Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani/Capitolo V

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Capitolo V

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Capitolo IV Capitolo VI
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V.

Della Mollezza, e Vanità dei Romani.


Una indispensabile conseguenza della straordinaria voluttà, ghiottornia, e crapula dei Romani fu la loro non meno straordinaria mollezza. Infatti non era altrimenti possibile che persone, le quali sino dalla loro infanzia si snervavano con l’eccessivo abuso di tutti i naturali, e non naturali piaceri del senso del pari che colle quotidiane ubbriachezze, ed indigestioni; che varie volte al giorno: si cuocevano1 più di quello che si lavassero in bagni quasi bollenti; che sfuggivano ogni occupazione di mente assai più che i corroboranti esercizj del corpo; e che quando non si [p. 200 modifica]rivoltolavano sui loro soffici letti giacevano sui non meno morbidi sofà, ed origlieri delle loro magnifiche sale dei conviti, e delle loro lettighe, non era possibile, io dico, che tali persone non divenissero così floscie, e cascanti come appunto descritti immantinente ci furono i Romani sotto i Governi degli stessi lor primi Imperatori.

Sotto Augusto, e i suoi successori ogni vizio trovò più potenti protettori, e più illustri maestri che tutte le Arti, e le Scienze. Siccome Apicio fu il modello dei Romani parasiti, così Mecenate  1 servì di scorta, e d’esempio ai molli, ed effemminati Romani. Egli fu quello, che insegnò alla gioventù di Roma il modo, con cui doveva adornarsi, vestirsi, portarsi, muoversi, alloggiare, e prender riposo, onde parer felice, ed eccitar altri all’invidia di questa apparente o, come dice Seneca, inorpellata felicità2. Esso non solo rese irreprensibile, e dominante, una maniera di vivere più che donnesca, e degna unicamente dei più vili Eunuchi, la quale, in altri tempi era stata al maggior segno riputata infame dai guerrieri, e vìrtuosi Romani  2, ma procurò altresì che la medesima divenisse l’oggetto dei desiderj, e degli sforzi di chiunque appartener non voleva alla povera, e industriosa Plebe. Mecenate fu, secondo il rettissimo giudizio di Seneca, un soggetto dotato di eccellenti qualità sì di spirito che di cuore, ed [p. 201 modifica]sarebbe altresì potuto riuscire un grand’uomo s’ei non si fosse a bella posta corrotto da se medesimo, e non avesse cercato di farsi un merito col dimostrarsi ancor più delicato, e voluttuoso di quel che lo era in sostanza3. Il suo discorso non era meno molle, e men deformato da non virili ornamenti di quel che lo fossero il suo vestiario, i suoi ornamenti, il suo modo di camminare, il suo corteggio, e tutta la sua casa; nulladimeno imitavasi così generalmente la singolare voluttà del primo come l’effemminatezza, ed il fasto degli ultimi4. Anche in mezzo al maggior tumulto delle guerre civili, durante le quali teneva Mecenate in Roma, e in Italia i luogo d’Augusto, egli non compariva giammai nel Foro, nella Tribuna, o sulla Sedia Curule senza avere il capo ben coperto da una fascia a somiglianza degli Schiavi Lacchè o Volanti de’ Ricchi, che venivano rappresentati in sul Romano Teatro. A quei stessi tempi, in cui la Città era tutta in armi, e ripiena di angosciose inquietudini l’amico di Augusto, il quale aveva in mano l’autorità del suo potente Monarca, non usciva mai del proprio [p. 202 modifica]palazzo se non se appoggiato a due Eunuchi; che dimostravansi ancora più uomini di lui5; Mecenate peraltro a malgrado della possanza, e delle ricchezze, colle quali Augusto lo premiava, e degli innumerevoli nuovi comodi, e piaceri, la cui scoperta, ed estensione gli stavan più a cuore, che il ristabilimento dei costumi, e delle virtù degli antichi Romani trovar non sapeva quella soddisfazione, e quel riposo aspettato da lui, ed in parte dovuto a’ suoi meriti. Indarno egli cercava di sollevare l’oppresso suo cuore col mormorio di acque cadenti, e colle più dolci sinfonie di lontane voci, e istrumenti; egli dormiva sulle più morbide piume, come se fosse sulla croce6. Lo tormentavano oltremodo i capricci, e le infedeltà della sua Terenzia, la quale sebbene fosse da lui amata colla maggior tenerezza (a segno tale che, come dice Seneca, tornò con essa a congiungersi mille volte in matrimonio), pure lo ripudiava ogni giorno ad effetto di meglio darsi bel tempo con [p. 203 modifica]Augusto7. Solamente un molle tal carattere manifestar poteva il desiderio, da Seneca a ragione chiamato vergognoso, cioè che la Natura lo rendesse storpio nelle mani, nei piedi, ed in altre parti del corpo, lo deformasse con una gobba, e cader gli facesse tutti i denti, purché lo lasciasse in vita, asserendo che la medesima gli sarebbe stata cara quando anche avesse dovuto pendere dalla croce; o rimaner confitto sopra un acutissimo palo8.

I molli, e galanti Romani, che seguirono l’esempio di Mecenate, e in appresso quelli di Caligola, di Nerone, di Vero, e d’Eliogabalo, oltrepassarono tanto i più folli Ganimedi delle nostre maggiori Metropoli, quanto i Romani Voluttuosi, e Crapuloni si lasciano addietro i loro emuli dei tempi moderni. Un molle, e galante Romano stava tutto il giorno tra le donne, scriveva, e leggeva lettere amorose a ogni tavola, ed in tutte le conversazioni, non ignorava le avventure degli amanti, e la storia di tutti gli [p. 204 modifica]equipaggi, e cavalli da corsa, cantava o sotto voce mormorava dolci, e lascive canzoni di Gadi e d’Alessandria9, impiegava nel vestirsi e nell’adornarsi la medesima diligenza, e lo stesso tempo, di cui facevan uso le più vane, donne, ed era nel camminare, nel gestire, in tutto il restante modo di vivere più molle e svenevole delle più tenere, e delicate Romane. Gli Uomini, ed i Giovani ponevano in opera, come le Donne, tutti i rimedj che riputavansi efficaci a rendere, e conservare morbida, e liscia la pelle. Per conseguente essi fregavansi ancora il viso con umida midolla di pane e strofinavansi giornalmente tutto il corpo; ed alcuni Zerbini si strappavano perfino tutti i peli della lor prima gioventù da ogni parte del volto, non che dal mento, onde [p. 205 modifica]esser privi di barba, o almen non averne alcuna, che fosse visibile10. Se l’Imperatore Ottone non tralasciò neppur al Campo la pratica della suddetta impastatura del viso, e strofinamento di ogni parte del corpo, conforme racconta Giovenale11, egli si rese senza dubbio molto più dispregievole di Poppea amante di Nerone, la quale manteneva copiose mandre di Asine, e seco le conduceva in tutti suoi viaggi di diporto, ad oggetto di bagnarsi nel loro latte12. Non men vergognose delle summentovate usanze erano le stomachevoli, ed incomode medicine che prendevano i Giovani Romani, e la maggior parte degli Oratori sulla persuasiva di rendere, e mantener pura, e chiara la loro voce,13 ed oltre a queste le più volte al giorno ripetute unzioni di tutto il corpo con acque odorifere, ed oleosi unguenti, che tanto più venivano stimati, e applauditi quanto più erano densi14. Lo stesso Ottone, che fu in seguito [p. 206 modifica]Imperatore, si rese benemerito a Nerone per maravigliosa scoperta fatta da lui che potevan ungersi con unguenti anche le piante de’ piedi15.

Doveva certamente riuscir difficile anche alle stesse donne oltremodo vane della loro capelliera, e dell’assetto del loro capo il superare gli Uomini, e i Giovani descritti da Seneca nel seguente passo.16 Puoi tu, dice egli, chiamare oziosi coloro, che passano molte ore sotto le mani del parrucchiere, nel mentre che con gran premura si consigliano in qual modo accomodar si possa ogni capello, riordinare i scomposti ricci della lor chioma, e adattarla su quei luoghi della fronte ove questa n’è mancante? Come non montano in collera tali Persone allorchè il parrucchiere si è mostrato in qualche parte alcun poco negligente, se in altra ha tagliato contra la moda diversi capelli, o non gli ha convenevolmente ridotti ad anelli? Chi vi è mai fra costoro, il quale non desideri che vada piuttosto in iscompiglio tutto lo Stato che la sua chioma, che non si prenda maggior pensiere dell’assetto del proprio capo che del pubblico Bene, e che non ami di comparir piuttosto [p. 207 modifica]eleganteche virtuoso, e leale? - Quelli, che per malattie, o disordini perduta avevano una parte della loro capellatura facevan uso di parrucche o giri di stranieri capelli, e gli altri al contrario, i quali mediante una bella, e folta chioma gareggiar potevano colle Donne, e colle Fanciulle, la cuoprivano al pari di queste con auree reti17. Siccome i Romani zerbini erano soliti di tingersi di nero le ciglia, e gli occhi medesimi18, così non dee recar maraviglia se costoro con varie sorti di amido, e di polvere, alteravano eziandio il colore dei loro capelli, e se alcuni di essi vi spargevano perfino della polvere d’oro onde non essere da meno delle Signore Romane, le quali si adornavano il capo con biondi ricci di giovani Tedeschi19. Se si eccettuano gli orecchini, e i monili proprj delle sole donne, e composti delle più insigni perle, e pietre preziose, non avevano esse rispetto alla ricchezza delle stoffe, e degli abiti, nè riguardo alla moltitudine, e bellezza degli anelli, dei smanigli, e delle scarpe niente più di quello che portavano i Vecchi, e i Giovani Romani20. Vien notato, come cosa [p. 208 modifica]straordinaria, che il medesimo Caligola, il quale adornavasi da capo a piedi alla foggia delle donne, e che qualche volta veder facevasi vestito, ed abbigliato qual Venere, abbia eziandio fatto uso di smanigli d’oro laddovecchè ai tempi di Plinio per lo contrario questo muliebre ornamento era già divenuto di moda, e comune tra gli effemminati Romani21. Non meno generale tra i contemporanei di Plinio, e di Marziale si rese il costume di caricarsi tutte le dita, toltone il medio, ed ogni articolo delle medesime di superbi anelli, nei quali il lavoro dell’arte era comunemente molto più valutabile delle rare, e nobili pietre22. Questa barbarica [p. 209 modifica]pompa sorprendeva tanto più i pochi sensati Romani in quanto che nei tempi della libertà gli stessi Senatori non avevano per qualche Secolo portati mai anelli d’oro, ma soltanto di ferro. Gli anelli d’oro venivano dal pubblico Erario concessi unicamente agli Ambasciatori, che spedivansi a straniere Corti, e Nazioni, ond’essi ne facessero uso nella sola circostanza in cui parlar dovevano, ed agire in qualità d’inviati del Popolo, e del Senato Romano. Lo stesso Cajo Mario non portò fino al suo terzo Consolato altro anello che di ferro, e nella famiglia dei Quinzj non era neppur permesso alle Donne il far uso di anelli d’oro, e di altri ornamenti questo stesso metallo.

Se i molli Romani, non vincevano ancora le proprie Donne contemporanee circa alla finezza dei drappi con cni vestivansi, ed alle frequenti mutazioni degli Abiti, e delle diverse foggie dei medesimi, le superavano certamente per riguardo alla loro sontuosità, [p. 210 modifica]e magnificenza. Fin dal tempo di Tiberio era divenuto così comune, e dominante il costume di portare abiti trasparenti di seta, o piuttosto inttessuti con un sottil filo di cotone, ed uno di seta, che si cercò benchè indarno di abolirlo nel sesso maschile23. Caligola veder facevasi in pubblico con abiti di seta, alcuni dei quali erano ricamati, e guarniti di pietre preziose, ed egli fu il primo ad usare certe vesti con lunghe, e larghe maniche, che scendevano sopra le mani, ed oltre a queste muliebri scarpe o calcetti adorni di perle sino alle piante24. Tali disonorevoli, e non virili costumanze non solamente erano praticate dalla Gioventù, o da alcuni Imperatori, i quali segnalar volevansi in tutto ciò, che sapeva di stravagante, ma altresì dai Membri più rispettabili de’ Magistrati. Giovenale rimprovera quindi in molti luoghi ai Giudici del suo tempo i loro trasparenti, o vario-pinti, e ricamati vestiti25, e biasima il Popolo Bomano perchè questi non facesse stima degli Oratori, e dei Curiali qualora i medesimi non risplendessero per seta, porpora, ed anelli di gran valore. Allo stesso Cicerone, dice egli, nessuno darebbe al presento dugento denari se il medesimo non avesse in dito uno stupendo anello26. Con la mollezza, ed il lusso nacque la smania delle mode, o il [p. 211 modifica]derio di adottare straniere foggie di vestire. Si abbandonò del tutto l’antico abito Romano, e, si prese in sua vece il Greco, l’Orientale, ed il Gallico, come in appresso anche il Gottico, e il Franco. 27 Eliogabalo fu il primo a far uso di vestiti composti interamente di seta mentre quelli, che si erano veduti fino al suo tempo, non ne avevano che soltanto l’ordito o il ripieno. Dopo la morte di quest’Imperatore tali abiti divennero di giorno in giorno più comuni, ma essi erano ancora così preziosi sotto Aureliano  4 che una libbra di seta filata equivaleva a una libbra d’oro; motivo, per cui egli non volle permettere neppure alla sua Sposa di portar abiti di seta, o altri di simil genere28. Eliogabalo sfoggiava in certi Vestiti, che per essere di broccato, e carichi di pietre preziose riuscivano in tal modo pesanti, ed incomodi che egli stesso diceva di restare oppresso sotto il peso del piacere.29 Questo medesimo Imperatore volendo spingere al più ridicolo eccesso il fasto, e la magnificenza, fece dai migliori artefici guarnire inclusive le proprie scarpe colle più rare, e preziose gemme, di cui, per essere esse poste sui piedi non potevasi abbastanza ravvisar la bellezza30. [p. 212 modifica]Le perle, e le pietre preziose, e i ricchi drappi erano però il solo peso, che il lusso e la moda rendevano sopportabile, e caro ai Romani, mentre restava poi loro di troppo incomodo il portare, e reggere il proprio corpo. Essi giacevano la notte sui loro letti con ugual morbidezza che alle loro tavole, o nelle loro lettighe fornite di soffici cuscini, e che secondo il costume Orientale eran portate sulle spalle da sei, oppure otto Schiavi. I loro guanciali, o cuscini non eran da essi fatti solamente riempire delle più tenere piume, o di crini, ma altresì delle foglie de’ più rari, ed odorosi fiori, quali Eliogabalo faceva persino spargere nelle sue stanze, e ne’ suoi viali coperti, onde aver il piacere di passeggiar sui medesimi.31 Spesse volte i molli Romani non volevano neppure sforzarsi tanto quant’era necessario per accostarsi a tavola, o per entrare in lettiga coi propri piedi, ma facevansi portare all’una o nell’altra sui lor guanciali. Se mai essi si risolvevano di far qualche passo colle lor gambe, allora si appoggiavano sempre ad alcuni schiavi nell’atto stesso che altri di simil gente gli precedevano, ed avvisavano [p. 213 modifica]tostochè presentavasi qualche piccola prominenza, o cavità riuscendo loro di soverchia pena il far uso eziandio dei proprj occhi.32 Seneca deride uno di tali molli Romani, il quale allorchè veniva in lettiga ricondotto dal bagno domandava a’ suoi Schiavi se già egli stesse a sedere? Tanto aveva costui perduta la cognizione del proprio stato, o almeno affettava l’aria di una totale dimenticanza di se medesimo che il detto Scrittore non senza ragione rimaneva dubbioso se quello sciaurato fosse più da compiangersi nell’uno, o dell’altro caso33. I molli Romani si facevano finalmente, come gli Orientali, far vento dai loro schiavi con ventagli preziosi, e secondo il costume degli stessi popoli premere, e strofinare la pelle affinchè non deperisse interamente l’elasticità dei muscoli, e che la circolazione degli umori non andasse incontro ad un total ristagno per mancanza di moto.34

Note dell'autore

  1. Senec. Ep. 86. in quas (piscinas) multa sudatione corpora exinanita demittibus. — Non hanc (temperaturam) quae nuper inventa est, similis incendio. Adeo quidem ut convictum in aliquo scelere servum vivum lavari oporteat. Nihil mihi videtur jam interesse, ardeat balneum an caleat.
  2. bracteata felicitas.
  3. Senec. epist. 114.
  4. Seneca nell’Epistola 114 adduce tali prove delle deliciis portentosissimae Orationis di Mecenate le quali giustificano pienamente il severo giudizio, che tant’esso quanto Tacito, e Quintiliano hanno espresso rapporto al di lui stile.
  5. ib.
  6. Senec. de provid. c. 5. Feticiorem ergo tu Maecenatem putas, cui amoribus anxio, et morosae uxoris quotidiana repudia deflenti per symphoniarum cantum ex longinqu bene resonantium quaeritur? Mero se licet sopiat, et aquarum fragoribus avocet, et mille voluptatibus mentem anxiam fallat: tam vigilabit in pluma, quam in cruce.
  7. Qui uxorem millies duxit cuin unam habuerot. Ep. 114;
  8. Senec. Ep. 101.

    Debilem facito manu,
         Debilem pede, coxa:
         Tuber adstruc gibberum,
         Lubricos quate dentes.
         Vita dum superest, bene est.
         Hanc mihi vel acuta
         Si sedeam cruce, sustine.

  9. Mar. III 62.

    Cotile, bellus homo es: dicunt hoc, Cotile, multi.
         Audio, sed quid sit, dic mihi bellus homo?
         Bellus homo est, flexos qui digerit ordine crines:
         Balsama qui semper, cinnama semper olet:
         Cantica, qui Nili, qui Gaditana sussurat:
         Qui movet in varios brachia volsa modos:
         Inter foemineas tota qui luce cathedras
         Desidet, atque aliqua semper in aure sonat:
         Qui legit hinc illinc missas, scribitque tabellas:
         Pallia vicini qui refugit cubiti:
         Qui scit, quam quis amet, qui per convivia currit:
         Hirpini veteres qui bene novit avos.
         Quid narras? hoc est hoc est homo, Cotile, bellus?
         Res praetricosa est, Cotile, bellus homo.

  10. Sueton. in Othone. c. 12.
  11. II. 104. Sat.

    Nimirum summi ducis est occidere Galbam,
         et curare cutem summi constantia civis;
         Bebriaci campo spolium affectare Palati
         et pressum in facie digitis extendere panem.
         Quod nec in Assyrio pharetrata Semiramis orbe
         moesta nec Actiaca fecit Cleopatra carina.

  12. Plin. Hist. Nat. Lib. 28. c. 12.
  13. Plin. I. c. vide et Casaubon. ad Pers p. 67. 267.
  14. Plin. XIII. 3. sed quosdam crassitudo ( unguenti) maxime delectat, spissum appellantes: linique jam, non solum perfundi unguentis gaudent Senec. Ep. 86. Parum est sumere unguentum, ne bis die terque renovetur, ne evanescat jn corpore.
  15. Plin. loco modo citato.
  16. De Brevit. vitae. c. 12.
  17. II. 96. Juven. Svet. in Oth. c. 12.
  18. Juvenal. II. v. 93-95
  19. c. 10. Capitol. in Vero.
  20. Prima di Seneca le Romane portavano ad ogni orecchio una grossa perla legata in oro. Al tempo di quest’Autore al contrario ogni orecchino conteneva duo grosse perle, le quali venivano stimate quasi quanto altrettanti considerabili poderi. De Benef. VII. 9 Video uniones, non singulos singulis auribus comparatos: jam enim exercitate aures oneri ferendo sunt: junguntur inter se, et insuper alii binis supcrponuntur. Non satis muliebris insania viros subjecerat, nisi bina ac terna patrimonia auribus singulis pependerint. Le gioje, che Lolia Paolina  3 sotto il governo di Caligola portava soltanto agli usuali banchetti, eran costate un mezzo milione di talleri. Plin: Lib. 9. c. 35. Plinio il vecchio lagnavasi in simil modo che le immense somme di denaro, le quali si spendevano nella compra delle perle preziose, e degli aromi impoverissero lo Stato Romano, e seppellissero le sue ricchezze nell’Arabia, e nell’Indie.
  21. Sueton. in Calig. c. 52 Plin. XXXIII. 3. che i Romani usavano per rispetto alla moltitudine dei loro anelli.

    » Uno cum digito vel hoc vel illo
    » Portet Stella meus decem puellas.

    Tre gemme peraltro in ogni dito, compreso anche il piccolo, non erano una cosa straordinaria. Plin. 1. c. Se alcuni Romani si cambiarono perfino undici volte di vestito ad un sol banchetto, come dice Marziale, V. 81 Ep., essi superarono senza dubbio il barbarico fasto degli Orientali, e dei Negri. che anticamente gli abiti ricamati si dispensavano soltanto dagli Imperatovi ai Generali, o ai Comandanti delle Provincie, e che il vecchio Gordiano  5 fu il primo che cominciò a portarli senza avergli ottenuti in premio dalla Corte. Capitol. in Gord. c. 4.

  22. Lucian. II. 720. Plin. XXXIII. 1. Mart. V. 12. L’ultimo esagera certamente la magnificenza,
  23. II. 33. Tacit. Annal.
  24. c. 52. Svet. in Calig. Plin. L. 37. c. 3.
  25. II. 65. 66, VII. 140. X. 37 et seq.
  26. VII. 135-145. e soprattutto il 140.
  27. Svet. l. c. e Gell. XIII. 21.
  28. Vospiscus in Avrel. c. 35 et ibi Salmas.
  29. Lamprid. c. 23 in Heliog.
  30. Ib. Io non posso coll’addotte testimonianze combinare un passo di Capitolino ove egli dice
  31. Lampr. 19, 28. c.
  32. Lucian. l. p. 76.
  33. De Brev. vit. c. 12.
  34. Mar. III. 82.

Note del traduttore

  1. [p. 297 modifica]Mecenate discendeva dagli antichi Re d’Etruria, e morì otto anni prima della venuta di Gesù Cristo. Rapporto a questo famoso Cavalier Romano può vedersi ancora, oltre a quanto ne racconta il Sig. Meiners, la bell’Opera di Meibomio, intitolata Mæcenas, sive C. Clinii Mæcenatis vita, moribus, et rebus gestis.
  2. [p. 297 modifica]Nell’Istoria della Romana Repubblica si leggono varj esempi d’illustri Cavalieri, e Senatori Romani, i quali dai Censori vennero sbalzati dal loro ordine, e di più dichiarati infami a motivo dell’eccessiva loro mollezza, e delicatezza feminile. Rollin.
  3. [p. 297 modifica]Lollia Paolina era Figlia di M. Lollio, e moglie di Memmio uomo consolare, e reggente dell’esercito. Avendola Caligola fatta venire in Roma per aver inteso parlare della rara bellezza di cui era un giorno dotata la sua Nonna, obbligò il proprio suo marito ad unirla seco lui in matrimonio, ed essa fu la terza sua moglie. Egli per altro dopo breve tempo se ne annojo in [p. 298 modifica]modo che al pari della seconda la ripudiò per sposare Cesonia con cui stette fino alla morte. Suet. in Calig.
  4. [p. 298 modifica]Aureliano nacque da oscuri Genitori in una Città della Pannonia, o come alcuni vogliono della Dacia, e fu dai soldati eletto Imperatore nell’anno 270. dell’Era Cristiana. Benchè egli non regnasse che quattro anni, e mezzo, essendo stato ucciso non lungi da Bisanzio per opera di Mnesteo suo Notaro, tuttavia uguagliò nella gloria militare i più famosi Generali, ed Imperatori Romani, avendo distrutto affatto i Marcomanni, popoli della Germania, presso Pavia, e vinta, e condotta a Roma in trionfo la famosa Zenobia Regina di Palmira . Vopisc. in Aurel. Eutrop. Lib. 9.
  5. [p. 298 modifica]Il vecchio Gordiano era oltre alle sue immense richezze uno dei membri più rispettabili del Senato di Roma, poiché dal lato materno ei discendeva dall’Imperator Trajano, e da quello del padre dai Gracchi. I suoi meriti personali, e la saviezza colla quale si regolò nel suo proconsolato d’Africa diedero motivo ai Sollevati di quella provincia contro Massimino di eleggerlo Imperatore unitamente a suo Figlio. Dopo due mesi incirca però dacchè questo aveva avuto luogo, essendo Egli stato informato che il predetto suo figlio era rimasto vinto, ed ucciso in battaglia da Cappelliano Governatore per Massimino [p. 299 modifica]della Mauritania fu sorpreso da tale ambascia, e spavento che si tolse disperatamente la vita nella propria casa in età di anni 80. Herod. Lib. 7. Capit. in Gord.