Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani/Capitolo IV

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Capitolo IV

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IV.

Della Leconeria, voracità, e Crapula
dei Romani.


Se la voluttà dei Romani avesse potuto essere superata da qualche vizio alla medesima intimamente congiunto, lo sarebbe stata senza dubbio dalla crapula dei Grandi, la quale ai corrotti Popoli, che ne son venuti in appresso, si rese ancora più inarrivabile della stessa Romana voluttà. I Paesi, dai quali raccoglieasi tutto ciò, che soddisfar poteva il palato dei golosi Romani, rimanevano così distanti; la quantità del denaro, che veniva divorata dalla continua crapula, e spesa persino in particolari banchetti, e vivande giungeva ad un grado così mostruoso, ed enorme; l’arti, con cui si preparavano le più stimate leconerìe, si risvegliava lo stanco appetito, e sollevavasi l’oppressa natura, erano così varie ed innaturali; molte delle più celebri vivande riuscivano così nauseanti, ed orribili; l’eccesso in fine del godere, come il modo stravagante di vivere di ogni Crapulone divennero così dispendiosi, e nocivi, che anche le più robuste complessioni, e gl’immensi tesori dei [p. 161 modifica]Romani regger non potevano lungamente al furore dei loro eccessivi desiderj, e appetiti. Al maggior segno sfrenato, come osserva Tacito, fu il lusso dei Romani banchetti nel secolo, che scorse dalla vittoria Aziaca fino al governo di Galba1. In seguito però esso diminuì di molti gradi per diverse cagioni. Le famiglie nobili, e ricche non avevano più bisogno di fare una grande spesa pel mantenimento dei Clienti, ch’esse una volta tenevano presso i Re dipendenti da Roma, e gli altri Alleati, non meno che tra lo stesso Popolo Romano; ed una straordinaria profusione eccitava piuttosto l’invidia, e l’avarizia dei Tiranni, e de’ loro Spioni, e riusciva per conseguente pericolosa a quei, che la praticavano. A ciò si aggiunse altresì che molti facoltosi delle Colonie, e delle Provincie, che erano stati ammessi nel Consiglio, seguitarono a conservare la loro antica frugalità, e parsimonia, e che principalmente Vespasiano diede l’esempio di una fin allora inaudita moderazione, ed economia2. La maggior parte delle testimonianze, e dei fatti, che avrò luogo di addurre in appresso, faranno certamente conoscere che ancor dopo Nerva, e perfino dopo Vespasiano furono sempre sotto molti dei diversi Governi emulati, ed anche superati i più famosi Ghiottoni dei tempi anteriori; ma è [p. 162 modifica]ugualmente indubitato che verso la fine del terzo Secolo, e molto più nel quarto la golosità dei Romani erasi notabilmente diminuita, laddove la voluttà, la mollezza, e la poltroneria andarono sempre crescendo, o almeno si mantennero nello stesso grado di prima. Macrobio  1 si maraviglia delle cospicue somme di danaro, che già nell’ultimo Secolo della Repubblica venivano spese per la compra di alcuni piccoli pesci, che a tempo suo si potevano ottenere con poco, e confessa, facendo l’elogio dell’età sua, che allora non si conoscevano neppur di nome la massima parte delle leccornìe accennate da Siila nella suntuaria sua Legge3. La decadenza dello Stato trasse seco ancora quella delle immense ricchezze delle primarie famiglie, cosicchè niuna delle medesime era più in grado, come nel primo Secolo dopo la nascita di Cristo, di profondere botti d’oro nei momentanei piaceri della gola.

Per quanto grande sembrasse a Macrobio la golosità dei contemporanei di Siila, tuttavolta non era dessa che un piccol principio, o un preludio di quella, che alzò il capo sotto [p. 163 modifica]Augusto, e Tiberio; e per cui tutti i maestri di ghiottornia, che eransi acquistati un nome negli ultimi tempi della Repubblica, disparvero immantinente a fronte di quei famosi Crapuloni, che fiorirono sotto Angusto, ed i suoi Successori, e tra i quali Apicio, Ottavio, e Nomentano furono i primi4. Col mezzo di tali Soggetti i Romani conviti divennero vere feste, a cui da molte centinaja, e migliaja di mani si procacciavano i tesori, e le rarità di tutti i Paesi, e di tutti gli elementi, o suntuosi spettacoli, ove si riunivano tutti gli altri piaceri favoriti dei Romani, e dove ogni altro senso, oltre a quello del gusto, ne rimaneva soddisfatto, e contento5. Con moltopiù di ragione si è quindi impiegato il nome di Apicio  2 per indicare un dotto, e suntuoso parasita di quel che siasi fatto del nome di Mecenate onde esprimere un nobile, e generoso protettore dell’Arti, e Scienze. Apicio fu l’inventore d’innumerevoli per [p. 164 modifica]l’avanti ignote leccornìe, e non solo col suo esempio egli insegnò ai Romani il modo di mangiar con gusto, e banchettare i proprj amici, ma ridusse altresì in forma di Scienza l’Arte del cucinare, e ne diede a voce, ed in iscritto istruzioni a’ suoi contemporanei, avendo la superbia di voler essere considerato come il primo parasita, e maestro di stravizzo del Popol suo. Apicio aveva in conseguenza più scolari, e seguaci che tutti i filosofi presi insieme; imperocchè Seneca si lagna che da costui corrotta si fosse l’età sua, istigata la gioventù ad imitarlo, e strascinata tutta la Città nell’intemperanza6. Dopo che quest’uomo pernicioso ebbe sciupato un capitale di tre millioni e mezzo di Talleri, e fatti perciò enormi debiti7, [p. 165 modifica]intraprese fìnalmente ad esaminare le sue finanze; e quando vidde che pagando tutti i propri creditori non gli rimanevano che 250000 Risdalleri  3, allora egli inghiottì il veleno quasi che col resto delle sue sostanze avesse dovuto vivere nella maggiore indigenza. Tra tutti gli altri parasiti di quel tempo non ve ne fu alcuno, il quale superasse Apicio nell’invenzione, e nel gusto. Ottavio peraltro si procacciò gran fama per aver comprato un Barbo (mullus) di cinque libbre e mezzo ad un prezzo maggiore di quello già offerto da Apicio, vale a dire per dugentocinquanta Risdalleri8. Questo pesce maraviglioso era stato dal pescatore portato a Tiberio, come se desso gli sembrasse unicamente degno di mangiarlo; ma l’avaro Imperatore lo spedì subito al mercato dicendo che Apicio, oppur Ottavio, che da lungo tempo gareggiavano tra loro nel comprare a più caro prezzo i migliori cibi, ne avrebbe sicuramente fatto l’acquisto9. [p. 166 modifica]

Tra gli incoronati Crapuloni, che dopo Tiberio dominarono lo Stato Romano, ve ne furono senza dubbio alcuni, i quali inventarono qualche nuova vivanda, o portata di vivande, e che segnatamente spendevano e potevano spendere in interi banchetti, e particolari vivande assai più di Apicio, e degli altri golosi del tempo suo. D’altronde si può peraltro ammettere che costui è stato del continuo il modello dei Romani Ghiottoni, e che oltre ai varj gradi del costo, e della sontuosità dei differenti manicaretti egli additò ancora, e stabilì il modo di servire a tavola, le decorazioni delle stanze ove si mangiava, i divertimenti che avevano luogo intorno alla mensa, e tutto il sistema di vivere dei Crapuloni. Seneca non solo chiama Apicio maestro, e capo dei Romani parasiti, ma parla altresì di tutte le importanti arti, ed invenzioni della Romana intemperanza, che nella sua età o poco prima furon scoperte, e renderonsi dominanti. Anche gli Scrittori dei susseguenti tempi fanno espressamente menzione degli sforzi, che furono fatti da qualche [p. 167 modifica]Emulo di Apicio circa al correggere, o ampliare la sublime Scienza dei Pappatori.

Il mostruoso, ed inimitabile eccesso della Romana Ghiottornia si rileva principalmente dalle quasi incredibili somme di danaro, che dagli Imperatori, e dai ricchi privati spendevansi nei banchetti solenni, e perfino nei quotidiani piaceri della lor tavola. Siccome ai tempi di Seneca niuno dei primarj Romani, per quanto fosse economo, e moderato, poteva, nel prender posseso di qualche importante impiego, dare un banchetto, il quale costasse meno di 75000 Risdalleri, così si può facilmente congetturare che coloro, i quali facevan pompa della loro straordinaria profusione, ed intemperanza ugualmente che della enormità degli altri lor vizj10 abbiano in tali occasioni fatta una spesa due o tre volte maggiore di quella testè accennata. Nella stessa età di Seneca si trovavano pure non poche persone, le quali soltanto per compiacer se medesime, e i proprj amici profondevano nelle loro consuete cene quello, che formar doveva il capitale di un Cavalier Romano.11 [p. 168 modifica]Prima li quella famosa disfida della più alta ghiottornìa, che Cleopatra ebbe con Antonio, ella promesse di voler imbandire un convito, il quale costasse dugentocinquantamila Talleri. Antonio, che era il maggior Crapulone degli ultimi tempi della Repubblica, opinò che una si fatta proposizione aveva dell’incredibile, e Cleopatra medesima non potè in altro modo mantener la data parola se non col fare ad uno dei suoi soliti banchetti disciogliere nell’aceto, e quindi prender in bevanda una delle sue perle, che eran uniche a cagione della loro beltà, e grossezza. 12 Quello che però parve incredibile ad Antonio, e che Cleopatra stessa non aveva saputo mandare ad effetto senza la distruzione di una gemma superiore a ogni stima, lo eseguì realmente Caligola. Costui avendo messo alla prova l’invenzione di tutti i Ghiottoni di Roma, potè mediante il loro ajuto imbandire un banchetto, che costò tre botti e mezzo d’oro, eppure, secondo la testimonianza di Seneca, anche quest ’illustre dissipatore stentò di trovare il modo di profondere il tributo di tre Provincie in un solo convito13. [p. 169 modifica]Nerone non istraviziava con minore splendidezza di Caligola, e costringeva i primarj Romani a trattarlo con ugual pompa. Ad uno di quei banchetti, a cui egli si era invitato da se medesimo, le sole ghirlande composte dei più bei fiori, e asperse de’ più preziosi balsami costarono una botte d’oro, e ad un altro ascesero eziandio ad una maggior somma14 quelle di rose, che in tempo d’Inverno facevansi venir dall’Egitto15. Vitellio peraltro, che a ragione venne nominato qual Principe delle golosità16, superò tutti gli anzidetti suoi famosi Predecessori. Questo mostro del pari vorace che ghiotto dissipò in [p. 170 modifica]chi mesi una somma di oltre a ventidue millioni di Talleri, e mandò in rovina le più illustri famiglie poichè invitavasi da se medesimo alle lor tavole, ed i sontuosi banchetti erano il solo mezzo cade acquistarsi la di lui grazia17. Siccome Caligola era stato sommamente ingegnoso nella scoperta dei tormenti, così Vitellio lo fu solamente nel soddisfare l’insaziabil suo ventre. Egli inventò molte vivande, e specialmente certi manicaretti, che sino al tempo di Dione Cassio  4 avevano il nome di Vitelliani; e procurò che fosse terminato un celebre vassojo, che a cagione della sua sorprendente, e non mai imitata grandezza fu chiamato lo scudo di Minerva, e che eziandio sotto il governo di Adriano veder facevasi come un prodigio dell’Arte18. Il contenuto di questo vassojo era ancor più valutabile del vassojo stesso; imperocchè veniva esso riempito di leccornie, che costavano perlomeno 25000 Risdalleri19. Se gli altri conviti, che imbanditi [p. 171 modifica]furono dallo stesso Vitellio, e da altri dei primarj Romani apparvero solamente da lungi simili a quello, che diede il fratello del detto Imperatore, ed in cui si portarono in tavola duemila dei più scelti pesci, e settemila dei più rari volatili, non dee recar maraviglia se sotto il breve governo di Vitellio, conforme narra Dione Cassio, nascesse una tale straordinaria rarità, e carezza delle più squisite leccornie che quelli, i quali nondimeno desideravano di farne acquisto, dovevan col doppio di spesa farle venire dalle più remote contrade.

Vero, collega di Antonio il filosofo, fece tutto ciò che potè per agguagliare Caligola, Nerone, e Vitellio. Egli solennizzò tra gli altri un convito detto degli Dei  5, nel quale, come i di lui antecessori, distribuì a’ suoi undici commensali superbe ghirlande di fiori, animali rari, vasi e tazze d’oro, e d’argento tempestate di pietre preziose, cocchj cerchiati d’argento, ed altre cose di gran valore. La spesa peraltro di tutto questo convito non fu stimata che di 12000 Risdalleri20. Eliogabalo al contrario superò tanto Vitellio nelle sue golose invenzioni quanto Apicio nell’arte di dissipare. Questo voluttuoso Assiro non contento di porgere a’ suoi commensali le più squisite [p. 172 modifica]leccornie ne accresceva altresì il pregio colle più signorili perle, e pietre preziose, con cui le mescolava, o guarniva, ed oltre a queste con donativi di avvenenti schiavi o schiave, e di stupendi equipaggi. Lo stesso Monarca non solo presentar faceva ai suoi commensali ghirlande, ed acque odorose, ma col mezzo di certe macchine poste nella soffitta della Sala de’ banchetti gli ricuopriva talmente di alte montagne di rose, viole, e d’altri fiori che alcuni non potendone uscire vi rimanevano soffocati21. Eliogabalo non pago inoltre dei sinallora inventati divertimenti, che accompagnar dovevano qualunque convito, aggiunse lor sempre le corse de’ [p. 173 modifica]cocchj. Ei stabilì pure varj premj per coloro, che inventato avessero nuove leccornie, rallegravasi all’udire che qualche vivanda fosse costata una somma esorbitante, dicendo che il più alto costo de’ cibi formava la lor maggiore attrattiva22, e finalmente volle esser dipinto come Cuoco, Profumiere, Oste, e Ruffiano23. Dopo Eliogabalo vi furono molti altri Imperatori, i quali di buon grado tentarono spesso di farsi conoscere più crapuloni, e dissipatori di quello che lo erano infatti; ma essi rimasero di gran lunga inferiori ai da me riferiti attesochè i vizj dei loro antecessori avevano esaurite quasi affatto le facoltà, e le risorse di tutto lo Stato24.

I Romani Ghiottoni non solo percorrer facevano tutti i Paesi, ed i Mari ad oggetto di raccoglierne le delizie degne della lor tavola, ma aspiravano essi molto più al vanto, lo che fu sempre un segno della maggiore intemperanza, di esibire ai lor commensali cibi rari, e di gran valore piuttostochè saporiti, e gustosi. Maledetti, esclama Seneca, siano coloro, la di cui ingordigia oltrepassa perfino i limiti di questo vasto, e [p. 174 modifica]invidiato Impero; che fanno ricercare al di là del Fasi, e dell’Eufrate le cose preziose, che brillar deggiono sulle lor tavole; e che finalmente non estimano tutte le vivande a proporzione del lor buon gusto, e sapore, ma secondo il lor costo, e la difficoltà di ottenerle25. Caligola, conforme Nigrino dice egregiamente presso Luciano26, cercava di acquistarsi un onore particolare con questi solecismi di golose compiacenze del pari che colla pratica di tutto ciò che è stravagante, e non naturale; e perciò di quì ebbe origine l’uso di bevere le perle disciolte nell’aceto, e ne nacquero quelle mostruose vivande, di cui Svetonio fa menzione in uno degli addotti suoi passi. Quando Vitellio fu sicuro della sua vittoria sopra Ottone allora a null’altro si pensò che a raccogliere da ogni confine dello Stato, o secondo la favorita espressione degli Scrittori Romani, dal Mar Carpazio fino alla spiaggia dell’Oceano tutto ciò che era capace di appagare la voracità del suddetto nuovo Monarca. Tutte le Squadre navali, e i [p. 175 modifica]Comandanti vennero occupati nella ricerca, e provvista di leccornie, e tutte le strade, che dai due Mari conducevano a Roma, eran coperte di vetture cariche per le cucine della Corte, e dei Grandi27. Difatti è fuor di dubbio che dovevano essere poste in moto molte migliaja di mani ad oggetto di riempire lo scudo di Minerva di latte di Scaro, e di Murene, di cervella di Fagiani, e Favoni, e di lingue di Fenicotteri28.

Comodo faceva spesso mescolare coi più squisiti cibi le più stomachevoli suciderie, ed aveva perfino il coraggio di mangiarne29. Oltremodo schifosa fu al certo quella invenzione, che un giorno gli venne in mente, di fare, cioè portar in tavola in un gran bacile di argento due Gibbosi aspersi di senapa  6. Eliogabaio credeva che fofse una cosa troppo volgare il mangiare, e porgere a’ suoi commensali le rare, e costose leccornìe de’ suoi antecessori, vale a dire piedi di Cammelli, creste di Polli, cervella di Fenicotteri, di Pavoni, di Fagiani, e di Pappagalli, e latte, e fegato dei più eccellenti pesci, e perciò ei le gettava spesso alla plebe, o a’ suoi cani, [p. 176 modifica]e leoni.30 Egli non mangiava mai nessun pesce in vicinanza il Mare, ma solo allorquando trovavasene sommamente lontano, e poscia n’invitava a pranzo i coltivatori delle circonvicine contrade. I suoi cuochi erano così abili, e destri che da ogni specie di carni, pesci, volatili, legumi, frutte, dolciumi, e latte ricavar sapevano tutte le sorte di vivande, con cui la tavola Imperiale era usualmente imbandita31. I di lui conviti erano talvolta composti di ventidue portate, ognuna delle quali comprendeva una gran moltitudine di vivande32. Una volta egli presentò a’ suoi commensali 600 teste di Struzzi, ed in altra circostanza promesse inclusive di dare una Fenice  7, o di appagare invece di essa le ardenti aspettative dei suoi amici con mille libbre d’oro. Siccome la rarità, e la carezza dei cibi formavano sempre il loro maggior pregio, e la più alta riputazione presso i Romani parasiti, così la stima, che riscuotevano le diverse leccornie, andava per conseguente soggetta a continui cangiamenti; poiché i più gustosi cibi perdevano tutto il lor credito subito che essi incominciavano a divenir comuni, e a buon prezzo. Questo cambiamento di riputazione, e di pregio lo provarono singolarmente i pesci. Anticamente, [p. 177 modifica]dice Plinio33, stimavasi sopra tutte lo Storione, che ora non si conta più per nulla; cosa, che mi fa molta maraviglia mentre questo pesce è assai raro. In seguito vennero molto ricercati il Luccio, e il Merluzzo (Gadus Merlucrius Linnaei), a cui però lo Scaro, e la Triglia hanno tolta la preminenza. Sotto Severo  8 ricuperò lo Storione la sua gloria primitiva; almeno egli era così preferito ad ogni altro pesce alla Corte, e alla mensa di questo d’altronde non ghiotto Imperatore, che veniva recato io tavola da Schiavi incoronati, e fra lo strepito di varj istrumenti da fiato34.

I primarj Romani non solo stimavano, e ricercavano i più rari, e costosi cibi, ma secondo i precetti dei loro gran maestri mangiavano unicamente le più piccole, e tenere parti dei più squisiti pesci, e volatili; e già molto prima di Vitellio il maggior segreto, e la principal maestria dell’arte culinaria consistevano nel cuocere insieme in un sol ragù lingue, cervella, latte, fegato, ed altre in ispecial modo stimate parti d’innumerevoli lecornie, e di accrescerne il sapore con mille brodi, e sughi appetitosi35. Riesce penoso, esclama Seneca, ai nostri Parasiti il mangiare una sola vivanda per volta: tutte le lecornie, ed i gusti vengono raccolti [p. 178 modifica]in un solo piatto, e succede nella cucina quello, che debbe accadere in un ventre di già satollo36. Di quì nascono però le sorprendenti, complicate, e imperscrutabili malattie, contro le quali la Medicina si è indarno armata di varj rimedj, ed osservazioni. - I Romani golosi, e parasiti che vissero sotto Adriano, e gli Antonini non furono meno delicati, e prodighi di quelli dei tempi di Seneca, giacchè Favorino prorompe nelle medesime lagnanze tante volte ripetute dal detto Autore37. I grandi maestri della ghiottornia, dice Favorino  9, credono che non si dia alcun pranzo ben regolato se ogni cibo non vien tolto di tavola nel punto medesimo, in cui esso merita maggiormente di essere assaggiato, e non gli se ne sostituisce un altro anche più squisito, e costoso. In ciò consiste la bellezza, o l’attrattiva di una tavola piena di gusto, siccome la gloria della pompa di uno stravizzo ha unicamente luogo allorchè vi è tanta abbondanza di tutti gli uccelli (toltane la Lodola, che si mangia per intero) che ognuno possa saziarsi delle loro piccole parti di dietro; [p. 179 modifica]giacchè chi mangiasse il petto, o le parti d’avanti dell’altre specie di volatili verrebbe senza remissione dichiarato privo di ogni gusto.

Non meno preziose, ed innaturali delie leccornìe dei Romani Parasiti, e dei loro condimenti erano le decorazioni delle Sale ove davansi i banchetti, e quelle delle stesse tavole. I Grandi Romani non contenti che la loro piatteria, la loro bottiglieria, la loro tavola, i loro letti da riposo, e i lor guanciali e cuscini guarniti fossero di pietre preziose, e composti dei più insigni drappi, metalli e legni lavorati egregiamente dai migliori Artisti, e che le pareti, i soffitti, ed i pavimenti delle magnifiche lor sale risplendessero delle più belle, e rare specie di marmi, dorature, e pitture, vollero eziandio che in esse avessero luogo similmente molte altre invenzioni, che, per quanto io so, non vennero giammai poste in pratica dai più celebri Crapuloni dei moderni tempi38. I soffitti delle stanze, in cui mangiavasi, erano amovibili in modo che cangiar se ne poteva l’aspetto ogni volta che veniva recata in tavola qualche nuova portata di cibi. Nelle pareti poi delle mentovate camere si trovavano alcuni invisibili tubi, mediante i quali nell’Inverno comunicavasi alle medesime un dolce, ed uniforme calore, ed il lor pavimento conteneva varie piccole canne appena visibili, da cui potevansi far scaturire, ed elevare acque odorose [p. 180 modifica]fino ad una, come dice Seneca, immensa altezza, e spargerle quindi in graziosa, ed olezzante pioggia sui commensali39. Venivano pure di frequente introdotti per le sale dei conviti varj limpidi ruscelli d‘acqua affinchè si avesse il modo di prendere colle mani le Trote, ed i Barbi; e col premere certe macchine particolari scaturir facevansi a un tratto sotto la tavola, o avanti ai piedi de’ convitati torrenti copiosi di acquaviva40. Il palato dei Ghiottoni, dice Seneca, si è così corrotto che costoro mangiar non possono alcun pesce, cui non abbiano visto nuotare accanto alla stessa lor tavola. Una volta correva voce che il miglior cibo fosse il Barbo di scoglio, ed ora si dice che nulla vi è di più bello che il vederlo morire. Si pongono pertanto tali pesci in vasi trasparenti; si fa colla massima premura attenzione com’essi in primo luogo diventano di color sanguigno, come a poco a poco questo colora s’impallidisce, e come finalmente ei si perde del [p. 181 modifica]tutto dopo un lungo contrasto di quegli animali tra la vita, e la morte41. Coloro, che non erano solamente golosi col palato, ma anche cogli occhi42, stupivano che si fosse fatta così tardi una scoperta tanto grande, quantoera quella di prendere, e di veder morire un pesce nel mentre che stavasi a tavola.

Quando i primarj Ghiottoni ebbero trovate, e scelte le lor vivande, ed abbellite le loro tavole, e sale ove banchettavano, di maniera che si camminasse da per tutto sopra cose preziose, e tutti gli angoli fossero sparsi e coperti di ricchezze43, allora divenne una delle loro più serie occupazioni lo scegliere, ed adornare in un modo degno di essi i proprj cuochi, e specialmente gli Schiavi, che servivano a tavola, il regolare colla più esemplare, e sorprendente maestria la loro mensa composta di parti quasi infinite, e il far portare in tavola, e scalcare ogni pietanza nel suo miglior punto, e secondo le regole più rigorose dell’Arte. Le Case dei Grandi avevano al loro servizio intere turbe di Cuochi che venivano stimati, e premiati più dei Filosofi, e degli Artisti44. Le Scuole dei Retori e dei Filosofi erano deserte, e tutte le più nobili Arti, e le più sublimi Scienze andarono a [p. 182 modifica]poco a poco in deperimento a motivo che la gioventù correva sempre più in folla alle cucine dei più celebri Ghiottoni, ed ai luoghi, in cui si esercitavano i Commedianti45. Se si riflette, dice Plinio46, che ai nostri giorni un sol pesce è stato pagato parecchie centinaja di Talleri non si può far a meno di non rammentarsi di quei tempi, in cui Catone riputava come perduto il Popol Romano per la ragione che erasi incominciato a comprare i Cuochi a più alto prezzo che i buoni Cavalli. Come non si lagnerebbero adesso gli amatori dell’antica frugalità se vedessero che i pesci sono molto più cari di quel che lo fossero allocai cuochi; che si impiegano nella compra di costoro somme tali di danaro che una volta bastavano per far fronte alle spese di splendidi trionfi; e che in fine tra tutti gli Uomini si stimano particolarmente quelli, che meglio degli altri conoscono l’arte di mandar in rovina i loro Padroni? Non meno preziose, ed oggetto della vanità dei Grandi di quel che lo fossero gli Artefici della Ghiottornia erano le diverse classi degli Schiavi, che servivano a tavola47 [p. 183 modifica]Venivano questi distribuiti, e disposti secondo la rispettiva lor discendenza o nazione, non nmeno che secondo i loro capelli, il lor colorito, e la loro statura, ed ognuno di essi aveva il suo proprio impiego. Si usava appunto la medesima premura tanto nel rimboccare con arte o ridurre in pieghe gli abiti degli Schiavi splendenti d’oro, e d’argento, quanto nel porre in ordine la piatteria, e la bottiglieria, e nel far portare in tavola, e scalcare ogni pietanza secondo i precetti dell’Arte; quali importanti impieghi, erano tutti insegnati, ed appresi come altrettante Scienze. Tra le masse degli Schiavi, che circondavano le tavole dei Grandi, ve n’erano perfino alcuni, i quali avevano specialmente l’incarico di scegliere pei loro Padroni, di cui ben conoscevano il gusto, quelle vivande più acconcie a stuzzicare, e promuovere il loro appetito, come pure di nettare le bave degli ubriachi, e portar via le loro immondezze48. Quando i [p. 184 modifica]predetti Schiavi commettevano la più piccola mancanza in questi loro uffizj, se essi non passavano le intere notti in silenzio, e a digiuno, se bisbigliavano tra di loro, o starnutivano, e tossivano, allora spariva la calma dall’animo dei Ghiottoni, ed i colpevoli erano per tali loro sbagli puniti colle più crudeli percosse49.

Comecchè la principal mira dei Parasiti era quella di operare direttamente contra le leggi della Natura, onde distinguersi dalla moltitudine con la pratica di ciò, che era nuovo, ed innaturale50, così essi non solo dormivano il giorno per poter straviziare tutta la notte, e non solo sconvolgevano l’ordine di ogni portata di vivande, e quello delle vivande stesse di maniera che recavasi in tavola alla fin del banchetto ciò che anticamente vi si era posto da principio, ma incominciarono ancora a bevere, e ad ubbriacarsi prima del pranzo51. Nel tempo del bagno, che usavasi avanti di andar a tavola, [p. 185 modifica]si cercava col soverchio bevete generosi, e caldi vini, di promuovere forti, e violenti sudori, ad oggetto di farsi con maggior frequenza strofinare, ed asciugare la pelle . Le Donne, e i Giovani non tracannavano una sol volta, ma due o tre volte di seguito tanta copia di vìno che erano poi costretti a ributtarlo per altrettante fiate, e quinci ubbriachi, e per così dire cascanti si ponevano a mensa52. Questo nocivo costume di ubbriacarsi a corpo vuoto nacque sotto Tiberio quarant’anni prima che il vecchio Plinio scrivesse la sua Storia Naturale, ed ebbe origine, come dice questo Scrittore, dai Parti, e pel consiglio di alcuni Medici, che distinguer volevansi colla novità dei lor metodi53. Seneca [p. 186 modifica]all’opposto deduce anche questa stravaganza dal dominante trasporto dei Romani di preferire alle cose naturali tutte quelle, che ad esse erano affatto contrarie. Verso quell’epoca, in cui fu in Roma introdotto il detto costume, usavasi digià in quella Metropoli di stabilire tempo dei banchetti varj premj sul bevere. I più illustri Romani aspirarono ancora alla gloria di passare per i maggiori bevoni dell’età loro, ed alcuni di essi col mezzo di questo lor requisito pervennero ai più alti impieghi54. Il figlio dell’Orator Cicerone aveva l’abilità di tracannarsi due congj  10, o secondo la nostra misura dieci bottiglie di vino in un tratto. Egli peraltro fu in ciò superato da un certo Novellio Torquato, il quale s’inalzò per questo verso sino al Proconsolato . Costui fù in grado di beversi quindici bottiglie di vino in un’attimo; eroismo, al quale lo stesso vecchio, e nojoso Tiberio volle per maraviglia trovarsi presente55. Questo medesimo Torquato si acquistò in conseguenza una grande riputazione per aver nella più perfetta guisa soddisfatto a tutti li impulsi dell’Arte del bere. Benchè egli vincesse nel bevere tutti i suoi rivali, ciò non ostante non gli restava giammai impedita la lingua, e [p. 187 modifica]nell’atto stesso in cui beveva, non si sgravava giammai col vomito, nè mai sputava, o prendevasi alcun riposo, ma vuotava così bene il suo bicchiere che non ve ne rimaneva una sola goccia da versare in terra  11. Egli era tra tutti i Romani quello, che bevesse più degli altri in un tratto, che facesse riempire anche i più piccoli bicchieri più di quello che praticavasi comunemente, e che nulladimeno fosse in grado di attendere alle faccende del susseguente mattino. La maggior parte dei Crapuloni al contrario incominciavano già a ribevere quando l’ubbriachezza del precedente giorno non era ancora svanita, e andavan dicendo di goder la vita come di volo56. Un altro celebre bevitore sotto Tiberio fu Lucio Pisone, rispetto al quale correva voce che egli fosse divenuto Prefetto della Città per aver straviziato due giorni, e due notti di seguito con lo stesso Imperatore. Per quanto fossero non naturali il tempo del bevete, e i mezzi con cui si cercava di sgravarsi dell’eccesso del vino, tuttavolta non lo erano meno le arti, colle quali si promoveva la sete, volendosi ancora continuar a bevere quando già la Natura ne influiva una potente avversione. Ad oggetto di eccitarsi la sete, ed esser in conseguenza obbligati a bevere praticavansi col maggior impegno da alcuni Giovani tutti gli esercizj della Greca Ginnastica  12, si [p. 188 modifica]prendevano in bevanda varj veleni, e segnatamente la cicuta, e facevasi altresì uso della polvere di pomice, e di altre cose così orribili che Plinio non ha neppur potuto accennarle. Parimente i Romani bevitori non solo volevano che il vino fosse di ottima qualità, vecchio, e salubre, ma lo mescolavano eziandio con sostanze odorose onde renderlo in tal modo tanto più aggradevole al naso57. Tutte le descrizioni dei banchetti che furono dati dall’epoca del governo di Augusto fino ad Eliogabalo, dimostrano chiaramente che Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Vitellio, Domiziano, Vero, Commodo, ed Eliogabalo erano soliti di ubbriacarsi sino alla follia, e che anche alla tavola Imperiale i Commensali avevano l’ardimento di far lo stesso, e molte volte vi eran costretti. Tali individui si abbandonavano quindi francamente ai più stomachevoli effetti di un’eccessiva ubbriachezza, e soddisfacevano senza vergogna a tutti i bisogni dell’oppressa Natura. Varie persone di alto grado dormivano, e russavano a tavola, e poscia venivano, come [p. 189 modifica]Claudio, portati altrove coi medesimi guanciali, su cui giacevano58.

Il fuoco divoratore, che una continua crapula suscitava nel corpo dei Crapuloni Romani, risvegliò in essi il più ardente desiderio di far uso di rimedj rinfrescativi, e segnatamente della neve, e del diaccio, lo che in tutte le stagioni giunse al maggiore eccesso59. Questi medesimi Crapuloni però, ai quali appena sembravano la neve, ed il diaccio sufficientemente freddi, non rinvenivano giammai le vivande abbastanza calde. Era quindi necessario, come dice Seneca, che il focolare seguitasse le vivande, o venissero trasportate le cucine nelle Sale dei bànchetti affinchè i cibi caldi, e bollenti passasser subito dal fuoco nella bocca, e nel ventre dei Parasiti. I Romani palati, aggiunge questo Scrittore, si sono già troppo intorpiditi per poter gustare alcun cibo, che non sia caldo60.

Ma i corpi dei Romani Ghiottoni rimasero appena tanto indeboliti dalla loro intemperanza nel mangiare, e nel bevere, quanto corrotte furono le loro anime da quelle compiacenze stesse, che andavan d’accordo colle mense dei Grandi. Siccome tutte le persone ricche, e cospicue di Roma, per quanto fossero ignoranti, possedevano insigni biblioteche, che allora venivano [p. 190 modifica]considerate come un necessario corredo delle rase rispettabili, così tutte le primarie famiglie tenevano pure al loro servizio Filosofi, Lettori, Suonatori, Cantori castrati, e una truppa di Commedianti. I primi di tali soggetti eran obbligati a dispiegare la loro abilità alle tavole di quei Personaggi, che avevano una giusta, o malfondata pretensione di comparir Letterati, e gli altri all’opposto dovevano far sentire le loro dilettevoli Arti a quelle degli ignoranti, e dei dotti61. Una parte non meno comune, è necessaria del trattenimento alle tavole dei Grandi erano le ridicole o impertinenti, e licenziose improvvisate dei Nani dell’uno, e dell’altro sesso, del pari che quelle dei salariati Buffoni, e dei corrotti Fanciulli, e Giovani, ovvero le prodezze dei più famosi Mangioni62. Nei banchetti solenni si aggiunsero ancora a tutti i detti divertimenti le sanguinose zuffe dei Gladiatori, o degli Animali feroci; e molti Imperatori, tra i quali Caligola, Nerone, ed Eliogabalo, credevano che un Monarca dei Romani mangiar non potesse da suo pari se non quando venivan raccolti presso alla sua tavola tutti i trattenimenti del Circo, e dell ’Arena, la stessa Caccia, e le garose Corse dei cocchi63. [p. 191 modifica]Ai non meno comuni, ma pur non rari divertimenti della tavola apparteneva anche quello di farsi servire da belle, e nude fanciulle. Tiberio colla condizione di un tal servizio s’invitò da se stesso al pranzo d’un Vecchio voluttuoso64; che Augusto aveva punito d’infamia; e Nerone faceva talvolta riunire numerose schiere di pubbliche meretrici della Città affinchè lo servissero a tavola65. Dee necessariamente sembrare incomprensibile come siansi mai potuti unire insieme tanti, e sì diversi spettacoli intorno alle tavole dei Grandi quando non si sappia che le gozzoviglie dei Romani Crapuloni duravano dal tramontar del Sole sino al suo nascere66, oppure dal mezzo giorno sino alla mezzanotte67, ovvero un giorno intero, e non di rado molti giorni di seguito68. La vita dei più celebri Crapuloni, quali furono Vitellio, ed Eliogabalo, e tutti gli altri simili a loro, consisteva nella particolare abilità di passare da una gozzoviglia ad un altra. Essi incominciavan pertanto la loro giornaliera occupazione con una sontuosa colazione; da questa passavano ad un non men lauto [p. 192 modifica]desinare, a cui succedeva subito la merenda, e finalmente la cena69. Vitellio s’invitava da se stesso ad ognuna di queste giornaliere gozzoviglie, or presso l’uno or presso l’altro dei primarj Romani, e niuna di esse importava meno di diecimila Talleri. Eliogabalo prolungò, o moltiplicò i suoi festivi banchetti col dividerli in un certo numero di portate, e col separare una portata dall’altra mediante i piaceri dell’amore, e del bagno. Spesse volte egli distribuiva le diverse portate, che formar dovevano un’intera gozzoviglia, a varj illustri Romani, che abitavano nei più opposti quartieri della Città, e tali gozzoviglie, che qualche volta eran composte di ventidue atti, e almeno di altrettanti intermezzi, sol potevano appena esser condotte a fine nel termine di ventiquattr’ore70. [p. 193 modifica]Quando si legge la descrizione della durata dei Romani banchetti non si può fare a meno di non chiedere a se medesimo, come mai era possibile che i Crapuloni dei tempi antichi estendessero i lor desiderj tanto al di là dei bisogni, e delle richieste della Natura, e quand’anche venisse loro ciò conceduto, in qual modo fossero essi capaci di accrescere le loro forze in proporzione dei loro violenti, e sfrenati desiderj, e d’onde ricavassero il tempo per la digestione passando quasi tutta la giornata nel riempiere di soverchio il lor ventre? - L’ingordigia dei Romani Parasiti si sarebbe al certo assai più presto, e maggiormente moderata, e ristretta se i medesimi non avessero fatto uso di molti rimedj così innaturali per alleggerire, e sollevar la Natura come per recarle nocumento, ed aggravio. In primo luogo essi si corroboravano, e rinfrescavano negli intervalli, o pause dei loro stravizzi con bagni tanto freddi che caldi; e questi bagni non solo si facevano di acqua comune, ma ancora di vino, di acque odorose, e di unguenti, ovvero di una cert’acqua, che veniva mishiata con altre odorose, e con varj balsami. Caligola fu il primo a far preparare tali bagni odorosi, de’ quali ognuno giusta il calcolo più [p. 194 modifica]moderato importava quattromila Risdalleri71. Egli fu in breve su ciò imitato da Nerone, e dai suoi Liberti, come ai tempi di Giovenale da altri ricchi Ghiottoni72. Molto più efficaci di questi bagni tanto per isgravarsi il ventre che per richiamar l’appetito erano i vomitatorj, che si prendevan subito dopo tavola, e con cui si otteneva l’intento di mangiare molte leccornie, che non si volevano, o non potevansi digerire73. Per alleggerirsi lo stomaco si adoperavano comunemente alcune belle penne di Fenicotteri, che poscia divennero un necessario arnese negli astucci dei Romani Ghiottoni74.

Con tali artifizj quali erano i bagni, e i vomitatorj, avevano i Parasiti il vantaggio, è vero, di potersi sgravare, e sollevare nell’istante [p. 195 modifica]lo stomaco, ma coll’andar del tempo essi resero peggiori quei mali stessi, che vanno congiunti colla più eccessiva intemperanza per rispetto ai piaceri della tavola, e dell’amore. Sino dai tempi di Augusto, e di Tiberio si cambiò, o si sconvolse tutta la costituzione naturale dei primarj Romani. Ne nacquero innumerevoli, e sin allora inaudite malattie, e quelle già comuni, e conosciute divennero moltopiù frequenti, complicate, e maligne di quel che lo fossero state per il passato. Le doglianze dei contemporanei rispetto alle naturali calamità dei vizj dominanti, e sulla terribile del pari che sollecita degenerazion dei Romani sono troppo istruttive perchè io non debba dispensarmi dal chiuder con esse la descrizione della lor Voluttà, Golosità, e intemperanza.

Anticamente, dice Seneca75, la Medicina consisteva nella cognizione di alcune erbe, con cui potevasi stagnar il sangue, e guarir le ferite, giacchè i corpi erano ancora robusti, ed i cibi semplici, e sani. Dopo che peraltro si sono inventate vivande, e sughi non per saziare, ma per promuover la fame, allora ciò che altre volte era un alimento del corpo n’è divenuto poscia un aggravio. Di quì hanno avuto origine la pallidezza, la paralisia, e la macilenza, che è molto più deforme quando proviene da indigestione che quando nasce da fame; di [p. 196 modifica]quì le deboli, e vacillanti ginocchia, e l’incerto passo, che dà ai Ghiottoni l’aria di continui ubbriachi; di quì la ributtante gonfiezza del colpo, e le grosse pancie, che inghiottiscono più di quello, che possono digerire; di quì finalmente è provenuto il dilavato, e giallo color del volto, e le mani, e le dita rattrappite dalla gotta, o prive affatto di sensibilità. A ciò si aggiungono ancora le frequenti vertigini, i dolori di capo, le più violenti infiammazioni d’occhi, e di orecchie, le ulceri più stomachevoli in tutte quelle parti, di cui si fa abuso contra le mire della Natura, ed un’innumerevole moltitudine di calde, e lunghe febbri, e d’altre malattie, delle quali erano liberi gli antenati, che si servivano da lor medesimi, e regolar sapevano il proprio individuo76. Il vecchio Plinio nomina molte altre schifose malattie cutanee, e tra queste l’elefanziasi, che vennero tutte in Roma, e nel rimanente dell’Italia77 verso la fine della Repubblica, e sotto i primi Imperatori, o prorompe quindi [p. 197 modifica]in più luoghi sopra i gastighi dei Crapuloni, che si vantavano di non aver mai veduto nascere il Sole, e di goder la vita come di volo. Ciò, dice Plinio78, ha prodotto il pallore, le guancie cascanti, le infiammazioni degli occhi, il tremolio delle membra, i sogni spaventosi, e come ispirati dalle Furie, le notturne inquietudini, la totale dimenticanza di ogni cosa, e i medesimi innaturali appetiti, che si riguardano come le maggiori ricompense della crapula. — In queste doglianze si accordano tutti i Poeti satirici dei due primi Secoli. Da che altro provengono, dice Giovenale, le frequenti morti improvvise se non dalla follia, con cui i Crapuloni discendono a corpo pieno nei loro bagni caldi?79 Tu sai, dice il Mercurio di Luciano a Caronte80, che gli Antichi scendevano [p. 198 modifica]presso di noi coperti di ferite, ma nel tempo stesso pieni di coraggio, e di robustezza. Coloro al contrario, che capitano adesso nelle abitazioni dell’Ombre, o sono stati avvelenati dai loro figli, e consorti, oppure consunti dai proprj stravizj; imperocchè son tutti pallidi, degenerati, e non più simili a quegli uomini valorosi. —

Le stesse malattie, e deformazioni del corpo erano per altro, come Luciano, e Seneca eccellentemente osservarono, e come il seguito farà conoscere, i più piccoli mali, che si trovan congiunti con l’uso smodato dei sensuali piaceri. Con tutte le sorti di voluttà, dice il primo, le quali pei diversi sensi entrano nel nostro corpo come per altrettante porte, o chiaviche aperte, e che vanno sempre più spalancandosi, s’insinuano pure nell’animo nostro l’adulterio, l’avarizia, lo spergiuro, ed altri consimili delitti, nel mentre che all’opposto il pudore, e l’amore della virtù, e della giustizia ne vengono sopraffatti, ed espulsi81.

Note dell'autore

  1. Annal. III. 55.
  2. Ibid.
  3. Saturnal. II, 12, 13, „ et quibus rebus. Dii boni! quamque exquisitis, et pene incognitis generibus deliciarum! . . . . Itaque tanto hoc saeculum ad omneni continentiam promtius, ut pleraque earum rerum, quae Sullana lege ut vulgo nota comprehenduntur, nemo nostrum vel fando compererit„.
  4. Svet. in Tib. c. 54. Senec. ad Helv. c. 10, 11. de Vita beata c. 11. Ep. 95. 114.
  5. Senec. de Vita beata c. 11. „ Adspice Nomentanum, et Apicium terrarum, ac maris, ut isti vocant, bona conquirentes, et super mensam recognoscentes omnium gentium animalia. Vide hos eosdem e successu exspectantes popinam suam, aures vocum sono, spectaculis oculos, saporibus palatum suum delectantes. Mollibus lenibusque fomentis totum lacessitur eorum corpus: et ne nares interim cessent, odoribus variis inficitur locus ipse, in quo luxuriae parantatur.
  6. Senec. ad Helv. c. 10, 11. „ Quam Apicius nostra memoria vixit! qui in ea urbe, ex qua aliquando philosophi velut corruptores juventutis abire jussi sunt, scientiam popinae professus, disciplina sua saeculum infecit . — Tunc venena edebat, bibebatque cum immensis epulis non delectaretur tantum, sed gloriaretur, cum vitia sua ostentaret, cum civitatem in luxuriam suam converteret, cum juventutem ad imitationem sui sollicitaret, etiam sine malis exemplis per se docilem.
  7. Sen. I. c. „ Cum sestertium millies in culinam congessisset ec. „ Marziale nel suo noto Epigramma sopra Apicio III. 22. dice che furono soltanto bis tricenties, vale a dire un millione e mezzo di Talleri; ma Seneca merita come contemporaneo maggior fede.
  8. Senec. Ep. 95. Svet. in Tib. c. 34. Svetonio parla di tre Barbi, che furono comprati per 750. Risdalleri, e Seneca ne fa menzione soltanto di uno.
  9. Ibid. Macrobio parlando di quest’Ottavio lo nomina come un gran benefattore dei Romani Ghiottoni per la ragione che avendo egli portato seco dal Mar Nero molti Scari, pesci favoriti dei Romani, gli depose vicino alle spiaggie dell’Italia, e procurò che nei primi cinque anni tutti i pesci di questa sorte, che vennero presi, fossero di nuovo gettati in Mare. Una tal provvidenza fece sì che questo pesce rinomato si moltiplicò talmente verso la spiaggia della Campania che in appresso non vi fu più bisogno di farlo venire dal dilà del Promontorio di Troade. Plinio il vecchio attribuisce questo stesso gran merito ad un Liberto di Claudio IX. 17. Lo Scaro degli antichi è, conforme mi dice un mio dotto amico, il Labrus Scarus di Linneo.
  10. Ep. 122 Nolunt solita peccare, quibus peccandi praemium infamia est. Hanc petunt omnes isti, qui, ut ita dicam, retro vivunt.
  11. Ep. 95. Quid est coena sumtuosa flagitiosius, et equestrem censum consumente? Quid tam dignum censoria nota, si quis, ut isti ganeones loquuntur, sibi haec, et genio suo praestet? et tricies tamen H. S. additiales coenae frugalissimis viris constiterunt. Eadem res si gulae datur, turpe est; si honori, reprehensionem effugit. Il Census equestris, o il capitale, che per lo meno doveva possedere un Cavalier Romano per sostener la sua dignità, ammontava e 12000 Risdalleri della nostra moneta.
  12. Macrobio. II. 13.
  13. Consol. ad Helviam c. 10. C. Caesar, quem mihi videtur rerum natura edidisse, ut ostenderet quid summa vitia in summa fortuna possent, centies coenavit uno die; et in hoc omnium adjutus ingenio vix tamen invenit quomodo trium provinciarum tributum una coena fieret. Egli inventò le più stravaganti sorte di vivande, ed era solito dire che bisognava vivere con economia, e moderatezza oppure da Imperatore. Nepotinis sumtibus omnium prodigorum ingenia superavit, commentus novum balneorum usum, portentosissima genera ciborum, atque coenarum, ut calidis frigidisque unguentis lavaretur, pretiosissimas margaritas aceto liquefaotas sorberet, convivis ex auro panes, et opsonia apponeret, aut frugi hominem esse oportere dietitans aut Caesarem. Svet. in Calig. c. 37.
  14. Svet. in Neron. c. 27.
  15. Mart. VI. 80.
  16. Vedasi Sveton. in Vitel. c. 13. Tac. Hist. II. 62 95. Dio. Cass. 63, 3, 4. p. 1962, 63. Plin. XXXI. c. 11.
  17. Tac. II. 95. Nemo in illa aula probitate aut industria certavit: unum ad potentiam iter prodigis epulis, et sumtu ganeaque satiare inexplebiles Vitellii libidines. Ipse abunde ratus, si praesentibus frueretur, nec in longius consultans novies millies sestertium paucissimis mensibus intervertisse creditur. Ciò vien confermato da Dione Cassio I. c.
  18. Dio. et Svet. II. cc.
  19. A motivo di quest’esorbitante vassojo Muciano, uno dei Generali di Vespasiano, rimproverava alla memoria di Vitellio patinarum paludes, mari o paludi de’ piatti. Plin. XXXV. 12.
  20. Capit. in ejus vita c. 5.
  21. Eliogabalo univa quasi tutti i trasporti eccessivi degli altri suoi vizj a scherzi fanciulleschi, e plebei. Tra le varie specie di doni, che a sorte faceva dispensare ai suoi commensali, alcuni contenevano dieci Cammelli, altri dieci Mosche, o altrettanti Orsi, e Grilli, alcuni dieci libbre d’oro, altri dieci di piombo, alcuni dieci Struzzi, altri dieci ova di Gallina, o cesti d’Insalata. — Inoltre verso la metà del convito faceva tutto ad un tratto comparire diversi Leoni, e Leopardi, onde porre in un ridicolo spavento tolti i convitati, i quali non sapevano che tali bestie fossero state rese domestiche. Altre volte racchiudeva i suoi amici con deformi vecchie More, oppure gli faceva coricare a mensa su certi otri ripieni d’aria, che poscia essendone ad un tratto vuotati accadeva che quelli, i quali vi stavano sopra, venivano ad esser gettati sotto la tavola. Lampr. in Vita Heliog. c. 21, et seq.
  22. Lampr. c. 29 orexin hanc convivio esse dicens.
  23. Ib. Le spese de’ suoi conviti non si possono indicare con certezza, giacchè in Lampridio c. 24. i numeri ne sono sfigurati, e sospetti.
  24. Vedansi Vopisc. in Vita Carini c. 17. Trebellius Pollio. in Gallien. c. 16.
  25. Ad Helviam c. io. Dii istos, deaeque perdant, quorum luxuria tam invidiosi imperii fìnes transcendit. Ultra Phasim capi volunt, quod ambitiosam popinam instruat: nec piget a Parthis, a quibus nondum poenas repetiimus, aves petere. — Pretiosos autem (cibos) non eximius sapor, aut aliqua faucium dulcedo, sed raritas, et difficultas parandi facit.
  26. I. p. 73. 74.
  27. Svet. in Vitell. c. 15, e Tac. II. 62. Ex urbe atqne Italia irritamenta gulae gestabantur, strepentibus ab utroque mari itineribus: exhausti conviviorum apparatibus principes civitatum: vastabantur ipsae Civitates.
  28. Ib.
  29. Lampr. in Commodo, c. 11.
  30. Lampr. in Heliog. c. 20, 21.
  31. Ib. 27, 32.
  32. C. 30.
  33. Hist. Nat. IX. 17. Vedasi anche Macrob. II. 12
  34. Macrob. I. c.
  35. Vedasi tutta la 95 Lettera di Seneca.
  36. Senec. I. c. Inventae sunt mille conditurae. — Piget jam esse singula; coquuntiir in unum sapores. In coenu fit, quod fieri debet saturo in ventre. Exspecto jam ut manducata ponantur. — Non esset confusior vomentium cibus.
  37. Si paragoni l’Ep. 100, e Favor, frag. ap. Gell. L. XV. c. 8.
  38. Senec. Ep. 90. Natur. quaest. III. 17, 18. de Tranq. c. 1.
  39. Ep. 90. Quemadmodum in immensam altitudinem crocum latentibus fistulis exprimat.
  40. De Tranq. I. Ep. 90. Quaest. Nat. III. 17, 18. Quid perlucentes ad imum aquas, et circumfluentes ipsa convivia? - Qui Euripos subito aquarum impetu implet, aut siccat. - Quanto incrediibiliora sunt opera luxuriae, quoties naturam aut mentitur, aut vincit! In cubili natant pisces, et sub ipsa mensa capitur, qui statim transferatur in mensam. Parum videtur recens mullus, nisi qui in convivae manu moritur.
  41. Plin. Hist. Nat. III. 17, 18.
  42. Ib. Oculis quoque gulosi sunt.
  43. Senec. de Tranq 1.
  44. Senec. Ep. 95. innumerabiles esse morhos miraris? coquos numera. — Transeo pistorum Turbam.
  45. Ep. 95. Cessat omne liberale studium; et liberalia professi sine ulla frequentia desertis angulis praesident. In rhetorum ac philosophorum scholis solitudo est: at quam celebres culinae sunt, quanto circum nepotum focos juventus premit. Vedasi segnatamente Nat. quaest. VII. 32.
  46. Nat. Quaest. IX. 17,
  47. Senec. Ep. 95. de Tranq. c. I de Brev. vitae c. 12.
  48. Senec. Ep. 47. adjice obsonatores, quibus dominici palati notitia subtilis est: qui sciunt cujus rei illum sapor excitet, cujus delectet aspectus, cujus novitate nauseabundus erigi possit, quid jam ipsa satietate fastidiat, quid illo die esuriat. — Alius sputa detergit, alius reliquias temulentorum subditus colligit: alius pretiosas aves scindit: pectus, et clunes certis ductibus circumferens eruditam manum, in frusta excutit — de Brev. vit. c. 12. Convivia mehercule horum non posuerim inter vacantia tempora, cum videam, quam soliciti argentum ordinent, quam diligenter exoletorum suorum tunicas succingant, quam suspensi sint, quomodo aper a coco exeat quanta celeritate, signo dato, glabri, ad ministeria discurrant: quam curiose infelices pueruli ebriorum sputa detergeant.
  49. Senec. Ep, 47.
  50. Senec. Ep. 114. 122. et ibi Lipsium: hoc est luxuriae propositum gaudere perversis: nec tantum discedere a recto, sed quam longissime abire, deinde etiam, e contrario stare.
  51. ib.
  52. Senec. II. cc. et Ep. 95. ibique Lips. p. 600. Seneca all’Ep. 122. descrive egregiamente tale abbominevole costume di ubbriacarsi prima di pranzo. „ Isti non videntur contra naturam vivere qni iejuni bibunt, qui vinum recipiunt inanibus venis, et ad cibum ebrii transeunt? Atqui frequens hoc adolescentium vitium est, qui vires excolunt. In ipso paene balnei limine inter nudos bibunt, imo potant, ut sudorem, quem moverunt potionibus crebris ac ferventibus, subinde distringant. Post prandium aut coenam bìbere volgare est.
  53. Plin. XIV. 22. et 29. c. 2. Illa perdidere Imperii mores, illa, quae sani patimur — balineae ardentes, quibus persuasere in corporibus cibos coqui, ut nemo non minus validus exiret, obedientissimi vero efferrentur. Potus deinde jojunorum, ac vomitiones, et rursus perpotationes . . . Ita est prefecto lues morum, nec aliunde major, quam medicina.
  54. Plin. I. c.
  55. ib.
  56. Plin. ib. rapere se ita vitam praedicant.
  57. Lucian in Nigrin I. 72. 73. et ibi. Hemsterhuis. Eliogabalo era eccellente nel preparare il vino in tal modo; „ et masticatum, et pulejalum, et omnia haec quae nunc luxuria retinet, invenit. Nam rosatum ab aliis acceptum pinearum etiam attritione odoratius reddidit. Denique haec genera pocularum ante Heliogabalum non leguntur. Lampr. in eju vita c. 19.
  58. Vedasi sopratutto Mar. Epigram. III 82.
  59. Sen Nat. Quaest. IV 13. Ep. 95.
  60. Ep. 78 . 95. Nat. quaest. III. 18.
  61. Vedansi fra le altre le lettere VII. 24. IX. 36. di Plinio il giovine.
  62. Suet. in Ner. c. 37. Lampr. in Alex. Sev. c. 34.
  63. Lampr. in Heliog. c. 25. 27.
  64. Suet. in Tib. c. 42.
  65. Suet. in Ner. c. 27 Transeo, dice Seneca, Ep. 95. puerorum infelicium greges quos post transacta convivia aliac cubiculi contumeliae exspectant.
  66. Senec. Ep. 122.
  67. Suet. in Ner. c. 12.
  68. Suet. in Vitel. c. 13 . Plin. Hist. Nat. XIV. 22. Lampr. in Heliog. C. 30.
  69. Suet. in Vitell. I, c. Sed vel praecipue luxariae saevitiaeque deditus epulas trifariam semper, interdum quadrifariam dispertiebat: in jentacula, et prandia. et coenas, commissattonesque facile omnibus sufficiens vomitandi consuetudine:
  70. Lampr. in Heliog. e. 30. exhibuitaliquando, et tale convivium ut haberet viginti, et duo fercula ingentium epularum, sed per singula lavarent, et mulieribus uterentur, et ipse, et amci cum jurejurando, quod efficerent voluptatem. Celebravit item tale convivium ut apud amicos singulos singuli missus appararentur, et quum alter maneret in Capitolio, alter in Paatio, alter super aggerem, alter in Coelio, alter trans Tiberium, et ut quisque mansisset, tamen per ordinem in eorum domibus singula fercula ederentur, ireturque ad omniun domos: sic unum convivium vix uno die finitum est, quum et lavarent per singula fercula, et mulieribus uterentur.
  71. Suet. in Calig. c. 37.
  72. Suet. in Ner. c. 27. Epulas a medio die ad mediam noctem protrahebat: refotus saepius calidis piscinis, ac tempore aestivo nivatis. Plin. Hist. Nat. XIII. c. 3. juven. VIII. v. 86.
  73. Vedasi Senec. ad Helviam c. 10. e piuttosto l’Ep 95. et ibi Lips. p. 600. Ed. Lips. couf. Plin. Lib. 26. c. 3.
  74. Suetonio dice di Claudio: c. 33. nec tamen unquaim et triclinio abscessit, nisi distentus ac madens: et ut statim supino ac per somnum hianti pinna in os inderetur ad exonerandum stomachum. Mar. III. 82.
      Statexoletus, suggerisque ructanti pinnas rubentes
         È già stata da me riferita di sopra la seguente asserzione sopra Vitellio: facile omnibus sufficiens vomitandi consuetedine, Suet in Vitell. c. 13.
  75. Ep. 95.
  76. Paragonisi con ciò il seguente passo dell’Ep. 122. Aves quae conviviis praeparantur ut immotae facile pinguescant in obscuro continentur, ita sine ulla exercitatione jacentibus tomor pigrum corpus invadit, et super membra iners sagina succrescit. Ita istorum corpora qui se tenebris dicaverunt, foeda visuntur. Quippe non speciosior illis, quam morbo pallentibus color est: languidi, et evanidi albent, et in vivis caro morticina est.
  77. Lib. 26. c. 1.
  78. XIV 22.
  79. I 142. et seq.

    Poena tamen presens cum tu deponis amictus
         turgidus, et crudum pavonem in balnea portas. —
         Hinc subitae mortes, atque intestata senectus,
         e Pers. III. v. 98. e seg.
    Turgidus hic epulis, atque albo ventre lavatur
         gutture sulfureas tanto exhalante Mephites.
         Sed tremor inter vina subit calidnmque trientem
         Excutit, e manibus: dentes crepuere retecti.
         Uncta cadunt laxis tuno pulmentaria labris.
         Hinc tuba, candelac: tandemque beatulus alto
         Compositus lecto, crassisque lutatus amomis
         In portam rigidos calces extendit. ec.

  80. I. p. 342. 343. Edit. Reitzii.
  81. Luc. in Nigr. I. p. 55. Dopo il sopraccitato passo della lettera 122. Seneca prosegue nel modo seguente: hoc tamen minimum in illis malorum dixerim: quanto plus tenebrarum in animo est! Ille in se stupet, ille caligat, invidet caecis ec.

Note del traduttore

  1. [p. 293 modifica]Macrobio celebre Oratore, e Filosofo, fiorì verso la fine del quarto secolo, ed era Ciamberlano e gran Guardaroba dell’Imperator Teodosio giuniore sotto del quale compose specialmente i suoi Saturnali. Fabricio Bibliot. latina.
  2. [p. 293 modifica]Tre secondo il celebre Forcellini sono stati gli Apicj, che in diverse epoche si sono segnalati nella golosità. Quello di cui fa menzione il Sig. Meiners, e che fu il più celebre di tutti, nacque per quanto crede Carlo Avanzi nella Spagna, e fiorì sotto Augusto, e Tiberio. La sua opera de gulæ irritamentis venne, giusta il Platina, ritrovata nel 1454. nell’Isola Megalona sotto il Pontificato di Nicolò IV.
  3. [p. 293 modifica]Il Rizdallero è una moneta Tedesca d’Argento la quale è del valore di tre Lire di Francia.
  4. [p. 293 modifica]L’Istorico Dione Cassio, non meno celebre per le sue Opere, che per gli onorevoli impieghi da Lui coperti sotto varj Imperatori, morì in età assai avanzata a Nicea sua patria l’anno 240. di Gesù Cristo. Fabric. Bibliot. Grec.
  5. [p. 293 modifica]Dicevansi dai Romani conviti degli Dei quelli nei quali i Commensali erano vestiti [p. 294 modifica]come altrettante Divinità. Bullanger; de conviviis veterum.
  6. [p. 294 modifica]Rapporto alle suciderie, e bizzarie, che Commodo praticava ne’ suoi conviti, riporterò qui tutto intero il passo di Lampridio già citato dal Sig. Meiners. Dicitur Commodum, scrisse il suddetto Istorico nella di Lui vita, sæpe pretiosissimis cibis humana stercora miscuisse, nec abstinuisse gustu aliis, ut putabat, irrisis. Duos gibbos retortos in lance argentea sibi sinapi perfusos exhibuit, eosdemque statim promovit ac ditavit.
  7. [p. 294 modifica]Mi è ignoto da che sia. provenuta la favola ndella Fenice, qualora non ne abbia somministrato l’argomento l’idea, che una volta avevasi della metempsicosi, mentre Erodoto, Plinio, Tacito, e segnatamente Claudiano nel suo Idilio intitolato Phænix nulla ci dicono su tal proposito. Il celebre Sig. Professor Targioni però in una sua dottissima disertazione sopra alcune piante particolari rammentate dagli antichi Scrittori spiega con molta probabilità il suo sentimento rapporto all’origine di questa favola supponendo, che la medesima possa essere derivata dall’albero musa chiamato ancora fico d’Adamo; Esso in fatti ha la proprietà di perire, e di seccarsi interamente ogni anno dopo aver prodotto il suo frutto, e quindi di risorgere dalle sue ceneri, e comparire più bello di prima alla [p. 295 modifica]novella stagione. Anche il Sig. Mariti ne’ suoi viaggi di Palestina fa menzione di una simil pianta, la quale, secondo lui, può aver dato luogo alla predetta favola.
  8. [p. 295 modifica]Settimio Severo nacque in Africa, e venne eletto Imperatore dall’Esercito Germanico nell’anno 193 di Gesù Cristo. Egli fu un Principe oltremodo astuto, ed intraprendente, avendo fra le altre sue famose imprese militari vinto, ed ucciso i due suoi celebri competitori Pescennio Nigro, ed Albino, e debellata di nuovo la gran Brettagna, ove morì carico più di gloria, che d’anni. Spart. in Sever. Herod. I. 2.3.
  9. [p. 295 modifica]Favorino celebre filosofo. ed Oratore nativo di Arles, ed eunuco di condizione fiorì al tempo di Adriano, sotto il quale compose molte Opere. Al presente null’altro di lui ci rimane se non che alcuni frammenti trasmessici da Aulo Gellio, elegante Scrittore del Secolo degli Antonini. Fra questi frammenti trovasi soprattutto una disertazione, nella quale ei persuade una nobile Signora ad allattare i proprj figli da se medesima, invece di affidarli a mercenarie nutrici, ed un’altra contro i Caldei, i quali si vantavano, di posseder l’arte d’indovinare il destino degli uomini mediante. il moto e la figura degli Astri.
  10. [p. 295 modifica]Il Congio misura di capacità per i liquidi conteneva tanto liquore quanto ne poteva stare in un cubo, che avesse un [p. 296 modifica]quadrato di mezzo piede Romano per ogni lato. Dalla metrologia inedita del Sig. Cavalier Baillou di Firenze si rileva che un vaso, che contenga 129. soldi cubi, e di braccio fiorentino da panno è di una capacità, eguale a quella del Congio. Su questo piede il Congio poteva racchiudere in se tanto umido, quanto ne capisce in un fiasco Toscano da vino, e in quartucci 3 e . Il suddetto Autore ha scoperto altresì, che il Congio contiene libbre 9. oncie 5. denari 13 grani 16. e di acqua distillata ridotta al maximum della di lei densità, la quale si ritrova intorno alla temperatura del diaccio fondente.
  11. [p. 296 modifica]Tra i varj giuochi, ed usi che i Romani praticavano nelle loro cene eravi anche il seguente riferito dal Nieuport. Mensis secundis, egli dice, illatis libabant Diis, quos mensæ adesse credebant, vel etiam amicis honoratis hoc est paulum vini ex patera in mensam vel in terram profundebant voto pro eorum prosperitate addito. De Rit. Rom.
  12. [p. 296 modifica]I giuochi gimnici, o ginnastici consistevano specialmente nella corsa, nel pugilato, e nella lotta, ed ebbero origine dai Greci conforme lo dimostra lo stesso lor nome, il quale significa combattimento, o esercizio di nudi, tali essendo appunto [p. 297 modifica]coloro dai quali venivano essi praticati. ibid. Il dottissimo Sig. Mercuriali di Forlì, già Protomedico alla Corte di Baviera, ci ha lasciata una bell’Opera da lui composta sopra detti giuochi, o esercizj la quale porta per titolo: de arte gymnastica.