Storia degli antichi popoli italiani/Capitolo XIV

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Capitolo XIV. Campani

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CAPO XIV.


Campani.


Il basso paese che dalle radici del monte Massico si distende insino al fiume Silaro fra gli Appennini e il mare, distinti termini della Campania antica, portò dapprima il nome di Opicia, o sia terra degli Opici. E sotto questa nominazione medesima la troviamo sempre ricordata e cognominata nelle memorie più vetuste. Antioco in fatti drittamente narrava che gli Opici, od altrimenti Ausoni, abitavano quella regione1: e se Polibio, a causa del doppio nome tenne costoro per incoli differenti della Campania2, certamente in questo ei non fu bene avvertito. Non solo Cuma per universale consenso di scrittori stava collocata nell’Opicia3, ma Partenope stessa, come portava una tradizione de’ navigatori Rodj, dicevasi fondata negli Opici4: e in Ausonia od Opicia si riconoscean pure situate dentro terra Nola5 e Caleno6. Qua pertanto, come altrove, sono gli Osci i [p. 272 modifica]più antichi popolatori cogniti della contrada: benchè se riguardiamo alla natura del paese tutto vulcanico, certo è che assai tardi ebbero gl’indigeni comodità di posarsi quietamente in quello. Al tempo in cui cominciano le nostre istorie avea cessato è vero il Vesuvio d’ardere ivi intorno, ma evidentissimi segui di grande abbruciamento in tutta la terra si riconoscevano ancor prima della rinnovatasi eruzione di quel monte7: ed i campi quivi detti Flegrei, la pugna de’ giganti, e le sotterranee dimore di Tifone, ancorchè favole, son tanti indizj delle portentose fisiche rivoluzioni cui andò soggetta in età lontanissima la regione intera. E qualora si considera la qualità geognostica del terreno, e ivi stesso vediamo Ercolano e Pompea fabbricate sopra un suolo vulcanico, dove a grande profondità si trovano avanzi di antichissima coltivazione giacenti sovra banchi di sabbie, si può con sicurezza presumere, che cotal bonificamento e cultura primitiva de’ luoghi fosse dovuta agl’indigeni Osci, prima ancora che gli stranieri ponessero in queste parli il piede.

Con tutto ciò la contrada stessa sì lungamente e grandemente arsa, guasta dalle acque scorrenti senza freno, e in buona parte insanabile, si mantenne gran tempo fisicamente arsiccia, paludosa e sabbiosa. A tal che, neppur nei tempi più floridi della Campania, non potè natura esser domata interamente dall’arte. Il [p. 273 modifica]fiume Literno8, con altre minori riviere impaludate, tenevano quivi per innanzi il nome di Clanis o Clan: appellativo propriamente italico, e di per tutto ugualmente appropriato a’ luoghi paludosi9. Intorno a Cuma le cure dei Greci non furono bastanti a seccarvi la palude, gli stagni, ed il suolo acquidoso10: tra le foci stesse del Vulturno e del Literno dura ancora l’arenosa boscaglia Gallinaria ricoperta di pini11: ed è notissima a tutti la cupa selva dell’Averno, che fu tagliata soltanto per comandamento d’Agrippa12. In condizione dunque molto più infelice e malsana han dovuto trovare il paese sì gli occupatori Greci dell’Eubea, come gli Etruschi, ambo i quali vennero a stanziarsi sotto un cielo sì clemente. I primi, giunti qua per mare, tolsero per se buona parte del lido e l’isole vicine; all’opposto gli Etruschi venendo dritto dai Volsci trapassarono il Vulturno, e di quivi costeggiando i monti del Sannio s’avanzarono dentro terra fino al Silaro, che fu il confine fermo della conquista.

È impossibile a dirsi chi fosse di loro il primo; ma si può aver per certo che i paesani Osci, già in[p. 274 modifica]fievoliti dal molle clima, non facessero nè troppa, ne lunga resistenza agli stranieri. Giustissimamente dice Strabone, che la bontà de’ luoghi fu causa di quelle frequenti mutazioni di stato, che imposero agli abitatori una costante servitù13. Poichè pur troppo i paesi molto fertili, quasi stampino a se conforme la natura in chi v’abita, generano dipendenza, da che smarrita negli agi l’idea del valore si trovan gli uomini insufficienti, ed inabili a contrastare al forte assalitore. Cuma bensì era tenuta, come dice il geografo14, per la più antica colonia greca dell’Italia e di Sicilia; ma non si può far conto della data inesatta che abbiamo nella cronaca d’Eusebio15, evidentemente troppo alta, a fronte delle più certe fondazioni elleniche. In ogni modo però l’origine di Cuma si dee aver sempre per antichissima: e dal racconto mirabile che correva in Grecia della navigazione di Ippocle e di Megastene suoi fondatori si comprende altresì, che dessi solcavano mari ignoti ed inusitati. È anche possibile, che la venuta degli Eubei in Opicia fosse contemporanea della invasione degli Etruschi, o non molto lontana da quella, perocchè entrambi occuparono luoghi e terre diverse: gli uni con [p. 275 modifica]mezzi navali, gli altri con milizie pedestri: e la non mai spenta nimicizia tra gli Etruschi e i dimani potè ben prendere cagione dalla competenza e rivalità negli acquisti. Anzi egli è un fatto di gran momento per le nostre istorie che tanto qua in Opicia, come altrove, gli Etruschi ed i Greci coloni si sfuggivano qual popolo, e si nimicavano l’un l’altro o per gelosia di dominio, o per diversità di stirpe, quasi come s’evitavano in tra loro Greci e Cartaginesi. Perlochè di vero mal presume assai chi nelle nostre marine dell’Etruria centrale si dà a credere, che v’esistessero colonie greche e mischianza politica delle genti. L’ingresso degli Etruschi in queste parti meridionali, di che altrove abbiamo discorso lungamente, ha dovuto essere in ogni modo d’assai anteriore a Roma, poichè Capua si trovava fondata ciquant’anni prima di quell’era16; e crescendovi essi di stato colla edificazione di Nola, e delle altre città di lor ragione, che in numero di dodici componevano insieme la lega etrusca, è pur cosa sicura e certa, che già alla fine del secondo secolo avean gli Etruschi in Campania ferma e possente signoria. Lo dimostrano al pari ed il formidabile assedio che nel 230 impresero con quindicimila fanti e ottomila cavalli contro Cuma17, ed i successivi guerreggiati fatti navali. Pe’ quali eventi si conferma in oltre che la generale confederazione [p. 276 modifica]etrusca era rinforzata da numerosi aiuti, fossero questi socj come gli Umbri, o solamente suoi stipendarj, come i Dauni ed altre genti venute in sussidio dal mar di sopra18. Così di fatto gli Etruschi di buonissim’ora stanziarono in questa bella contrada, e forti di potenza e d’armi vi tennero lungo e stabile impero fin presso la metà del quarto secolo. Ma, come di sopra dicemmo, i vicini Sanniti, giovandosi a luogo e tempo dello spento vigore degli Etruschi, gli privarono prima d’una ragguardevol parte di territorio, indi del principato.

Cotanta rovina fu senza dubbio una conseguenza di quel vivere depravato che gli Etruschi, degeneranti dalla loro virtuosa schiatta, solean usare sotto un cielo inspirante voluttà. La loro abbondanza però, e le adunate ricchezze, esser non potevano fuor che il frutto dell’util fatica, della costante energia, e del destro ingegno di valenti cittadini in quell’avventuroso periodo di vigor civile, che seguitò il ben augurato principio delle colonie: tanto che per loro studio massimamente e nell’agricoltura e nell’arti si puol credere che la Campania divenisse fioritissima di que’ molti preziosi frutti, che la facea chiamare la più favorita terra di Cerere e di Bacco. E siccome la forza del dominio etrusco ivi stava soprattutto nella spaziosa e fertile pianura irrigata dal tortuoso Vulturno, che per nascere ne’ Sanniti ebbe nome osco o sannite19, [p. 277 modifica]così veramente i dominatori avean colà intorno i maggiori doni che natura possa fare agli uomini. La stessa città di Vulturno era il capo, e la più doviziosa della lega etrusca meridionale: o piuttosto quella che sosteneva col solo suo nome la dignità e il decoro della confederazione intera: nè venne meno la signoria degli Etruschi se non allora quando i Sanniti per orribile congiura, ordita e apparecchiata con tremendi giuramenti, s’impadronirono di quel comune, facendovi grandissima strage dei cittadini20. Divenuti padroni per tal infame tradimento i congiurati Sanniti, vi fermarono lo stato; e cambiando con perpetuo titolo il nome antico di Vulturno in quel di Capua21, vi diedero principio alla nuova repubblica detta dei Campani22.

Tosto che i Calcidesi dell’Eubea qui venuti dall’Euripo fondarono Cuma, che fino dal suo nascere parve destinata dai cieli a gran ventura23, eglino attesero con accorto disegno a estendere intorno non meno il dominio, che i mezzi di futuri accresci[p. 278 modifica]menti. Pare che la prima stazione loro si fosse in Ischia24, d’onde passati in sul vicin continente vi scelsero il più bel sito della spiaggia, e il meglio difendevole, per edificarvi la colonia sopra ad un promontorio signoreggiante la pianura a mare. Indi gli stessi Cumani fabbricarono là presso Dicearchia, di poi detta Pozzuoli, per servir loro di porto e d’arsenale25, accresciuti, come si dice, da una mano di Eoli o di Samj26: e con uguale avvedutezza diedero opera a fondare nel più prossimo lido Partenope, che per la sua origine troviamo sempre cognominata euboica o calcidica al pari di Cuma. La prosperità di questa crebbe in fatti sì mirabilmente, che insieme con altri Calcidesi di Sicilia potette dar principio a Zancle, che nata oscuro nido de’ corsali cumani infestatori del Faro, divenne dopo sì famosa col nome di Messina27. E se dobbiamo credere ad un racconto di Pausania, gli stessi Cumani dell’Opicia, guidati da un tal Celbida, avrebbero fondato Tritea città interiore dell’Acaja28. Altri Calcidesi congiunti cogli Eretriesi, ambo connazionali, abitavano in comune Pite[p. 279 modifica]cusa, o la vulcanica Ischia, che ha di circuito diciotto miglia, dove per copia di frutti, e per uso di metalli che di là traevano29, goderono di molta felicità, infino che per domestiche discordie i Calcidesi non furono costretti di venirsene in terra ferma ad unirsi insieme con i loro confratelli di Cuma e di Partenope.

E fu questa l’occasione per cui nacque Napoli o la città nuova come porta il nome: mentre Partenope, più discosta dalla marina, tolse quel di Palepoli; e in tal guisa venne a formarsi un solo popolo unito di due comunità l’una dall’altra distinta30, benchè Napoli, accresciutasi tempo dopo d’una mano di Ateniesi, e fattasi ella stessa d’ateniese costume31, oscurasse affatto il nome della vecchia città, e divenisse all’ultimo una gran terra murata, che racchiudeva nel suo total recinto il pieno dell’abitato. I tremuoti tuttavia ed i rovinosi getti vulcanici dell’ardente Epomeo32, obbligarono indi appresso anche gli Eretriesi ad abbandonare Ischia riparandosi a un modo in terra ferma, dove aumentarono col loro numero le colonie di stirpe euboica33. [p. 280 modifica]

Anzi, per la più spaventosa eruzione che successe in Ischia, poco avanti la nascita di Timeo34, coloro che abitavano i lidi stessi della Campania furono costretti a lasciare la marina ed a rifuggirsi per la paura nell’interno35. Evento sì orribile, e di tal commovimento alle genti, che per esso si può ragionevolmente presupporre avere i Calcidesi occupato Nola, la quale, sebbene d’origine etrusca, poteva venir chiamata d’allora innanzi città calcidica36. E se di più riflettiamo a qual forte conquasso dovea trovarsi tutta Campania sì per la violenta usurpazione di Capua, forse a trent’anni innanzi caduta in mano de’ Sanniti, sì per lo sfacimento del dominio etrusco, la nostra ipotesi assumerà maggiore apparenza di vero; e tanto più che le monete stesse di Nola, fattasi greca per tal gente sopravvenutavi, e montata in istato, non possono credersi nè pure coniate in età più remota37. Cuma medesima circa a quest’epoca trovavasi [p. 281 modifica]travagliata da molti urgentissimi accidenti: perciocchè, sebbene coll’aiuto di Gerone avesse vinto nel cratere cumano l’ostinatissima pugna navale contro gli Etruschi38, non che nemici, ma emuli alle navigazioni ed ai traffichi loro, pure i Sanniti-Campani, dominatori di Capua, abbracciando come sua la causa dell’inimicizia, rinnovarono l’impresa a’ danni del [p. 282 modifica]popolo di Cuma, ed ebbero anche la sorte di soggettarlo, ripopolando in grandissima parte quella sì antica e famosa colonia greca con gente del loro proprio sangue39. Fortuna che diè notabil grido ai vincitori, e accrebbe oltre modo la superbia e la licenza insieme degli scorretti Campani.

Mal si può determinare quali fossero le città primarie d’origine etrusca, distinguendole dalle terre sottoposte che indi divennero tutte ugualmente campane. Ad ogni modo Capua, massima fra quelle, dovette sicuramente al buon governo degli Etruschi la fortuna e l’arti, in cui la trovarono sì avanzata gli usurpanti Sanniti. Mura fortissime40, larghe e capaci contrade41, templi maestosi di Giove, di Marte e della Fortuna, Foro, Curia, Anfiteatro42, ed altri [p. 283 modifica]edifizi di pubblica utilità e di decoro, che al dir di Cicerone facean Capua emula di Corinto e di Cartagine43, erano fuor di dubbio altrettanti monumenti lasciativi da’ suoi primi fondatori e dominatori etruschi. Nè diversamente le statue sacre e profane, che in molto numero furon tolte via da Capua nella seconda guerra punica, e trasportate di quivi a Roma alla rinfusa, non so se debba dirsi con animo o più materiale o più rapace44, han dovuto essere in grandissima parte vetuste opere toscaniche, e indubitati monumenti d’un’altra civiltà. Così pure Casilino, posta sul Vulturno nel sito di Capua nuova, Calazia45 Abella46, Acerra47, Nuceria-Alfaterna48, Compulteria49, Atella e Caleno50, possono aversi tra le maggiori di Campania, con Ercolano e Pompeja51 pros[p. 284 modifica]sime al mare. Nè soltanto la lingua era per cotesti popoli un vincolo fortissimo fraterno, ma la memoria dell’affinità e parentela antica si manteneva in fra loro sempre viva, mediante l’osservanza di religioni e riti comuni: in quel modo che Abella, Abellino, Trebula e Nola facevano concordemente l’epulo sacro annuale52. Abitavano più addentro i Sarrasti ne’ dilettevoli piani intorno al Sarno53, ov’era Nuceria, nelle cui rare medaglie, con leggenda osca, si vede effigiato sotto forma simbolica un eroe paesano, chiamato Epidio Nuncionio, il quale precipitatosi volonteroso nel fiume, forse a salvezza del comune, vi ottenne da’ suoi onori divini54. La forza di queste città murate si può giudicare da quella di Pompeja, le cui mura di pietra munite con torri son quasi veri bastioni55: [p. 285 modifica]le stesse che han resistito gagliardamente agli assalti di Silla nella guerra marsica: nè meno valide erano per certo Nola56, Nuceria57, Casilino e Acerra, che avean sopra tutte l’altre fama di fortissime. Non però è dubbioso che gli Etruschi tenessero in loro signoria il delizioso paese sulla spiaggia tirrena, fra il Capo di Minerva e il fiume Silaro, dove avean Marcina58: nella qual regione così dominata per avanti da tanti padroni, e fattasi esausta, posero finalmente i Romani per nuovi abitatori la gente che trassero dal Piceno, e vi prese, a distintivo de’ suoi padri Piceni, il nome speciale di Picentini59.

Questa felice Campania mutò così frequentemente di popolo e di stato60. Sicuramente i Greci e gli Etruschi vi cangiarono molto per tempo la ruvidezza degli Osci in que’ trattabili costumi, di cui tanto abusarono i popoli campani. E qui pure, sotto il cielo [p. 286 modifica]italico, la civiltà greca cominciò a fare buon frutto, ed a propagarvi tutto intorno il suo benigno influsso. I miti Eraclei, quello delle Sirene, l’Acherusia, l’Averno, la Sibilla cumana, e soprattutto que’ scaltriti maestri in negromanzia che avean sede in questi luoghi61, dove parevano in certo modo rappresentati sotto forme sensibili e materiali i Tartarei regni, furono senza dubbio parto dell’accortezza, e insieme della fantasia dei Greci, che in ogni regione sapean sì bene appropiare le qualità ed i nomi locali alle loro stesse popolari credenze. Gli Etruschi al contrario, di più seria e circospetta natura, v’introdussero religioni gravi, e numero di civili instituti62: ma i Sanniti-Campani, già viziati per scellerato cominciamento, mischiando la natìa ferocia alla licenza del costume greco, declinarono a tanta viltà, lussuria ed arroganza, che ben potea Cicerone, allevato nella costumatezza volsca, chiamare la Campania cuna d’ogni vizio63. Ed in vero, quasi che il cielo faccia quivi gli uomini eccessivi, i soldati stipendiarj campani, usati a militare di fuori, vi si mostrarono in ogni tempo prodi sì, ma venturieri malnati, misleali e spergiuri64. Per altrettanta depravazione del sacro rito funereo, che avea per fine onorare i mani de’ valorosi, l’arte crudele di spargere il sangue umano [p. 287 modifica]negli studiati combattimenti dell’anfiteatro, dove tanto è più vivo lo spettacolo, quanto il rischio è più grande, fu altresì un giuoco accettissimo, se non affatto un trovato degli stessi Capuani65, dai quali passò il fiero costume ai Romani. Nè senza apparato di festeggiamenti anche le cene capuane, sì opposte alla frugalità delle mense gabelle66, venian tramischiate con sangue e indegni sollazzi67. Sì fattamente una generazione scorretta ne’ suoi piaceri, anzi appetiti viziosi, andava cercando per tutte vie nelle sensazioni estreme sorgenti di ferale diletto. Per abiti e modi di vivere cotanto disordinati, è impossibile che un popolo tralignato dai nativi semi possa mai lungamente prosperare: e sì di fatto i Campani superbi per gli stessi famigliari vizi, per le brame disoneste, e per civili discordie, in meno che ottant’anni perderono signoria, stato e libertà, dando compimento alla vile, benchè spontanea dedizione di se, e di tutte le cose loro al popolo romano.

I Sanniti-Campani da poi che sedeano successori degli Etruschi e Greci nel dominio della Campania, ben si giovarono in pro loro di quanto aveva introdotto [p. 288 modifica]per innanzi nel paese la civiltà degli altri due. Furono essi per tanto amantissimi della pompa, delle arti, e d’ogni maniera di spettacoli: fra i quali son note a tutti le giocose favole atellane, così chiamate col nome della città, dove se n’era più lungamente conservato l’uso. L’arte del vasaio, esercitatavi per tempo, continuava a praticarsi molto lodevolmente dai Campani68; e senza parlare dei vasi nolani celebratissimi, di scuola italo-greca, le sole monete che abbiamo di città con titoli oschi della Campania, basterebbero a far certo quanto a buon’ora vi si fosse propagata l’arte del buon disegno per istudio d’artefici paesani. L’idioma osco seguitò, senza interruzione alcuna, ad essere la lingua nativa dei Campani: e questa viveva ancora nella voce del popolo quando Ercolano e Pompeia furono distrutte. Così il nome di Meddix-Tuticus, principal magistrato che si legge sopra alcuni edifizj pubblici di Pompeja69, fa sicura fede che il reggimento delle città campane conservò mai sempre le stesse forme e magistrature municipali del tempo antico. Tra le quali si trova più particolarmente mentovato l’ufficio del Questore70. L’opulenza e il buon gusto d’ogni arte che predominavano in Ercolano e in Pompeja son troppo palesi a tutti per non abbisognare d’altre dichiarazioni; [p. 289 modifica]ma possono sì bene al nostro proposito confermare quali e quanti si fossero i comodi, le ricchezze accumulate e gli agi, ne’ quali vivevano già da gran tempo i Campani. E quando tali erano, come noi le vediamo con gli occhi propri, piccole città a molte altre seconde, e già ridotte in istato di decadenza, quale non doveva essere nel suo fiore la magnificenza d’una Capua lussuriante? In Napoli però mai sempre festiva di giuochi, dove i cittadini erano più trascorrenti nelle fantasie, ed assuefatti a vita lieta, si mantenne ognora in dolcissimo ozio inalterato il greco costume71.

 I Sidicini, popolo di sangue osco siccome i Campani, ma separati da quello abitavano in un angolo montuoso tra gli Aurunci e il piano di Capua. Teano, cognominato Sidicino72 a causa degl’incoli, era l’unica città loro, benchè nobile e forte per sito difendevole73. Avevano da per se proprio e distinto stato. Ma secondo che mostrano le medaglie del comune attenevano essi strettamente, così nella lingua, come in religione, ai prossimi Campani. Del pari onoravano Ercole qual deità principale con Giove e Diana custode della regione campana: il cui magnifico tempio, dove Pausania vide per cosa rara una testa d’elefante armata delle sue zanne74, stava situato alla punta oc[p. 290 modifica]cidentale dei Tifati. Quello di Giove, detto Tifatino, s’ergeva più in alto sopra una costa dei medesimi monti all’occidente di Capua75.


Note

  1. Ἀντίοχας μὲν οὖν φησὶ τὴν χώραν ταύτην Ὀπικοὺς οἰκῆσαι, τούτους δὲ καὶ Αὔσονας καλεῖσθαι. Strabo V. p. 167.
  2. Strabo ibid.
  3. Vedi p. 165.
  4. Strabo xiv. p. 450.
  5. Hecath. ap. Steph. v. Nῶλα.
  6. Fest. v. Ausoniam.
  7. Strabo, v. p. 170.
  8. Stagnisque palustre Liternum. Sil. viii. 531. vi. 653: ivi presso è notissima a tutti la palude di Patria.
  9. Vedi p. 236. n. 44. p. 241. n. 72.
  10. Acherusia palus Cumis vicina. Plin. iii. 5.; Strabo v. p. 168.; Dionys. viii. 3.
  11. Gallinaria pinus. Juvenal. iii. 307.
  12. Strabo v. p. 169.
  13. Καὶ γὰρ ἄλλως δεσποτικῶς ἄρχεσθαι μεμαθηκότες, ταχὺ ὑπούργουν τοῖς προσάγμασι. Strabo v. p. 172.
  14. Κύμη... παλαιότατον κτίσμα πασῶν γὰρ ἐστι πρεσβυτάτη τῶν τε Σικελικῶν, καὶ τῶν Ἰταλιωτὶδων Strabo v. p. 168.
  15. Chronic. ii. p. 100 ed. Scaliger. cioè 1050 anni A. C. o in quel torno.
  16. Vedi p. 188.
  17. Dionys. vii. 3.
  18. Dionys. ibid.
  19. Varro l. l. iv. 5.
  20. Liv. iv. 37. x. 38.
  21. : Il simulacro a due facce sculto nelle sue medaglie, può essere qui simbolo di due popoli coabitanti entro le stesse mura, e parte d’una stessa cittadinanza. Vedi i monum. dell’Italia ec. tav. lix. 14.; cf. Serv. xii. 198.
  22. Ἐν Ἰταλίᾳ Καμπανῶν ἔθνος συνέςη. Diodor. xii. 51. Ol. lxxv. 3: e con le medesime parole l’autore anonimo delle Olimpiadi, Eusebio, e Sincello Chronogr. p. 248. Secondo la cronologia di Livio dovrebbe collocarsi il fatto tra il 333 e 336 di Roma.
  23. Strabo v. p. 170.
  24. Liv. viii. 22.
  25. Strabo v. p. 169. In Eusebio (Chronic. ii. p. 169) la sua fondazione vien posta fuor d’ogni ragione alla fine dell’Ol. lxiv.: an. di R. 232: epoca intempestiva, e di gran lunga troppo tarda.
  26. Scymn. 238.; Euseb. l. c; Steph. v. Πουτίολοι.
  27. Thucyd. vi. 4.
  28. Pausan. vii. 22.
  29. Mine d’oro dice Strabone: ma queste, per osservazioni di naturalisti, non vi hanno mai esistito.
  30. Palaepolis fuit haud procul inde ubi, nunc Neapolis est: duabus urbibus populus habitabat. Liv. viii. 22.
  31. Strabo v. p. 170.; Timaeus ap. Tzetz. ad Lycophr. 732.
  32. Monte S. Niccola: centrale all’isola, ed il maggiore di tutti.
  33. Strabo. v. p. 171.
  34. An. 368 circa di Roma.
  35. Strabo l. c.
  36. Se Silio (xii. 161) chiama Nola calcidica, non può aspettarsi esattezza istorica da un poeta, nè merita maggior fede Giustino (xx. 1.) là dove si vede manifesto, che di suo talento retorico, anzichè compendiando Trogo, fece in pochi versi un mazzo di granchi. Dionisio più giustamente chiama soltanto i Nolani «popolo confinante ed ai Greci affezionato». Excerpt. p. 2315 ed. Reiske.
  37. Nella versione francese nella mia Italia av. il dominio dei Romani il Sig. Raoul-Rochette, citando se medesimo, rimanda i lettori (p. 102 not. a) alla sua Histoire critique des colon. grecques per confermare quant’egli sostiene dell’origine greca di Ca- Capua e di Nola, anteriormente all’invasione degli Etruschi nella Campania. Quindi conclude (Éclaircissement xxix. p. 365). Enfin, les medailles de Nola attestent de la manière la plus indubitable l’origine grecque de celle ville; et il est avéré par tous les antiquaires que le style et la fabrique de ces monnoies, et la forme des caractères qui y sont tracès, appartiennent à une antiquitè beaucoup plus reculée que celle ou l’on peut placer l’invasion des Étrusques dans la Campanie. — Così fatta inudita dottrina numismatica non avrebbe per certo insegnata un Barthelemy! — Qui avverto soltanto che le medaglie nolane, e voglio dire quelle di fabbrica la più antica, hanno comunemente l’omega in cambio dell’omicron, com’è palese a tutti: contrassegno non dubbio dell’epoca loro, perchè coniate in tempi ne’ quali già erano ammesse in questi paesi le lettere di Simonide, inventate circa l’Ol. lxxiv. an. di Roma 274. — Il nome osco di Nola era propriamente Nuvlanum, come si legge più volte nella grande iscrizione Abellana: dove inoltre i Nolani stessi trovansi congiunti con parecchi popoli Oschi, concorrenti insieme per la comune parentela al convito sacro.
  38. Ol. lxxvi. 3. an. di R. 279. Didor. xi. 51.; Pindar. Pyth. I. 139. et schol. ad h. 1. Altro buon testimonio ne dà la iscrizione dell’elmo ritrovato nel 1817 fra le rovine d’Olimpia, ed ivi dedicato da Gerone e dai Siracusani per la vittoria cumana sopra i Tirreni. V. Boeckh. comm. Pindar. p. 225, 226. et Corpus inscript. graecarum. p. 34. 55.
  39. Diodor. xii. 7.; Strabo v. p. 168.; Liv. ix. 44. Questa mischianza di popolo vi produsse le mutazioni che sono accennate da Vellejo: Cumanos osca mutavit vicinia (1. 4) e da Strabone deplorate l. c.
  40. L’antica Capua stava nel sito che occupano insieme oggigiorno i due casali popolosi di Santa Maria e di S. Pietro in corpo. Il suo totale circuito poteva avere 5 in 6 miglia. A’ bassi tempi d’Agazio sussistevano ancora saldissime le mura: da queste s’aprivano sette porte, che mettevano in altrettante strade maggiori, fra le quali Seplasia e Albana, ambedue sì famose.
  41. Strabo v. p. 173.; Cicer. Agrar. ii. 35.
  42. I recenti scavi fattisi nell’anfiteatro han dato a conoscere i suoi grandiosi sotterranei arcuati, ed altre parti interne di quel nobile edifizio: fabbrica già costruita dal comune di Capua libera; indi restaurata al tempo di Adriano.
  43. Cicer. Agrar. ii. 32.
  44. Signa, statuas aeneas, quae capta de hostibus dicerentur, quae eorum sacra, ac profana essent, ad Pontificim collegium rejecerunt. Liv. xxvi. 34.
  45. Vedi tav. cxv. 18.
  46. Abellanam; replicatemente nella iscrizione stessa di Abella.
  47. Aderl. Vedi tav. cxv. 19.
  48. : posta al confine estremo della Campania e del Sannio Caudino. Io porto opinione che καλλατερὶα nel testo di Strabone (v. p. 172) presso Caudio e Benevento; ed in un m. s. citato dal Du Theil καλετερὶα sia appunto la stessa Cupelteria. cf. Plin. viii. 513.
  49. Πόλις ἀξιόλογον. Strabo v. p. 164.; Sil. viii. 513.
  50. : in iscrizione pompejana. Vedi tav. cxx. 1. 2. 4.
  51. Tancinud: di tal forma nel sasso terminale di Abella chiamasi l’antedetto convito con patria voce, replicato ancora nella lapide pompejana tav. cxx. 4. l. 6.
  52. Sarrasti populus et quae rigat aequora Sarnus. Virg. vii. 738. Conone, ivi citato da Servio, faceva Pelasghi del Peloponneso questi Sarrasti, ma egli è uno di que' molti che per equivocazione di nome teneva come una stessa gente Tirreni e Pelasghi. Vedi sopra p. 100, e 119.
  53. Epidio Nuncionio, quem ferunt olim praecipitatm in fontem fluminis Sarni, paullo post cum cornibus extitisse, ac statim non comparuisse, in numeroque deorum habitum. Sveton. de cl. Rethor. 4. In una di queste medaglie del museo regio di Firenze si legge di più nel suo rovescio — : epigrafe da supplirsi colla iniziale mancante , e da leggersi Sarnined: nome osco del Sarno o dei popoli Sarrasti: cioè circostanti al Sarno.
  54. Sono le mura all’esterno alte circa 25 piedi, larghe 14, con scale che possono dar passo di fronte a due soldati: le torri quadrate hanno di distanza in distanza portelle di soccorso. Il cerchio totale della città può avere due miglia, o in quel torno. Vedi Mazois, Ruines de Pompej.
  55. Liv. xxiii. 44.; Sil. xii. 162. Campo Nola sedet, crebris circumdata in orbem turribus.
  56. Urbem inexpugnabilibus muris cinctam. Valer. Max. ix. 6. 2. ext.
  57. Strabo v. p. 173.; Plin. iii. 5. Ager Picentinus fuit Thuscorum.; Serv. xi. 316. ex Cato.
  58. Strabo v. p. 173.
  59. Hoc quoque certamen humanae voluptatis tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani. Plin. iii. 5.
  60. Cicer. Tuscul. i. 16.; Strabo v. p. 168.; Diodor. iv. 22.
  61. Vedi p. 118, e 122.
  62. Agrar. 1. 6. 7.
  63. Diodor. xiii. 44. xiv 9. et al.
  64. Nic. Damascen. ap. Athen. iv. 13.
  65. Juvenal. iii. 169.
  66. Liv. ix. 40.; Strabo v. p. 178.; Silius xi. 51 sqq.

    Quin etiam exhilarare viris convivia caede
    Mos olim, et miscere epulis spectacula dira
    Certantum ferro; saepe et super ipsa cadentum
    Pocula, respersis non parco sanguine mensis.

  67. Campana suppellex. Horat. i. Sat. 6. 118. et Vet. Inter. ad. h. 1.
  68. Vedi tav. cxx. 3. 1. 2.
  69. Kuaisstur. Vedi tav. cxx. 4. l. 4: 9. l. 2.
  70. Strabo v. p. 170.; Tacit. xv. 25.
  71. : Tianud Sidikinum.
  72. Strabo v. p. 164. 172.; Liv. viii. 2.
  73. Pausan. v. 12.
  74. Tab. Peutinger. Segm. v. f. vi. d. ed. Scheyb.