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Prediche volgari/Predica XXV

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Predica XXV

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Predica XXIV Predica XXVI

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XXV.

Come debba ministrare iustizia chi ha offizio.1

Diligite iustitiam qui iudicatis terram (Sapientia, cap. 1). Le preallegate parole, dilettissimi, sono scritte nel libro de la Sapienzia al primo capitolo, e volgarmente dicono così, in verso coloro che hanno uffici dell’avere a règgiare i popoli: Amate la giustizia voi che giudicate la terra. Che cosa è giustizia? Giustizia è.... guardare me, hai inteso? Guarda me!2 Giustizia si può intèndare in molti e varii modi; ma fra gli altri, giustizia è constanzia di perpetua volontà. — O dalla fonte, che state a fare il mercato, andatelo a fare altrove! Non odite, o voi dalla fonte?3 — A casa. Dico che la giustizia è una costante volontà e perpetua; sai, che non vagilli, ma sia ferma; e che si renda a ciascuno quello che è suo, e quello che se gli conviene4; cioè, che si renda a’ gattivi [p. 271 modifica] punizione, e a’ buoni premiazione; a’ giusti favore, e a rei terrore; a’ buoni pace, e a’ gattivi guerra. Impari stamane colui che vuole gli uffizi per li quali si giudicano gli uomini del mondo.

Adunque stamane noi faremo tre contemplazioni della giustizia. Primo: oggetto virtuoso, justitia. Secondo: atto amoroso, diligite. Terzo: offizio grazioso qui iudicatis terram. (E tu non udirai predica e stroppiarai te e gli altri, e vorresti ch’io affrettasse, per portartenelo cogli occhi: e io m’affrettarò per romperti il capo colle parole. Non so come tu farai poi de’ fatti, tu).5 — Or a casa. Al primo, virtuoso: Iustitia. Considerate quello che vuole questa giustizia. La giustizia vuole èssare così fatta, che ciascuno abbi il debito suo. Tre cose c’inducono a questa giustizia. Prima, c’induce la Natura; siconda, la Scrittura; terza, la Grazia. Questo ho trovato nella natura dell’uomo: che ha fatto che va dritto, significandogli che sempre abbi il rispetto a Dio. E per questo, Iddio l’ha fatto che vada dritto. Non come ha fatti gli altri animali, fece l’uomo a sua similitudine. Ode David profeta, quello che disse di Dio: Rectus Deus noster, et non est iniquitas in eo6: — Dritto è il nostro Iddio, e non è nissuna iniquità in lui. — Bernardo, sopra la Cantica, disse queste parole: — come è dritto Iddio, così fece dritto l’uomo — Vuoi cognósciare quello che va dritto? Impara questo volgare d’uno nostro amico: — va dritto e saldo e fatti beffe del mondo. — Non sai tu che colui che vuole camminare bene, egli va per la via dritta? Ben vai. Non vedi che andando per la via torta, come colui che si va sbollendo e ravollendo ora in qua ora in là, tu peni [p. 272 modifica]più a giógnere dove tu debbi andare? Chè tali so’ che vanno cercando le più nuove patrarchie7 che tu vedessi mai. Va’ per la via dritta, non t’andare ravollendo. Non ti pare che tel ditti la natura, che se uno fa bene, non gli sia renduto bene? Certo sì. Così, se uno fa male, gli sia fatto male?

Doh!8 Io ti voglio dire uno essemplo che fu nella corte del re di Francia, ovvero del re di Spania. Elli aveva una scimia e uno orso, e tenevasegli per diletto. Avenne che avendo la scimia i figliuoli, l’orso amazzò uno scimiuolo e mangiosselo. La scimia vedendo che questo l’era stato fatto, pareva che gridasse giustizia, andava quasi a ognuno di quelli della casa: ella si ravolleva ora in qua ora in là, d’intorno a chiunque ella vedeva9. E vedendo costei che ella non era intesa, uno di ella si sciolse, e andossene in quello luogo dove stava l’orso; che pareva che ella dicesse: poi che altri non fa giustizia del fallo di quest’orso, io ne la farò io stessa. In quello luogo dove stava l’orso, v’era di molto fieno. Questa scimia pigliava di questo fieno, e sì ragunò intorno intorno a quello orso: infine ella vi misse fuoco e arse l’orso, e fecine la giustizia lei stessa10. Vedi che le bestie s’ingegnano che la giustizia sia fatta, e rendere il merito sicondo l’operazione che altri fa. E qui vedi che la natura tel ditta.

Vediamo ora della Scrittura. La Scrittura tel canta molto bene, o tu che reggi. David profeta: Sacrificate [p. 273 modifica] sacrificium iustitiae, et sperate in Domino. Multi dicunt: quis ostendit nobis bona? Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine, dedisti laetitiam in corde meo. A fructu frumenti, vini et olei sui multiplicati sunt11: O tu, o voi che ha’ giudicare la terra12, sacrificate sacrificium di giustizia dritta, Quando tu giudichi dritto, ben gli piace a Dio, bene. Egli piace tanto a Dio la giustizia, che se tu el sapesse, buon per te se tu il facesse. Tu dirai: oh! se io fo così e così, forse che colui l’ârà per male. — Va’ dritto, in buon’ora. Dice l’altro: io non so se io mi fo bene a fare così, o se io facesse meglio a far così. Sai che ti rispondo? Guarda la conscienzia tua, quello che ti giudica. Imperò che sono molti che giurano d’osservare gli statuti dell’uffizio suo. Hai giurato? Et è male: or mutati, e nol fare. In malis promissis rescinde fidem. Quando tu hai promesso di fare uno male, e la coscienza ti dice che se tu il fai, tu fai male; va’ e rompe la fede, e non fare contra alla conscienza, e spera nel Signore: Multi dicunt: quis ostendit nobis bona? Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine; dedisti laetitiam in corde meo. So’ molti che diranno: — io voglio andare dritto per la pura via con buona conscienzia e purità di mente; a’ quali non bisognarebbe nè legge nè statuto, però che Iddio gli ha segnati nello intelletto, che non sanno fare altro che drittura; e costoro so’ quelli che amano veramente la giustizia. Doppo questo, ne seguita il frutto, cioè dilezione: parturisce la giustizia, frumenti: poi seguita l’amore, vini: poi, olei; il quale significa misericordia.

Tutte queste cose si conviene che abbi il rettore. Vedi che è posto l’amore in mezzo della giustizia e della [p. 274 modifica] misericordia; el quale amore fa congiógnere l’uno con l’altro, giustizia e misericordia, come tu vedi che vini sta in mezzo fra frumenti et olei; significando, amore è mezzano fra pace e misericordia. Sempre si conviene l’animo nella drittura. Inde disse David: Misericordia et veritas obviaverunt sibi: iustitia et pax osculatae sunt:nota — La misericordia e la verità si sono riscontrate co la pace e co la giustizia, e sonsi bacinte insieme. — In altro luogo è detto in Matteo:nota Beati qui excuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi saturabuntur: Beati quelli i quali hanno fame e sete della giustizia, però che essi saranno saziati in gloria; non avendo potuto fare quello che arebbeno voluto fare in questa vita; non essendo da loro rimaso che non abbino fatto quello che vorrebboro per amore di Cristo, con vera giustizia: a’ quali, quando si partiranno di questa vita, sarà detta quella dolcissima parola, la quale Iddio dirà nel Giudicio: Venite benedicti Patris mei ad possidendum regnum coelorum vobis paratum:nota — Venite benedetti dal Padre mio a possedere il regno de’ cieli, il quale è stato aparecchiato per voi; però che voi avete amata la giustizia e la drittura, e non l’avete potuta seguitare come voi âreste voluto, e però sête stati odiati dal mondo, ma voi sête stati amati da me. — E vederai poi la vendetta di quelli che hanno fatto contra alla volontà e giustizia di Dio, e allora ti rallegrarai. Laetabitur iustus cum viderit vindictam: manus suas lavabit in sanguine peccatoris:nota — Elli si rallegrarà il giusto, quando vedrà la vendetta 13 14 15 16 [p. 275 modifica] di Dio; e lavarassi le mani nel sangue del peccatore, e di colui il quale sarà dannato per la malizia sua. — Odi che è detto di Dio: Iustus Dominus iustiliam dilexit:17 — El giusto Iddio ha amata la giustizia. — Non sai tu che Idio è ogni perfezione? Egli punisce le colpe, egli rimunera ogni bene. Sai perchè? Perchè egli sa, perchè può, perchè vuole. Così voglio dire a te, quando ti ritrovi in luogo che questa potenzia sia in te. Quando il malfattore ti viene alle mani, fa’ che tu il sappi e vogli punire, poichè tu puoi. Circa a questa parte e’ ci è molto a dire: ma io il lassarò, per dire degli altri che saranno più utili. Tu hai veduto oggetto virtuoso: giustizia. E basti alla prima parte principale.

La siconda parte dissi che era atto amoroso: Diligite; — amate la giustizia. — Se io ti mostrarò il rivercio, potrai vedere il dritto. Se io ti mostro la giustizia, potrai vedere la ingiustizia. Se io ti mostro pace, tu potrai vedere guerra. Io ti voglio mostrare dodici destruttori e nemici della giustizia; e doppo essi vedra’ dodici amici d’essa giustizia. — Tòlle, o tu che scrivi; io li dirò prima per lettera,18 e poi li disporrò in volgare, e dirolli a quatro a quatro. Tòlle il primo. Primo, ambitiosus in dominio. Secondo, adulator in palatio. Terzo, partialis in populo. Quarto, accusator in talamo. Altri quatro. Primo, cupidus sacerdos in tempio. Sicondo, falsus iudex in consistorio. Terzo, detractor in secreto. Quarto, fraudolentus mercator in foro. L’altre quatro ultime. Primo, lusor in publico. Secondo, affectuosus lupinus in consilio. Terzo, avarus in offitio. Quarto, mendax in artificio. Quando ci so’ queste condizioni, male sta la cosa. Pensa tu ora quando uno [p. 276 modifica] ha queste condizioni, come debba stare la giustizia! Certo la giustizia è morta. Bisognarebbe fare in questo modo. O becamorti, o becamorti, quando voi udite che un ufficiale abi queste dodici malizie, potete arditamente bandire: — la giustizia è morta! Quelli che gli voglion bene, vi mandano pregando che voi andiate a casa sua, se vi piace. —

Prima, vediamo che cosa è ambitiosus in dominio. Sai che l’ambizioso è quello il quale s’ingegna a dare sempre il torto a chi ha la ragione; come s’è a vedove, a pupilli, a poveri uomini, che non se ne possono aiutare. Questi so’ quelli uomini iniqui, i quali strangolano la giustizia. Udisti mai dire: — guai a chi poco ci può? — Oimè! che tu n’ârai a rendere ragione al sommo giudice, che poi giudicarà te non a torto, no, ma a ragione. E sai perchè fanno così questi tali uomini? Fannolo pure per farsi grandi e alti alle spese di chi non può nulla. Doh! basti al primo; chè non mi ci voglio dilatare. Vegliamo agli altri più belli e più utili.

Sicondo, adulator in palatio. Sai chi so’ costoro? So’ quelli che non dicono la verità. E perchè questo è uno iniqua e pessimo peccato, sai di che ti consiglio, o cittadino che voi vivere bene? Quando vedi uno che non dice il vero, nol vogliate udire; però che se lo state a udire, egli dirà per modo, che per sotigliezza egli mettarà qualche scandalo per uno modo o per un altro. E uno che dica il vero, fate che voi lo stiate a udire, e che voi l’amiate, e che la ragione gli sia data. Ma guardatevi, e vogliate sapere ogni cosa, e vedere e toccare; però che si trovano pochi che vogliano dire il vero in sul volto. Ognuno pare che parli a piacimento.

Piglia uno essemplo d’uno signore, il quale era molto rico e aveva uno grandissimo stato. Aveva molte terre, gran[p. 277 modifica] de famiglia, molti cavalli, molti donzelli, molti figliuoli, molti ornamenti d’argentiere19, come s’aparteneva a uno grande signore. Questo signore, essendo con uno suo intimo amico, disse: — doh! dimmi che ti pare de’ fatti miei? — Egli rispose: — bene. — Dice questo signore: — doh! dimmi il vero; parti che mi manchi nulla? — Rispose colui: — sì signore, egli vi manca chi vi dica il vero; però che, per compiacervi o per paura, non è nissuno che vi dica il vero. — Or così voglio io dire a voi: egli pare che ognuno abbi giurato di non dire nulla se non a piacere. E però, cittadini mei, quando vi ritrovate in Palazzo, dite il vero, e non parlate mai a piacimento. E così vogliate che vi sia detto il vero.

Terzo si è partialis in populo. Chi è parziale, mai non fa altro che scandalo; elli non commette mai altro che male, elli disfa la sua città; elli guasta talvolta sè, e aconcia un altro. E quando aconcia sè, e’ guasta gli altri; e quando elli è alto e grande, elli favoreggia e aita questo, il quale è contrario a quell’altro. Elli esalta questo; elli oppreme quello. Elli onora questo; elli umilia quello. Elli avila questo, e premia quello. Quello alza, e quell’altro abassa; e ciò che elli fa, gli pare far bene e dovere fare così. Sapete, ch’io vi dissi molto in Consiglio a quelli che vi furono; e anco sarebbe buono a dirne qui, acciò che ognuno sapesse quello che si díe fare.

Io vi dissi di quattro ragioni d’errori, che possono fare mal capitare ogni grande città. Lo primo è odio. El secondo è amore. El terzo è timore. El quarto è lo sperare. Questi fanno l’uomo mal giudicare. Colui che ha odio, manda a dietro quelli a’ quali egli vuol ma[p. 278 modifica]le. Colui che ha amore, mette e’ suoi inanzi. Colui che teme, sempre con paura fa20 quando vede uno de’ quali egli ha paura. Colui che spera, sempre s’ingegna di méttare alto quello, dal quale egli possa avere qualche utile; e però mette innanzi chi egli ama, e a dietro chi egli odia; inanzi colui da chi spera, e a dietro colui da chi teme. E sempre gli pare che la cosa sia a doppio di quello che non è; cioè, l’amore de’suoi gli fa parere il doppio di quello che non è; pargli l’uno due; cioè, che il suo vedere non è intiero, ma è di due pezzi. Vuoi ne mostri l’essemplo come è il suo vedere? Or piglia cosi l’uno de’ tuoi ochi e serralo mezzo, e l’altro il tiene21 aperto, e vedrai che ogni cosa ti parrà due. Non giudicare che siano due, chè tu non vedi bene: tu non hai bene aperti gli ochi. Che, perchè tu vegga colui a chi tu hai amore, o egli ti pare che elli facci tanto bene: elli non è dritto il tuo giudicio. Tu serri mezzo l’ochio, elli ti pare quello che non è. E anco forse va per altra via, che forse tu non vuoi vedere il suo difetto, quando elli falla. Così, quando tu hai il timore di coloro a’ quali tu non vuoi bene, elli ti paiano sì gattivi per l’odio che tu li porti, che elli ti paiono il doppio più che non è. Sai perchè è? Perchè tu serri l’ochio tuo: tu non gli vedi bene. Così di coloro da’ quali tu speri qualche utile ti pare ogni picolo bene grandissimo. Io ti dico: tu hai serrato mezzo l’ochio; elli ti pare quello che non è. Doh! Io voglio dire per modo che sarò inteso da queste donne. Donne, abbiate uno fusaiuolo non troppo grosso, o un patarnostro di questi grossi, e ponete il dito di mezzo in su quello, e poi [p. 279 modifica] il dito al lato al grosso anco il ponghi sul patarnostro, e vedrete che parranno due. Or provate un poco, testè, che io vi vega un poco. E sai che significa? — Oh cotesto è troppo piccolino, non è buono —22. Significa che quello che è magiore signoreggia il minore, perchè può meno. Così gli pare, quando ha fatto una cosa, gli paiono due. Così, se parla una cosa o bene o male, gli paiono due. Sai come fa anco costui? Hai udito quando uno parla una parola forte, e di riscontra pare che si ridica anche quella medesima parola? Sai, come forse interviene a me nel mio predicare; che mentre che io dico una parola, ella rimbomba costà in quelli palagi, e paiono due. Come fa colà in sulla piazza nostra, che se parli una parola forte, subito t’è risposto colà di rincontra, spezialmente quando non è levato il sole. Se tu vuoi vedere se io dico il vero, chi fusse in su quello pulpito della pietra23, ogni voce pare due; e più si riporta prima che si levi il sole, che poi. Se tu dirai: Antonio; egli ti risponde Antonio: parti due ed è una. Così pare a costui, che uno gli pare due, perchè non è in lui giustizia. E vedi che interviene più quando non è levato il sole, che poi appena si pare. Quia ortus est sol iustitiae, Christus Deus noster. El sole della giustizia è Cristo nostro Signore, il quale fa giudicare a drittura, che quello che è uno, non fa parere altro che uno, e quello che è due, fa parere due. Sai, chi non ha in sè la vera giustizia, è compagno di quello del moscone, ch’io dissi doppo [p. 280 modifica] ieri.24, domenica fu. Sai, che entrò nel barlotto25 di quello, gli pareva quello che non era. Come dico di voi, così voglio dire anco d’uno predicatore. O tu che predichi, va’ dritto, non ti tórciare mai, nè per paura nè per minacce. Sempre di’ il vero a’ popoli a gloria di Dio, e perchè il peccatore esca del peccato. Oimè, che assai vi so cercare, che tutti vi trovo gattivi, e l’una parte e l’altra di voi! Da qual parte vi miro, tutti vi veggo gattivi e parziali. Oh, questo è il mal nemico di iustizia!

Quarto: accusator in talamo. Sai chi so costoro? So’ cotali che vanno accusando in segreto iniquamente e malvagiamente, mettendo altri nelle mani delle Signorie senza cagione. Oh, egli si conviene che uno podestà o un altro ufficiale sia quanto cauto a volere cognoscere la verità! Sai, anco di cotali che mettaranno tali pulizie26 nella cassetta delle petizioni; e talvolta accusaranno tale che è netto e puro di quello che costui lo incolpa. Di quanto male credi che sia cagione? Egli è sufficiente a guastare una città, la patria, una provincia, spezialmente a tempo di sospetto. Doh! diciamo che basti. Háne quatro: piglia l’altre quatro.

Prima dell’altre quatro si fu cupidus sacerdos in templo. Questi so’ coloro i quali vogliono i benefici delle chiese, non essendovi atti. E’ benefici che voi date, non li date se non dove so’ denari. — Oh! non toccare di questo, che non tocca a noi. — Io vi dico che vi tocca e molto fortemente; chè quando voi avete uno parente che non è sufficiente a règgiare tre chiocciole, e voletelo metterlo alto, facendolo diventare uno grande pa[p. 281 modifica] taffio27, solo per denari, facendolo avere talvolta una badìa o uno vescovado. E questi so’ quelli che dicono peggio che gli altri, e so’ i primi a dirne male. Simile voglio dire delle monache, che ’l primo che dice male delle monache, si è colui che ce le mette, e’ loro parenti proprii. Oh, non dico de’ frati per ora, chè non è solamente uno che ne dichi bene! Chi mormora delle monache? Pure chi ve le mette. O perchè ve le metti? Or bene. Doh! basti di questo cupidus sacerdos in templo.

Sicondo: falsus iudex in consistoro. O, quando egli è in consistoro uno falso giudice, egli può fare quanto male! Sai perchè? Perchè egli sa ogni male e ogni modo di farlo. Oh! io ho ante tante querimonie in molti luoghi, che ho udito che mai questione che sia incominciata, non si mette a fine; nè questioni, nè piati. Oh se voi sapeste quanto Iddio l’ha per male! E che viene a dire questo piatire? Nulla, se non spende, spende: dà l’una sentenzia28; asegna termine, accusa la contumacia; prolònga tempo; assegna la copia e il termine: nego isto: probo. Intanto fornisce il tempo dell’ufiziale, e vassi con Dio; e non si finisce la questione, che era già finita. E conviensi poi cominciare a l’altro ufiziale che entra; e non è fatto nulla, se non ispèndare chi ha la ragione e chi ha ’l torto29. Or togli la terza.

Terzo: detractor in secreto. O che mala bestia è il detrattore! Io ve ne parlai l’altro dì. Elli non è cosa che tanto sia stirpativa della giustizia, quanto è il detrattore della giustizia in secreto: che uno dica male di colui, e [p. 282 modifica] un altro dica male di te, e colui di colui. Oh, quanto mi pare che la cosa vada male, quando l’amore si parte da l’uno cittadino a l’altro! Oimè, non fate! Che se voi dite male di voi medesimi, pensate che dovaranno far gli altri! Così se voi fate male fra voi, che vi dovaranno fare gli altri? Amatevi insieme, dico, e farete bene: credete a me.

Quarta: fraudolentus mercator in foro, Oh, questo non sì usa già a Siena, sai! Quando i mercatanti fanno la loro mercanzia, o vendendola con mercato fraudolente; sai, di chi vende più a termine che a contanti30, l’altro fa col mal peso; l’altro proffera la cosa altromenti che ella non è; proffera la cosa buona, et ell’è gattiva; proffera la cosa schietta e fresca, et ella è maculata e vechia e stantìa. Per questo manca la giustizia, e non ve n’avedete. Et ha’ ne otto. A l’altre quatro.

La prima: lusor in publico. Egli so’ di quelli che mi dicono, che si giuoca in segreto, e dicono maggior peccato, e che si fa peggio che a giuocare pubblicamente. Io dico che questi cotali peccano gravissimamente: ma, ma, ma non sia veruno che mi dica, che io mi credo i che ’l peccato del gioco che si fa palese, sia cagione di molto male. Doh! io odo che voi avete fatto un grande onore a la natività di Cristo; e voglio vi dire uno bello vanto, che di quante città io so’ stato, io non ho udito che niuno sia tanto tornato a dietro, quanto ho udito di voi. La cagione perchè sia stato, io mi credo che sia solo per lo essere stato detratto di me, e di chi ha predicato contra a me. Nè anco non fui mai in terra niuna a predicare, dove io fussi più detratto che in questa terra in prediche. Oltre: io so’ ora venuto qua; chi vuol dir [p. 283 modifica] nulla, dicamelo ora ch’io ci so’, che gli risponderò. Sai che dice Paolo Orosio? Ita obcaecat invidia, ut rectum natura non videat. — L’invidia accieca tanto altrui, acciò che non possa vedere il vero. — Oh la invidia e l’è la mala bestia! Oh egli è paruto dire quanto bene, avendovi fatto mancar la fede e la divozione! Questo non è stato altro che invidia. Sai de’ fratelli di Ioseph la invidia che gli portavano, che andarono al padre e disseno, che egli era stato amazato da una bestia salvatica, e egli sel credette, e però disse: fera pessima devoravit filium meum:31 — La fiera pessima ha divorato il mio figliuolo Ioseph. — Simile è stato fatto a voi, o donne: voi avevate un poca di fede, e gl’invidiosi sono venuti a detrarre; e forse che hanno creduto dirvi il vero: non lo credo già io; credo che sia stata invidia, sai; come fu fatto a Cristo Iesu da’ Giuderi e da’ Farisei, che avevano tanta invidia a Iesu, che a conscenzia gli pareva che elli fusse el più gattivo uomo del mondo, e ’l maggiore peccatore. Sai che fu la cagione loro? Perchè ellino non volevano intèndare la verità. E di loro disse David:32 Excaecavit eos malitia eorum: — La loro malizia gli ha accecati. — E in altro luogo pur d iloro è detto:33 Vae vae vobis, qui dicitis bonum malum, et malum bonum! — Guai, guai a voi che dite il bene èssare male, e il male bene! — Voi sarete puniti dal sommo giudice. Io vorrei sapere chi v’ha così insegnato e detto; se egli v’ha insegnato a fare meglio o peggio. Così anco colui che dice: — o che bisognava àrdare i tavolieri? Egli bastava a levar via il gioco senza ardarli, e condùciare che [p. 284 modifica] chi giocava, si rimanesse di quello e d’ogni suo mal fare. Tu dici: — oh, si gioca in segreto! — Io ti domando se tu ha’ memoria di quello che io ti dissi. Io so’ bene ch’io non t’ho detto che tu arda e’ tavolieri, e poi giochi; so’ io ch’io ti dissi, che tu ti rimanesse del gioco, che non n’è boccone di buono; e perchè non te ne venisse voglia, che tu ardesse e’ tavolieri e l’altre cose che ti davano cagione di giocare. Simile, ti dissi di questo nome di Iesu, che tu il tenesse in ogni luogo della tua casa, che tu gli facesse reverenzia, e che tu il ricordassi spesso con buona fede in ogni tua operazione. O lèngua serpentina, che dici: — che tanti Iesu! Che bisogna in ogni luogo questo Iesu! E dici: — io ho la buona volontà senza tanti nomi. — Dici che hai la buona volontà e hai la fede buona! Hai tu a mente ch’io te l’ho detto, e io e degli altri, che a buona fede si mangia il lupo la pecora? Io ti dico, che se tu non hai fede ferma in Iesu, o vuoi in Cristo o in Cristo Iesu o in Iesu Cristo, o in Cristo Iddio, tu capitarai male. E colui che diceva, o dice, che questo era male; guardate pure che bene egli v’ha insegnato a fare. Oimè, ch’i’ vi vedo più cascati in far male, che voi fuste mai! Ma ben voglio dire così: perchè non v’ha levate le divisioni, colui che v’ha levate le divozioni? Perchè non v’ha messi in qualche buona via, come v’ha messi a pericolo? Oh, io non mi ci so’ anco partito!

Sicondo, dissi che era affectuosus lupinus in consilio. Doh! io mi credo, che voi dovareste molto considerare prima che voi allarghiate la mano al lupino, e pure nol fate. E credo, che voi séte uno sangue molto dolce. E perchè io vi cognosco di questa condizione, che tosto vi partite e tosto ritornate da una cosa medesima; e vedendovi ora in tante divisioni, e in tante malevoglienze, in tanti [p. 285 modifica] odi; che se non fusse che voi séte molto umani, voi n’âreste tanto dato sopra le ciarvelliere, che voi âreste fatto qualche gran male. E però dico, che la condizione vostra è che voi siete molto mobili; e come sete mobili34 al male, così ritornate tosto al bene. Adunque hai fatto male? — Sì. — A’ ripari35.

O tu che vai a Consiglio, e dai il tuo lupino36 a uno che noi merita, vedi tu quello lupino? Quello lupino è sufficiente a guastare la vostra città; solo quello lupino la può fare mal capitare. — O come? — Diróttelo. Sai, quando tu dai il tuo lupino per fare andare uno ufiziale nel contado, talvolta aitando il parente o l’amico o qualcuno dal quale tu aspetti di cavare qualch’utile, e egli nol merita; oh tu metti a quanto pericolo la città! Doh! Considera, prima ch’e’ t’esca di mano, quello che tu fai. Dice Buonaventura (oh buona parola!) dice, che può èssare buono l’uomo che non ha questo in sè, che egli sia sempre colla giustizia con parole, con cuore e con oparazione. Adunque, se volti a contrario, se tu non favoreggi la giustizia con parole, con cuore e con oparazione, non puoi èssare altro che gattivo uomo. Or misura tu, se tu aiti la giustizia, o se tu aiti il gattivo. Io il più delle prediche ch’io fo, le fo per le piazze, tanto palese quanto io posso, e non m’aguato di nulla: io parlo chiaro, e fommi molto bene intèndare, e mostro i dottori da chi io m’attaco, nè mai io ho messa sólla per niuno modo. Così facessero molti altri, o meglio che non fo io! Disse Iddio:37 Nemo accendat lucernam, et ponat eam [p. 286 modifica] sub modio, sed super candelabrum: — Niuno accenda la lucerna, la quale debba fare lume ad altrui, e pongala sotto lo staio, ma pongala sopra al candeliere. — Io vo’ parlando chiaro, sempre atacandomi al manico dei dottori, che ne seppero assai assai più che io non ne so io. Voi sapete quello che vi dissi l’altra volta ch’io ci fui; e però dico, se ci è niuno che abbi inteso ch’io ci abbi detto nulla contra a Dio, io il vo’ pregare che inanzi ch’io mi parta, mel venga a dire, o egli me lo scriva, e non mi lassi partire che non mel facci sapere. E se io conoscerò avere detto niuna cosa male, io vorrò tornare a l’amenda; e diròvvelo palesemente ciò ch’io ho detto, in quello che io ho conosciuto per la vostra salute e per farvi uscire dal mal fare. E così voglio dire a te, che tu t’ingegni di fare uscire il peccatore della via del peccato, però che tu ne se’ tenuto: nol tirare addietro, quando egli fa bene: non volere cianciare delle cose di Dio. Egli ne va uno grande fatto, a méttare a pericolo pure una anima sola, non che tanto popolo.

Torniamo al fatto de’ nostri lupini. Dico a te che sei buono, che debbi aitare quello, colui che merita l’uffizio col tuo lupino, il quale ti dimostra il tuo cuore. Se dai il lupino a ragione a chi il merita, tu hai il cuore buono, se nol dai bene, tu hai il cuore gattivo. Simile debbi fare co le parole, aitare il buono, e così in oparazione aitarlo. Non vedi tu se tu favoreggi la ingiustizia col tuo lupino, quanto male tu fai? Se tu aiti il gattivo col cuore, colle parole c colle operazioni, tu diventi nemico della giustizia, tu aggravi tanto la tua coscienzia, che tu ne vai nel profundo dello inferno. E però non aitare mai il gattivo; aita il buono, che è verace giustizia. Oh, vi vorrò uno dì dire di chi favoreggia l’usurario, che n’è tenuto a restituzione di sodisfare. [p. 287 modifica]

La terza dissi: avarus in offitio; — l’avaro nello uffizio. — O voi che andate a uffizio per le terre e delle città e del contado come robatori affamati, con intenzione di ragunare non licitamente, dice colui: — oh, costui, non è avaro! Anco è avaro colui che presta a usura, però che per la avarizia presta. — Io odo che voi avete fatto che niuno usurario non vada a uffizio niuno. Io ve la lodo, che voi avete fatto molto bene; ma io ti dico; chi sarà quello che vada a questi uffizi? Voi avete ben fatto che non vi vada; ma chi v’andarà, che siamo tutti usurari? E chi è colui che non sia usuraio o non favoreggi l’usuraio? Io non ce ne so niuno. Uno modo ci è: mieffe! mandaremvi‘38 le donne. — Oh, e’ ci ha anco delle donne che prestano a usura, sì che anco loro non si conviene che vi vadano. — Mieffe! mandiamvi e’ contadini che accattano; e costoro saranno buoni a mandarveli, poichè per bisogno accattano. Avete voi posto mente, quando uno avaro va in uno uffizio? Egli fa come fa uno lupo, il quale si purga dentro. Come egli è eletto uffiziale, egli ha un affetto d’andare all’uffizio, che tutto pare che si strugga; e li pare mille anni di giógnare, per pelare ora questo e di rubbare quell’altro, e di scannare quell’altro, come fa proprio uno lupo quando è ripieno, che se va a purgare in sull’arena per potersi meglio e più riempire. Doh, io ti voglio dire quello che vidde uno frate, e dissemelo a me che l’aveva veduto. Disse, che uno lupo aveva preso uno porco cinghiale presso a uno luogo de’ frati: quand’ebbe morto questo porco, e egli il lassò stare, e andossene a uno fiume e empissi il corpo di rena, e purgossi molto bene. Quello fiume era un poco di lónga a questi frati. Essendovi chi [p. 288 modifica] sapeva la condizione del lupo, subito se l’avisò e si andò, e tolse questo porco. Stato un pezo, costoro stanno pure pure a vedere, e ecco il lupo e torna e non trova il porco. Fate vostra ragione; che per la rabbia che elli aveva, elli percosse tanto il capo in quello luogo, che elli si morì.

A proposito. Sai tu che fanno questi cotali avari quando sono eletti a uno uffizio? Ellino dimandano: — quanti denari ha recato il tale da quest’uffizio? — Hanne recato dugento fiorini. — Sì, eh? Io ne recarò bene trecento o più. E così va poi all’uftizio con quella intenzione gattiva per méttarla in essecuzione. E sai come vi va? Vavi colla bandiera a piccone: va a furia, a bandiera spiegata. Oh quanto male si fa molte volte, per non considerare quello che si vorrebbe fare! Che sarà tale per avere di questi nostri uffizi, lassarà la bottiga sua, l’arte sua; e per questo spesse volte vengono meno l’arti e’ mestieri nella città39. Sicchè questi tali lassano l’arti per andare a furare; guastano la città per non fare il mestiero loro, e vanno a robbare e furare il contado, e’ povari uomini.

Questi tali uomini si possono assimigliare a le gatte. La gatta si pone a uno bucarello là dove debba uscire il sorcio, e staravi tutto il dì per giongnerlo, e come è per uscire fuore, e ella il ciuffa. Simile fa l’avaro, che cerca l’uffizio; quando elli sente che uno uffizio si díe trarre, elli s’ingegna d’andarvi per iscontrino40, e andarà a uno a uno de’ suoi amici, dicendo: — o tale, egli si fa la tal cosa; io ti voglio pregare che tu m’aiti d’uno lupino; e così andarà quasi pregando da amico in terzo [p. 289 modifica] amico chi va in Consiglio. O sciagurato, come puoi tu far bene a lassare la bottega, e andare dietro a questo e a quello e quell’altro? E benchè tu abbi l’uffizio, tu stai sei mesi all’uffizio, e poi starai un anno e più senza uffizio; e in questo tempo che tu non hai uffizio, tu logri ciò che tu avei avanzato; dove tu aresti guadagnato qualche cosa a fare il tuo mistiero o la tua arte. E però io mi credo che voi aviate proveduto molto bene a fare i bossoli41 che voi volete fare; nel quale fate che voi non vi mettiate se non buoni e atti e che meritino. Se volete mantenere la città e anche il contado, non vi mettete niuno gattivo. Dice il gattivo: — oh, questo non si fa per me! — Io ti rispondo e dico, ch’egli è molto ben fatto, che quando si fa el bene de la repubblica, è meglio che se fusse bene a uno proprio.

Or tòlle la quarta e l’ultima; mendax in artifitio. O bugiardo artefice, o tu che lavori la lana, o tu che fai le scarpette, o tu che vendi; la prima cosa che tu fai, come il compratore viene a te, si è che tu ti poni a cuore di non véndare eziandio uno sulfinello, che non vi dica sette bugie. Oh come tu fai male! Ben se n’avvede chi ha comparare; chè com’elli ti comincia a parlare, e tu a rispóndare, elli si pone in cuore di non crédarti nulla. Questi so’ i modi da far mancare ingiustizia in una città: dall’una parte e da l’altra viene meno.

Tu hai veduto dodici cose contrarie alla giustizia in questa siconda parte principale. Vediamo la terza parte principale, dove dissi dello uffizio grazioso: Qui iudicatis terram. Vediamo l’effetto che seguita, e questa è più bella e più utile, che niuna delle già dette, e hottela serbata [p. 290 modifica] di dietro. In questo si cognosce le condizioni di coloro che giudicano la terra. O uffiziale, se tu vuoi bene giudicare, cava el marcio e rimarrà il buono. O donne, non sapete voi come fate quando voi nettate el grano? Voi il crivellate prima, e poi ne cavate il gioglio e la terra e quell’altre, come voi vi sapete; e poi el mandate al molino; e poi che elli è ritornata la soma, anco ne cavate la sembola, e fate che rimane la farina netta e pura più che voi potete, e di quella fate poi el pane. Così vi vo’ dire: che voi nettiate il granello de’ buoni, e’ gattivi consigli gittateli via. Se fate ch’el granello sia puro, non potrà èssare se non buono pane. Io ti voglio mostrare otto verità gentili, come si vede nello Ecclesiastico al xxxij cap.: Rectorem te posuerunt? Noli extolli. Esto in illis quasi unus ex illis:42 curam illorum habe. Rectorem te posuerunt? dice: Rettore t’hanno posto? Non ti volere levare in superbia; sia in loro come uno di loro, e abbi cura di loro. Rectorem te posuerunt? Noli extolli. Queste so’ tre. Esto in illis; due: e hai cinque; sicut unus; questo è uno: hai sei; ex illis; e hai sette: curam illorum habe; e hai otto. E t’hanno posto rettore, podestà, uffiziale? Sai che fa’? Sta giù, non insuperbire, non alzare il capo, ma fa’ che tu sia fra loro, come uno di loro, come uno di loro medesimi, e abbine cura. E però io ti voglio mostrare stamane otto ragioni di veleno. Pigliale a quatro a quatro.

Primo veleno è tirannia. — Sicondo è indiscreto crédare. — Terzo è simonia. — Quarto è superbia. All’altre quatro. [p. 291 modifica]

Primo, è nigrigenzia. — Sicondo, ignoranzia — Terzo, arroganzia. — Quarto, tiepidezza.

Or vediamole per ordine, e sarà fine.

Primo veleno è tirannia, chè andarà alcuna volta uno uffiziale che si riputarà d’èssare uno grande pataffio; et egli è sbudellatore e uno tiranno. E però dice: rectorem. Eli so’ talvolta di questi uffiziali, di quelli che si chiamano tir-anni: di quelli so’ che so’ tira-mesi: tali so’ tira-settimana: tali so’ tira-giorni: tali so’ tira-mattina: tali so’ tira-sera: anco so’ de’ tira-merenda: alcuni ne so’, che sono tira-a-ore. Sai chi è il tira-anno? E colui che tira una volta l’anno. El tira-mese è peggiore, che tira una volta il mese. El tira-settimana anco è peggiore, che tira ogni settimana una volta. El tira-giorno anco è peggiore che ogni giorno graffia e tira. El tira-mane anco è peggiore, che ogni mattina che fa l’uffizio, sempre tira. Così fa il tira-sera. Ma che diremo del tira-a-ore? Potiamo dire che sempre tira e fura e sbudella chi gli viene alle mani. E vuoi èssare chiamato rectorem? Non ti sta bene questo nome chè tu non se’ verace rettore. Egli si può cavare quella E di prima, e penarvi una A e quello sarà il tuo nome, che dirà ractorem, coll’unghioni a rastrello. Volete cognósciare questi che non meritano l’uffizio? Or guardate lo’ a l’onghie: se lo’ trovate l’onghie, come ha il nibbio o come l’astore così aroncinate, coloro so’ quelli ufficiali affamati, da’ quali vi dovete guardare, che non li mandiate mai a uffizio. Così anco li ponete mente, che non abbino la boca torta in giù, sapete, come hanno molti uccelli ei becco torto, che non beiono acqua. Se li vedete il becco a quel modo, sapiate che elli non beie mai acqua, ma strappano la pelle e beiono il sangue. Questi cotali ucelli fanno poche uova. [p. 292 modifica] Non so’ fatti come so’ le vostre galline, che non hanno torti gli unghioni, nè ’l becco. O queste fanno dell’uova pur assai! Sai che vuol dire el rettore? Fa dell’uova assai e buone, e ’l rattore non usa altro che rubbare, divorare, scannare: se fai così, ella va di tangari una.

Sicondo veleno è indiscreto crédare, cioè crédare o poco o troppo; che talvolta gli sarà detto e’ modi che si tengono in una città e in una terra dove egli è uffiziale, como se di sodomie, di biastemmie, di giochi e di molto male; e elli il tóca e nol vuole crédare. E anco talvolta gli verrà alle mani uno pesce grosso, el quale ârà a dare a uno póvaretto, e vorallo tenere a piato per non darglieli, dicendo: — io non t’ho a dare nulla. — O rettore del diavolo, che vedi e tochi che questo póvaretto ha avere, e vuoi crédare alle parole di colui che può più di lui. Così d’una vedovella e de’ pupilli che hanno a avere, e tu il vedi e conosci e ’l tocchi con mano, che così è; e tu, per compiacere a colui che può più, non fai che sia pagato il póvaretto che stenta; e a questo modo perisce la giustizia. O rettore, doh! fa’ che tu vogli aitare la ragione, e non ti fidare de’ tuoi uffiziali; vogli vedere e udire ogni cosa tu. Vedi che dice, Rectorem te, dice te, non dice il tuo giudice, nè il tuo cavaliere. Non dice la tua moglie, non dice il tuo figliuolo, non dice tua famiglia. Nè anco dice di colui che ti siffila43 nell’orecchia con sue sottigliezze. Doh, non ti lassare insampognare44, o rettore; vogli vedere e sapere ciò che si fa nella tua corte; chè ho udito che so’ stati tali uffiziali, che non s’impacciano de lo uffizio che eglino hanno a [p. 293 modifica] fare, ma lassanlo fare a’ loro giudici, a’ loro cavalieri, a’ loro notari. Doh, non fare! Fa’ che tu vogli far tu; però dice, rectorem te. E hai il secondo.

Tólle el terzo veleno. El terzo veleno è detto, simonia; dove dice, posuerunt. Non vedi tu, che tu vi se’ sta’ posto da altri? Posuerunt. Sai, quando tu vi ti poni tu? Quando tu vai pregando: — io vorrìa il tale uffizio; — e dirallo, quando a uno e quando a un altro. Non dice così costui. Egli vuol dire, che tu vi sia posto da un altro, e non che tu il vada cercando, e operando con tuoi d’acciecare colui che de’ dare l’uffizio a colui che è buono. O presenti o denari o amicizie so’ quelli che ti fanno avere talvolta gli uffizi; e però non veramente te posuerunt: tu nol meriti. Doh! Vuoi vedere chi so’ coloro che non meritano d’èssare rettori, e se ellino so’, si vorrebbe trarneli? Quando tu vedi uno uffiziale che tranquilla le quistioni45, e non ne traie mai a fine niuna, e del continuo pela ognuna delle parti, questi non meritano niuno degli uffizi. Io so’ stato in un luogo là dove so’ questi ordinamenti: che il rettore díe avere cotanto per lira, e cotanto per fiorino; e così si pela il pòvar’uomo, e anco il ricco. Vedi tu questo prolongare? Egli è uno consumamento. Sai che ne interviene di questi che non vogliono che le quistioni e piati venghino a fine? Quando elli si pone uno richiamo a uno podestà, egli vuole prima il diritto da colui che ha ad avere: sempre se lo’ dona qualche cosa. Simile, colui che ha ad avere, anco gli dà cotanto per lira; e pagati quelli, a lui gli pare avere fatta una buona operazione, e vassene cantando. Colui che gli ha avere non gli ha, ma passasi il [p. 294 modifica] tempo d’uffizio in uffizio, e così si consuma l’una parte e l’altra; chè ogni uffiziale tranquilla in questo modo. Esce d’uffizio l’uno, entra l’altro; riceve il suo dritto; e così anco esce lui d’uffizio, e colui non è mai pagato. E in questo modo manca la giustizia. Questi tali uffiziali si so’ posti loro a quello uffizio: non posuerunt, non so’ stati posti da altri, chè eglino nol meritano. E tre,

El quarto veleno si è superbia. Però dice: Noli extolli: — Non t’alzare. — Hai uffizio? — Sì. — Oh non alzare tanto il capo, che tu el percuota! Se tu consideri colui che ha uffizio, elli ha un grande peso adosso. Non si vede questo per esemplo, che chi ha gran peso díe andare chinato? Non ci è egli de’ portatori? O portatori, quando voi avete la soma del grano addosso, voi sapete pure che voi andate così un poco chinati, e quanto è magiore il peso, più andate chinati. Non sapete voi come voi andate chinati colà per Santangiolo, quando si rimutano le genti delle case?46 Quando tu ârai adosso uno goffano lòngo e grave..... Che voglio io dire? Io dico che chi è rettore, elli ha uno grandissimo peso. Uno detto di Gregorio dice: Timor mentis obstaculum veritatis. Vuol dire che uno uffiziale quando è superbo, è uno ostacolo alla verità. Adunque, noli extolli: — Non ti levare in superbia. — E in altro luogo dice: Intrate per angustam portam: — Entrate perla porta picola e stretta, — Specialmente chi ha tanto peso, quanto è colui che tiene uno uffizio in mano de importanza, mai non vi intrarai col capo alto, a volervi intrare con tanto peso quanto [p. 295 modifica] tu porti adosso. Non si può così col peso, no. Arcta est via quae ducit ad vitam:47 — Stretta è la via che mena altrui a vita eterna. — Noli extolli. Non fare come molti ch’io ho già veduti, e’ quali quando sono in uffizio, stanno colà colla gamba tirata, cinte le calze in mezzo: sta intero con una birretta in capo su alto, che non si chinarebbe per nulla; che se egli avesse a intrare a uno uscio, non chinandosi un poco, gli caderebbe la birretta di capo. Noli extolli. Sta’ basso, in buon’ora; non t’alzar tanto, chinati un poco, acciò che tu non percuota ne l’uscio. Inde disse Giovanni nella sua Apocalisse48 per l’uffiziale; Et datus est mihi calamus similis virgae: — Elli mi fu data una canna in mano simile a una misura; — cioè che si misura ciascuno la sua ragione, e tanta ragione gli dà quanta tu ne gli trovi; e questa è drittura con umilità, col capo basso. Anco hai per boca di Cristo in santo Matteo49: Qui se exaltat, humiliabitur: — Chi se esalterà per superbia, sarà umiliato dalla vera giustizia; — et qui se umiliat, exaltabitur: — e colui che s’aumilierà, sarà esaltato. — O uffiziale, vuoi onore? Or sia umile. E ha’ne quatro. Vede gli altri quatro.

Primo veleno si è nigrigenzia: non ti dare alla nigrigenzia, o uffiziale. Esto in illis. Lassa stare i cani, e le caccie, e’ falconi, e l’ucellare, e le reti, e gli sparvieri. Lassa andare l’andare a spasso: statti con loro, acciò che non si facci de le dissoluzioni. Tielli con paura, acciò che non faccino male, acciò che s’astenghino, mentre che tu se’ con loro; e non lassare andare le pecore di [p. 296 modifica] lònga da te, chè se ta le lassi, elle andaranno male. O quanto tóca questo a coloro che hanno cura d’anime! Che sempre dovarebbero stare fra loro, amunendoli, pregandoli, minacciandoli in ogni modo che vedessero il bisogno. A l’altre.

Sicondo veleno si è la ignoranzia. Sicut unus: dice che sia sicome è uno. Non gli dare uffizio, se elli nol sa fare. Elli non è come uno: elli nol merita, elli è zero. Che rileva il zero, o albachista? Per se medesimo, nulla. El zero non può fare nulla senza compagnia. Se tu poni il zero con uno innanzi, egli fa 10; se vi poni un altro zero, fa 100. E però dice: sicut unus. Se tu hai l’uffizio e se’ zero, tu non farai mai nulla. Se pure tu hai l’uffizio, e se’ zero, piglia uno compagno, e allor hai qualche cosa. E però dice: sicut unus, — come uno uffiziale. — Se tu hai l’uffizio, tu tieni il titolo, se hai il compagno; allora sei sicut unus. Or piglia questo esemplo: questo pure imparano le donne. Avete voi mai veduto quando si seminano e’ poponi; meglio quando si semina il grano; o ora al tempo de’ fichi,50 che vi si pongono gli sparavicchi?51 Sai, colà in sul campo del grano, elli pigliano uno saco e empienlo di paglia, perchè non vi vadano le cornachie. E su questo saco si pone una zucca, che paia la testa d’uno uomo, e fasseli le braccia, e pongoli uno balestro in mano, teso che par52 che vogli balestrare a le cornachie. E le cornachie so’ maliziose, e’ vanno volando in qua e [p. 297 modifica] in là; e vedendo questo uomo, temono di non esser morte; e così stanno tutto il dì senza pizzicare. Tornanvi poi l’altro dì, e veggonlo a quello medesimo modo; anco stanno così insino la sera, senza arrischiarsi a pizicare nel seminato: e anco pur volendo pizicare, vi tornano l’altra mattina, e trovanlo a quel medesimo modo che gli altri dì; e vedendo che elli non si muove punto, cominciano a volare in terra pur di lònga, e a poco a poco si cominciano approssimare a questa zucca, e talvolta le vanno apresso apresso, pur con paura però. Talvolta, quando so’ così apresso, elli trarrà un poco di vento che ’l farà rimanere: come il vegono così muóvare, tutte fugono via per paura. Poi vedendo che elli non fa altro atto, pure ritornano a mangiare, e vannoli poi anco più presso che non avevano fatto prima. Aviene talvolta, come so’ una più ardita che un’altra, che gli vanno insino apresso apresso, e vedendo che non si muove, si mette a volare e volagli in sul balestro, e vedendo che non si move lui e non scrocca il balestro, non ha paura di nulla; e così assicurata, gli va in sul capo, e pisciali in capo. A proposito. Sai che vo’ dire? Io vo’ dire che talvolta fa così uno rettore, il quale va a fare l’uffizio nel quale elli è eletto, e lui non è atto, che è uno zero. Elli manda il bando, che niuno biastemmi Iddio, che non si vadi di notte, che non si giuochi, che non si porti arme, che non si dica villania l’uno a l’altro. E così mandato il bando, vanno facendo la cerca di dì e di notte colla sua birraria, e talvolta truovano chi va di notte, e chi gioca, e chi biastemmia Iddio; sarà menato alla signoria per far’ lo pagare la pena. Subito giognarà uno al rettore: — o missere, io vi prego e vi domando una grazia. Voi avete il tale, il quale fu trovato di not[p. 298 modifica] te; io vi prego che voi gli faciale grazia per mio amore, — Oh! dice il rettore, gii statuti dicono sì, e sì; oh! non udì elli il bando? Non sa egli i costumi? — Dice colui: — oh, egli è usanza di mandare il bando, e così anco è usanza di fare di queste tali grazie. — Elli appena il sa disdire, e così il lassa. Così d’uno che biastemmi; simile, d’uno che faccia una méschia; e così a poco a poco si lassa giudicare a le preghiere53 di chi vuole le grazie. Sai che ti dico? Tu se’ misero zero, e non ârai mai onore, che eglino faranno tanto vedendo la tua condizione, che infine si faranno beffe di te, e pisciarannoti in capo. Sicut unus; e hai il zero. O uffiziali, doh! mirate che non vi sia pisciato in capo.

Terzo veleno è arroganzia. Chè sono di quelli che hanno tanta arroganzia, che lo’ pare meritare ogni grazia; fatto u, egli gonfia puuu. Non si convien far così, o uffiziale; dice che tu sia ex illis, quasi di loro. Sai che ti converebbe fare? Pensa prima chi tu se’ tu, e poi pensa chi è colui. E se vedi che colui sìa da più dì te, e megliore di te, dì: egli il merita questo uffizio più ratto ch’io nol merito io. Elli è rico, di buona casa, ben costumato, savio e buono: elli il merita più di me. Esto sicut unus ex illis: — sia come uno di loro; — e meritalo come loro. Fa’ che tu abbi la bóca, le mani e gli ochi a tutte quelle cose come avrebbero loro, se fossero all’ufizio che tu se’ tu: ellino favoreggiarebbero la ragione; così fa’ tu. Ellino sì seguitarebbeno la giustizia con discrezione; così fa’ tu. Ellino daranno il torto a chi l’ha, la ragione a chi l’ha; così fa’ tu: ex illis. [p. 299 modifica]

Quarto, che è l’ultimo veleno, si è tiepidezza. Ècci ninuo che sia disposto a volere far bene, e che sia disposto a seguitare i buoni costumi? — Sì. — Dagli l’uffizio, però che egli il merita. Vedi uno che non è atto a seguitare le virtudi; non gli li dare, però che ’l pericolo è grande: chè se gli verrà alle mani uno che sia stato incolpato a torto, elli il vorrà punire, non cercando la verità. Non farà così il buono e dritto. Vorrà vedere e tocare prima qualche congettura, che fare alcuna cosa,e così come trovarà, seguitarà. Non si temarà per paura, non si muovarà per amore, ma a drittura sempre. Ha fallato? —. Sì. — Or puniscelo. Sia caldo a favoreggiare il bene; sia frigido a punir il male; nell’amore di Dio non èssare mai tiepido, nè anco alla giustizia. Da’ favore al bene e none al male. Non ti ponere negli stremi fra l’uno e l’altro, però che tu saresti frigido! Dice Iddio: Utinam frigidus aut calidus esses! sed quia neque calidus neque frigidus es, incipiam te evomere54: — Volesse Iddio che tu fussi o freddo o caldo! Ma perchè tu non se’ nè freddo nè caldo, io ti cominciarò a vomicare e a mandarti fuore, però che tu se’ tiepido. — Oh quanto dispiace a Dio colui che è frigido! Adunque se’ tu in uffizio? Or abbi cura di colui che tu hai a governare. Curam illorum habe. Fa’ che tu pigli essemplo, come fa la donna al suo figliuolo. Ella el fascia e fascia; ella el netta, ella el lava quando n’ha bisogno; ella l’adormenta quando egli piagnie; ella il lusinga con cotali giocolini; ella il [p. 300 modifica] vuole fare venire a sè, e mostrali talvolta la saragia. Cosi dico che facci tu. Fa’ che con lusenghe e con preghiere e con minaccie tu gli porti tanto amore, che ellino siano ubbidienti e tementi a Dio e al mondo, e i così n’ârai cura, come la madre o ’l padre del suo figliuolo. Curam illorum habe.

Cogli insieme tutto il nostro dire di stamane. Diligite iustitiam qui judicatis terram. Noi aviamo vedute tre i parti d’uffizio che díe avere il rettore. Primo oggetto virtuoso, iustitiam; dove dissi che tre cose ci inducono55 alla giustizia: prima, natura; dove dissi l’uomo che sta j dritto, significa che díe sempre stare dritto a Dio, seguitando sempre la giustizia, al buono dando bene, e ’l gattivo punire. L’altro fu della Scrittura, che ti dice che tu punisca il gattivo, e che tu meriti il buono. El terzo fu della grazia, che mai tu non giudichi contra a coscienzia. Nella siconda parte: atto amoroso, diligite; dove ti dimostrai dodici nemici della giustizia: ambitiosus in dominio, di coloro che danno il torto dove è la ragione. Adulator in palatio, di coloro che vogliono udire colui che commette qualche male, e anco gli credono. L’altro: partialis in populo, di coloro che so’ parziali, i quali so’ sufficienti a guastare tutto il mondo. L’altro, accusator in talamo, di cotali che commettono sempre male. Sai, cotali. . . . . . Ebbe’, tu mi hai inteso. E hai quatro. L’altra, cupidus sacerdos in templo; di chi riceve benefizi o dà per denari. Oh quanto è grave peccato! Guardatevene. L’altro, falsus judex in consistoro. Quando uno signore è gattivo, la cosa va male. L’altra, detractor in [p. 301 modifica] to, el qual’è cagione di méttare nimicizia in tutta la città. L’altra, fraudolentus mercator in foro; e so’ coloro che commettono falsità ne le mercanzie loro. E so’ otto. L’altre quatro. Fu la prima, lusor in publico: dove dissi di chi giucca in palese e in segreto. El sicondo, affectuosus lupinus in consilio: dove dissi, che chi dà il lupino, il dia a chi il merita. El terzo, avarus in offitio: dove vedesti che niuno avaro può giudicare a drittura; sempre è ingannato dall’avarizia. El quarto, mendax in artificio: di colui che è bugiardo; e questa fu la siconda parte. La terza parte è considerazione delio offizio grazioso. Qui iudicatis terram; dove vedesti otto veleni nemici della vera giustizia. El primo fu tirannia; che hanno l’onghioni atti a sbudellare chi lo’ viene alle mani. El sicondo fu indiscreto crédare; dove dissi che tu vogli vedere ogni cosa del tuo uffizio. El terzo fu simonia; dove ti dissi di coloro che cercano d’avere il loro dritto, e mai non si finisce piato. El quarto fu superbia; che si conviene che l’uffiziale fuga la superbia e sia umile.

El primo dissi che era nigrigenzia, cioè che ’l rettore díe sempre cercare la scienzia, e con essa rimanere e stare con quelli i quali tu signoreggi. Sicondo fu ignoranzia; dove ti dissi di misser Zero, con quello essemplo dello sparavichio e de le cornachie,56 sai, che pisciaro57 in capo a colui. Terzo veleno fu arroganzia; dove ti dissi che tu non sia arrogante, ma che tu creda che un altro sia da quanto tu o più. l’ultimo fu tiepidezza, che tu non sia tiepido, ma sia caldo e freddo, cioè che tu favoreggi la ragione e che tu punisca chi falla: dove dissi, [p. 302 modifica] curam illorum habe, che tu abbi cura di tutti coloro, dove tu stai a uffizio. E se tu seguitarai le virtù ch’io t’ho conte, e lassarai i vizi, tu meritarai essere giudice e rettore nell’altra vita, e árai di qua la grazia, e ultimamente la gloria. Quod nobis concedat qui vivit et regnat in saecula saeculorum, amen.58



Note

  1. Questa è l’ottava delle prediche pubblicate dal ch. Milanesi.
  2. Interrompe il discorso per richiamare all’attenzione persona che distraevasi.
  3. Queste parole che il Santo rivolge a persone che facevan rumore. mercatando presso alla Fonte di Piazza, discosta assai dal luogo, donde Egli predicava, rammentano ciò che il Bartolomeo Facio nell’opera De viris illustribus scrisse a proposito del nostro Autore. “Abondante nel predicare e veemente, d’incredibil memoria, di così acconcia pronuzia, che la sua predica non stancava mai gli uditori; e tanto gli reggeva sicura è costante la voce, che mai una volta non gli mancava parlando, e ciò che è più maraviglioso, in una grandississima riunione di gente era inteso con facilità anche dai più lontani” (A. c. 41).
  4. Negli altri Codd., e che si renda a ciascuno quello che si díe e quello che li si conviene.
  5. Nuovo rimprovero a qualche disturbatore.
  6. Quoniam rectus Dominus Deus noster ec. Salmo lxxxxj, vers. 16.
  7. Gli altri Codd., patarachie, per pataracchi; che qui equivale a imbrogli, menzogne, raggiri e simili.
  8. È il decimosettimo dei Racc. di S. Bernard., editi da F. Zambrini, pagg. 42-43.
  9. Il Cod. Pal. soggiunge, ella piangeva.
  10. ’Qui ha termine il detto Racconto.
  11. Sono i vers. 6, 7 e 8 dal Salmo quarto.
  12. Gli altri Codd.: O voi che avete a giudicare la terra.
  13. Salmo lxxxiiij, vers. 11.
  14. Cioè. nel cap. quinto, vers 6 del Vangelo.
  15. Vangelo di san Matteo, cap. xxv, vers. 34; e nella Vulgata così dice: Venite benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi.
  16. Salmo lvij, vers. 11.
  17. Salmo decimo, vers. 8, e dice: Justus Dominus et iustitias dilexit.
  18. Cioè, testualmente, in latino, che dicevasi anche, per grammatica.
  19. Così in tutti i Codd.; ma la stampa, argenterie.
  20. Negli altri Codd., sta.
  21. Invece di, tieni.
  22. Dice a una donna che faceva la prova col suo rosario.
  23. «Era presso la porta principale del palazzo del Potestà, un pulpito o aringhiera di marmo, da cui il banditore pubblico proclamava le sentenze, o gridava i bandi e le leggi.» Cosi il Milanesi; ma giova l’avvertire che il Potestà risedeva in quel lato del Palazzo della Signoria, dove sorge la bellissima Torre, detta del Mangia.
  24. Vedi nella predica vigesimaterza, pagg. 223-24.
  25. Negli altri Codd. e nella stampa, barletto.
  26. Qui significa, accuse; le quali ogni cittadino poteva scrivere segretamente, e porre uella cassetta a ciò destinata nel palazzo pubblico.
  27. Ironicamente, un gran pezzo grosso.
  28. Gli altri Codd.: Dalli una sentenzia.
  29. Il Cod. Sen. 6: e non è fatto nulla se non ispendare; chi ha la ragione, ha il torto.
  30. In questo passo la lezione è cosi scorretta in tutti Codd.
  31. Fera pessima devoravit eum (Genesi, cap. xxxvij, vers. 20.)
  32. Correggi, il Libro della Sapienza (cap. secondo, vers. 21) che dice: Excaecavit enim illos ec.
  33. Vae qui dicitis ec. (Isaia, cap. quinto, vers. 20).
  34. Negli altri Codd., molto mobili.
  35. Il Cod. Sen. 5: A riparare.
  36. Cioè, rendi il tuo voto.
  37. Vangelo di san Luca, cap. xj, vers. 33, e secondo la Vulgata dice: Nemo lucernam accendit, et in abscondito ponit, ncque sub modio: sed super candelabrum, ut qui ingrediuntur, lumen videant.
  38. Il Cod. Sen. 6, mandarvi: il Cod. Sen. 5, mandianci.
  39. Gli altri Codd., ne la città.
  40. Ed anche scontrino, che equivale a squittinio.
  41. Vuol dire, imbossolare i nomi di que’ cittadini che potevano essere tratti ad esercitare uffizi pubblici (V. anche a pag, 260, n. 1).
  42. Nella Vulgata, ex ipsis.
  43. Negli altri Codd., suffola o sufola.
  44. Negli altri Codd., scompagnare; lezione che deve credersi errata.
  45. Cioè, che mena a lungo.
  46. Accenna alla consuetudine, oggi caduta d’uso, di mutar casa per san Michele Arcangiolo, cioè a’ 29 di settembre, che era pure il giorno destinato all’apertura della Università degli studi.
  47. Vangelo di sau Matteo, cap. vij, vers. 14; e nella Vulgata dice: Quam angusta porta., et arcta via est., quae ducit ad vitam.
  48. Cap. xj, vers. 1.
  49. Qui autem se exaltaverit ec. (Cap. xxiij, vers. 12).
  50. Predicava in settembre.
  51. Vaie a dire, spauracchi: gdi altri Codd. leggono: o ora al tempo dei fichi, che vi si pone uno saco pieno di paglia, perchè non vi vadano le cornachie.
  52. Gli altri Codd. e la stampa, che pare.
  53. Gli altri Codd., a le pregarie.
  54. Il passo appartiene all’Apocalisse, cap. 3 vers. 15 e 16, e leggasi così: Scio opera tua quia neque frigidus, neque calidus: utinam frigidus, esses, aut culidus! — Sed quia tepidus esses, et nec frigidus nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo.
  55. Il Cod. Sen. 6, ci riducono.
  56. Gli altri Codd., de la cornacchia.
  57. Il Cod. Sen. 6, che pisciava: il Cod. Sen. 5, che pisciò.
  58. Con quasta bellissima predica ha fine il più volte citato Cod. Sen. 5 (Cf. l’Introduzione, Vol. I, pagg. xiv e xv).