalmente Cesare Augusto, dopo avere scacciato Pompeo dalla Sicilia, vedendo questa città manchevole d’abitanti, vi lasciò una colonia tolta dalla propria sua flotta; sicchè ora è convenevolmente popolata.

Chi naviga da Reggio verso levante per lo spazio di cinquanta stadii trova quella estremità che dal colore denominarono Leucopetra2, nella quale dicono che finisce il monte Apennino. Quinci seguita il promontorio d’Ercole ch’è l’ultimo verso il mezzogiorno; e chi dà volta a quel capo naviga subito col vento di Libia fino al Iapigio; poi va sempre più declinando verso settentrione e occidente sino al golfo Ionio.

Dopo il promontorio d’Ercole trovasi quello di Locri detto Zefirio3; e questo nome l’è dato perchè ha il porto esposto ai venti occidentali. Seguita poi la città detta Locri Epizefiria, perocchè i suoi abitanti sono una colonia di que’ Locresi che stanno nel golfo Crisseo condotti colà da Evanto poco dopo la fondazione di Crotone e di Siracusa. Però s’inganna Eforo [p. 107 modifica]dicendo che sono una colonia dei Locresi Opunzii. Costoro adunque, dopo avere abitato per tre o quattro anni in Zefirio, trasportarono quivi la loro città, cooperando a ciò anche i Siracusani. Ed è quivi la fontana Locria, dove i Locresi piantarono il loro accampamento. Da Reggio a Locri v’hanno seicento stadii; e questa città è posta sopra un declivio detto Esopi.

Credesi che questi Locresi siano stati i primi a valersi di leggi scritte; ma dopo essersi per gran tempo ottimamente governati, Dionigi4 cacciato da Siracusa li oppresse con ogni scelleratezza: perocchè introducendosi nelle stanze dove le giovani fidanzate abbigliavansi per le nozze, usurpava i diritti degli sposi. Raccoglieva a’ suoi festini le più belle e costringevate a correr nude dietro ad alcuni piccioni lasciati liberi senza che loro si fossero tarpate le ali; e qualche volta per maggior vituperio voleva che si allacciassero sandali inuguali, l’uno alto l’altro basso, e che così inseguissero le colombe. Ma pagò poi il fio quando ritornò in. Sicilia per ricuperarne la signoria. Chè intanto i Locresi, scacciato il presidio, si fecero liberi, e tennero in loro balìa la moglie e i figliuoli di lui (s’intendono le due figliuole, e il più giovine dei maschi ch’era però già un giovinetto; l’altro per nome Apollocrate combatteva insieme col padre nell’impresa del ritorno predetto); e sebbene Dionigi medesimo e i Tarentini per lui facessero grandi istanze affinchè, sotto quelle condizioni che più volevano, consegnassero que’ [p. 108 modifica]prigionieri, non mai consentirono, ma vollero piuttosto sostenere l’assedio e la devastazione del territorio. Il loro astio si fece manifesto principalmente contro le figliuole del tiranno j giacchè dopo averle vituperate le strangolarono, poi ue abbruciarono i corpi, e l’ossa macinate dispersero nel mare.

Eforo menzionando le leggi scritte dei Locresi, le quali Zaleuco raccolse dalle consuetudini dei Cretesi, dalle Laconiche e da quelle degli Areopagiti, dice che tra le prime novità da Zaleuco introdotte v’ebbe questa, che mentre gli antichi affidavano ai giudici il determinare la pena sopra ciascun delitto, egli la determinò nelle leggi stesse: considerando che le opinioni dei giudici anche intorno agli stessi delitti potrebbero non essere sempre le stesse come si irebbe pur necessario che fossero. Lo loda altresì per avere proposte semplici ordinanze sopra i contratti. Aggiunge poi che i Turii avendo voluto col tempo mostrarsi più sottili in queste materie, ne divennero bensì più celebri, ma non per altro più buoni: perocchè non hanno buone leggi coloro i quali ne van facendo per tutto ciò che gli accusatori possono immaginare, ma bensì coloro che osservano costantemente le stabilite. Però disse anche Platone: Dove sono molte leggi ivi sono anche molti litigi, e malvagi costumi; in quella goisa che dove sono molti medici è verisimile che v’abbiano anche molte malattie.

Il fiume Alice che divide il territorio di Reggio dalla Locride corre lungo una profonda convalle, ed ha questa particolarità, che le cicale sulla riva Locrese stridono, su quella di Reggio non hanno voce; del che si [p. 109 modifica]congettura questa essere la cagione, che le une si trovano in un luogo ombroso, sicchè le loro membrane umide sempre non si distendono mai; mentre alle altre per essere soleggiate si stirano e diventano simili al corno, sicchè poi n’esce il suono come da naturale strumento. Solevasi una volta mostrare appo i Locresi la statua del citarista Ennomo con una cicala seduta sopra la cetra. Timeo poi racconta che una volta questo Eunomo ed Aristone di Reggio ebbero gara in Delfo di preminenza. Aristone pregava i Delfii che favorissero a lui affermando che i suoi maggiori erano stati a’ servigi del Dio, e di quivi poi avevan guidata una colonia in Italia: ma Eunomo diceva che a quei di Reggio non s’apparteneva punto il contender di canto, quando appo loro erano senza voce persin le cicale, che pur sono l’animale che più di tutti è provveduto di voce. Piacque nulladimeno Aristone ed ebbe speranza della vittoria; ma poi vinse Ennomo, e pose nella sua patria la statua già detta: perchè essendoglisi rotta nel certame una corda della cetra, una cicala venne a posarvisi e ne supplì la voce.

Il paese mediterraneo al di sopra di queste città è occupato dai Brezii: e quivi sono la città di Mamerto, e quella selva Sila che produce la miglior pece che si conosca, detta pece Brezia; è ricca di piante e d’acqua, e lunga settecento stadii.

Dopo Locri trovasi un fiume chiamato con nome femminile Sagra; e lungh’esso le are dei Dioscuri, presso alle quali dieci mila Locresi con alcuni di Reggio , venuti alle mani contro cento trenta mila [p. 110 modifica]Crotoniati, ne riportaron vittoria; d’onde poi venne il proverbio solito dirsi agl'increduli: È più vero che le cose di Sagra. Alcuni v’aggiungono eziandio il portento, che quella vittoria fu in quel medesimo giorno annunziata in Olimpia dove si celebrava un certame; e la notizia diffusa con tanta celerità si riconobbe poi vera. Dicono inoltre che quella rotta fu cagione ai Crotoniati, che non potessero durare più a lungo, pel gran numero delle persone ch’ivi lasciarono morte.

Al di là della Sagra è Caulonia fonduta dagli Achei, e chiamata primamente Aulonia per essere situata dentro una valle5. Ora è deserta; perocchè i suoi abitanti furon cacciati dai barbari nella Sicilia, dove fondarono quella città che quivi pure è conosciuta sotto il nome di Caulonia. Appresso viene Scillezio colonia di quelli Ateniesi che seguitarono Menesteo, ed ora si chiama Scilacio6. I Crotoniati ne possedettero un tempo il territorio, ma Dionigi ne assegnò una parte a quelli di Locri. Dal nome della città si disse Scilletico anche il golfo, il quale insieme coll’Ipponiate forma l’istmo di cui abbiam già parlato. Dionigi intraprese anche di murare quell’istmo quando era in guerra contro i Leucani, per rendere sicuri (diceva) dai barbari ch’eran fuori dell’istmo coloro che v’abitavano dentro; ma nel vero poi perchè avrebbe voluto impedire ai [p. 111 modifica]Greci confederati di comunicare gli uni cogli altri, e padroneggiare così più liberamente quei dentro: ma si levarono quei di fuori a impedirgli di effettuar quel disegno.

Dopo Scillezio viene il paese Crotoniate coi tre promontoni de’ Iapigi; poi il Lacinio luogo sacro a Giunone, ricco una volta e pieuo di voti. Ma le distanze di questi luoghi non si potrebbero esattamente determinare. In generale però Polibio assegna due mila e trecento stadii dallo Stretto fino a Lacinio; di quivi al promontorio Iapigio settecento: e questa è la così detta bocca del golfo di Taranto. Il golfo stesso poi ha un ragguardevol circuito, di duecento quaranta miglia, al dir del Corografo. Artemidoro dice invece ch’esso è di trecento ottanta miglia, a giudicarne dal tempo che v’impiega uno spedito viaggiatore7; ma in questo egli non comprende la misura della bocca del golfo. Questo accenna al levante invernale; e il suo principio è il promontorio Lacinio. Chi avesse dato volta a questo promontorio trovava subito alquante città che un tempo furono degli Achei, e delle quali nessuna più rimane, eccettuata sol Taranto: ma nondimeno per la celebrità c’hanno avuta ci conviene parlare della maggior parte di esse. La prima era Crotone a cento cinquanta stadii dal promontorio Lacinio, dove sono il fiume ed il porto Esaro, poi un altro fiume chiamato Neeto; ed è fama che queste denominazioni fossero derivate tutte [p. 112 modifica]da qualche avvenimento. Perocchè dicono che alcuni Achei stati alla spedizione di Troia, errando qua e là approdarono a questi luoghi per pigliarne notizia, e che quivi le donne troiane che navigavan con loro spiando un momento in cui le navi erano vôte d’uomini le incendiarono, come quelle ch’erano stanche di navigare; e così quella gente fu necessitata di fermar quivi la sua sede, dove per altro vide eziandio la terra essere molto buona; e dove poi essendo pervenuti parecchi altri compatrioti dei primi e fermatisi anch’essi, fondarono molte abitazioni alle, quali imposero d’ordinar o nomi conformi ai siti troiani: ma il fiume Neeto ebbe il suo dall1 incendio8. Del resto, Antioco dice, che avendo l’oracolo ordinato agli Achei di stabilirsi a Crotone, Miscello prese terra in quel sito per esplorare il paese; e vedendo che v’era già in que’ dintorni fondata Sibari presso al fiume dello stesso nome, gli parve che fosse da preferire: quindi se ne venne di nuovo all’oracolo e domandò se fosse lecito di fermarsi9 a Sibari invece che a Crotone; ma il Dio a lui ch’era per caso gibboso diede questa risposta: O Miscello dal rattratto dorso, cercando l’altrui corri alla tua rovina e perdi vanamente il tempo; prendi [p. 113 modifica]quello che t’è destinato. Ritornato perciò dall’oracolo n’andò a Crotone, cooperandogli anche Archia approdalo per caso colà mentre andava a fondar Siracusa. E al dire di Eforo, prima di lui abitavan Crotone i Japigi. Pare che questa città coltivasse le arti della guerra e i certami solenni; sicchè avvenue che in una stessa Olimpiade, i sette che nello stadio primeggiarono sopra gli altri furono tutti Crotoniati, d’onde poi pare che siasi detto a ragione che l’ultimo dei Crotoniati era il primo degli altri Elleni e di qui è anche venuto il proverbio: Più salubre di Crotone; argomentandosi dalla quantità degli atleti, che quel luogo abbia qualcosa di favorevole alla salute ed allo sviluppamento dei corpi. Però quella città ebbe moltissimi vincitori in Olimpia; pure non durò poi gran tempo, a motivo di quella gran rotta per la quale perdette un tanto numero d’uomini lungo il Sagra. Accrebbero la fama di questa città anche i molti Pitagorici che produsse, e quel Milone che fu il più illustre degli atleti e fu discepolo di Pitagora vissuto gran tempo in Crotone. Raccontasi che una volta pericolando una colonna nella sala dove i filosofi si adunavano, Milone sottentrato al peso ch’essa portava, salvò tutti quelli ch’ivi erano, e poi si sottrasse anch’egli alla rovina: se non che poi confidando troppo in questa sua forza è probabile ch’egli trovasse quella fine della vita che ne raccontano alcuni. Dicono dunque che viaggiando egli una volta per una selva profonda, uscì per gran tratto della solita via finchè trovò un grosso tronco nel quale [p. 114 modifica]erano piantati de' cunei. Quivi egli cacciò nella fenditura le mani ed i piedi sforzandosi di spararlo al tutto, ma la sua forza bastò solo a far sì che i cunei cadessero fuori dell’aperta fessura; ed allora subitamente le due parti del tronco accostandosi lo tennero imprigionato, sicchè rimase colà preda alle fiere.

Duecento stadii lontano sta Sibari, un’altra colonia di Achei in mezzo a’ due fiumi, Cratide e Sibari10. Fondatore ne fu Iseliceo, e si condusse anticamente a tanta felicità che signoreggiò quattro vicine nazioni ed ebbe soggette venticinque città, trasse in campo trecento mila uomini contro i Crotoniati, e colle sue abitazioni empieva un circuito di cinquanta stadii lungo il Crati. Ma nel lusso e nell’alterigia lasciaronsi gli abitanti spogliare di ogni felicità dai Crotoniati nello spazio di settanta giorni11; i quali avendo presa quella città vi dirizzarono il corso del fiume e la sommersero: e dopo d’allora sol pochi sopravvissuti a quella rovina vi si congregaron di nuovo ad abitare. Ed anche questi col tempo furono dispersi dagli Ateniesi e dagli altri Elleni; i quali essendo venuti colà per abitare insieme con essi, conoscintili uomini affatto spregevoli se li resero schiavi, e tramutarono la città in un altro luogo vicino, denominandola Turi da una sorgente di cotal nome.

L’acqua del Sibari fa i cavalli ombriosi, e perciò ne tengon lontane le torme. Il Cratide invece fa sì che [p. 115 modifica]gli uomini lavandovisi diventino o biondi o bianchi di capegli, ed è medicina a parecchie malattie. In quanto a’ Turii, dopo avrere avuta per lungo tempo buona fortuna, furono fatti schiavi dai Leucani; e questi poi essendo oppressi dai Tarentini12 ebber ricorso ai Romani, che vi mandarono coloni per supplire allo 6carso numero degli abitanti, e denominarono Copia quella città.

Dopo Turi s’incontra il castello Lagaria fondato da Epeo e da’ Focesi, dove si fa il vino Lagaritano dolce e delicato, e tenuto in gran pregio da’ medici; sebbene anche quello di Turi sia in fama. Incontratisi poscia Eracleopoli13 poco al di sopra del mare; e due fiumi navigabili, l’Aciri ed il Siri, lungo il quale v’ebbe già una città troiana detta Siri anch’essa; col tempo [p. 116 modifica]avendo i Tarentini fondata Eraclea, Siri divenne l’arsenale marittimo degli Eracleoti. Questo luogo è distante da Eraclea ventiquattro stadii, e da Turi circa trecento trenta. Del soggiorno de’ Troiani in questo luogo recano in prova il simulacro di Minerva Iliaca che quivi si trova innalzato, il quale poi dicono che chiuse gli occhi, allorchè gl’Ionii avendo espugnata la città strapparono dal suo altare alcuni che vi stavano in atto di supplichevoli. Perocchè questi Ionii venutivi ad abitare per fuggire la signoria dei Lidii presero a forza quella città occupata allora dai Troiani14, e la chiamarono Polieo: ed anche oggidì suol mostrarsi quel simulacro cogli occhi chiusi. Certo è cosa ardita il sostener questa fàvola, che .non solamente quel simulacro siasi veduto chiudere gli occhi (come suol dirsi che quello di Troia voltò addietro la faccia quando fu violata Cassandra), ma il mostrarlo anche al presente cogli occhi socchiudi: ed è molto maggiore ardimento l’asserire che sieno il vero simulacro troiano tutte quelle statue che sotto questo nome sono accennate da alcuni scrittori. Perocchè e in Roma e in Lavinio e in Luceria ed in Siri avvi una Minerva chiamata Iliaca, come se da Troia vi fosse stata trasferita. Ed anche l’ardimento delle donne troiane lo portano in giro e lo dicono [p. 117 modifica]venuto in parecchi luoghi, e così gli tolgono fede sebbene sia possibile. Alcuni poi dicono che Siri e Sibari sul Teulrauto furono fondale da quei di Rodi. Autioco afferma che guerreggiando i Tarentini contro i Turii (capitanati da Cleandria esule di Lacedemonia) pel possedimento di Siri, all'ultimo si pacificaron con loro sotto queste condizioni, che la città fosse abitata comunemente dai due popoli, ma che la colonia per altro si considerasse dei Tarentini; la quale poi, cambiando e nome e luogo, si disse Eraclea.

Appresso trovasi Metaponto a cento quaranta stadii dalla stazione navale di Eraclea. E la fanno fondata da’ Pilii navigati colà da Troia con Nestore; dove poi dicono che furono tanto arricchiti dalla coltura del suolo, che consacrarono in Delfo una messe d’oro15. Di questa origine adducono in testimonio il rito con cui i Metaponzii solevano placare i Neleidi; ma la loro città fu distrutta poi da’ Sanniti. Secondo Antioco essendo rimasto quel luogo deserto fu ripopolato da Hcuni Achei, chiamati cola da’ Sibariti loro compatrioti per Podio che portavano a’ Tarentini (i cui maggiori avevano un tempo discacciati gli Achei dalla Laconia), [p. 118 modifica]finchè non s’impadronissero di quel sito tanto vicino a Taranto. Essendo due le ritta (Metaponto e Siri) piti vicine a Taranto che a Sibari, i nuovi coloni prescelsero la prima per consiglio dei Sibariti, i quali dispero loro come qualora avessero Metaponto possederebbero anche Siri; ma che s’eglino invece si volgessero a questa città, Metaponto cadrebbe in potere dei Tarentini che gli stanno da lato. In progresso poi di tempo avendo guerra questi nuovi abitanti contro i Tarentini e contro gli Enotrii situati alcun poco al di sopra, fecero la pace sotto condizione che loro restasse quella porzione di paese che serviva di confine tra l’Italia d’allora e la Japigia. Quivi poi favoleggiano alcuni che avessero luogo le avventure di Metaponto, della prigioniera Menalippe e di Beoto suo figlio. Ma Antioco è d’opinione che la città di Metaponto si dicesse da prima Metabo, e che solo più lardi cambiasse quel nome; e che Menalippe non venisse a questa città ma a Dio, come attestano e il monumento di Metabo, e il poeta Asio il qual dice che l’avvenente Menalippe partorì Beoto nelle case di Dio; come se a questa città, non a Metabo, foss’ella stala condotta. Fondatore di Metaponto fu Daulio tiranno di Crissa vicina a Delfo, siccome Eforo dice. Corre poi anche un’altra opinione, che lo spedito dagli Achei a popolare quel luogo fosse Leucippo; il quale avendo ottenuto da’ Tarentini di poter occupare quel sito per un giorno e una notte, noi volle più restituire e quando gliel domandavan di giorno rispondeva di averlo chiesto e ottenuto anche [p. 119 modifica]per la notte seguente; e se nel richiedevan di notte, diceva d’averlo anche pel dì successivo.

Vengono appresso Taranto e la Japigia, di cui parleremo dopo avere passate in rivista le isole situate rimpetto all’Italia, come richiede il disegno che ci siamo proposto: perocchè abbiamo usato finora di aggiunger sempre alla descrizione de’ singoli paesi quella delle isole loro vicine. E però avendo ora descritta sino all’estremo confine l’Enotria che sola fu dagli antichi denominata Italia, dobbiamo osservare l’ordine consueto trasferendoci alla Sicilia ed alle isole che le stanno d’intorno.

  1. Dalla voce greca ἀπορρήγνυμι (Aporregnumi) si derivò Ῥήγιον (Reggio).
  2. Cioè Pietra bianca; ed è probabilmente il Capo dell’Armi.
  3. Capo Brùziano.
  4. Dionigi il giovine, l’anno 357 prima dell’E. V.
  5. Aulonia viene da Aulona (ὰυλὥνα) che in greco significa valle. Questa città poi era presso a poco dove ora è Castel Vetere. Il vero sito della Caulonia di Sicilia non si conosce.
  6. Squillace.
  7. In questo luogo mancano alcune voci al periodo nel testo greco, ed alcune altre sono d’incerta lezione.
  8. Da Νῆας navi, e da αἰσθεῖν abbruciare.
  9. L’autore usa il verbo κτίζειν tanto rispetto a Sibari quanto rispetto a Crotone: ma non v’ha dubbio (e lo dice Strabone stesso), che Sibari era già fondata (ἰδόντα ἐκτισμένην ἤδη Σύβαριν); e però il verbo κτίζειν pare che abbia qui il senso di mettersi ad abitare un luogo già fondato, anzichè quello di fondarlo di nuovo. (Edit. franc.)
  10. Crati e Cochile. (Edit. franc.)
  11. L'epitome dice in nove giorni.
  12. Policoro. I fiumi sono il Sinno e l'Acri (Edit. fran.)
  13. II testo dice: Ταραντίνων δὲ ἀφελομένων ἐκείνους: e questo ἐκείνους grammaticalmente deve riferirsi ai Leucani. Aggiungasi che avendo già detto l’Antore che i Turii erano stati fatti schiavi (ἀνδραποδίσθησαν) dai Leucnni, par che di loro, come nazione, non dovesse più parlare. Vero è che la storia dice che verso l’anno 181 avanti l’E. V. i Turii assaliti dai Tarentini ricorsero ai Romani; ma forse in questo caso debbonsi intendere non i Turii primitivi, ma i Leucani divenuti padroni di Turi Questo mi pare che possa dirsi a sostegno della lezione ordinaria. Tuttavolta gli Edit. franc. riferiscono l’ἐκείνους ai Turii, e sospettano coll’Heyne che il testo sia alterato. Dopo di loro per altro anche il Falconer tenne contraria opinione lodando il Mazochio che traduce: Cum Tarentini Thurium illis (Leucanis) eripuissent.
  14. Così gli Edit. franc. con una probabile correzione del testo, la cui ordinaria lezione è occupata da abitanti autoctoni (πόλιν αὐτοχθόνων οὖσαν), ciò ohe non potrebbe conciliarsi colla tradizione di abitatori troiani. Il Coray ed alcuni altri leggono τῶν Χώνων, dei Coni.
  15. Θέρος χρυσοῦν. Alcuni intendono un manipolo di spiche od almeno una spica d’ oro; altri una statua d’ oro rappresentante la State. — I Neleidi poi menzionati subito dopo furono dodici figli di Neleo, uccisi tutti da Ercole, tranne il solo Nestore. Pare dunque che i Metaponzii, recando la propria origine a Nestore, celebrassero con periodiche solennità la memoria de’ suoi infelici fratelli. (Edit. franc.)