La Veste d'Amianto/Parte seconda/III

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III.


Un giornale illustrato aveva pubblicato fra le tante fotografie che si riferivano all’arrivo dell’aviatore e ai festeggiamenti solenni che gli erano stati fatti poi, tre giorni dopo il suo arrivo, quando Noris, riavuto e riposato era stato in grado di assistervi, anche il ritratto di Minerva Fabbri con queste parole:

«La bella amica dell’aviatore venuta ad attenderlo a New-York.»

Noris, che aveva provato un trasalto e un impeto di sdegno alla lettura di queste parole, aveva nascosto il giornale nella speranza di sottrarlo agli occhi della fanciulla. Invece, quella mattina, entrando nella sala di lettura dell’Hôtel dove insieme ad Ugo e a Minerva egli aveva preso alloggio, ebbe la sorpresa non lieta di vedere la Fabbri, che a quell’ora era la sola ospite della sala, intenta proprio a osservare quel giornale e assorta nella lettura della stupida leggenda apposta alla sua fotografia.

Noris, che si aspettava di vederla sollevare il viso irato e sdegnoso, fu non poco sorpreso quando vide che la fanciulla, appena accortasi [p. 220 modifica]della sua presenza, nascondeva il giornale sotto una delle tante riviste che erano sparse sul tavolo e si rivolgeva a stendergli la mano con un sorriso che non riusciva a dissimulare completamente il suo imbarazzo.

— Già alzato? — gli chiese.

— Sì, per una volta ho fatto come voi. Ho tanta corrispondenza da sbrigare e se non approfitto di queste ore non riesco a farlo mai più. Scommetto che voi avete già fatto la vostra passeggiata, — soggiunse guardando la toeletta della fanciulla, un tailleur bianco molto inglese e molto mattinale.

— Sicuro, io sono alzata da tre ore.

— Siete meravigliosa. E sì che stanotte avete vegliato più tardi.

— Non più tardi di voi. Vi ho sentito rientrare poco dopo mezzanotte.

— È vero. Tornavo dal ricevimento all’«Aviation-Club». Avete fatto male a non venirci: è stata una bella cosa.

— Lo credo. Quando ci si mettono questi americani sono davvero splendidi. Ma io sono stanca di feste, di ricevimenti, di convegni. E tutta quella gente mi annoia. Poi, — soggiunse con un’altra voce, — è stato meglio eh io non sia venuta.

— Perchè? — interrogò Noris.

— Perchè — disse la fanciulla con semplicità — è così strana questa gente che chissà come interpreterebbe il fatto di vederci sempre vicini!

Aveva fissato Noris parlando. Lo vide farsi oscuro in viso, oscuro e confuso.

— Volete alludere — disse — alla frase che una rivista che voi avevate fra le mani poco fa ha stampato sotto il vostro ritratto?

— Anche a quello. Non sapevo che voi l’aveste veduta.

— L’ho veduta, sì.

— Perchè non me ne avete parlato?

— Perchè speravo vi passasse inosservata.

Minerva Fabbri guardò l’amico stupita. [p. 221 modifica]

— Avevate paura che mi dispiacesse?

— Sì.

— Perchè volevate che mi dispiacesse? L’intenzione di questa gente era tutta di farmi onore.

— Questo sì, — convenne Noris sorridendo.

Sorrise anche Minerva.

— Sono lieta — disse — di constatare che neppure voi vi siete seccato.

— Lo sono stato un poco, ma unicamente per voi.

— Curioso! eravamo preoccupati reciprocamente l’uno per l’altro. Io vi ho visto subito colla vostra ruga corrusca fra gli occhi. E ho sentito la vostra ira coinvolgere me pure.

— Così terribile mi supponete?

— No, ma so che voi non permettete a nessuno insinuazioni di questo genere.

— E neppure voi, vero?

— Neppure io, — fece breve Minerva.

Regnò un breve silenzio d’imbarazzo fra i due.

— Mi spiacerebbe soltanto che quella rivista giungesse in Italia, — disse a un tratto la fanciulla.

Noris fu pronto a chiedere:

— Volete che imponga una smentita?

— Ma vi pare? Sarebbe peggio. Eppoi, non è per me che mi spiacerebbe.

— E per chi dunque?

— Ma! per gli amici vostri, per le amiche, anche.... Non tutte le donne sono corazzate come me....

— Sì, — convenne Noris, — voi siete, sotto questo rapporto, l’ideale. Ma forse siete un uomo mancato, voi....

— Lo credete proprio? — chiese Minerva Fabbri con una voce strana e una più strana espressione del viso.

— Sì, lo credo.

Gli rispose soltanto un bizzarro sorriso della fanciulla.

Poi, ella riprese la rivista che aveva nascosto all’entrare di Noris, la sfogliò, la tenne aperta alla pagina dove figurava il suo ritratto e disse: [p. 222 modifica]

— Il giornalista che ha tracciato queste righe non era del vostro parere.

— Perchè non vi conosce.

— E voi — chiese Minerva Fabbri con voce lenta e spiccata — credete forse di conoscermi?

— Non pretendo tanto. Questo solo so, che siete la saggezza.

— Minerva, sì.... Ma anche Minerva, un giorno, piegò.

Noris sorrise.

— In questo, voi siete superiore anche alla Minerva mitologica.

— Chissà!

Scese il silenzio su quella parola pronunziata dalla fanciulla con profonda tristezza. Ella si era immersa ancora nella lettura della Rivista e Noris cercava un contegno per togliersi dall’imbarazzo in cui lo aveva messo il discorso singolare della fanciulla.

Era strana, quella mattina, Minerva. Per la prima volta ella si rivelava sotto un aspetto che non era più quello del cameratismo antico: diventava sibillina la compagna che era stata sempre limpida sino alla trasparenza; incerta la vergine forte che non aveva mai conosciuto fiacchezza o malinconia. Egli volle attribuire quel contegno singolare a una nervosità provocata nella fanciulla dalle avventate frasi della rivista e fu pronto ad accogliere la giustificazione che la Fabbri stessa gli offriva alzandosi a un tratto e stendendogli la mano:

— Dimenticate le sciocchezze che ho detto, Noris: oggi, anche l’uomo mancato è nervoso come una donna autentica.

Egli strinse la piccola, salda mano e disse:

— Ma non avete detto nulla che dobbiate desiderare di far dimenticare.

Si sorrisero.

— Uscite ancora? — domandò Noris per rimettere la conversazione sopra il tono semplice che gli piaceva di conservare con l’antica allieva.

— No, salgo alla mia camera. Voi sbrigate la vostra corrispondenza, intanto. [p. 223 modifica]

Aveva bisogno di star sola. Era davvero pentita d’essersi abbandonata con Noris come non avrebbe voluto farlo mai. Perchè aveva voluto lasciargli intravedere nella sua anima delle debolezze che meglio sarebbe stato ch’egli non avesse scorto mai?

La colpa era tutta di quella ridicola rivista. Se non fosse stato quel ritratto a fornire il pretesto della conversazione con Noris avrebbe avuto tutto il tono di tutti i giorni, si sarebbe aggirata intorno ai particolari del ricevimento della sera prima, alle feste che ancora figuravano nel programma delle accoglienze all’aviatore, alla corrispondenza delle sue numerose e ignote ammiratrici, alle sue impressioni d’America. Così!

Perchè non s’era accontentata di nascondere la rivista e di fingere d’ignorare l’insolenza che forse voleva essere soltanto, e in perfetta buona fede, indiscrezione? O meglio ancora, perchè non ne aveva riso con Noris in piena libertà di spirito come avrebbe fatto, per esempio, ove, invece di Noris le avessero attribuito per amante Paolo Adelio o Cino Coralli o uno qualsiasi dei suoi cento e cento ammiratori?

No. La colpa non era della rivista. La colpa era tutta della nervosità che davvero la teneva da qualche giorno e che la trasformava e la sconvolgeva. Anche prima d’ora ella s’era accorta di non possedere più la sua bella serenità di spirito, la sua olimpica tranquillità, la sua sicurezza superba, la sua imperturbabile disinvoltura.

Da quando? da quando?

Adesso, sola nella sua stanza chiusa internamente da un doppio giro di chiave, come temesse di venir disturbata da qualche intruso, Minerva cercava. La sua tempra di energia, di volontà, di coraggio, di rettitudine si affermava anche in quella disamina che ella faceva di sè stessa con crudezza implacabile, con lucidità singolare.

Abbandonata sopra una lunga poltrona, [p. 224 modifica]accanto alla finestra aperta, ella aveva chiuso gli occhi per meglio astrarsi dalle cose esteriori, per guardarsi meglio dentro, per riandare con raccoglimento maggiore gli eventi di quegli ultimi giorni e le ragioni del suo mutamento.

Da quando datava la sua nervosità? da quando l’insolito desiderio di solitudine che le aveva fatto fuggire quasi tutte le feste offerte a Noris e amare il silenzio e detestare quella rumorosa esuberanza americana che un tempo le sarebbe sembrata così cordiale e così simpatica?

Da quando riscontrava nel suo carattere e nel suo umore i mutamenti improvvisi che la facevano passare dieci volte in una giornata dal riso alla tristezza e dalla gioia alla malinconia cupa?

Non occorreva che ella cercasse tanto: la risposta era pronta, evidente e terribile. Il turbamento del suo spirito e l’arrivo di Noris coincidevano. Dunque?

Implacabile nella conclusione della diagnosi del suo male come lo era stata nella indagine, ella si disse:

— Corro pericolo di amarlo.

Che il male fosse già avanzato e irreparabile, ella non sospettò neppure. Come una minaccia le appaiava, non come un fatto. Qualcosa stava per prendere il predominio del suo «io» che non era la sua volontà e non era il suo orgoglio. Bisognava correre al riparo. Come? in qual modo? dov’era l’antidoto a quel male nuovo che ella aveva disprezzato sempre, del quale fermamente sperava di non dover restare vittima mai?

— Fuggire, — pensò.

Non solo partire da New-York, sottrarsi all’apoteosi che esaltava sempre più nel suo cervello l’immagine di Ettore Noris, ma andarsene lontana egualmente e dall’America e dall’Italia, a Parigi, a Pietroburgo, a Vienna, nell’India. L’idea concepita un tempo, molti anni addietro, di un viaggio nell’India, le ritornò.

Andarsene laggiù, bisognava: mettere due mari [p. 225 modifica]e un oceano fra lei e l’uomo che minacciava di turbare la sua pace e di rapirle il maggiore di tutti i beni, la libertà, starsene lontana sei mesi, un anno, quanto fosse necessario per uccidere il fantasma nel suo spirito e tornare soltanto quando fosse stata sicura della riacquistato vittoria.

Chi le impediva di partire? Ella era libera, sola, ricca, senza legami di famiglia, senza vincoli d’interesse, senza malinconie sentimentali, padrona assoluta d’andarsene dove più le piacesse, di star lontana fin che le fosse convenuto.

Sarebbe partita.

Ma non appena ebbe formulato questo progetto, una profonda malinconia l’assalse. Si vide lontana, sola, triste, annoiata. Prima di cominciarlo sentì la noia del pellegrinaggio che si accingeva a compiere pesarle sul cuore, sul cervello, sulla vita. L’idea di vedere nuovi visi indifferenti tutti, città e città dove nulla e nessuno le interessava, cose morte e senz’anima, cose animate e estranee, le parve intollerabile. Anche la vita d’albergo che per anni e anni era stata la sua vita, le parve odiosa e pesante a un tratto.

Per spiegarsi quella ripugnanza impreveduta, rievocò il suo appartamentino di Genova dove ormai si era abituata a vivere. Vide la casa che era davvero il suo nido, la sua camera da letto, il suo studiolo, il suo gabinetto di toeletta, la sua stanza da pranzo, i mobili novi, i libri, i ninnoli.

— Come tutto questo mi mancherà! — pensò.

E pensò gli amici per spiegarsi il senso di malinconia mie le ispirava l’idea di trovarsi sola la sera, rientrando dalle passeggiate, di dover riempire le giornate, di doversi cercare un interlocutore ogni volta che il silenzio le sarebbe pesato troppo.

Disse forte passandosi le mani alla fronte e stringendola come in una morsa: [p. 226 modifica]

— Come mi annoierò!

Ma era necessario. Bisognava essere coraggiosa e forte.

Poichè la decisione era presa, si permise di pensare a Ettore Noris come se l’aviatore non rappresentasse il pericolo grave che ella si proponeva di fuggire. Che cosa, avrebbe pensato di lei, Noris, quando avesse saputo della sua partenza? E che cosa pensava adesso? Perdette il controllo del suo pensiero quando le sue pupille si riapersero e cominciarono a seguire nel vuoto che fissavano, oltre la finestra spalancata, il profilo di Ettore Noris severo e chiuso come una maschera enigmatica. Come avrebbe voluto conoscerla la parola di quell’enigma!

Le tornò il ricordo della vecchia storia sentimentale narratole da Paolo Adelio e da Lorenzo Bolla, confermata poi da Giorgio Dauro. Davvero c’era una donna nella vita passata, di Ettore Noris? e alla memoria di quella donna egli aveva consacrato tutta la vita?

Ed era davvero il desiderio di raggiungerla il più presto possibile che lo faceva sfidare la morte? Era l’amore, il segreto del suo eroismo?

Come avrebbe voluto sapere! Anche pensava: quale tipo di donna era stata costei che aveva, saputo conquistare Noris per sempre e assolutamente, che sapeva vivere in lui anche scomparsa e tenerlo, morta, come lo aveva tenuto viva? tanto bella? superiormente intelligente? ardente di una passione che Noris disperava d’incontrare più mai?

Evocò nella sua fantasia il viso delle donne incontrate che più l’avevano colpita per la loro leggiadria, poi l’immagine di quelle fra le sue conoscenti che avevano fama di fascinatrici e di irresistibili. A una a una le collocò accanto a Noris, ma il viso del giovane rimase impassibile e chiuso come se nessuna di quelle bellezze riuscisse a toccarlo. No, ella non poteva immaginare il viso di Ettore Noris trasfigurato dall’amore. Quel viso restava il segreto d’una morta e nessuna donna avrebbe compiuto il miracolo [p. 227 modifica]di strapparlo alla tomba che lo teneva rinchiuso. Nessuna.

Questo pensiero le diede una gran pace non priva di gioia. Ella avrebbe fuggito Noris, ma nessuna donna sarebbe entrata nel cuore e nella vita di lui. La gioia che le dava questo pensiero la illuminò.

— Che mi deve importare — ella si disse — che egli ami ancora o no?

Ma le importava. Questo era il fatto e un fatto che dimostrava più grave il pericolo di quanto ella avesse dapprima creduto. Allora, invece di dissimularsi il proprio male, volle esaminarlo nella speranza di distruggerlo.

— Vediamo — si disse forte — perchè dovrei correre il pericolo d’innamorarmi di Noris io che ho sempre negato l’amore, che sempre sono stata refrattaria a qualsiasi seduzione?

Ricordò. Moltissimi uomini avevano subito il fascino della sua bellezza, della sua giovinezza, della sua intelligenza, del suo orgoglioso equilibrio, della sua audacia serena. Alcuni l’avevano perseguita d’una corte assidua, insistente, tenace, altri ancora l’avevano stretta in un assedio pieno di audacia e di presunzione, altri avevano commosso per lei tutte le follie; uno, infine, s’era ucciso per lei. E sulla sua anima erano passate ugualmente indifferenti la preghiera degli uni, le follie degli altri, la devozione, la passione, la morte. Nessuno era giunto a smuovere il suo cuore, nessuno poteva vantare l’orgoglio d’aver accelerato una sola pulsazione del suo sangue.

Perchè l’avrebbe turbata e piegata l’unico che fra tutti era stato sempre insensibile e refrattario al suo fascino bizzarro che gli altri trovavano irresistibile, l’unico che ella avesse sentito uguale a sè, fratello della sua anima perchè immune, come ella era immune, da tutte le debolezze sentimentali?

— Forse — si disse — la mia è soltanto esaltazione cerebrale; forse, il pericolo sentimentale non esiste per me. [p. 228 modifica]

Avrebbe voluto possedere un mezzo dimostrativo e sicuro per misurare la portata del rischio che la sua pace correva.

— Ho deciso di partire, — si disse, — dunque, non lo amo.

Una voce, dentro, suggerì:

— Se Noris morisse?

Sentì ripercuotersi nel cuore, come uno schiarito, l’urto di quella ipotesi. Poi si soffermò ad esaminarla, a notomizzarsi.

No, in fondo, non avrebbe sofferto moltissimo se Noris fosse morto. Certo, ella avrebbe preferito saperlo morto, per esempio, che non innamorato.

Un’altra volta concluse:

— Dunque, non lo amo.

E allora? La sua lucidità si smarriva nel garbuglio d’impressioni contradditorie che tenevano il suo spirito. Era tutto, una sola cosa era ben certa: che ella doveva partire.

Si alzò: stese le braccia in un gesto che era di sfida a sè stessa, disse forte:

— Avanti! bisogna ritrovare la saggezza, Minerva!

Sarebbe partita l’indomani.

— Oggi — si disse — preparo le valigie; così, sono occupata e non penso.

Suonò per dare le disposizioni indispensabili per la partenza e stava consultando un orario quando udì bussare all’uscio della sua camera.

— Avanti, — ella disse ritenendo di vedere comparire la cameriera.

Apparve invece Ugo che si fermò sulla soglia e si scusò:

— Perdonate, signorina, volevo chiedervi se per caso sapete dove sia Noris.

— In sala di lettura, suppongo.

— No, non c’è.

— Ma c’è stato. Io l’ho lasciato colà che sarà poco più di un’ora.

— Vuol dire che in seguito è uscito.

— Può darsi. Avete bisogno di lui?

— Non io. Una signora lo cercava. [p. 229 modifica]

— Una signora? — fece Minerva Fabbri subito interessata.

— Sì, — confermò il giovanetto. Soggiunse con disprezzo evidente: — sapete, una delle solite esaltate....

— In questo caso non varrebbe la pena di disturbare Noris nemmeno se ci fosse.

— Ecco, c’è una circostanza particolare in favore della signora.

— E cioè?

— Prima di tutto, — fece Ugo, — è bella.

— Ah! e credete che a Noris importi?

— Per nulla, lo so.

— E allora?

— Io non posso mai rifiutare un favore a una donna bella.

— Allora, fatene uno a me: mandate via quella signora.

— Non posso, cara signorina. Noris le ha fissato un appuntamento.

Minerva Fabbri sobbalzò.

— Siete pazzo, — ella disse.

— Mi avete frainteso. Voglio dire che la signora ha scritto, prima di venire, chiedendo d’essere ricevuta.

— E Noris le ha risposto?

— Precisamente. Cioè, ha fatto rispondere da me.

— A quanto pare, non se ne ricorda però più, perchè ha dimenticato l’ora della visita.

— Potete star sicura che non se ne ricorda più. Per fortuna, la signora è paziente. Ha detto che non ha premura e che aspetterà.

— Dove l’avete ricevuta?

— In sala di lettura.

Il dialogo fra i due giovani fu interrotto dall’entrata della cameriera. Minerva le diede gli ordini che Ugo ascoltò con sorpresa perchè non appena la donna fu scomparsa, domandò, rivolto a Minerva:

— Voi partite domani?

— Sì, caro, non ve lo avevo detto?

— Affatto. Ne avete parlato a Noris? [p. 230 modifica]

— Gliene parlerò stamane a coazione.

— Se lo vedremo. È invitato da un deputato milionario.

— Allora lo saluterò prima di notte.

— Gli rincrescerà moltissimo che partiate prima di noi. Perchè non ci aspettate?

— Perchè son stanca, di questa settimana di vertigine. Sento la nostalgia di Genova e della mia casa.

— Non avete torto. Anch’io ho una gran voglia di tornare a Genova, ma pare che per ora non si possa.

— Lo so. Noris aspetta l’arrivo dell’ingegnere Dauro per concludere non so più quale affare.

— Sì, un affare colossale con una Società americana. Saranno milioni per Dauro e per Noris.

— Senza, dubbio.

— Quando credete voi che potremo partire?

— Fra due o tre settimane, non prima.

— Lo penso anch’io. Noris m’ha detto che poi mi dà vacanza per un mese. Anche lui vuol riposare. Dice che si seppellirà in montagna e che fino all’autunno non si farà più vivo.

— Farà benissimo. Avrà un gran bisogno di riposo dopo queste giornate di fatica.

— E di noia! Io sono meravigliato di vederlo accettare con tanta rassegnazione tutte le corvèes che rii fanno subire.

Minerva Fabbri osservò un po’ amara:

— Sono corvèes che hanno il loro lato piacevole.

— Sì, senza, dubbio. Ma Noris è poco sensibile ai vantaggi della sua posizione eccezionale. Quando penso che egli potrebbe possedere le più belle donne della terra!

— Ditegli che ve ne ceda qualcuna....

— Me le cederebbe tutte, se stesse a lui.

— Ne siete sicuro?

— Sicurissimo. È un tipo speciale per questo. Refrattario. Come voi, — soggiunse sorridendo per farsi perdonare l’audacia.

Minerva Fabbri perdonò e sorrise.

— Che ne sapete voi? — domandò. [p. 231 modifica]

— Io so quello che tutti dicono.

— Tutti chi?

— Gli amici vostri e nostri.

— Anche Noris?

— Noris non parla mai di queste cose, ma so che vi stima al disopra di tutte le altre donne.

Un po’ amara, Minerva osservò:

— Credo che egli ci stimi un po’ tutto allo stesso modo. Non si accorge di noi.

Ugo la guardò, sorpreso che la orgogliosissima si mettesse con tutte le altre.

— Bisogna distinguere, — egli disse. — Noris vi mette a parte di tutte le altre donne nel suo concetto, ma forse appunto perchè voi siete così dissimile da tutte le altre! Non so, non sembrate una donna. Siete così forte e così fredda. Anche io, che pure sono così diverso da Noris, ho imparato a considerarvi solamente come un collega.

Minerva Fabbri ritrovò il suo orgoglio per rispondere:

— Voi mi considerate soltanto quello che io vi permetto di considerarmi.

Subito confuso da quel tono e da quelle parole, Ugo domandò umile:

— Vi ho offesa?

Ma la fanciulla si era già pentita del suo scatto. Gli stese la mano e gli sorrise.

— Scendete a tener compagnia alla vostra bella milionaria, — disse. — e quando Noris sarà tornato avvertitemi, vi prego. A proposito, — soggiunse, — dove riceverà la signora, il nostro illustre amico?

— Ma laggiù dove si trova adesso, suppongo.

— Nella sala di lettura?

— Già.

— E se vi fosse gente?

— Allora, probabilmente, nel giardino d’inverno.

— Non credete che la farà piuttosto salire nel suo salotto particolare?

— Sicuramente no. Anche le altre le ha ricevute laggiù. [p. 232 modifica]

— Le altre? ve ne sono state delle altre?

— Non lo sapete? Ma è dal primo giorno del suo arrivo che lo assediano! Io, ormai, non ci faccio più caso perchè è sempre stato così. Sotto questo aspetto, tutto il mondo è paese, compresa l’America. Ma i primi tempi, quando non sapevo, quanta meraviglia e quali risate!

— E Noris?

— Oh, lui non ci ha mai fatto caso. Le chiama esaltate....

— Ha ragione.

— Senza dubbio. Qui, gli saranno arrivate cinquecento lettere di donne. Ne volete leggere qualcuna?

Ne arrivano continuamente.

— E Noris le legge?

— Gli leggo io le più interessanti.

— Siete un vero segretario galante! — osservò Minerva sorridendo.

— Sì. Mi diverto. E posso farlo perchè Noris non approfitta mai dei miei servizi.

— Lo sappiamo. Ora scendete, Ugo.

— Non volete vedere qualcuna di quelle lettere?

— No, grazie.

— Peccato! Ci si divertiva insieme!

— Oggi debbo far le valigie.

— Dirò a Noris che vi proibisca di partire.

— Voi non gli direte nulla, Ugo, anche perchè sarebbe inutile. Piuttosto, vi prego, non dimenticate di avvertirmi quando Noris sarà tornato.

Ugo promise, ma quando, dopo mezz’ora, tornò su nella stanza della Fabbri per informarla che Noris era rientrato all’albergo e stava discorrendo, giù nella sala di lettura, colla sua bella ammiratrice, non trovò più la sua giovane amica.

Minerva non aveva potuto vincere il desiderio un po’ puerile di scendere e trovarsi un posto donde poter vedere Noris senza esserne veduta e assistere, inosservata, al suo colloquio colla bella ignota. Aveva trovato un rifugio in un angolo dello hall che la fantasia del direttore dell’albergo aveva mutato in una [p. 233 modifica]improvvisata oasi di palmizi. Di là aveva visto Noris rientrare e soffermarsi ad ascoltare, nel vestibolo, un discorso del direttore. Senza dubbio, il direttore lo informava della presenza della signora perchè Noris si era rivolto a guardare verso la sala di lettura che era attigua al jardin d’hiver con una improvvisa espressione di noia sul viso un poco assorto.

Ma subito, un’altra espressione di correttezza fredda aveva sostituito quella tradita da un improvviso moto dei suoi nervi ed egli s’era avviato a salutare la signora con un contegno assolutamente tranquillo.

Minerva Fabbri che osservava intensamente il suo viso non lo vide tradire la più lieve commozione nel suo primo incontro con l’ignota. La meravigliosa bellezza della elegantissima, che si era soffusa d’un più squisito incanto all’apparire dell’aviatore, non pareva produrre alcun effetto sullo spirito di Noris.

Dopo di essersi inchinato profondamente, egli si teneva dinanzi a lei in un atteggiamento di attesa cortese e pareva condiscendenza benevole la buona grazia colla quale si prestava ad ascoltare le sciocchezze deliziose che la sconosciuta gli andava dicendo. Due volte, la voce della signora giunse fino a Minerva. Diceva, quella voce:

— Verrete? verrete?

Senza dubbio, la bellissima sollecitava Noris per avorlo suo ospite ed egli si schermiva — era evidente — ed enumerava le ragioni che gli rendevano impossibile l’accettare.

Come poteva, Noris, resistere all’invito della seducentissima? Minerva Fabbri non se lo spiegava ma ne era felice. Quando la visitatrice si alzò per andarsene e Noris l’ebbe accompagnata fino sulla soglia del vestibolo, ella uscì dal suo rifugio e si avanzò verso di lui come lo incontrasse per caso.

— Congratulazioni — gli disse sorridendo — per la bellissima compagna colla quale vi ho sorpreso. [p. 234 modifica]

— Sì, — convenne Noris, — una splendida creatura; ma veniva per infliggermi una noia di più e così ho trascurato anche di contemplare la sua bellezza.

— Una noia vi voleva infliggere?

— Un ricevimento in casa sua, figuratevi.

— Chi è se non è indiscreto chiederlo?

Noris teneva ancora in mano il biglietto che Ugo gli aveva consegnato.

— Ecco qua, — lesse. — Mistress Hodge. Ho capito, la vedova del leader radicale.

— Potevate accontentarla!

— Ah, no! — esclamò Noris con una vivacità inusitata, — ne ho abbastanza di produrmi come un fenomeno. Non ne posso più! darei metà della mia così detta gloria per la pace di Cassano. Voi mi trovate ingiusto?

— Affatto. Io vi comprendo e condivido così pienamente il vostro modo di sentire che mi propongo di partire domani.

— Dite davvero? — interrogò Noris con uno stupore che tradiva anche il suo sincero malcontento.

— Ho già disposto tutto per la partenza.

— Ma questa è una novità molto inaspettata! Io ritenevo fosse convenuto che voi vi sareste fermata a New-York fintanto che ci si stava noi. Pensavo di compiere insieme il viaggio di ritorno.

— Infatti. La mia risoluzione data soltanto da stamane.

— Da stamane? — fece Noris cercando col pensiero che cosa potesse averla motivata.

Gli parve d’aver trovato. Soggiunse:

— Voi vi siete inquietata per la pubblicazione di quella rivista!

— No, assolutamente no, caro Noris. Vi assicuro che quella stupida insinuazione m’ha lasciata perfettamente indifferente.

— E allora?

— E allora, non cercate perchè sarebbe inutile. Non c’è nessuna ragione speciale nella mia risoluzione improvvisata. Mi sento annoiata, ecco, [p. 235 modifica]Sento che questa vita d’ozio assoluto mi snerva e mi rende peggiore. Se la vostra partenza fosse imminente, vi aspetterei. Ma la vostra decisione è subordinata all’arrivo di Dauro e io non posso continuare per tanto tempo ancora questa vita faticosa e vuota.

Aveva parlato con tanta semplice disinvoltura che Ettore Noris non pensò menomamente a mettere in dubbio le sue parole.

— Pazienza! — egli disse, — non posso darvi torto e nemmeno costringervi; posso soltanto invidiarvi, questo sì. E rimpiangervi già fin d’ora, anche questo. Mi mancherà moltissimo, cara amica!

Minerva sorrise.

— Meno di quello che credete adesso. Si stava così poco insieme! Voi eravate tutto preso dalle feste che vi fanno.

— Ma alle quali eravate sempre invitata, anche voi. E quando voi accettavate le feste mi parevano più belle. Voi non lo sapete, ma io cercavo spesso tra la folla di visi ignoti il vostro viso. E il pensiero di non essere completamente in mezzo ad estranei, mi dava una piccola impressione di gioia.

— Grazie per queste parole, caro amico.

Non potè dire altro, Minerva Fabbri. Le parole di Ettore Noris, inattese e dolcissime, avevano acquistato, attraverso le specialissime disposizioni del suo spirito, un valore infinitamente più profondo di quello determinato dal loro semplice significato ed ella temeva che l’aviatore rilevasse l’impressione che improvvisamente l’aveva turbata.

Gli stese la mano.

— Uscite ancora? — le domandò Ettore.

— Sì: debbo fare qualche acquisto e non so se riuscirei a trovare il tempo più tardi.

— Vediamo, — egli disse ancora, — avete già impegnata la vostra serata?

— No: perchè?

Giocondamente egli rispose:

— Benissimo; allora vi sequestro io per stasera, [p. 236 modifica]

— Avete qualche progetto?

— Nessuno: ma voglio godere qualche ora in una compagnia amica prima di ripiombare nella mia solitudine così vertiginosamente popolata, fuori.

Minerva sorriso.

— Davvero volete regalarmi la vostra serata preziosa?

— Sono io che vi prego, come di un favore grande, di concedermi la vostra.

— Sta bene. A stasera, allora.

— No, prima, a colazione.

— È vero.

— Buona passeggiato e buone compere.

— Grazie. Acquisterò anche un regalo per Tripoletta. Mi date un consiglio?

Noris sorrise.

— È difficile, è molto difficile. Non riesco proprio a immaginare che cosa potrebbe far piacere a Tripoletta.

•— Avevo pensato a due braccialetti: che ne dite?.

— Un regalo assai poco americano, ma in compenso molto orientale. Vada per i braccialetti.

— Grazie. Ora scappo davvero.

Sparì e fu subito fuori nella via affollata sotto il sole caldo del meriggio vicino. In mezzo alla folla si ritrovò subito, tornò serena, sicura, tranquilla. Anche la preoccupazione lieve e simpatica di fare gli acquisti inutili che dovevano dire alle amiche, agli amici lontani come ella li avesse ricordati anche oltre l’oceano, valse a farle dimenticare le più gravi preoccupazioni interiori.

Comperò per Tripoletta, per i meccanici di Noris rimasti a Cassano, per il suo adoratore infelice Cino Coralli, per Paolo Adelio. Man mano i piccoli involti aumentavano, si sentiva prendere da un piacere semplice e sano che era pregustazione delle sorprese buone che preparava.

— Come ci vuol poco — disse forte a sè stessa — a comprare un po’ di felicità. [p. 237 modifica]

Ecco, quella gita e quelle piccole occupazioni erano bastate a ritornarle la sua pace. Perchè non avrebbe potuto essere così, sempre?

Arrivò fino a illudersi che forse le sue paure rispetto al pericolo d’innamorarsi di Noris erano fantastiche e vane. Forse quel pericolo esisteva soltanto nella sua immaginazione ed era frutto dell’ozio forzato di quei giorni. Sarebbe bastato ch’ella fosse rientrata nella cerchia della sua solita vita, che fosse tornata a occupare tutte le sue ore e tutte le sue facoltà per veder scomparsa ogni paura.

Senza dubbio. Sarebbe stato così.

Non si era ella sempre salvata dai pericoli che nascono dalla fantasticheria e dal sogno con una vita d’attività intensa e di lavoro? Si trattava, adesso, di ricorrere allo stesso rimedio, e poi, quando l’antica serenità fosse tornata, come avrebbe riso della paura atroce avuta!

Questi pensieri la occuparono per tutto il tempo della passeggiata.

Tornando all’albergo Minerva Fabbri era sicura d’aver ritrovato sè stessa e disposta a giurare che nulla era mutato nel suo cuore e nella sua vita. Malgrado tutta la sua lucidità e l’abitudine presa di controllare ogni movimento del proprio spirito e di indagarne le cause, stavolta ella era ben lungi dall’ammettere e anche di comprendere che, in realtà, le disposizioni di serenità grande del suo spirito e del suo cuore erano causate dalla prospettiva di trascorrere tutta la serata con Noris.


*


Che cosa aveva ella sperato! Che Noris le proponesse una passeggiata romantica sotto le fronde degli ippocastani che fiancheggiavano il lunghissimo ed amplissimo viale prospiciente l’albergo? o una gita in barca, sotto il chiaro di luna, nel silenzio rotto soltanto dal tuffo dei remi nell’onda palpitante sotto le stelle? [p. 238 modifica]

Quando Ettore Noris, alzandosi da tavola dopo il pranzo, le propose lietamente:

— Opera o commedia? — Minerva Fabbri sentì chiudersi il cuore come sotto la stretta d’una delusione dolorosissima.

A teatro! la porta va a teatro!

Era quello il modo di passare insieme la serata, secondo lui?

Dovette fare appello a tutta la sua finezza per dimenticare l’impressione che provava e per trovare la forza di sorridere e di fare dello spirito:

— Ancora a teatro! state proprio americanizzandovi anche voi, caro Noris!

— Che volete dire?

— Che il frastuono e la folla cominciano a piacervi.

— No, non è questo. Ma non vedo dove si potrebbe andare a far trascorrere la serata che vi ho rubato.

— Credete che da soli ci si potrebbe annoiare?

La domanda fu fatta in tono semplice e gaio, con una disinvoltura che le toglieva qualsiasi significato intenzionale e che dissimulava perfettamente l’ansia colla quale la fanciulla l’aveva osata e ne attendeva la risposta.

— lo non mi potrei certo annoiare con voi, cara amica, ma sarei troppo egoista se vi imponessi una «solitudine a due» per l’ultima vostra serata qui. Molto più che non mi sono mai accorto d’essere un brillante conversatore.

— Io detesto la gente brillante comunque e dovunque brilli. Quanto a voi, poichè vi proponete di far quello che più mi piace, risparmiatemi il teatro, vi prego.

— Benissimo. Allora, proponete voi.

— Ecco: io proporrei di andarcene bighellonando per le strade più centrali della città. Io non l’ho veduta mai di sera perchè osavo poco avventurarmi sola nell’ignoto.

— Se lo avessi immaginato, — osservò Noris, vi avrei dato Ugo per accompagnarvi. [p. 239 modifica]

— Povero ragazzo! perchè avreste voluto sacrificarlo?

— Lo avrei fatto felice e orgoglioso, vi assicuro.

— Ciò che invece non siete voi stasera, — disse Minerva con una punta di malignità temprata da un sorriso.

— Voi non pensate quello che dite e oltre tutto vi assicuro che vi son grato d’offrirmi una distrazione alla quale io non avevo pensato.

Uscirono. Nella penombra dell’automobile chiusa che li portava dalla via un po’ eccentrica dove era l’albergo al centro della città, gli occhi di Minerva Fabbri fissavano di tra le ciglia socchiuse il volto di Ettore Noris con una intensità che voleva fissarne l’impronta nel suo cervello per sempre.

Il giovane non poteva avvedersene. Aveva visto l’amica arrovesciare un po’ il capo contro una dello pareti imbottite della vettura e socchiudere gli occhi come per abbandonarsi all’ebbrezza lieve della corsa vertiginosa e si sarebbe fatto uno scrupolo di disturbarla.

Per suo conto rimaneva assorto, coi chiari occhi fondi che le ciglia e le sopracciglia nere e corrusche facevano sembrare bruni, fissi fuori, sulla strada o, forse, nel vuoto, come seguissero distratti le cose e le persone che fuggivano, forse, guardassero lontano cose o volti invisibili.

Per la prima volta Minerva si concedeva la voluttà segreta e pericolosa di analizzare quel viso di energia e di volontà che nella penombra pareva fondere e distendere tutte le sue linee aspre e dure in una espressione di grande dolcezza e di soavità piena di malinconia. Per la prima volta ella vedeva — con un urto di tutto il suo sangue — la linea della bocca ardente e tumida disegnarsi perfetta sotto la doppia pennellata spavalda dei baffi neri piegati in una espressione dominatrice. E l’ovale del volto bruno, leggermente allungato, le pareva perfetto nella nitidezza dei disegno. [p. 240 modifica]

Era bello Ettore Noris?

Ella non avrebbe saputo dirlo. Certo, le pareva, adesso, che doveva essere impossibile sottrarsi alla volontà di quel viso di dominatore, quando quel viso volesse sciupare il suo suggello in un cuore.

Fin che durò la corsa verso la città, durò la sua contemplazione. Quando la auto si fermò ed essi ne discesero, si trovarono dinanzi a un caffè molto illuminato, molto affollato, molto rumoroso.

— Ora — disse Noris rivolgendosi alla sua compagna — disponete voi. Volete entrare?

— Allora?

— Allora si passeggia.

— Benissimo.

— Non trovate che la vita della strada è molto più interessante di quella di tutti i ritrovi chiusi?

— Senza dubbio, quantunque io trovi mediocremente interessante anche quella.

Minerva lo guardò.

— Siete misantropo a questo punto?

— Ecco: misantropo lo sono diventato a poco a poco; un tempo, l’uomo m’interessava. L’uomo, non gli uomini. E non credo che l’uomo si possa rintracciare nella folla. Nemmeno la vita vera vi si incontra. Non è la vita quella che si vive dentro codeste bolgie.

— Lo sappiamo. Appunto io vi dicevo che la strada è più interessante di tutti codesti ritrovi. Eppoi, credo che nessuno vi entri col proposito di cercarvi la vita. Con quello di dimenticarla, piuttosto, sì.

— Avete ragione. C’è una categoria di uomini per i quali vivere vuol dire quasi sempre stordirsi. Dimenticare, sì, ma non un dolore, proprio: piuttosto, un destino ìmpari al proprio desiderio. Il dolore vero e profondo non ispira mai il desiderio di oblio.

Dopo un istante di silenzio, Minerva osservò:

— Credo che quella vostra considerazione sia [p. 241 modifica]troppo soggettiva per avere un valore generale. Sarebbe errato che voi giudicaste tutte le impressioni e gli uomini sul vostro temperamento.

— Voi mi ritenete dunque così diverso dagli altri?

— Assolutamente. Voi siete una eccezione fra gli uomini come io sono una eccezione fra le donne.

Noris sorrise.

— Forse, — egli disse. — Ma il diritto alla eccezionalità vi spetta più che non a me. Io sono una eccezione casuale, per così dire; determinata, cioè, dagli eventi, non risultante da un temperamento. Se la mia vita fosse stata diversa, io sarei forse un uomo come tutti gli altri. Vi è entrato un evento che l’ha sconvolta per sempre e tutta la direttiva della mia esistenza ne è stata mutata.

— Ma non lo sarebbe stata se voi foste un uomo come gli altri.

— Che volete dire?

— Che l’oblio avrebbe trionfato del vostro dolore e che voi vi sareste riattaccato alla vita come tutti fanno.

Invece di rispondere direttamente all’osservazione dell’amica, Ettore Noris domandò:

— Voi sapete dunque?

— Sì.

— Da quando?

— Da prima di conoscervi persino.

— Ma forse — disse Noris — non sapete tutto.

Tacque un istante mentre Minerva Fabbri aspettava ansiosa le parole che egli stava, per pronunziare, poi prosegui:

— Se quella morte fosse avvenuta in circostanze normali, anch’io avrei forse finito col consolarmi, come tutti fanno. Non è ingiusto, è solamente umano che il tempo trionfi del dolore. Ma di quella morte io sono stato la causa indiretta ed era appena giusto che tutto il mio cuore fosse serbato al povero piccolo cuore che [p. 242 modifica]s’era spezzato per lo strazio d’avermi creduto perduto.

Aveva terminato con un tremito nella voce, tanto vivo era ancora nel suo ricordo il pensiero dell’adorata.

E fu quella sorpresa commozione che parlava d’un sentimento ancora vivo, ancora forte e invincibile che improvvisa scatenò la tempesta nell’anima di Minerva Fabbri.

Con una fredda voce dove il rancore, la ribellione e l’inconscia gelosia diventavano cattiveria e ironia, ella disse:

— E così, una rottura d’aneurisma è diventata la tragedia di tutta una vita.

— Oh! — fece Noris sorpreso e dalle cattive parole e più dall’espressione colla quale la fanciulla le aveva pronunziate, — oh, come non potete comprendere!

— Scusate, — proseguì la fanciulla, — non vorrete già sostenere che se quella poveretta avesse avuto il cuore sano sarebbe morta per la commozione di veder oscillare il vostro apparecchio? era ammalata, o il colpo di grazia le è venuto da quella commozione come avrebbe potuto venirle da qualsiasi altra causa. Se non fosse morta per il vostro volo, avrebbe avuto il cuore schiantato, che so io! da uno spavento, da uno sforzo, magari dalla fatica di salire una scala!

— Tacete, tacete! — supplicò Noris.

Era sbalordito e si sentiva soffocare. Le parole della Fabbri gli parevano una profanazione ignobile della sua diletta. Egli si pentiva d’averne parlato coll’amica, d’aver sollevato il velo del suo mistero sempre così golosamente custodito, d’essersi abbandonato in confidenze perfettamente inutili.

Perchè, perchè aveva parlato?

Anche, lo stupiva la durezza della Fabbri come la rivelazione d’una cattiveria non mai sospettata in lei. Come diversamente aveva accolto la sua confidenza quella povera Susanna che adesso riposava nel cimitero di Brescia! Che [p. 243 modifica]c’era dunque nel cuore e nello spirito di questa fanciulla alla quale egli s’era compiaciuto di attribuire una superiorità su tutte le altre donne? Un’aridità esasperante che appariva saggezza, un equilibrio che era la risultante di una freddezza sdegnosa e di un cinismo ripugnante!

Adesso, anche la Fabbri si accorgeva di essersi spinta troppo oltre.

Volle rimediare dicendo con un tono di voce molto mutato:

— Perdonate, Noris, se involontariamente io v’ho ferito. Non avevo l’intenzione di farlo e voi non dovete dimenticare che io ho studiato medicina e che mio malgrado non posso non ricordarmi qualche volta, che sono anche la dottoressa Fabbri. Colla rudezza della mia professione, aggravata dalla sincerità terribile del mio temperamento, io ho fatto la diagnosi scientifica di quello che è stato e che è il dramma della vostra vita. Mi perdonate?

— Sì, — disse Ettore Noris disarmato da quelle parole pronunziate con tanto accento di verità.

La fanciulla soggiunse:

— Aggiungete l’irritazione spiegabilissima o il rammarico, come volete, di vedere tutta la vita di un uomo come voi, attraversata, e distrutta per un accidente così disgraziato. Torno a ripetere: se quella poveretta aveva il cuore sano non sarebbe morta e voi sareste felice.

— Chissà! — disse Noris; — forse, allora, il nostro amore avrebbe subito la legge di tutti gli amori.

— Sarebbe morto d’esaurimento, volete dire?

Egli tornò a ripetere:

— Chissà!

— Anche qui credo che abbiate torto di generalizzare, caro Noris. Come tutte le leggi, anche quella che vuole che tutte le fiamme si spengano dopo aver brillato, subisce le sue eccezioni. Se non esistessero gli amori che non conoscono tramonto, non esisterebbero nemmeno i ricordi che non si spengono e le fedeltà che non sanno [p. 244 modifica]l’oblio. Voi stesso siete la conferma di queste eccezioni. E perchè avevate l’anima di un amante che potete serbar fede eterna alle ceneri del vostro amore. La donna che si è spenta per voi è stata ben avventurata!

Noris trasalì a quelle parole pronunziate dalla Fabbri con una voce interiore piena di commozione.

Erano le stesse parole che Susanna gli aveva detto un giorno con la stessa voce alterata e triste.

Glielo disse:

— Anche voi!

Fu la volta di Minerva Fabbri di trasalire.

— Che volete dire?

— Un’altra fanciulla, un giorno, mi ha detto queste parole.

— Un’altra fanciulla? Un’ignota?

— Per voi. Per me, una morta.

— Una morta?

— Sì.

— Per voi anche quella?

Di nuovo la voce di Minerva Fabbri fischiò sferzante d’ironia. Pareva volesse dire, quella voce:

— Ma, caro mio, voi siete un flagello, non un uomo’!

Noris ne avvertì l’espressione ostile e aggressiva. E si compiacque di sferzarla, come lanciasse una sfida:

— Forse, — disse.

Una ruga si scavò tra gli occhi della fanciulla, sulla sua fronte.

— Ma il vostro passato — ella disse — è tutto un cimitero!

— Questo è un passato così recente che potrebbe essere un presente.

— Ah! — sibilò ancora, nemica, la voce, — non sospettavo che fra un record e una performance voi trovaste il tempo e il modo di filare un idillio.

— Chi vi dice che sia stato un idillio?

— Infatti: è stato un dramma, invece. Un [p. 245 modifica]dramma completo perchè c’è anche una vittima.

— Una cosa tanto strana e tanto triste, — disse Noris come parlasse fra sè.

Non aveva mai confidato a nessuno la storia ingenua e sublime della passione che aveva condotto Susanna alla tomba. Perchè provò, quella sera, il bisogno di narrarla a Minerva Fabbri quasi che fra tutti ella fosse la sola creatura degna di ricevere la confidenza sacra?

Forse per un segreto bisogno di vendicarsi, di umiliarla, di abbassarla mostrandole quali sublimi creature esistessero al mondo e come sapesse soffrire e morire l’amore semplice e vero.

Narrò. Tutto disse: dal suo primo incontro con Susanna alla sua agonia e alla sua morte. Solo il nome della innocente amante tacque per uno scrupolo quasi religioso.

— Questa, storia — disse Minerva quand’egli ebbe finito — è assai più commovente della prima che ha costituito il dramma della vostra vita.

Trovo infinitamente più interessante questa piccola ignota che non la vostra piccola, unica amante. Questa vi ha veramente amato e senza speranza e senza egoismo, di quell’amore grande e sublime degno di venir cantato dai poeti. Questa, questa è stata la fiamma della vostra vita! E non è riuscita, dite, ad accendere il vostro cuore.

Noris tacque.

Minerva proseguì:

— Adesso, accanto a questa cara figura, l’altra, colei per la quale voi dite di non poter più amare, per la quale sostenete che non amerete mai più, mi fa l’effetto d’un piccolo idolo crudele e implacabile.

— Perchè?

— Perchè è a lei che voi avete immolato, proprio come una vittima sull’ara, l’altra, la dolcissima morta.

— Non lo dite, lo non ho fatto nulla per provocare l’amore della poveretta.

— Lo so, lo credo. Vi conosco; voi non fate mai [p. 246 modifica]nulla per farvi amare e vi fate amare perchè appunto non sollecitate mai nulla.

— Non vi capisco, — disse Noris, — ma sento ancora nella vostra voce l’intenzione di ferirmi.

— Forse, — convenne, aspra, la Fabbri, — sento un gran desiderio di vendicare la vostra seconda morta.

— Lasciatela riposare in pace come si è spenta! — implorò Noris con voce stanca. — Se sapeste quale creatura di dolcezza essa è stata, sentireste che il desiderio della vendetta non poteva essere vivo in lei!

Soggiunse, incoraggiate dal silenzio della sua compagna:

— Non parliamone più: volete? non dimenticate che stiamo insieme per l’ultima sera. Chissà per quanti giorni non ci rivedremo più, poi!

Minerva pensò:

— Per quanti mesi non ci rivedremo più!

Il suo pensiero corse al proposito concepito ed accolto: andarsene lontano, nell’India, e non tornare più fin che non fosse intervenuta la guarigione. E le parve a un tratto eccessivo quel progetto e inadeguato allo scopo che si proponeva.

Era proprio necessario che ella andasse nell’India per sfuggire al pericolo d’amare Ettore Noris?

Adesso, le pareva che quel pericolo non esistesse più, che il giovane le fosse diventato ad un tratto indifferente, anzi, che le disposizioni del suo spirito verso di lui fossero tutte di antipatia e di ostilità. La sfinge s’era un poco svelata e col mistero aveva perduto anche il fascino. Non era più, Noris, la statua che bisognava animare; era semplicemente un debole schiavo sino alla fissazione e fino alla crudeltà d’una subita impressione di dolore e di orrore.

Rispondendo alla domanda che egli le ripeteva, disse con voce indifferente:

— Sì, mutiamo discorso, è meglio.