Rinaldo di Montalbano/Atto III

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Atto III

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Atto II Atto IV
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Orlando e Armelinda.

Orlando. Pur troppo è ver. Rinaldo è mal veduto

Dai Maganzesi; il vogliono distrutto
Gli emoli invidiosi. Il Re medesmo,
Saggio così, così clemente e giusto,
Appresta fede ai scellerati. Un’arte
Hanno costoro d’ingannar capace
La stessa verità.
Armelinda.   Misero mondo,
Se in poter fosse de’ nemici indegni
E la vita, e l’onor degl’innocenti!
Perchè Carlo, s’è giusto, anche Rinaldo

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Non consente ascoltar? Perchè a difesa

Non lo ammise sinor?
Orlando.   Oggi pur troppo
L’ascolterà: ma nel Consiglio, e molto
Temo del nostro eroe.
Armelinda.   Note a me sono
Di Rinaldo le gesta. Io nel Consiglio,
Io lo difenderò.
Orlando.   No Principessa,
Non parlate per lui. Siete in sospetto
D’essergli troppo cara.
Armelinda.   Osò tant’oltre
La malizia avanzarsi? E non è nota
L’onestà di Rinaldo?
Orlando.   Hanno saputo
All’orecchio di Carlo i suoi rivali
Troppo forte parlar.
Armelinda.   Perirà dunque
L’infelice così?
Orlando.   L’arte con l’arte
Deludere convien. Veglio in difesa
Anch’io del buon Rinaldo, agli occhi altrui
Celo la mia passion; ma chetamente
Coglierò il tempo di svelar degli empi
Qualche trama più certa, onde al monarca
La loro infedeltà render palese
Forse riuscirà.
Armelinda.   Non disapprovo
L’opportuno pensier: seguirlo anch’io
Propongo in avvenir. Chi sa? Può darsi
Che innocenza trionfi.
Orlando.   Ecco gl’indegni
Sempre uniti fra lor.

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SCENA II.

Gano, Florante e detti.

Gano.   Orlando, ha chiesto

Il Re di voi. V’attenderà.
Orlando.   Non deve
Egli quivi venir?
Armelinda.   L’attendo anch’io:
So che vuol favellarmi.
Gano.   È ver, ma forse
Al signore d’Anglante egli desia
Prima di ragionar.
Florante.   (German sagace,
Scioglier vuole d’Orlando e d’Armelinda
Il sospetto congresso). (a parte
Gano.   Io vi consiglio
Non differir di presentarvi a Carlo.
Non è lungi, signor.
Orlando.   Sia pur di Carlo,
O di Gano il desio, parto, e compiaccio
L’uno e l’altro così. V’è noto, amico,
Quanto estimi piacervi. Il so, vi cale
Solo restar con Armelinda. Io seco
Lasciovi in libertà. (Finger mi giovi
Non intender l’idea dell’alma indegna).
(a parte; e parte
Gano. (S’inganna, se d’amor crede capace
Di Gano il cor), (a parte) (Fiorante, è necessario
Che Armelinda non vegga il Re, se prima
Il suo cor non si scopre. A voi commetto
Questa cura, o german). (a Fiorante
Florante.   (Difficil troppo
È il conoscer qual sia di donna il core). (a Gano
Gano. (L’arte in opra ponete. Io vado intanto
Ad impedir che Orlando al Re non parli

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In favor di Rinaldo. Oh se riesce (sempre fra loro

Il disegno felice, avrà costato
Gran sudori e spaventi al nostro cuore!) (parte
Armelinda. (Chi ardisce tradimenti, ogni momento
Di consiglio ha bisogno). (a parte
Florante.   (A noi, mio core,
Poniamoci in cimento), (a parte) Alfin siam soli,
(guardandosi attorno
Principessa infelice! Alfin poss’io
Palesarvi un arcano, a’ numi solo
Confidato finor.
Armelinda.   Di me potete
Assicurarvi, e di mia fè. Svelate
A me il vostro pensier.
Florante.   V’amo, Armelinda,
V’amo quanto me stesso: ecco l’arcano
Custodito nel sen con tanto zelo
Dal mio rossor. Deh non vogliate, o cara,
Farmi pentir d’aver gli affetti miei
Degnamente impiegati. A pietà almeno
Movetevi di me.
Armelinda.   Come, signore,
Puote accendervi amor di così strano
Fuoco improvviso?
Florante.   Ah, Princip essa! Un lustro
Sarà ch’io v" amo. In Africa mentito
Venni di nome, e dimorai sei lune;
Vi vidi, v’adorai, tacqui: ma il core
Partendo vi lasciai; propizia sorte
Oggi in Francia vi guida. Ah! riflettete
Ch’è volere del ciel, che al seno mio
Torni il mio cor, o del mio core in vece
Che occupi il vostro degnamente il loco.
Che ne dite, idol mio? Che sperar posso
Dalla vostra pietà?

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Armelinda. (L’empio s’inganni,

Se ingannarmi disegna). (a parte) Io lo confesso,
Rispondervi non so. M’hanno sorpresa
Gli accenti vostri. Il vostro merto è grande;
Lo conosco, lo ammiro; altro non posso
Promettervi però.
Florante.   Del vostro affetto
Dunque è indegno Fiorante? È ver, voi siete
Figlia di Re; ma Duca Pari io sono;
Ma nelle vene mie scorre glorioso
Sangue di regal ceppo. Il mio coraggio
Forse, ad onta del fato, un dì maggiore
Saprà rendermi ancor. Deh, Principessa,
Ispiratemi voi, col vostro affetto,
Valor che basti a meritarmi il grado
Di vostro sposo.
Armelinda.   Io non dispero affatto
L’amor vostro, Fiorante. Un cuor di donna
Troppo debol saria, se si rendesse
Così tosto alle prime, ancor sospette,
Voci d’un amator. Del vostro affetto
Abbia prove più certe, e di mia fede
Certo poi vi farò.
Florante.   Deh permettete
Ch’io sincero vi parli. Il vostro cuore
Prevenuto pavento.
Armelinda.   Un tal sospetto
Discacciate dal sen. Libero il core
Serbo ancora nel petto.
Florante.   Ah! così tutte
Soglion negar le caute donne i loro
Furtivi amori.
Armelinda.   M’offendete. Io sono
E di labbro e di cor donna sincera;
E poi, nelle sventure in cui mi trovo,

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Qual l’oggetto esser può, che il mio destino

Mi facesse obliar?
Florante.   Il gran Rinaldo
Esser quello potria.
Armelinda.   Rinaldo? Oh cieli!
Il nemico più fier del padre mio?
Quel che mi vinse? Che cattiva seco
Mi condusse fra lacci? Amar Rinaldo?
Il superbo? L’audace? Ah! pria la morte
Amar saprei, che un sì funesto oggetto.
Florante. (Opportuno è quest’odio). (a parte
Armelinda.   (Io molto spero,
Se mi crede costui). (a parte
Florante.   Ma qui fu detto,
Che Armelinda languia presso Rinaldo;
E che Rinaldo, d’Armelinda acceso,
Delirava per lei.
Armelinda.   Perfidi! Indegni!
Chi fe’ quest’onta all’onor mio? Fra quanti
Insulti il mio destin soffrir mi fece,
Questo, questo è il maggior.
Florante.   Facil s’imprime
Nella mente del volgo il rio concetto;
Ma riparar difficile non fora
Vostra fama però.
Armelinda.   Come? In qual guisa?
Additatemi voi, Fiorante, il modo
Di strugger questa obbrobriosa macchia
Fatta al decoro mio.
Florante.   Contro Rinaldo
Dichiararvi convien. Di Carlo in faccia
Aggravate l’audace.
Armelinda.   Ah! questo è il modo
Di peggiorar la sorte mia.
Florante.   Ma il modo

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Questo forse sarà di vendicarvi.

Armelinda, chi sa? Di Francia il regno
Sempre non soffrirà di Carlo il giogo.
Può darsi. Ancor... Ma il Re sen viene. Andiamo,
Che a dir molto mi resta.
Armelinda.   Il Re non chiese
Di favellarmi?
Florante.   Sì, ma in altro tempo
Far lo potrà. Venite meco. Io spero
Dirvi cosa che molto abbia a giovarvi.
Seguitemi, Armelinda.
Armelinda.   (Ah sì, desio
Di scoprir il suo cor forte mi sprona).
Andiam dove vi aggrada.
Florante.   (Oh! come a tempo
Impedito è l’incontro). (parie
Armelinda.   (Oh quale io spero
Vittorioso fin da quest’inganno
Necessario, opportuno, e ben dovuto,
D’un traditor per iscoprir le trame). (segue Fiorante

SCENA III.

Carlo e Orlando.

Orlando. Deh, pietoso Signor, non vi scordate

Della vostra clemenza. Ella è il più bello
Fregio del vostro cuor.
Carlo.   Sì, ma giustizia
Io non deggio obliar.1
Orlando.   Temete dunque
Che Rinaldo sia reo?
Carlo.   Tutto ad Orlando
Vo’ svelare il mio cor. Reo non lo credo,
Ma innocente chiamarlo ancor non posso.

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Tai son le accuse, e i testimon son tali,

Ch’egli reo comparisce. Un altro forse
Condannato l’avria sui forti indizi
Della sua reità; Carlo non vuole
Della vita arbitrar d’un Paladino,
Benchè farlo potria. Vo’ che il Consiglio
Esamini le colpe e le difese
Di Rinaldo accusato. Io l’amo, io peno
Nel doverlo trattar qual mio nemico.
Ma non posso altrimenti il mio decoro
In faccia al mondo sostener. Lo spero
Innocente, e lo bramo. Al gran confronto
Venga, si scolpi, e fralle braccia allora
Lo stringerò.
Orlando.   Ma nel Consiglio, o Sire,
Egli ha troppi nemici. Ah! voi potreste
Prima solo ascoltarlo.
Carlo.   Ed a qual fine?
Orlando. Più libero così potrà Rinaldo
Parlar col suo Signor. Forse appagato
Resterete da lui. Io ve ne priego
Per tutto ciò che di più sagro è in cielo,
Ascoltate Rinaldo. Ecco che giunge
L infelice sua sposa. (va ad incontrar Clarice che viene

SCENA III.

Clarice e detti.

Orlando.   Alle mie preci

Aggiungnete le vostre, sventurata,
Deplorabil signora. Al Re chiedete
Colle lagrime vostre il don pietoso
D’udir Rinaldo. Ei lo farà; venite,
Prostratevi al suo piè.

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Clarice.   Sire, se il pianto

Di Clarice non basta, il sangue io v’offro.
Svenatemi voi stesso, e in sagrifizio
Offritemi al livor de’ miei nemici,
Ma Rinaldo ascoltate; egli avrà il modo
Di far constar la sua innocenza.
Carlo.   Alfine
Non voglio esser crudel. Clarice, andate;
Venga il vostro consorte. Io qui l’attendo.

SCENA V.

Gano e detti.

Gano. (Ahimè! Che intendo?) (parte

Clarice.   Oh me felice! Io volo
Sollecita, Signor.
Gano.   Sire, il Consiglio
Adunato v’attende.
Carlo.   Al nuovo giorno
Differir si potrà.
Gano.   Perchè?
Carlo.   Rinaldo
Voglio prima ascoltar.
Gano.   Vi lascerete
Dall’infido sedur.
Carlo.   Troppo s’avanza
Chi debole mi crede.
Gano.   Oh Dio! Signore,
È il zelo mio che teme.
Carlo.   Il zelo vostro
Non ecceda però.
Gano.   Ma che diranno
I Duci convocati?
Carlo.   Al mio comando

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Niuno ardisca d’opporsi. A me Rinaldo

Fate tosto che venga.
Gano.   (Oh qual periglio!) (a parte
Non potreste, Signor...
Carlo.   Tosto eseguite.
Gano. V’ubbidirò. (Non mi tradir, fortuna). (a parte, e via
Orlando. Ah Signor, preme troppo ai Maganzesi,
Che Rinaldo non parli.
Clarice.   I scellerati
Temono l’innocenza.
Carlo.   Ite, Clarice:
Fidatevi di me. Salvo il decoro
Del diadema real, Rinaldo in Carlo
Avrà il suo difensor.
Clarice.   Tutta confido
Nella vostra pietà. (parte
Carlo.   Seguite, Orlando,
La sventurata.
Orlando.   A custodirla intanto
Io veglierò. Spero che il suo consorte
Libero renderete, e i traditori
Discoperti e convinti avran la giusta
Pena del loro temerario eccesso. (segue Clarice
Carlo. Se alla virtù, se all’opre di Rinaldo
Volgo il pensier, di tradimenti indegni
Incapace lo scorgo; e se le accuse
Odo de’ miei ministri, il più infedele
Di lui non v’è. Voglia il destin ch’io sappia
Alfine il vero. Il perderlo innocente
Danno sarebbe, e ’l nol punir, se reo,
Fora eguale periglio. Eccolo. Oh come
Della2 fronte genial risplende un raggio
Di fedeltà! M’inganneria se fosse
Traditore costui.

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SCENA VI.

Rinaldo, Gano e detto.

Rinaldo.   Qual astro amico

Mi concede, Signor, l’eccelso dono
Di rivedervi? La sentenza io deggio
Di mia morte ascoltar da’ labbri vostri?
Felice me, se il mio Signor mi degna
D’un tanto onor!
Carlo.   Gano, partite.
Gano.   Io veglio,
Sire, in vostra difesa.
Carlo.   Or non è d’uopo
Della vostra difesa.
Gano.   A un inimico
Io non soffro vedervi appresso tanto,
Senza l’aspetto mio.
Carlo.   No, no: partite.
Voglio così.
Gano.   (Cresce il periglio. È d’uopo (a parte
Ad ogni evento preparar d’inganni
Nuova serie più forte e più felice). (parte
Carlo. Ritiratevi, guardie; e voi, Rinaldo,
Narrate come l’imperial mio cenno
Contro i Mori eseguiste.
Rinaldo.   Alto Monarca,
Dell’innocenza mia...
Carlo.   Non chieggo adesso
Di vostra reità scolpa o difesa:
Vo’ saper la condotta onde pugnaste
Contro il barbaro Re.
Rinaldo.   Pronto m’accingo
A ubbidirvi, Signor. Partito appena
Dall’aspetto real, nel dì felice

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In cui duce primier dell’armi vostre

Eletto fui, tosto volai del campo
Tra le genti schierate. Alla mia sposa,
Al diletto mio figlio, addio non dissi;
Tanto mi calse d’ubbidir veloce
L’improvviso comando, il sì pressante
Cenno del mio Signor. Delle milizie
Il numero raccolsi, e con mio duolo
Vidi che a diecimila i combattenti
Giugneano appena, e che pugnar doveasi
Contro l’innumerabil Saraceno
Popolo risoluto. All’uopo estremo
Era vano il consiglio, e la dimora
Periglio si facea. Marchiammo, o Sire,
Senza prender riposo, il corso intero
Di venti giorni, riposando solo
Poche ore della notte, affinchè all’alba
Di nuovo al viaggiar fossero pronti
I miei guerrier, che prevenian l’aurora
Con preghiere divote, e lieti in viso,
Stimolo essendo della gloria il nome
Alle stanche lor membra. Alfin giugnemmo
Di Roncisvalle alle pianure, ed ivi
Riposar destinai. Sull’alte cime
De’ Pirenei poste le guardie aveano
Gl’inimici Africani. Il nostro arrivo
Noto fecero al Re, che non frappose
Tempo a disporsi ad incontrar la pugna.
Riposammo la notte. Al nuovo giorno
Tutte del monte le scoscese vie
Vidersi piene d’inimici, e l’aste
Superavan gli abeti, e le bandiere
Sventolar si vedeano. Alla battaglia
Tosto i Franchi destai. Tutti in un punto
S’armaro i nostri, e non atteser essi

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Gl’inimici nel piano; alla pendice

S’avviar del monte, ed io fui il primo
A salir quei dirupi, e ad affrontare
Il torrente nemico. Intimoriti
Da sì strano valore, i Saraceni
S’avvilirò, tremar, preser la fuga,
E giù del monte rotolando in fretta,
Si ritirar nel loro campo a’ piedi
De’ Pirenei sovra terreno ibero.
Noi li seguimmo coraggiosi, e mentre
Scendeva io stesso alla nemica parte,
Tra cespugli trovai ferita e lassa
Donna in spoglia viril: figlia era questa
Dell’African Monarca, ed è colei
Che altrimenti vestita a voi cattiva
Per ostaggio guidai. Scender io feci
Tutta l’oste di Francia, e agli Africani
Presentai la battaglia. Essi non tardi
Incontraro il cimento: era al meriggio
Vicino il sol, quando a pugnar principio
Da noi si diede, ed all’occaso giunse
Pria che cadesse il militar furore.
Sopravvenne la notte e l’Africano
Primo fece suonar della raccolta
L’usato segno. Io dalla pugna i miei
Desister comandai, perchè più franchi
Fossero al nuovo dì, recando agli empi
L’ultimo strazio. Ah! qual restai, Signore,
Nel rimirar delle milizie vostre
Il numero scemato, e tal che appena
Azzadarsi potea contro una parte
De’ feroci nemici! Agli occhi miei
Questo solo pensier, togliendo il sonno,
Tutto oppresso mi tenne. In oriente
Rosseggiava l’aurora, ed invocati

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Del nostro regno i tutelari numi,

M’accingeva alla pugna. Ecco un de’ nostri
Rapido a me venir. Spiegar, mi disse,
Spiegaro gli African candide insegne;
Chieggono tregua, desolati in parte
Dalle spade de’ nostri. Era maggiore
Il numero però degl’inimici
Senza confronto, ond’io stimai ventura
Altrui donar ciò che temea ben tosto
Dover chiedere in dono. Ambasciatori
Ci mandammo l’un l’altro, e con quel dritto
Che a me vostra mercè già concedeste,
Di sei lune fissai la nostra tregua
Con il barbaro Re, la di cui figlia
Mi chiese invano: per ostaggio a voi
L’ho qui condotta; ed in ostaggio a lui
Due Paladini inviai, Ridolfo e Ormondo.
Egli pace desia; di pace i patti
Sono ristretti in questo foglio, (porge a Carlo una carta
  A Voi
L’accettarli si aspetti, o il ricusarli.
Ritornerò, se l’imponete, o Sire,
Contro gli empi a pugnar. Parvemi allora
Opportuna la pace, e l’accettai.
Temerario è colui che in suo valore
Troppo confida, e il suo Signore espone
AI periglio evidente. Io feci quanto
Si conveniva a un capitan fedele.
Lo sosterrò degli emoli a confronto;
Lo diranno i soldati; e voi, Signore,
Lo direte a voi stesso. A voi rimetto
La causa mia: da un capitan sì grande
Giudicato venir, sarà mia gloria.3

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Carlo. Altrimenti di voi parlò la fama;

Altrimenti parlaro i testimoni
Da voi stesso allegati. Infra i cespugli
Non si trovan le donne. I Saraceni
Usi non sono ad offerir la pace;
Nè i capitani vincitori han tanta
Viltà per accordarla. Il Re nemico
Or saria fra miei lacci, se Rinaldo
Non lo avesse sottratto al suo destino.
Rinaldo. Come, Signor, voi m’imputate...
Carlo.   Il tempo
Questi non è per iscolparvi.
Rinaldo.   E quando
Farlo potrò?
Carlo.   Dimani ragunato
Qui il Consiglio sarà per ascoltarvi.
Rinaldo. E Rinaldo dovrà qual reo, qual vile
Presentarsi al Consiglio?
Carlo. Esser potrebbe
Vostra gloria il confronto; in quella guisa
Che più puro divien l’oro nel fuoco,
Più la vostra innocenza in quel cimento
Comparir si vedrà.
Rinaldo.   No, non sperate
Ch’io mi lasci veder da’ miei nemici
In divisa di reo.
Carlo.   La contumacia
Colpevol vi farà.
Rinaldo.   La mia innocenza
Vendicheranno i Dei.
Carlo.   Ma, se tal siete,
Ricusate scolparvi?
Rinaldo.   Io sol ricuso
Comparir nel Consiglio in altre spoglie
Che di Duce e di Pari. Ah! la mia spada

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Rendetemi, Signor: vedrete poi

Con qual coraggio venirò a scolparmi
Nel Consiglio di guerra. Invitto Carlo,
Clementissimo Re, non mi negate
Questa lieve pietà. La spada mia
Riponetemi al fianco; in libertade
Ponetemi, Signor; poscia vedrete
S’io difendermi sappia. Di violenza
Non potete temer: son circondato
Dalle vostre milizie. A me la spada
Fregio sarà, ma non difesa. Io fuggo
Lo scorno de’ nemici. Ah! questo scorno
Tanto mi peseria, che di mia mano
La morte mi darei, pria di vedermi
Tra Paladini disarmato e vile.
Carlo. (Lieve alfine è il favor), (a parte) Guardie, la spada
(entra una guardia
A Rinaldo recate. (parte la guardia
Rinaldo.   Ah! che vi leggo,
Gran Monarca, nel cor. Siete forzato
A usar severità. La pietà vostra
Nota è a Rinaldo, e nota è al mondo tutto.
Carlo. Sì, ma di mia pietà si fida invano
Chi tradirmi procura.
Rinaldo.   E chi è l’indegno
Che cotanto presume?
Carlo. Io fino ad ora
In Rinaldo lo temo; ed in Ruggiero
Vostro figlio il ravviso.
Rinaldo.   Ah! voglia il cielo
Che tanto possa l’innocenza mia
Chiara apparir, quanto è sincera. Il dono
Che al padre concedeste, al figlio, o Sire,
Deh non negate: ancor Ruggier sia meco,
Qual si conviene al grado nostro, ammesso

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Fra le sedie dei Duci, e ben vi giuro,

Che avviliti vedrete i scellerati
Nemici vostri.
Carlo.   Sì, Ruggiero ancora
Ponerò in libertà. Colla sua spada
L’avrete al fianco vostro. Al gran Consiglio
Verrete entrambi. Le difese vostre
Placido ascolterò; ma se delitto
Trovo nel vostro cuor, vendetta tale
Di voi farò, che a’ secoli venturi
D’esempio passerà. Non m’impegnate
Tanto, se siete reo; pietà chiedete:
Facile è l’ottenerla; ma se tardi
Verrò a scoprir le vostre colpe, allora
Speme non vi sarà ch’io vi perdoni.
Distruggerò le vostre terre; il sangue
Vostro si spargerà: sarò crudele
Qual d’un suddito reo merta l’eccesso. (parte
Rinaldo. Lode agli Dei! Ho riparato in parte
Alle ingiurie degli empi.

SCENA VII.

Florante e detto.

Florante.   Amico, alfine

Cangiò il vostro destin. Carlo conobbe
L’ingiustizia, che al merto di Rinaldo
Crudo facea.4 La vostra illustre spada
Ritornarvi commise. Eccola: accresca
Ella le vostre glorie. (Ah qual sventura
Questa è mai per Florante!) (a parte
Rinaldo.   Il Re crudele
Meco non fu, nè sarà mai. L’ingiurie

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Promosse all’onor mio furo, ma invano,

Dall’invidia degli empi. Addio, Florante;
M’intendete, già il so. Tremate forse
Nel vostro cuor. A rivederci, amico,
Nel Consiglio di guerra. (parte5
Florante.   Or sì, che tutta
L’arte ci vuol, per superar gli effetti
Del terror, del spavento. Oh Dei! Qual astro
Rinaldo favorì? Come sì tosto
Cangiò di Carlo il cor? Ah! lo previdi!
Gano non fu bastante ad impedire
Il funesto colloquio. Or che faremo
Nel periglio in cui siamo? Il mio germano
Trovisi almen... (in atto di partire

SCENA VIII.

Ruggiero e detto.

Ruggiero.   Fermatevi, Signore:

Favellarvi degg’io.
Florante.   Voi pur, Ruggiero,
Libero siete ancor?
Ruggiero.   Mercè il Monarca
Che mi trasse da’ ceppi, e il brando mio
Tornommi al fianco.
Florante.   Io ne son lieto, e godo
Della vostra fortuna.
Ruggiero.   Ed io più godo
D’avervi tosto rinvenuto.
Florante.   Ho forse
Da impiegarmi per voi?
Ruggiero.   Senz’altro.

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Florante.   Io pronto

Sono al vostro desio.
Ruggiero.   Dunque la spada
Non tardate a impugnar. (impugna la spada
Florante.   Chi è l’inimico
Che v’accende, signor?
Ruggiero.   Voi siete quello.
Florante. Io! perchè mai?
Ruggiero.   Non rammentate, audace,
Qual mi scherniste prigionier? Il tempo
Giunse di vendicarmi.
Florante.   Ah no, Ruggiero,
Onta non fu ciò che per gioco io dissi.
V’amo e v’estimo, e non vogl’io con voi
Cimentarmi col brando.
Ruggiero.   Ah vile! Ah indegno!
Ecco il valor de’ Maganzesi. Ardito
Solo co’ disarmati esser ti giova,
Tremi a fronte d’un ferro.
Florante.   Oh numi! Ed io
Tanto soffrir dovrò?
Ruggiero.   Vieni al cimento;
Vieni meco, s’hai cor: o ch’io ti passo
Tosto, codardo, il cor. (vibra la spada
Florante.   Fermate. (Oh cieli!
Fuggir non posso il periglioso incontro.
Cimentarsi convien). (a parte
Ruggiero.   Lode agli Dei,
Potrò pur, scellerato, il sangue tuo
Sparger da quelle vene.
Florante.   Io, temerario,
La tua morte vedrò.
Ruggiero.   Vien pure. AH’armi.
(si battono, e Fiorante resta vinto
Florante. La vita per pietà.

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Ruggiero.   No, non la merta

Un empio, un traditor.
Florante.   Che bella cosa
Svenare un disarmato!
Ruggiero. In ogni guisa
Voglio la morte tua. (va con impeto per uccider Florante

SCENA IX.

Rinaldo e detti.

Rinaldo.   Fermati, o figlio. (lo trattiene

Ruggiero. Lasciatemi, signor, toglier dal mondo
L’indegno, il traditor. (torna contro Fiorante
Rinaldo.   No, nol consento; (lo trattiene
Lascialo ormai.
Ruggiero.   (Avesse egli tardato
Un momento a venir!) (a parte
Florante.   (Respiro). (a parte
Rinaldo.   Il brando
Rendi, o figlio, a Fiorante.
Ruggiero.   A questo ancora
Mi volete obbligar? Noto v’è pure
Qual sia l’empio con noi?
Rinaldo.   Sì, ma vendetta
Prender noi non dobbiam. Carlo, il Monarca,
Vendicarci saprà. Rendigli tosto
La spada sua.
Ruggiero.   Prendila. Ad altro tempo
Mi riserbo svenarti. Il voglio estinto,
Se credessi versar tutto il mio sangue.
Florante. Signor, non istupite. Io caddi, io fui
Disarmato, egli è ver; ma fu del fato
Onta cotesta, e non viltade. È noto
Il valor di Fiorante. (Oh me infelice,

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Se in mio soccorso non giungea Rinaldo!)

(a parte; e parte
Rinaldo. Ecco de’ scellerati il rio costume:
Niegano d’esser grati a quella mano
Che lor beneficò. Basta che al cielo
Note sian l’opre mie. Colà si premia
Il merto e la virtù. Spero da’ numi
Dell’innocenza mia tradita, oppressa,
La difesa, il conforto. 1 rei nemici
Tremeranno, lo so; tal mi promette
Esito fortunato ai strani eventi,
Il Motor delle stelle, il Re de’ Regi.


Fine dell’Atto Terzo.

  1. Nelle vecchie stampe si legge: Non deggio obliar. Il verso fu conetto nell’Ottocento.
  2. Nelle edizioni dell’Ottocento si legge: Dalla.
  3. Nelle edizioni del Settecento si legge: sarà per mia gloria.
  4. Forse devesi leggere: crudo il facea.
  5. Manca questa didascalia nelle edizioni del Settecento, ma Rinaldo fa poi ritorno nella scena IX.