Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani/Capitolo III

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Capitolo III

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III.

Della voluttà dei due Sessi.


Dopo le testimonianze, e gli esempj da me riferiti non fa di mestieri addurre altra prova che il popolo Romano, e i suoi Grandi sotto il governo dei primi Imperatori trovavansi al massimo grado corrotti; che quasi tutte le pubbliche, e maschie virtù, e segnatamente l’amor della Patria, e il Romano coraggio giacevano in un totale avvilimento; e che in fine erano quasi del tutto spariti quei sentimenti, e quelle inclinazioni, che distinguono gli uomini, e i popoli più illustri dagli altri, vale a dire, l’onore, la verecondia, e l’umanità, il vero amore, la sincera amicizia, la stima di se medesimo, e del giudizio de’ proprj concittadini. Quando uno per altro è arrivato a persuadersi di questa’ trista verità, cioè, che i Romani erano il Popolo più potente, e per conseguenza il più vizioso del Mondo, bramerà forse di sapere altresì, come, e per quali cause la mollezza, e la vanità femminile, lo sfacciato libertinaggio, la crapula, e l’illimitata rapacità, e profusione soffocar poterono in essi l’antica loro virilità, dignità, [p. 135 modifica]pudicizia, moderazione, continenza, e parsimonia ma principalmente come ogni lor vizio crebbe a segno da estinguere tutte le loro virtù, indebolirne il corpo, e lo spirito, e finalmente gettare a terra quell’Impero, fondato, conforme dicevasi, per l’Eternità  1. Io voglio colla maggior brevità, ed esattezza che mi saranno possibili cercare di render paghe tali dimande, non meno importanti per la Storia dei costumi che per quella del destino di tutti gli Stati.

Allorchè i Romani riportavano le più brillanti vittorie non era ancora quel Popolo conquistatore giunto a un tal grado di cultura, nè per gli esercizj, e lavori dello spirito così corroborato, e fornito di utili cognizioni, e di sane massime, onde potere far fronte ai seducenti piaceri, ed ai vizj delle debellate Nazioni. Gli eserciti vincitori ritornavano quindi dalla Grecia, dall’Asia, e dall’Africa non solo colle spoglie, ma anche coi vizj di quei soggiogati Regni1, e le immense ricchezze da loro non a poco a poco raccolte colla fatica e coll’industria, ma rubate in breve tempo nelle guerre somministravano ai corrotti Bomani i mezzi di soddisfare ai loro nuovi desiderj, e bisogni. Anche quella porzione del Popolo, che nè in Grecia, nè in Asia, o in Africa avea [p. 136 modifica]tuto, saccheggiato, e commesso ogni genere di licenza, e di stravizzo, o si era mantenuta illesa contro le pericolose attrattive di quei Paesi, fu ben presto ammollita, e infettata dalle migliaja di forestieri, che parte come schiavi venivano strascinati in Italia, e parte come avventurieri facevano capo a Roma, la quale per esser già divenuta il punto centrale d’attrazione della potenza, dei tesori, e delle cognizioni lo era ancora per conseguente dei vizj, e de’ piaceri dei Popoli vinti, ed addetti al di lei servizio2. Nè la corrotta Cadice, nè le moltopiù voluttuose Città d’Antiochia, e di Alessandria possedevano, o inventavano qualche arte, o istrumento di mollezza, e segnatamente di lascivia, e di stravizzo che non venisse tosto trasportato in Roma, ed ivi non fosse applaudito, e ricompensato più di tutte le regole, e di tutti maestri di filosofia. La Spagna mandava le sue licenziose ballerine; l’Egitto, la Siria, e il rimanente dell’Asia vezzosi giovani, e fanciulle ben istruite nell’arti dell’amore, ed ogni classe di Ciarlatani, d’Indovini, e di Comici3; la [p. 137 modifica]Grecia finalmente i Liberti dell’uno, e dell’altro sesso, che in qualità di educatori, e d’educatrici della gioventù, quai confidenti, e consiglieri, e come ispettori, ed esecutori dei più rilevanti affari domestici in breve, al dire di Giovenale, divenivano il cuore, o il sostegno delle case dei Grandi4. La maggior parte del popolo Romano era composta di Liberti nati [p. 138 modifica]fuori d’Italia. La Città divenne un ridotto dì tutti i Popoli5, e nel tempo stesso uno stagno in cui metteva foce tutto ciò che poteva corrompere, ed esser corrotto6.

Tra tutti i dominanti vizj prodotti dalle guerre straniere, e nudriti dalia sfrenatezza delle civili discordie non ve ne fu alcuno, il quale riuscisse tanto pernicioso, ed insuperabile, quanto una certa ostinata, e non naturai voluttà. La maggior parte dei Grandi, e gli stessi Cavalieri7 vivevano in uno stravagante celibato, poichè detestavano i pesi del matrimonio, e non volevano por freno alle loro spese, ed ai lor desiderj. Augusto, subito che ebbe preso possesso del Governo procurò tanto colla promessa d’importanti vantaggi, e privilegj, quanto colla minaccia di severi gastighi di richiamare i traviati Romani alle leggi della Natura, ai doveri di buoni Cittadini, e alle domestiche contentezze da loro così poco apprezzate; ma per quanto fossero grandi la sua dignità, e la sua potenza, tuttavia egli incontrò in quest’assunto una così [p. 139 modifica]manifesta, ed ostinata opposizione, che per quasi trent’anni continui dovette in varj punti mitigare, e correggere le sue Leggi sul matrimonio prima di poterle pubblicare, e porre in esecuzione8. Inoltre dopo che inclusive era di già stata notificata, e messa in vigore la Legge Papia  2, il ceto de’ Cavalieri raccolto nell’Anfiteatro chiese l’abolizione di questa detestata Legge, e quantunque Augusto per vergogna dei malcontenti chiamasse a se i figli di Germanico, ed incoraggiasse gli ostinati celibatarj ad imitare il suo nipote  3, tuttavolta essa rimase inutile mercè d’infiniti maneggi, o se pure atteso le pene inflitte ai trasgressori fu di qualche vantaggio al pubblico tesoro, non ottenne però appieno il suo scopo, che era quello di moltiplicare i matrimonj, e di conservare, ed accrescere il numero delle famiglie Romane, e specialmente quello delle più segnalate9. Se Augusto fosse vissuto più lungo tempo avrebbe, come Tiberio, sperimentato che i vizj dei Romani avevano maggior forza ei Monarchi stessi assoluti dell’Impero Romano10. Il numero dei [p. 140 modifica]colpevoli era parimenti così grande che se da Tiberio si fosse continuato a far eseguire con tutto il rigore le pene prescritte dalla Legge Papia, la maggior parte dei Romani, tanto nella Città capitale, quanto in Italia, ed anche nelle Provincie avrebbero corso pericolo di soggiacere ad una totale rovina11. Le doglianze, che si facevano per riguardo al dannoso celibato, andarono sempre più crescendo sotto i susseguenti Governi. Si preferiva lo stato celibe al matrimonio non solamente a motivo della libertà, e dell’indipendenza, che esso accordava, ma altresì per la grande autorità, e per gli importanti vantaggi,. che ne provenivano, consistendo questi soprattutto in ricchi donativi, e nella stima, e protezione, che i [p. 141 modifica]facoltosi privi di figli ottenevano dai primarj soggetti dello Stato. Tali vantaggi del celibato avevano in tal guisa maggior potere dei gastighi, che gl’infliggevan le leggi, e delle ricompense dello stato conjugale, che anche quei medesimi, i quali trovavansi provveduti di figli, desideravan loro la morte, o almeno fingevano di abborrirli, e diseredarli12. [p. 142 modifica]

L’ostinata avversione della massima parte de’ primarj Romani al matrimonio, la quale non potette essere sradicata nè coi premj nè coi più severi gastighi, produsse uno spaventoso grado di corruttela di costumi, e particolarmente un’incorreggibile trasporto ad un amor brutale, da cui null’altro cercavasi che la sola soddisfazione dei sensi. All’epoca della sfrenatezza delle guerre civili, nelle quali si commettevano impunemente le maggiori oscenità13, l’amor contrario alla Natura era divenuto così comune, che lo stesso Orazio ebbe il coraggio di parlarne come di un piacere già permesso, e di moda14, [p. 143 modifica]a segno tale che fu da lui ascritto ad una rara fortuna, o al frutto di una altrettanto non ordinaria premura di suo Padre15 se egli nella sua adolescenza, e gioventù non era stato così depravato, e corrotto come gli altri giovani Romani del suo tempo. Già sotto lo stesso Augusto tutte le orribili specie di raffinamenti, stimoli, ed eccessi dei brutali, e non naturali piaceri, scoperti, e insegnati dalla molle Asia, e dalla Grecia16, erano senza alcun rossore posti in opera al pari di quella innominabile specie di voluttà, di cui gli Uomini, e le Donne si rendevan colpevoli con impura bocca, e perfida lingua, e che dai Romani Scrittori vien indicata con una sorprendente ingenuità, e non di rado con una ancor più ributante facilità, e leggierezza17. Dopo che Tiberio ebbe raccolto [p. 144 modifica]sullo scoglio di Capri tutte le arti, e gli stromenti delle non naturali dissolutezze, e ne fece uso ad onta di tutto ciò, che trovavasi di bello, e di nobile in Roma18, e dopo che in seguito Caligola19, Nerone20, Domiziano21, [p. 145 modifica]Commodo22, ed Eliogabalo23, cercarono di farsi un merito nel superare le invenzioni, e i preparativi di Tiberio, e di altri voluttuosi, e nell’eseguire pubblicamente quello, che lo stesso Tiberio si era dato la pena di nascondere. Allora si estinsero affatto in breve tempo i pochi avanzi di modestia, e di verecondia, che conservati si erano mediante le Leggi di Augusto, e i rigori, con cui egli punito aveva gli snaturati voluttuosi  5. I più distinti giovani ed attempati, non si vergognavano, a simiglianza di Nerone, e di Eliogabalo, di sposarsi pubblicamente coi loro amati, o amanti, e di confermare tali scandalose unioni con patti stipulati di matrimonio24. Numerose schiere di molli, ed effemminati [p. 146 modifica]fanciulli, e giovanotti (exoleti, molles, effoeminati) distribuiti, e disposti secondo le respettive Nazioni, il colore, i capelli, la capacità, e l’impiego da essi occupato formavano una parte così necessaria delle convenienti spese dello case dai Grandi, come appunto lo sono gli Harem  6 presso i Popoli dell’Oriente25. Tali sciaurati, e sul loro esempio la gioventù Romana che, come dice Seneca, credeva che fosse un contrassegno di gran felicità il potersi distinguere coi regnanti vizj, lisciavansi il corpo, si adornavano, s’imbellettavano, e vestivano alla foggia delle donne, e delle ragazze, e venivano da particolari maestri istruiti circa al modo di camminare, discorrere, gestire, e segnatamente di muovere il collo, gli occhi, e le mani come le donne26. L’obbrobriosa concupiscenza dei primarj voluttuosi passò tant’oltre che per saziare i loro nefandi appetiti si servivano di teneri, ed immaturi fanciulli dell’uno, [p. 147 modifica]e dell’altro sesso. Questa mostruosità parve così orribile anche allo stesso Domiziano che colle più rigorose pene l’interdisse al pari della castrazione dei ragazzi; ma tanto nell’uno che nell’altro particolare venne poco ubbidito27. Il numero di tali vili ragazze, e fanciulli era ancora così grande sotto Alessandro Severo, quantunque egli, giusta l’espressione di Lampridio, cacciata ne avesse un’innumerevol moltitudine dall’Italia, che lo stesso Imperatore col testatico, che pagava allo Stato questa infame classe di persone, potè ristabilire tutti gli edifizj destinati al pubblico piacere del Popolo28.

A proporzione che gli Attempati, ed i Giovani [p. 148 modifica]si sforzavano di diventar donne, adottavano queste la natura degli uomini, deponevano le virtù dei loro sesso, univano a tutti i vizj muliebri quelli dei più corrotti uomini, e gli superavano ancora con isfrenata impudenza, ed insaziabile voluttà. Ciò che furono Tiberio, Caligola, Nerone, Commodo, ed Eliogabalo come voluttuosi, e libertini, non lo erano meno nell’adulterio, e nell’incesto Giulia  7 figlia di Augusto, e da esso punita pei brutali di lei piaceri, Messalina29, ed Agrippina mogli di Claudio, Faustina di Marco Aurelio, e le sorelle di Caligola, e di Commodo. Siccome a tutte queste illustri Romane non bastava di scegliere i loro amanti tra i più vili Marinari, e i più disonorati Gladiatori, e Commedianti, e di cambiarli più spesso che i loro abiti, ed ornamenti30, così esse aspirando pure all’onore di essere in [p. 149 modifica]ciò le prime Eroine del loro sesso31, visitavano per divertimento, o per un trasporto dell’eccessiva loro concupiscenza le laide abitazioni delle loro vili compagne, onde perfettamente agguagliarle32. Le altre Romane imitavano a più potere questi grandi modelli. Verso quel tempo, in cui sotto Tiberio i più corrotti giovani dell’ordine Senatorio, ed equestre rinunziavano spontaneamente ai privilegi della lor nascita, e del loro stato per potersi impunemente dedicare alle disonorate arti di Comico, e di Gladiatore, incominciarono, pure le primarie Romane a deporre il grado, e la dignità di onorate Matrone, ed a farsi inscrivere nel ruolo delle pubbliche Meretrici affine d’evitare i gastighi, con cui la legge Giulia  8 [p. 150 modifica]percosso avea l’adulterio33. Senza tali costumi, ed esempj non si sarebbe lo stesso Caligola arrischiato di costringere nobili donne, e giovanotti a sacrificare la lor pudicizia, e le loro attrattive nel pubblico bordello da esso stabilito nel proprio Palazzo ad oggetto di accrescere le di lui rendite, e molto meno Tigellino avrebbe potuto indurre le più illustri Romane a prostituirsi venalmente come le altre pubbliche donne in una licenziosa festa, che esso diede a Nerone34.

La maggior parte delle primarie Signore di Roma non solo andava a caccia di bei giovani per introdurli nel gran Mondo35, ma molte di esse sceglievano altresì i proprj amanti tra gli Schiavi, i Comici, e i Gladiatori per la ragione che nella bassezza, e nel sucidume di tali vili, e disprezzati Individui potevano liberamente dare [p. 151 modifica]sfogo alle lor passioni36. Le Romane, ad effetto di conservarsi più che fosse stato possibile la lor beltà, e segnatamente una certa giovenile freschezza, evitavano colla maggior premura le gravidanze, ed i parti, e non riuscendo loro d’esimersi dalle prime perir facevano di frequente il già conceputo frutto nel proprio seno37. [p. 152 modifica]Se mai i loro mariti si struggevano dal desiderio di aver figli, allora esse non di rado si fingevano gravide, figuravano di partorire, e comprando poscia da poveri Genitori qualche Bambino veniva questo al Consorte o deluso Padre come suo dato in braccio38. Lo snaturato desiderio di rimaner esenti dagli incomodi della gravidanza, e dai dolori, e pericoli del parto formava certamente la cagion principale, per cui le Romane si accoppiavano con artifiziosi, o naturali castrati, e tali matrimonj erano per lo meno così frequenti, e permessi in Roma come lo sono ancor oggi presso i Popoli dell’Oriente39. La castità sembrava piuttosto un rimprovero di quello che fosse un’infamia l’adulterio. Le donne si maritavano per contentare gli amanti alle spalle dei loro sposi, ed era considerata come insulsa, e priva d’ogni cognizione del bel Mondo quella, che ignorava null’altro essere il matrimonio che una continua serie d’infedeltà. Chi è quella donna, esclama Seneca, per quanto meschina, e sordida ella sia, la quale si contenti solamente di un pajo di amanti, e non gli voglia tutti i giorni, ed anche tutte l’ore a’ suoi fianchi40? Queste stravaganze delle donne unite [p. 153 modifica]alla loro dissipazione, ed al libertinaggio degli uomini furono le più rilevanti ragioni, che il Senato oppose ad Augusto prima della pubblicazione della Legge Papia; e quando il medesimo rispose che ogni vero Romano doveva saper tenere a freno, e regolare la propria moglie, allora i Senatori ebbero il coraggio di domandargli, in qual modo egli ne darebbe principio? Questa domanda fece tale impressione nell’animo di Augusto, che egli su due piedi ristabilì, e corresse tutto l’interno regolamento della sua casa41.

I corrotti costumi dell’uno, e dell’altro sesso resero i divorzj non meno comuni degli adulteri, benchè Augusto nelle sue Leggi matrimoniali stabilito avesse pene tali pei capricciosi divorzj le quali esser dovevano estremamente sensibili ai prodighi, ed agli avari Romani dell’uno, e dell’altro sesso42. Niuna donna, dice [p. 154 modifica]Seneca, ha più rossore di far divorzio dappoi che alcune delle primarie non hanno incominciato a contare i loro anni dal numero dei Capi del Consiglio  9, ma da quello dei loro Mariti. Ebbesi in orrore il divorzio finché fu raro. Ora al contrario le ragazze, e le donne si maritano per poi separarsi dai loro sposi, e se ne separano per nuovamente maritarsi43. Quando una donna non bramava di perdere una parte della sua dote, o temeva d’incontrare qualche contrasto nel divorzio, allora faceva Ella ricorso ad un segreto veleno, che le Romane apprestavano così di frequente ai loro mariti come ai lor figli allorchè volevan disfarsi degli uni, o degli altri44. Un infinito numero di amanti, ed una continua mutazione di adulteri non satollavan però la voluttà delle Romane. Esse s’inebriavano ancora di quei medesimi snaturati piaceri, che hanno dipoi signoreggiato negli Orientali Harem, e che una penna [p. 155 modifica]Tedesca non può trascrivere45. Quando anche rimanesse dubbioso se le donne superassero gli uomini, o questi le donne nella dissolutezza, e però indubitato che le Romane oltrepassarono di gran lunga i loro mariti, ed amanti nella sfacciataggine del vestiario, mentre gli abiti muliebri erano al tempo di Seneca così sottili, e trasparenti che si rendeva impossibile ad una Bella di spiegare ai suoi amanti nei loro più segreti incontri maggiori attrattive di quelle, di cui Essa faceva comparsa verso tutto il Pubblico46.

Coi costumi delle donne venne a cangiarsi eziandio la loro natura; imperocchè, siccome gli uomini si rendevano tanto più deboli, e [p. 156 modifica]femminili quanto più si abbandonavano alla corruttela, così le donne divenivano semprepiù virili a misura che la medesima andava tutto giorno aumentandosi. Esse passavano le intera notti in gozzoviglie, e bagordi a fronte dei più famosi crapuloni, e al pari di questi caricavansi oltremodo lo stomaco di cibi, e di vino; anzi alcune di loro avevano persino il coraggio di calcar l’arena, e misurarsi con maschi, e robusti Gladiatori. Questi vizj virili vennero però puniti da parimente virili malattie, mentre molte illustri Romane si trovavano già ai tempi di Seneca podagrose e calve; difetti, dai quali Ippocrate dichiarato aveva esser del tutto esente il debol sesso47. [p. 157 modifica]Malgrado di tutta la rilassatezza delle donne, e dell’avversione, che gli uomini portavano al matrimonio, crebbe sempre più il dominio delle virili Romane su gli effemminati Romani; e gli uomini più corrotti eran trattati con maggior despotismo dalle loro consimili amanti di quel che lo fossero i più illustri soggetti dalle loro degne consorti. Così Cesonia, e Drusilla ebbero molto più potere sul feroce Caligola, Messalina e Agrippina sul licenzioso Claudio, Ate e Sabina sullo sfrenato Nerone che la prudente Livia sopr’Augusto, la nobile Agrippina sopra Germanico, e l’indegna Faustina sul filosofo Antonino. Quanto più le Romane abbandonavano le loro antiche virtù, tanto più ottenevano esse nuovi privilegi mercè del favor delle Leggi. Sotto Tiberio propose Severo Cecina che in appresso fosse proibito ai Comandanti delle Provincie di condur seco le proprie spose nei governi a loro affidati48, giacché le donne sciolte dai vincoli delle antiche Leggi incominciavan non solo a dominare i loro mariti, e le loro famiglie, ma anche i tribunali, e le truppe. Le donne, diceva Cecina, hanno avuto l’ardire di mescolarsi coi soldati, e di andare alla testa delle Legioni nei guerreschi esercizj. In tutte le querele risguardanti le estorsioni, che ogni dì si commettono, le donne son sempre quelle, alle quali principalmente si attribuiscono i maggiori, e [p. 158 modifica]più gravi disordini. Ad esse si uniscono sempre i più corrotti abitanti delie Provincie, e col loro mezzo, ad infamia del nome Romano, e in dispregio di tutte le Leggi, si praticano le maggiori prepotenze, e avanie. Per quanto fondate fossero tutte queste accuse, tuttavia la proposizione di Cecina non ebbe alcun ascolto, e le donne continuarono come prima a dominare tanto in Roma quanto nelle Provincie. Sotto Augusto le donne feconde conseguivano in virtù della Legge Papia la libertà, e l’indipendenza, che l’ultima età della Repubblica si erano sol per abuso, e per altrui negligenza usurpata. Le donne che avevano per tre volte partorito erano dichiarate libere dalla gravosa tutela, potevan disporre a lor piacimento delle proprie sostanze, e al pari degli uomini ereditare, e far testamento49. Mediante la stessa Legge Papia fu introdotto il concubinato come una legittima unione, quantunque il medesimo non godesse dei diritti del matrimonio50; e Giustiniano concesse persino che validi fossero gli sponsali contratti tra i più nobili, ed illustri Romani, e le più vili, e disonorate Meretrici, e stabilì la legittimazione dei figli naturali mediante il susseguente matrimonio51. [p. 159 modifica]

Sebbene sotto gli Imperatori la corruzione dei costumi divenisse sempre più eccessiva, e la moltitudine dei malvagi avesse di gran lunga maggior forza ed autorità del piccol numero dei buoni contuttociò serve di qualche tenue consolazione l’osservare che il malcostume non aveva infettato l’universale delle persone, e che quegli infelici tempi non erano così privi di virtù che non ne producessero di tratto in tratto qualche buon esempio52. Non poche madri, e non poche fedeli consorti seguirono i loro figli, e mariti nelle disavventure. Alcuni si presero cura dei proprj congiunti con uno zelo egualmente grande che pericoloso. Varj schiavi rimasero fedeli ai loro padroni anche in mezzo ai tormenti, e molti nobili Romani morirono con un coraggio degno dei maggiori Eroi dell’antichità. L’età medesima che vidde una Messalina, ed un’Agrippina, ammirò pure un’Arria, la quale precedendo nella morte il suo caro consorte Petone procurò di rendergli meno grave un tal passo tanto col di Lei esempio, quanto coll’assicurarlo che il mortal colpo, da essa datosi col pugnale, che a lui porgeva intriso del suo proprio sangue arrecato non le aveva un dolor violento53.

Note dell'autore

  1. Veggasi la mia „ Storia sulla decadenza dei costumi, e del sistema di Governo dei Romani negli ultimi tempi della Libertà„ S. 32 e segg.
  2. Veggansi ancora le testimonianze dei più celebri Scrittori degli ultimi tempi della Repubblica riferite nella detta mia „ Storia„ S. 214, 215.
  3. Vero fu segnatamente corrotto nella Siria: Capitol. in Vero c. 4 e di là condusse seco tutte le classi di persone mentovate nel Testo. „ Aduxerat secum et fidicinas, et tibicines, et histriones, scurrasque miniarios, et praestigiatores, et omnia mancipiorum genera, quorum Syria, et Alexandria pascitur voluptate. Ib. c. 8. — Juvenal. III. 62. et seq.

    „ Jam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes,
         Et linguam, et mores, et cum tibicine chordas
         Obliquas, nec non gentilia tympana secum
         Vexit, et ad circumjussas prostare puellas.

    et VII. 13. et seq.

    „ Hoc satins, quam si dicas sub judice, vidi,
         Quod non vidisti. Faciant equites Asiani
         Quamquam et Cappadoces faciant, equitesque Bithyni„.

  4. Juven. III. 69, et seq.

    „ Hic alta Sicyone, ast hic Amydone relicta,
         Hic Andro, ille Samo, hic Trallibus aut Alabandis.
         Esquilias, dictumque petunt a vimine collem
         Viscera magnarum domuum, dominique futuri.
         Ingenium velox, audacia perdita sermo
         Promtus et Isaeo torrentior. Ede, quid illum
         Esse putes?quemvis hominem secum attulit ad nos.
         Grammaticus, rhetor, geometres, pictor, aliptes,
         Angur, schoenobates, medicus, magus; omnia novit.
         Graeculus esuriens in coelom, jusseris ibit.

  5. „ Civitas ex nationum conventu constituta. Cic. c. 14. de Pet. Consul.
  6. Tac. Annal. XIV. 20. „ Caeterum abolitos paulatim patrios mores, funditus everti per accitam lasciviam, ut quod usquam corrumpere, et corrumpi queat, in urbe visatur, degeneretque studiis externis juventus gymnasia, et otia, et turpes amores exercendo, etc.
  7. Dio. Cass. Lib. 56. p. 811.
  8. Svet. c. 34 e meglio Heinec. in Papp. p. 50, 51. in opp. P. VII. Edit. Genev.
  9. Tac. Annal. III. 25. „ Relatum deinde de moderanda Papia Poppaeja, quam senior Augustus post Julias regationes incitandis coelibum poenis, et augendo aerario sanxerat: neo ideo conjugia, et educationes lìberorum frequentabantur, praevalida orbitate.
  10. Tiberio scrisse al Senato nei seguenti termini per rispetto alla Legge suntuaria; „ Nescio an suasurus fuerim omittere potius praevalida, et adulta vitia, quam hoc adsequi, ut palam fieret, quibus flagitiis impares essemus. Tac. Annal. III, 53:
  11. Tac. III. 25. „ Caeterum multitudo periclitantium gliscebat, cum omnis domus delatorum interpretationibus subverteretur, utque ante hac flagitiis, ita tunc legibus laborabatur„. E al cap. 28. „ Sed. altius penetrabant, Urbemque, et Italiam, et quod usquam civium corripuerant. Multotumque excisi status, et terror omnibus intentabatur; ni Tiberius statuendo remedio quinque Consularium, quinque e Praetoriis, totidem, e caetero Senatu sorte duxisset, apud quos ex soluti plerique legis nexus modicum in praesens levamentum fuere„. Riguardo a questo passo veggasi Heinec. I. C. pag. 362.
  12. Senec. ad Marciam c. 19. „ In civitate nostra plus gratiae orbitas confert quam eripit. Adeoque senectutem solitudo, quae solebat destruere, ad potentiam ducit, ut quidam odia filiorum simulent, et liberos ejurent, et orbitatem manu faciant,,. Plin. Epist. II. 20. „ Et hic Regulus (famoso eredipeta) haereditates, hic legata, quasi mereatur, accipit. Ἀλλὰ τί διατείνομαι in ea civitate, in qua jampridem non minora praemia, imo majora, nequitia, et im probitas quam pudor, et virtus habent? Aspice Regulum qui ex paupere, et tenui ad tantas opes perflagitia processit, ut ipse mihi dixerit, quam cito sestertium sexcenties impleturus esset. Et habebit, si modo, ut coepit, aliena testamenta, quod est improbissimum genus falsi, ipsis, quorum sunt illa, dictaverit . Et IV. 15. Nam in hoc quoque functus est optimi civis officio, quod foecunditate uxoris large frui voluit eo saeculo, quo plerisque etiam singulos filios orbitatis praemia graves faciunt,,. Sotto Nerone nacque il costume tra i Senatori celibi di adottare per breve tempo (avanti che fossero scelti i Membri dei Magistrati, o si conferisse il governo delle Provincie) gli altrui figli, e quindi di ripudiarli immediatamente subito che ciò era accaduto. Di questa frode si dolsero fortemente i Candidati ammogliati, e le loro lagnanze sono espresse da Tacito nel seguente modo. „ Satis pretii esse orbis, quod multa securitate, nullis oneribns, gratiam, honores, cuncta prompta, et obvia haberent. Sibi promissa legum diu expectata in ludibrium verti, quando quis sine sollicitudine parens, sine luctu orbus, longa patrum vota repente adaequaret,,. Moltopiù dannoso ancora di tutte queste illusioni della Legge Papia fu il jus trium liberorum  4, in quanto che i celibi privi di figli l’ottenevano di frequente per inganno.
  13. Tac. Annal. III. 28. „ ex in continua per viginti annos discordia, non mos, non jus. Deterrima quaeqne impune, ac multa honesta exitio fuere.
  14. Serm. Lib. I. Sat. II. v. 116. etc.

                                                           Num si
    Anoilla aut verna praesto est puer, impetus in quem
    Continuo fiat, malis tentigine rumpi.

  15. Sat. I. 6.
  16. Veggasi particolarmente la descrizione, che Seneca Nat. quaest. I. 16. fa delle iniquità di Ostio, ricco, e vecchio voluttuoso.
  17. Veggasi parimenti Seneca nel luogo citato, „ Speculabatur illam libidinem oris sui, spectabat, sibi admissos pariter in omnia viros. Nonnunquam inter marem, et foeminam distriibutus, et toto corpore patientiae expositus spectabat nefanda. Quid? non putas eo habitu voluisse pingi,,? Veggasi inoltre quello, che Seneca Ep. 87. dice di Natale, uomo,, tam improbae linguae quam impurae etc.,, il quale divenne ricco col mezzo dell’arte sua. Anche più sorprendente di questo è ciò, che lo stesso Seneca racconta di uno dei primarj Romani per nome Mamerco Scauro, il quale era Console sotto Caligola, e che egualmente poco che Ostio cercava di nasconder le proprie dissolutezze IV. 31. Il passo è breve, mala penna ricusa di trascrivere le parole, che contengono l’orribil fatto. A questa mostruosa specie di licenza si riportano le seguenti espressioni; „ ore morigerari, capite sive capitibus illudere, capite periclitari, os impurum, lingua impura, improba, mala. Veggasi Svetonio c. 42— 45 in Tib. Mart. III. 80, 81. VI. 26, ed in altri innumerevoli luoghi.
  18. Svet. I. c. et Tac. Annal. VI, 1. „ Saxa rursum (Tiberius) et solitudinem maris repetiit pudore scelerum, et libidinum, quibus adeo indomitis exarserat, ut more regio pubem ingenuam stupris pollueret. Nec formam tantum, et decora corpora, sed in his modestam pueritiam, in aliis imagines majorum incitamentum cupidinis habebat. Tuncque primum ignota ante vocabula reperta sunt sellariorum, et spintriarum ex foeditate loci, ac multiplici patientia. Praepositique servi, qui quaererent, pertraherent, dona in promptos, minas adversum abnuentes; et si retinerent propinquus aut parens, vim, raptus, suaqne ipsi libita in captos exercebant.
  19. Ibid. 36, 37, 41.
  20. Ibid. 27— 29. Tac. XV. 37.
  21. Ibid. in Dom. c. 22.
  22. Lampr. in ips. vita c. 5. et seq.
  23. ib. in Heliog. vita c. 5, 7, II, 26, 29, 31, 33.
  24. Juven. II. 116. et seg.

    „ Quadraginta dedit Gracchus sestertia, dotem
         Cornioini: sive hic recto cantaverat aere,
         Signatae tabulae: dictum feliciter. Ingens
         Coena sedet: gremio jacuit nova marito.
         O proceres, censore opus est haruspice nobis etc.

    Et Mart. Lib. XII. cap. 42.

    „ Barbatus rigido nupsit Callistratus Afro
         Hac qua lege viro nubere virgo solet
         Praeluxere faces; velarunt flammea vultus;
         Nec tua defuerunt verba Thalasse tibi.
         Dos etiam dicta est. Nondum tibi Roma videtur
         Hoc satis? Expectas num quid ut et pariat?

  25. Tac. Ann. XV. 37. Senec. Ep. 95 „ Transeo agmina exodeterum per nationes coloresque descripta, ut eadem omnibus laevitas sit, eadem primae mensura lanuginis, eadem species capillorum, ne quis, cui rectior est coma, crispulis,iscetur„. Veggasi ancora Luciano de Mer. Cond. I 691, 92.
  26. Veggasi Senec. Ep. 90. Natur. quaest. VII. 31., ma particolarmente Luciano nell’accennato luogo ove egli fa una descrizione estremamente pittoresca di un lindo, ed istruito κίναιδος.
  27. Mar. IX. Ep. 9.

    „Tamquam parva foret sexus injuria nostri
         Foedandos populo prostituisse mares:
         Jam curae lenonis erant, ut ab ubere raptus
         Sordida vagitu posceret aera puer.
         Immatura dabant infandas corpore poenas.
         Non tulit Ausonius talia monstra pater.
         Idem, qui teneris nuper succurrit ephebis
         Ne faceret steriles saeva libido viros.

    Le ragazze pure venivano così di buon ora violate. Leggasi la Storia della settuagenaria Pannichide in Petronio Satyr. p. m. 44 ove una certa Quartilla dice: „ Junonem meam iratam habeam si unquam meminerim me virginem fuisse.

  28. Lampr. in vit. Alexand. Sev. c. 24, 34. Quando i Comandanti delle Provincie non avevano moglie allora, essi, oltre ai vestiti, e alla mobilia, che lor passava l’erario pubblico, ottenevano pure varie concubine pei loro piaceri. c. 42.
  29. Messalina si distinse nel vizio, e nella voluttà anche più di quei mostri d’uomini ai quali l’ho pareggiata. Avendo ella costretto alcune delle primarie Romane a disonorarsi in presenza dei loro mariti, ne premiò poscia i più pazienti, come al contrario ne punì gli altri, che mostrato avevano di soffrire di mala voglia siffatto oltraggio. Dion. 60. c. 18. p. 956. Costei indusse per fino il suo Consorte ad ordinare al Comico Mnester, che ceder non voleva ai di lei inviti, di far tutto ciò, che essa avrebbe richiesto, Ibid. c. 22. 960.
  30. Veggansi i seguenti passi, e poscia Capit. in vit. Marc. c. 19, 20.
  31. Plin. Hist. Nat. X. 63. „ Messalina Claudii Caesaris conjux hoc regalem existimans palmam elegit in id certamen nobilissimam e prostitutis ancillam mercenariae stipis eamque die, ao nocte superavit quinto, ac vigesimo concubitu.
  32. Juven. VI. 122. e seg. così si esprime di Messalina:

                                               tunc nuda papillis
    Prostitit auratis, titulum mentita Lycisae
         Ostenditque tuum, generose Britannice, ventrem
         Excepit blanda intrantes, atque aera poposcit:
         Mox lenone suas jam dimittente puellas,
         Tristis abit; sed quod potuit, tamen ultima cellam
         Claudit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
         Et lassata viris, necdum satiata recessit.

  33. Tac. Annal. lib. II 85. e Svet. in Tib. c. 35.
  34. Ib. XV. 37. „ Crepidinibus stagni lupanaria, astabant, illustribus foeminis completa„ e meglio Dione Cass. 62, 15. pag. 1013. I Mariti veder dovettero le loro mogli esser violate dai proprj Schiavi, e i Padri le loro Figlie dai Gladiatori. Molte illustri donne, e donzelle furono strozzate, o fatte in pezzi alla presenza dei loro sfrenati amanti della più vil plebe, i quali volevano impadronirsene a qualunque costo. Ibid.
  35. Adolescens rarissimae formae in tam magna mulierum turba viros corrumpentium nullius se spei praebuit etc.„ ad Marciam, c. 24.
  36. „ Quaedam, dice Petronio p. m. 238. „ enim foeminae sordibus calent: nec libidinem concitant, nisi aut servos viderint, aut statores altius cinctos etc. „ Juven. VI. 76. et seg.

    „ Accipis uxorem, de qua citharoedus Echion,
         Aut Glaphyrus fiat pater, Ambrosiusque choraules.
         Ornentur postes, et grandi janua lauro
         Ut testudineo tibi, Lentule, Conopos
         Nobilis Euryalum myrmillonem exprimat infans.„

    Allorchè Giovenale scriveva queste cose fuggì in Egitto con un sozzo Gladiatore la sposa di un Senator Romano v. 110.

    „ Sed Gladiator erat. Facit hoc illos Hyacinthos.
         Hoc pueris, patriaeque, hoc pertulit sorori,
         Atque viro. Ferrum est quod amant.

  37. „ Juven. VI. 593. e seg. Sed jacet aurato vix ulla puerpera lecto„ etc.
    „ Nunquam„ dice Seneca di sua madre Elvia, in Cons. ad Helviam c. 16.„ Nunquam te foecunditatis tuae, quasi exprobraret aetatem, puduit: nunquam more aliarum, qnibus omnis commendatio ex forma petitur, tumescentem uterum abscondisti, quasi indecens usus, nec intra viscera tua conceptas spes liberorum elisisti.
  38. Juven. VI. 601. et seg.
  39. Ib VI. 367 Heinec. in Pap. Popp. p. 161.
  40. Senec. de Benef. III. 16.,, Numquid jam ullus adulterii pudor est, postquam eo ventum est, ut nulla virum habeat, nisi ut adulterum irritet? Argumentum est deformitatis pudicitia. Quam invenies tam miseram, tam sordidam, ut illi sitis sit unum adulterorum par? nisi singulis divisit horas? et non sufficit dies omnibus? nisi apud alium gestata est, apud alium mansit? infrunita, et antiqua est, quae nesciat matrimonium vocari unum adulterium?„
  41. Dio. Cass. 54. c. 16. p. 745.
  42. Heinec. in Pap. Popp. p. 327. et seq. „ L’Uomo non doveva solo restituire la dote alla moglie, ma era altresì tenuto di bonificare alla medesima, con il fruttato, o colla rendita di quattro anni, la porzione, che parimente giusta le Leggi Ella aveva diritto di ripetere nell’atto del suo ripudio. La donna perdeva l’ottava, o sesta parte della sua dote secondo che essa era più, o meno colpevole.
  43. De Benef. III. 16.
  44. Veggasi fra gli altri Gioven. VI. 616. 632. In Marziale si trovano così di frequente alcuni esempj di avvelenamenti de’ Romani Conjugi ch’io non credo di dover prendermi la pena di accennarli. Diversi Conjugi non mangiavano perciò mai insieme sul timore che l’uno potesse in questa parte prevenir l’altro.
  45. Veggasi Gioven, VI. v. 320, e seg. 333 e seg. Petròu. p. m. „ Occidisti Priapi delicias, anserem, omnibus matronis acceptissimum ec.,, Senec. ep. 95. Dii illas. Deaeque male perdant: adeo perversum commentae genus impudicitiae: viros ineunt.,, Lipsio confessa di non intender Seneca, e invece dell’ultime parole vuol leggere „ viri sunt, ineunt, ovvero, virosae ineunt.
  46. Senec. ad Helv. c. 16. „ Nunquam libi placuit vestis, quae nihil amplius nudaret, cum poneretur et VII. 9. „ Video sericas vestes, si vestes vocandae sunt, in quibus nihil est, quo defendi aut corpus, aut denique pudor possit: quibus sumtis mulier parum liquido, nudam se non esse, jurabit. Haec ingenti summa ab ignotis ad commercium gentibus accersuntur, ut matronae nostrae ne adulteris quidem suis plus in cubiculo, quam in publico ostendant.
  47. Veggasi Lips. Satur. II.4 Gioven. VI. 250., ma specialmente Seneca Ep. 95. „ Cum virorum licentiam aequaverint, corporum quoque virilium vitia aequaverunt. - Non minus pervigi lant, non minus potant; oleo, et mero viros provocant: acque invitis ingesta visceribus per os reddunt, et vinum omne vomitu remetiuntur. Quid ergo mirandum est maximum medicorum, ac naturae peritissimum in mendacio prehendi, cum tot foeminae podagricae, et calvae sint? beneficium sexus sui vitiis perdiderunt: et quia foeminam exuerunt, damnatae sunt morbis virilibus„. Ma per quanto virili fossero le Romane, tuttavolta parlavan soltanto la Greca favella, poichè questa era più dolce, e molle della Romana. Juven. VI. 186 et seq.

                                                               „ Omnia graece.
         Hoc sermone pavent, hoc iram, gaudia, curas,
         Hoc cuncta effundunt animi secreta etc. „

  48. Tac. Annal. III. 33.
  49. Heinec. in Leg. Pap. II, c. 11. pag. 235. et seg.
  50. Ib. II. 4. pag. 165. e segg.
  51. Ibid. pag. 150, 175 .
  52. Tac. Hist. I. 3.
  53. Veggansi Dione Cassio L. 60. c. 16. p. 954. e Mar. I. 14.

    Casta suo gladium cum traderet Arria Paeto,
         Quem de visceribus traxerat ipsa suis:
    Si qua fides, vulnus, quod feci, non dolet, inqoit;
         Sed quod tu facies, hoc mihi, Paeto, dolet.

Note del traduttore

  1. [p. 289 modifica]Gli Autori Latini, che più degli altri hanno detto che Roma, e il suo Impero erano fondati per l’eternità sono stati per quanto mi rammento Virgilio, e Claudiano. Il primo nel I. Libro dell’Eneide così fa dir a Giove nel rispondere a Venere, che si lagnava dell’infelice sorte di Enea.

    Romulus excipiet gentem, et mavortia condet
    Mœnia, Romanosque suo de nomine dicet.
    His ego nec metas rerum nec tempora pono,
    Imperium sine fine dedi.

    Claudiano poi nel suo poema intorno al secondo consolato di Stilicone dopo aver tessute le più grandi, ed enfatiche lodi di [p. 290 modifica]Roma, dei Romani, e della loro smisurata potenza si esprime nel modo seguente; Hujus (cioé Roma) pacificis debemus moribus omnes Quod veluti patriis regionibus utitur hospes Quod sedem mutare licet, quod cernere Thulen . . . . Quod cuncti gens una sumus, nec terminus unquam Romana ditionis erit.

  2. [p. 290 modifica]Molte Leggi presso i Romani presero, come è noto, il nome da colui, o da coloro, che lo fecero, e pervennero a farle adottare dal Senato, e dal Popolo. Una di queste è la legge de maritandis ordinibus detta Papia Popea per essere stata promulgata, o rinovata sotto Augusto da Papio, e Popeo ambidue Consoli in quell’anno. Celebre è sopratutto siffatta legge a motivo della moltitudine dei Capitoli, e per la vasta, e varia erudizione, che contiene non che pei molti Senatus-consulti ai quali ha dato luogo. Essa risguardava specialmente i Grandi per obbligarli ad accasarsi decretando fra le altre cose che chi di loro non aveva preso moglie dopo gli anni 25. non potesse ereditare nulla di ciò che gli era stato lasciato per testamento dagli estranei, e che inoltre ei fosse inabile a cuoprire qualsivoglia pubblico impiego, o almeno ne venisse posposto a tutti gli altri nelle petizioni, che se pe facevano dai diversi [p. 291 modifica]concorrenti. Gravina; de ortu, et progressu juris civilis.
  3. [p. 291 modifica]Il celebre Germanico prese moglie di 20. anni incirca. Egli veniva ad essere nipote di Augusto per aver sposato Agrippina figlia di Marco Agrippa, e di Giulia figliuola del suddetto Imperatore; ma principalmente perchè Antonia minore sua madre era figlia di Ottavia maggiore sorella dello stesso Augusto. Suet. in Aug. e in Tib.
  4. [p. 291 modifica]Il Jus trium liberorum ebbe fra i Romani origine dai Lacedemoni, e portava in sostanza che quegli uomini i quali erano dotati di tre o più figli dovessero esser esenti dalla custodia della Città, e da altri pesi personali, e che di più l’erario pubblico fosse tenuto di provvedere al mantenimento di questi stessi figli fino alla loro pubertà. Gravina l. c.
  5. [p. 291 modifica]Quantunque Augusto non fosse di una morale molto austera tuttavia egli punì persino colla morte alcuni dei più illustri Romani, i quali si erano resi oltremodo abominevoli per le loro nefande oscenità. Suet. in Aug.
  6. [p. 291 modifica]In molti luoghi dell’Asia, e dell’Africa si da attualmente il nome di Harem alla moltitudine delle mogli, e delle Concubine dei loro Satrapi, e Monarchi giacchè le medesime, secondo il significato Arabo del detto vocabolo, vengono riputate qual cosa inviolabile, e sacra. Talvolta sono [p. 292 modifica]così chiamati ancora dagli Orientali i serragli medesimi ossiano i Palazzi ove le mentovate donne si tengono custodite, e rinchiuse.
  7. [p. 292 modifica]Giulia figlia di Augusto fu dallo stesso suo Padre relegata nell’Isola Pandataria ora detta Santa Maria, o Ventoniana nel golfo di Pozzuoli. In seguito Tiberio la mandò per la medesima causa in esiglio a Regio di Calabria ove credasi ch’Ella morisse. Tac. Annal. I.
  8. [p. 292 modifica]Varie sono le opinioni dei moderni Autori sui gastichi, che la legge Giulia emanata, o per meglio dire riprodotta da Augusto infliggeva al delitto di adulterio, ma pare che uno dei più miti fosse la deportazione, o la relegazione conforme il detto Imperatore ne diede l’esempio nella propria figlia, e nella propria Nipote non meno che nel poeta Ovidio. Nei primi tempi della Repubblica al contrario il marito, o il Padre d’un’adultera trovata sul fatto poteva impunemente ucciderla assieme con chi l’aveva sedotta. Gravina nella citata sua Opera.
  9. [p. 292 modifica]Per le Calende di Gennajo si scieglievano annualmente nei Comizj Centuriati due Consoli i quali davano il nome all’anno, ed altri fino a dodici ne venivano nominati nei susseguenti mesi. Molti Imperatori vollero essere insigniti ancora della consolare dignità, la quale allo spirare della [p. 293 modifica]Repubblica non divenne in sostanza che puramente onorifica Gibbon. c. 2.