Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo I

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Volume II - Capitolo I

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
Volume II - Capitolo I
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CAPITOLO I.


Il mio compagno dormiva come me; ma che dico io, dormiva? grande Iddio! qual sonno era il suo! Chi avrebbe potuto chiuder occhio o orecchio in vicinanza di lui! Egli parlava a voce tanto alta, e sì continuamente, come se fosse intento alle abituali sue occupazioni. Io intesi mio malgrado il segreto de’ suoi sogni. Sapeva, lui aver assassinato il suo padre, ma ignorava che il suo parricidio lo perseguitasse nel tempo [p. 4 modifica]del riposo. Il mio sonno fu interrotto da parole almeno tanto orribili, quanto quelle che io aveva sentite al capezzale del mio letto; desse mi spaventarono anche prima d’essere ben risvegliato; aumentarono, raddoppiarono e mi cagionarono una oppressione di spirito da non potersi descrivere. M’immaginava che il superiore e tutti gl’individui della comunità ci perseguitassero con delle fiaccole accese, la cui luce brillasse davanti a’ miei occhi. Mandai un grido dicendo: non mi offendete la vista; non mi vogliate accieccare; non mi riducete ad uno stato di demenza, confesserò tutto. Una voce rauca mi ripete: confessate. Mi risvegliai spaventato; non era, se non la voce del mio compagno, che dormiva; mi alzai e mi posi a contemplarlo. Egli si avvoltolava sul suo letto di terra, come se fosse stato sopra un soffice materasso. Avresti detto, che il suo corpo era di ferro; l’irregolarità del suolo non produceva alcun effetto sopra di lui. Io ho molte cose sentite dire, molte ne ho lette [p. 5 modifica]intorno agli orrori del letto di morte del peccatore, ma non credo che possano esser tanto terribili, quanto quelle del sonno della mia guida. Egli cominciò dal mormorare alcune parole a voce bassa, e fra queste ne distinsi molte, le quali non mi rammentavano che ciò, ch’io avrei voluto obbliare, almeno fino a tanto che dovevamo convivere insieme. Esso diceva: un vecchio?.... Sì.... Ebbene? egli ha tanto meno di sangue. De’ capelli bianchi?.... non importa; i miei delitti hanno contribuito a farli incanutire. E molto tempo, che egli avrebbe dovuto strapparli. Sono bianchi, dite voi?.... Ebbene! Questa sera non lo saranno più giacchè saranno tinti di sangue. Sì sì, io so che egli me li mostrerà nel giorno del finale giudizio e che essi faranno testimonianza contro di me. Egli sarà alla testa di un’armata più innumerabile di quella de’ martiri, l’armata di quelli cioè che hanno avuti per carnefici i proprii figli. Non è la stessa cosa toglier la vita ai suoi genitori o ferir loro moralmente [p. 6 modifica]il cuore? Io ho già trafitto quello del mio genitore; la vita la perderà con tanto minor dolore.

Dopo un tanto spaventevole discorso si mise a ridere; quindi parve ricolmo di orrore ed incominciò a dibattersi. Io tremando di raccapriccio volli destarlo; scossi il muscoloso suo braccio; lo rivoltai di sotto, di sopra; ma tutto invano; sembrava che io lo cullassi. Egli si addormentò più profondamente, e cominciò di nuovo a sognare, dicendo: toglietegli la borsa: io conosco il luogo dove egli è consueto serbarla, ma prima assicuratevi bene che egli sia morto.... che! voi non osate?.. I suoi capelli canuti vi fanno fremere! il suo sonno pacifico!... oh! oh! si crederebbe che gli scellerati possano essere sciocchi?.... bisogna dunque che sia io: lo farò. La lotta non durerà molto; ella è cosa possibile, che egli si danni; ma è certo che io lo sarò.... silenzio!.. oh! come cigolano i gradini!... Non gli dite che è il suo figlio, che salisce... Eccoci arrivati.... esso dorme profondamente... sì; come è placido [p. 7 modifica]il suo sonno!.... questa calma è un preludio, che egli possa salire al cielo... adesso... adesso... già gli tengo il ginocchio sul petto... ove è il coltello?.... Se egli vede, sono perduto. Il coltello!... sono un vile... Il coltello!... Se apre gli occhi, per me non vi è più speranza. Il coltello, maladetti poltroni!.... chi oserebbe esitare ora, che ho afferrato la gola di mio padre?.... là... là... là... il sangue mi è arrivato fino alla manica.... è il sangue del vecchio... Intanto che io rasciugo la lama, voi fate ricerca del denaro... non posso asciugarla, perchè i capelli sono tutti intrisi di sangue. Questi medesimi capelli toccarono le mie labbra l’ultima volta, che egli mi abbracciò... Io era molto giovane allora.... Allora non lo avrei ucciso per tutto l’oro del mondo. Ed al presente... al presente... che sono io divenuto?... Ah! ah! ah! quanto simile al mio è il delitto di Giuda..... Egli tradì il suo Salvatore, io ho ucciso mio padre... Il luogo che fu assegnato a lui nell’inferno aspetta me ancora!... Non importa.... [p. 8 modifica]

Nè qui pose fine all’empio suo dire, ma continuava a proferire delle nefandità e delle bestemmie sì esecrande, che io lo chiamai gridando ad alta voce, perchè si destasse. Alla fine aprì gli occhi, e mi disse con uno scoppio di risa terribile quanto i suoi sonni: Ebbene! che avete inteso? io lo assassinai; voi già lo sapete. Voi vi siete a me affidato per questa maledetta intrapresa, che pone in un pericolo evidente la vostra e la mia vita, e non potete sopportare che io parli con me medesimo, quantunque io non dica nulla, che già non sappiate? No, non lo posso sopportare, gli risposi ripieno d’orrore, e non vorrei incominciar di nuovo l’ora che ho passata, ancorchè dovessi sagricare la mia libertà. Quanto terribile idea è quella di dover restar una giornata intiera in una profonda oscurità morendo di fame o di freddo, ed ascoltando gl’incoerenti discorsi di un... Non mi vogliate slanciare quelle occhiate di scherzo e di dileggio; io so tutto il vostro solo aspetto mi fa fremere. La ferrea [p. 9 modifica]mano della necessità ha potuto soltanto unirmi a voi per brevi momenti. Noi siamo ahimè! uniti, ma per nostra mala ventura. Bisogna che io sopporti cotesta terribile alleanza fino a tanto che durerà ma non ne vogliate rendere gli istanti troppo orribili. La mia vita, la libertà mia sono nelle vostre mani; e nella posizione in cui ci troviamo, potrei ancor io dire la mia ragione. Io non posso, soffrire la spaventosa eloquenza del vostro sonno. Se io fossi sforzato a prestarle per più lungo tempo l’udito, potreste di quà condurmi via libero, ma privo della ragione; perciocchè la mia testa non è più in grado di sopportare simili tormenti. Non vi abbandonate più al sonno, ve ne supplico; soffrite ch’io vegli al vostro fianco pel corso di questa orribile giornata; questa giornata, che passar dovremo fra le tenebre e le sofferenze, invece della luce, e della felicità, che eramo lusingati dover godere. Io consento a soffrir la fame, tremare dal freddo, riposare su queste pietre umide e dure; ma non posso soffrire i vostri [p. 10 modifica]sogni. Se voi vi addormentate sarò costretto di risvegliarvi; se non fosse per altro, che per difendere la mia ragione. Sento che la mie forze fisiche diminuiscono rapidamente, e perciò sono tanto più geloso di conservare quelle del mio intelletto. Non occorre, che mi guardiate con quell’aspetto minaccevole; voi siete più forte di me, ma la disperazione rende tutti eguali. Nel tempo che io pronunziava queste parole la mia voce rimbombava siccome il tuono, e raggi di fuoco mi uscivan dagli occhi. Io sentiva in me tutta la forza che a noi somministra la collera, e mi accorsi che il mio compagno non era insensibile a quanto io gli diceva; onde continuai con un tuono, che fece maravigliare me medesimo: Se voi oserete addormentarvi, io vi risveglierò. Ancorchè non faceste che stare fra il sonno e la veglia, non vi lascerei un momento di riposo; dovete vegliare con me. Per tutta questa giornata soffriremo insieme; così ho risoluto. Ve l’ho già detto: posso tutto [p. 11 modifica]soffrire, fuorchè i sogni inquieti di un uomo, che dormendo vede l’immagine di un padre assassinato. Voi potete vegliare, delirare, bestemmiare, ma dormire, no certo.

Egli mi guardò per alcuni istanti con una maraviglia, che chiaramente indicava quanto poco capace mi avesse creduto di una tale energia di passione e di volontà. Quando fu ben convinto di non ingannarsi, l’espressione della sua fisonomia si cambiò tutt’ad un tratto. Per la prima volta sembrò che meco si accordasse; tutto ciò che aveva aspetto di ferocia era conforme al suo carattere e gli aggradiva: mi assicurò, che il mio coraggio gli faceva piacere. Voglio tenermi desto, aggiunse con uno sbadiglio, che lasciò vedere una gola simile a quella di una tigre, che si prepari al suo sanguinario banchetto; ma come faremo per non lasciarci sorprendere dal sonno? Noi non abbiamo nulla nè da mangiare nè da bere. Ed incominciò a proferire una salmeria d’imprecazioni e di bestemmie terribili; quindi si pose a [p. 12 modifica]cantare; ma quali canzoni! la loro oscenità era così ributtante, che io educato, prima nell’interno di una ristretta famiglia e poscia nella severa disciplina di un convento, e per conseguenza non avendo mai nulla sentito di simile, dovetti naturalmente credere, che un demonio, incarnato urlasse al mio fianco. Lo supplicai di cessare; ma esso passava tanto rapidamente da un’atrocità estrema ad una estrema leggerezza, dal delirio del misfatto a delle canzoni, le quali avrebbero fatto orrore nel luogo della più scostumata licenza, che egli diventò per me affatto inesplicabile. Io doveva avere allora una molto debole conoscenza degli uomini giacchè mi era ignoto, che sovente il delitto e la insensibilità si riuniscono nel medesimo cuore, e che sulla terra non vi ha alleanza più stretta di quella che si forma tra la mano, che osa tutto, ed il cuore che nulla sente.

In mezzo a questa alternativa terribile dovetti aspettare che si avvicinasse la sera, la quale tosto che dal [p. 13 modifica]mio compagno fu veduta diffondere l’oscuro suo velo, si preparò con una prodigiosa energia alla nostra partenza. Con l’aiuto delle mie spalle e di alcune pietre, che sporgevano in fuori si arrampicò alla muraglia, aprì la bodola, disse che tutto era tranquillo, mi aiutò a salire presso di lui, e ben tosto con una contentezza indicibile io respirai di nuovo l’aria pura del cielo.

La notte era profondamente oscura, ed a segno che io non poteva distinguere gli alberi dagli edifizii, se non quando un leggiero venticello scuoteva le cime dei primi. Vado convinto che a quella benefica tenebra io son debitore della conservazione della mia ragione in quella circostanza. Se nell’abbandonare il soggiorno della oscurità, della fame e del freddo, io avessi tutto ad un tratto trovata e scorta tutta la maestà di una bella notte serena, il mio intelletto sarebbe in essa rimasto soccombente. Non oso dire a quale eccesso mi sarei abbandonato. Traversammo il giardino con tanta [p. 14 modifica]velocità, che i nostri piedi quasi non imprimevano orma sul terreno. Ma all’approssimarci del muro poco mancò che in me non venissero meno il coraggio e le forze. Mi accostai all’orecchio del mio compagno per dirgli: Non vi pare di vedere de’ lumi alle finestre del convento? — No, i lumi sono negli occhi vostri. È un effetto della oscurità dalla quale siamo testè sortiti, dello stento e del freddo: venite. — Ma io sento il suono delle campane. — Queste campane sono nella vostra immaginazione. Lo stomaco vuoto è il campanaio, che le suona. Presto; vi par cotesto tempo da perdere in inutili ciance? Venite, venite; non vi aggravate tanto sul mio braccio.... Non cadete se è possibile... oh cielo! gli vien male...

Queste parole furono le ultime, che io udissi. Era io caduto, secondo che la penso, nelle sue braccia. Egli trascinò fino al muro, ed avvolse le mie dita irrigidite nelle corde della scala. Cotesta azione mi fece tosto ritornare in sentimento, ed incominciai a salire, senza sapere ancora [p. 15 modifica]precisamente ciò che io mi facessi. Il mio compagno mi seguì: arrivammo alla sommità del muro. Io vacillava per motivo della debolezza e del timore; provava una inquietudine inesprimibile, e quantunque ivi avessimo trovata la scala, temeva di non trovare il mio fratello. Ad un tratto veggo comparire una lanterna accesa ed un individuo al basso. Mi slancio verso di lui senza riflettere, se incontrerei le braccia di un fratello o il pugnale d’un assassino. Alonzo! caro Alonzo! disse affettuosamente una voce: Giovanni! caro Giovanni! fu tutto quello che io potei rispondere, e sentii il mio cuor palpitante stretto contro quello del più generoso, del più tenero tra i fratelli, il quale mi diceva singhiozzando. Quanto avete dovuto soffrire!.... quanto io stesso ho sofferto nel corso di questa giornata terribile! Aveva quasi perduta la speranza di vedervi. Affrettatevi; una vettura vi attende alla distanza di venti passi.

Intanto ch’egli parlava, io distingueva per mezzo del chiarore della [p. 16 modifica]lanterna, i lineamenti del suo volto sì belli e maestosi, che un tempo mi avevano fatto fremere, come il pegno di una perenne emulazione, ma che allora mi presentavano il sorriso della divinità fiera, ma benefica, alla quale io dovea la mia liberazione. Accennai col dito il mio compagno; io non poteva parlare, perchè mi sentiva consumare da una fame divorante. Giovanni mi consolava, mi sosteneva, m’incoraggiava; faceva tutto ciò, e forse più ancora, di quello che uomo abbia mai fatto per l’altr’uomo; che dico? per la femmina la più gentile e delicata, che la sorte abbia alla di lui protezione confidata. Quando mi rammemoro la tenerezza che egli dimostrò in quel breve intervallo sento lacerarmisi il cuore. Noi aspettavamo che il nostro compagno discendesse dal muro. Affrettatevi, affrettatevi disse mio fratello; sento ancor io tormentarmi dalla fame; sono ventiquattr’ore che vi sto qui aspettando senza aver preso nessuna sorta di cibo. Affrettammo il passo; il luogo era deserto; [p. 17 modifica]mercè la debol luce della lanterna distinsi una vettura: non dimandai altro; mi vi slanciai con prontezza. Egli è in sicurezza, gridò allora Giovanni, volendo seguire il mio esempio. Ma e tu lo sei? rispose una voce di tuono.

Giovanni cadde giù alla supina; io discesi dalla vettura, e fui inondato del suo sangue.... egli più non era!....