Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro IV/Capo II

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Capo II - Studi sacri

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Capo II

Studi sacri.

I. La pace che Costantino diede alla Chiesa, e l’onore a cui sollevolla, permise e diè coraggio a quelli tra’ Cristiani che dal lor ministero vi eran chiamati, a rivolgersi con fervore ai’illustrare co’ loro scritti que’ sacri studi co’ quali potesse la religione e diffondersi più ampiamente, e valorosamente difendersi da’ suoi nemici. In fatti i più dotti e i più celebri tra’ Santi Padri fioriron neI’IV secolo, o al principio del.v, così nella Chiesa greca ch’ebbe un Atanasio, un Basilio, un Gregorio Nazianzeno, un Giovanni Grisostomo, come nella latina ch’ebbe un Girolamo, un Ambrogio, un Agostino. Ma noi non dobbiamo parlare che degl’Italiani, e di essi ancora ci basterà l’accennar qualche cosa, perciocchè, come altrove si è detto, tutto ciò che appartiene agli scrittori ecclesiastici, è stato già da tanti valenti scrittori rischiarato per modo, che appena altro ci rimarrebbe a fare che ripetere inutilmente ciò che da essi si è detto. II. E primieramente io penso che fino da questi tempi cominciassero i vescovi ei’i parrochi ancora a tenere nelle loro case una scuola, dirò così, di sacra letteratura, in cui i chierici [p. 596 modifica]5pO> LIBRO fossero istruiti in quelle scienze che al loro stato si convenivano. Un canone del secondo Concilio di Vaison celebrato l’anno 529, riferito dal dotto P. Thomasin (Discipl. de Benef pars 2, lib. 1, c. 88, n. 10), rende alla nostra Italia quest1 autorevole testimonianza: Omnes presbyteri, qui sunt in parochiis constituti, secundum consuetudinem, quam per totam Italiam satis salubriter teneri cognovimus, juniores lectores secum in domo retine ant, et eos, quomodo boni Patres, spirituaiter nutrientes, psalmos parare, divinis lectionibus insistere, et in lege Domini erudire contendant, ut sibi dignos successores prooideant. 11 canone benchè altro non provi se non che nel vi secolo era in Italia un tal uso, nondimeno sembra ancora che accenni che assai prima esso vi si era introdotto; e tale è in latti F opinione del sopraccitato scrittore, il quale pensa che fin da’ tempi più antichi si istituissero cotali scuole sacre in Italia; il che però io credo che non debba intendersi se non de’ tempi di Costantino e de’ seguenti imperadori, poichè non sembra probabile che si potesse ciò usare anche al tempo degl’imperadori gentili. Inoltre nel iv secolo s’introdusse in alcune chiese d’Italia la vita comune dei chierici insieme col loro vescovo. Il primo a darne l’esempio in Occidente fu, per testimonio di S. Ambrogio, S. Eusebio vescovo di Vercelli, di cui or ora ragioneremo (S. Ambr. ep. 63 ad D’ere èli). Or chi può dubitare che tra gli ordinarj esercizi di questa vita comune non fossero ancor fissate le ore da impiegarsi ne’ sacri studi necessarii [p. 597 modifica]QUARTO 5()7 a coloro clic debbono occuparsi negli ecclesiastici ministeri? E veramente se anche nelle monastiche congregazioni che a questi tempi s’istituirono, benchè ne fosser bandite le scienze profane, vollero nondimeno i lor fondatori che le sacre vi fossero coltivate, come nella Regola di S. Pacomio osserva il P. Mabillon (De Studiis monast c. 2, ec.); e se anche S. Benedetto volle che i suoi monasteri avessero una biblioteca, de’ cui libri i monaci si potessero opportunamente giovare (Reg. S. Bened. c. 48), quanto più è a credere che ciò si usasse dal clero , a cui era necessario singolarmente l’essere provveduto di quella scienza , senza cui non si possono esercitare i ministeri ad esso affidati? III. Noi veggiamo di fatti in Italia a’ tempi di cui scriviamo, dottissimi uomini che seppero e difendere e propagare felicemente la religione col lor sapere, e ci lasciarono monumenti gloriosi de’ loro studi. Tra essi io darò il primo luogo a due celebri Sardi, cioè a S. Eusebio vescovo di Vercelli e nativo di Cagliari, e a Lucifero vescovo della stessa città di Cagliari. Illustri amendue pel magnanimo zelo con cui si opposero agli Ariani e al lor protettore Costanzo, e per gli esilj e disagi che perciò ne soffersero, pe’ quali S. Eusebio ha nella Chiesa il culto di Martire, come furono per lungo tempo compagni in vita, così ancora si unirono nel tempo della lor morte, da cui furono rapiti amendue, secondo S. Girolamo (in Chron.), l’anno 371, S. Eusebio in Vercelli, Lucifero in Cagliari, ove egli è ancora venerato con [p. 598 modifica]IV. Giulio Firmico Materno. 598 LIBRO solenne culto. Ella è opinione comune a tutti gli scrittori di storia ecclesiastica, che Lucifero venuto a dissensione con S. Eusebio all’occasione dello scisma di Antiochia, un nuovo scisma formasse egli stesso, e che i suoi seguaci avessero perciò il nome di Luciferiani. Ma il celebre P. Papebrochio, uno de’ continuatori del Bollando, con ragioni a mio parere non improbabili ha dimostrato che benchè alcuni scismatici prendessero veramente il nome di Luciferiani , egli però non ne fu colpevole in alcun modo, e che non mai separossi dalla comunione della cattolica Chiesa (Acta. SS. maii, t 5, p. 203). Or tornando al nostro argomento, amendue questi difensori della cattolica religione diedero ancora pruove del lor sapere. Di S. Eusebio non abbiamo che alcune lettere (Ceillier t. 5, p. 439 ec-); ma sappiamo, per testimonianza di S. Girolamo (De Script, eccl. c. 96), che egli avea recato di greco in latino linguaggio il Comento di Eusebio di Cesarea sopra i Salmi. Più opere ci son rimaste di Lucifero tutte da lui indirizzate a sostenere la cattolica fede contro gli argomenti non meno che contro il furor degli Ariani (V. Ceillier t. 5, p. 384, ec)Il valoroso ab. Cotelier ne apparecchiava, come egli stesso afferma, una nuova edizione (in not. ad PP. apostol. p. 177); ma convien dire che dalla morte gli fosse vietato il condurla a fine. IV. Un altro difensore ebbe la religione a questo medesimo tempo in Giulio Firmico.Materno siciliano di patria. Due opere di troppo diverso argomento abbiamo sotto un tal nome; [p. 599 modifica]QUARTO 5^9 cioè otto libri di matematica presa in quel senso in cui allora comunemente intendevasi, cioè di astrologia giudiciaria, ne’ quali egli raccoglie tutte le superstiziose osservazioni che di essa son proprie, e tutto ciò che a difesa di essa si può recare, valendosi molto del poema astronomico di Manilio, di cui per altro non fa alcuna menzione; e ne è perciò da alcuni tacciato qual plagiario (V. Le Clerc Bibl. chois. t. 2, art 5). L’altra è un libro da lui intitolato: De Errore prophanarum religionum, in cui assai bene dimostra la falsità della religion de’ Gentili. Quindi il Baronio (Ann. eccl. ad an. 355), il Tillemont (Hist. des Emper. in Constantio, art. 67), il Ceillier (t.6,p. 1) ed altri pensano che due autori del medesimo nome si debbano ammettere, uno cristiano autore del libro contro i Gentili, l’altro più giovane idolatra autore dell’opera d’astrologia. Ma non potrebbesi egli dire che Firmico fosse prima idolatra, e allora scrivesse i libri superstiziosi, poscia fatto cristiano scrivesse in difesa della sua medesima religione? Così di fatto pensan! alcuni, e tra essi il Fabricio (Bibl. lat. l. 3, c. 8). Ma una grave difficoltà si oppone a un tal sentimento. Firmico scrisse, o almeno compiè i suoi libri d’astrologia dopo l’anno 355, perciocchè egli fa in essi menzion di Lolliano come d’uomo che era stato console ordinario (l. 8, c. 15), il che appunto avvenne nel detto anno 351 (V.Fast. Consul.). Non potè egli dunque compir prima quest’opera, benchè il Tillemont per varj argomenti s’induca a credere ch’egli la cominciasse fino da’ tempi del gran [p. 600 modifica]600 LIBRO Costantino (note 3 sur Costantin). Al contrario il libro contro gli errori de’ Gentili fu da lui indirizzato a’ due fratelli imperadori Costanzo o Costante, o, come in altre edizioni si legge, Costantino e Costante; e qualunque di queste due lezioni noi vogliamo seguire, convien certamente supporre che il libro fu scritto assai prima dell’anno 355, perciocchè Costantino il Giovane morì l’anno 340, e Costante l’anno 350, e quindi egli è necessario il confessare che l’opera astrologica fu composta più tardi di quella a difesa della religione. Se dunque non sembra probabile che un Cristiano fosse superstizioso seguace dell’astrologia giudiciaria, il che certo in quei primi secoli non è a credere, converrà dir veramente che due siano stati presso al tempo medesimo gli autori del medesimo nome. V. Intorno a S. Zenone vescovo di Verona nulla si è stabilito fondatamente fino a questi ultimi anni. Perciocchè quasi tutti seguendosi, come suole avvenire, l’un l’altro, hanno scritto che i Trattati sotto il nome di lui pubblicati altro non erano che una Raccolta di sermoni presi da diversi autori; e molti ancora hanno creduto che egli vivesse a’ tempi dell’imperadore Gallieno. Il march. Maffei è stato il primo che abbia alle cose di questo santo vescovo recata più chiara luce; e poscia gli eruditissimi fratelli Ballerini le hanno rischiarate per modo nella edizione che delle opere di lui hanno fatta l’anno 1739 in Verona, che omai non vi è più luogo nè a questione nè a dubbio (a). (n) Il eli. inonsig. Gio. Jacopo Dionisi canonico di [p. 601 modifica]QUARTO f)01 Essi dunque han chiaramente mostrato (in Proleg. Zenonian.) che S. Zenone tenne la cattedra di Verona dopo la metà del IV secolo, cioè tra gli anni 356 e 380; e ch’egli è veramente l’autore de’ novantatrè trattati su varj argomenti sacri, e singolarmente scritturali, che divisi in due libri si veggono in tutti i codici a penna, benchè in essi egli abbia imitato Lattanzio e S. Ilario. Essi hanno ancora valorosamente difesa la dottrina del santo vescovo dalle accuse che da alcuni contro di essa si eran mosse; e finalmente tutto ciò che appartiene alla vita, alle opere, al culto di esso, hanno colla consueta loro erudizione e diligenza illustrato. A me basterà dunque l’aver qui accennato in breve ciò che essi dimostrano ampiamente , e aggiugnerò solo eli’ essi con qualche probabile conghiettura pensano che S. Zenone fosse nativo di Cesarea nella Mauritania. Ma ben ci dee esser lecito il dargli luogo tra’ nostri per la cattedra vescovile che ebbe tra noi. Ed egli ancora dee ottener buon nome tra’ coltivatori della letteratura, perciocchè lo stile da lui usato ha una cotal dolcezza ed eleganza sua propria, che di raro s’incontra negli scrittori di questi tempi. VI. Celebri ugualmente furono al medesimo tempo due santi vescovi di Brescia, S. Filasti-! 0 e S. Gaudenzo , che a S. Filastrio succedette in quel vescovado circa l’anno 387. La vi. S. Filasi rio p S. (»aiulrnzo ili lircs« iu. Verona ci ha data nel 1784 una italiana versione delle Opere di S. Zenone illustrate con note , premessavi una nuova Vita del santo vescovo. [p. 602 modifica]vir. S. Paolino ■vescovo «li Kob. 60 a _ LIBRO vita e le opere rii amendue sono state con somma erudizione illustrate dal dottore canonico Paolo Gagliardi nell’edizione de’ PP. Bresciani fatta l’anno 1738, il quale gli ha ancora difesi contro l’ingiusta censura che il troppo severo e poco esatto Dupin ne ha fatto nella sua Biblioteca degli Scrittori ecclesiastici. Di qual patria essi fossero, non si può nè accertare, nè conghietturare. S. Gaudenzo però sembra che probabilmente si possa creder bresciano , come osserva il mentovato scrittore. Di S. Filastrio abbiamo una Storia delle antiche Eresie, in cui benchè non veggasi sempre quella esattezza e precisione che in tali opere si richiede, abbiam nondimeno tante e sì pregevoli notizie, le quali invano cercherebbonsi altrove, eli’ essa è giustamente avuta in gran conto dagli eruditi. Di S. Gaudenzo abbiamo alcuni Sermoni, di cui il Tillemont, giudice certamente migliore assai del Dupin, parla con molta lode (Mem.pour l’Hist. eccl. t.10, p. 86). VII. Alquanto più tardi fiorì S. Paolino vescovo di Nola, alla qual sede ei fu innalzato l’anno 410 e la tenne fino al 431- Noi non contrasteremo a’ Francesì l’onore di annoverarlo tra’ loro uomini illustri, poichè ei nacque nelle Gallie, e vissevi per alcun tempo, e vi ebbe a maestro il celebre Ausonio. Ma l’essere egli nato di famiglia senatoria romana, l’esser venuto ancor giovinetto in Italia, e T avervi soggiornato per lungo tempo, l’esservi poi ritornato l’anno 3 94 j e T avervi vissuto per lo spazio quasi di quarant’anni fino alla sua morte, dà a noi pure un assai maggiore diritto di [p. 603 modifica]quarto 6o3 annoverarlo tra’ nostri. Io non tratterrommi però a esaminare ciò che a lui appartiene, intorno a che si posson vedere, oltre a tutti i trattatori della storia e degli scrittori ecclesiastici, il ch. Muratori (Anecd. lat. t: 7), e l’erudito P. Remondini Somasco che ne ha scritto con diligenza ed erudizion singolare (Stor. eccl. di Nola t. 2). Oltre alcune sue opere che si sono smarrite , molti poemi egli scrisse, e parecchi di essi in lode del suo S. Felice di Nola, e molte lettere ancora a diversi amici. Se gli uni e le altre non ci fossero tra le mani, noi avremmo ad essere inconsolabili della lor perdita; tanti e sì grandi elogi ne veggiam fare dagli scrittori che a lui furono uguali. Le lodi che ne dice Ausonio (ep. 19 et seq.), son tali ch’io non. so qual maggior encomio potesse, egli fare a Virgilio, o a Cicerone. Anche altri scrittori di quel medesimo tempo ne parlarono in somma lode, e i loro elogi si posson vedere raccolti dal sopraccitato P. Remondini (l. cit. p. 189, 4^9? ec-)- E nondimeno chiunque ora legge i Poemi e le Lettere di S. Paolino , quanto più ne ammira la pietà, la perizia nelle Sacre Scritture, e una cotal sua particolare dolcezza e soavità, tanto meno ne loda le espressioni e lo stile, che non si può negare che non sia basso ed incolto. Esso però è migliore di quello che allora comunemente si usava anche da’ più dotti scrittori; e certo lo stile di S. Paolino nelle sue Lettere è assai meno incolto di quello di Sidonio Apollinare che vivea verso il medesimo tempo, e che godeva la fama di eloquente oratore. Quindi al paragone [p. 604 modifica]6o4 LIBRO degli altri poteva S. Paolino sembrare un nuovo Tullio e un nuovo Virgilio. E a ragione gli si dee gran lode; che molto studio e diligenza non ordinaria conveniva usare a que’ tempi per non essere in tutto barbaro fra tanta barbarie. VIII. Due altre chiese d’Italia ebbero a questo tempo vescovi per santità non meno che per sapere famosi; Ravenna, S. Pier Grisologo di patria imolese; Torino, S. Massimo. Al primo il soprannome medesimo di Grisologo rende testimonianza del pregio in cui se ne aveano i discorsi. Molti di essi ancor ci rimangono, ne’ quali certo si scorge ingegno, soavità ed eloquenza, con uno stile però che non può piacere a chi ha buon gusto di vera latinità, ma che allora dovea sembrare, in confronto di quello che dagli altri si usava, come sopra si è detto, elegante e colto. Egli fu innalzato alla sede di Ravenna verso l’anno 4^3, eia morte se ne dee fissare all’anno 449- Di lui e delle opere da lui composte hanno trattato con singolar diligenza il P. Sebastiano Paoli che di esse ha fatta una nuova e assai pregevole edizione, e il P. abate Ginanni ne’ suoi Scrittori Ravennati (t. 2, p. 187, ec.). Di S. Massimo vescovo di Torino ha scritto eruditamente la Vita il canonico Piergiacinto Callizia. Ma ciò non ostante molte cose ancora s’incontrano oscure ed incerte sulla nascita, sull’età, sulle opere di questo celebre vescovo. Noi possiamo sperare che fra’ molti dottissimi uomini di cui va al presente adorno il Piemonte, e singolarmente la capitale Torino, vi sarà chi pensi ad illustrarne diligentemente la vita, e pubblicarne [p. 605 modifica]QUARTO 6o5 con nuova ed accurata edizione le opere, separando ciò che a lui appartiene, da ciò che è di altri (16), Io accennerò qui solamente ciò che di lui dice Gennadio (De Viris Ill. c. 40) che il chiama assai versato nello studio delle Divine Scritture, ed abile ad istruire il popolo , parlando anche senza apparecchio; e quindi rammentati parecchi libri e molte omilie da lui composte, conchiude ch’egli morì regnando Onorio e Teodosio il Giovane. Alcuni però invece della parola moritur usata da Gennadio vogliono che si legga floruit, per conciliar con ciò che dice Gennadio, ciò che da altri monumenti ricavasi, cioè ch’egli assistette a’ Concilj di Milano nel 451, e di Roma nel 465. Ma il ch. Vallarsi afferma (t. 2 Op. S. Hieron. p. 969) che a ciò si oppongono tutti i codici a penna, ne’ quali leggesi moritur. IX. Il più celebre fra tutti i vescovi di questa età fu S. Ambrogio di Milano. Egli ancora è stato da’ Maurini autori della Storia letteraria di Francia posto tra’ loro uomini illustri (l. 1, part. 2, p. 325), perchè a caso ei nacque nelle Gallie, ove Ambrogio suo padre era allora prefetto. Ma io non so perchè abbian essi dissimulato che il padre era romano di pallia, e (a) Per opera singolarmente del regnante pontefice Pio VI abbinino finalmente avuta l’anno 1784 dalle stampe di Roma una bella edizione delle Opere di S. Massimo, in folio, raccolte da molti codici mss., ed illustrate dal P. Bruno Bruni delle Scuole Pie. Ma della vita del santo vescovo poco più si è potuto sapere, per mancanza di monumenti, di ciò cìi’ era già noto. [p. 606 modifica]Got) LIBRO abbiali detto soltanto eli’ egli era di una delle più illustri famiglie dell1 impero romano. Di fatti essendo ancor giovinetto il nostro Santo sen venne a Roma (Paullinus in ejus vita n. 4); ed ivi attese agli studj con sì felice riuscimento, e perorò ancor nelle cause con tanto applauso (i!>. n. 5), che da Probo prefetto allor del pretorio fu scelto a suo consigliere; e poscia, prese l’insegne di console, fu mandato a reggere la Liguria e l’Emilia, e venne a fissar sua dimora in Milano. Della maniera prodigiosa con cui egli fu eletto vescovo, delle singolari virtù di cui diede di continuo chiarissimi esempj, delle gloriose imprese del suo vescovado nel resistere coraggiosamente agli Ariani sostenuti invano dall’imperadrice Giustina, e nel mostrarsi in ogni occasione universale e amantissimo padre della sua greggia, della sua fermezza nel condurre a pubblica penitenza l’imperador Teodosio, e di tutti gli altri ammirabili pregi di santità, di prudenza, di zelo, di cui egli fu adorno, io lascerò che ognuno consulti que’ tanti scrittori che ne han ragionato. Egli morì l’anno 397 in età di soli 57 anni. Le molte opere che di lui ci sono rimaste, parte d’interpretazione della S. Scrittura, parte di lettere, e parte di trattati e di libri su diversi sacri argomenti , sono un onorevole testimonio del profondo sapere di questo santo dottore. Se se ne tragga un troppo frequente uso del senso allegorico della Scrittura, egli è certo eli’ esse non sono inferiori ad alcuna, e superiori a molte delle opere di altri scrittori di questo tempo; e che in esse vedesi eloquenza, vivacità, forza, e spesso [p. 607 modifica]quarto 007 grazia non ordinaria. La perizia ch’egli avea della lingua greca, gli agevolò il valersi delle opere de’ Padri di quella nazione, e singolarmente di Origene, da cui però con saggio discernimento ei non trasse se non ciò che era conforme a’ dogmi della cattolica religione. È sembrato ad alcuni che S. Girolamo parlasse di lui talvolta con qualche disprezzo; ma è a leggere la bella apologia che su ciò ne ha fatta il dottissimo ed esattissimo P. Giovanni Stiltingo (Acta SS. sept. t. 8). X. Noi dovremmo qui far menzione di molti ancora tra’ romani pontefici che ci lasciarono 1 monumenti del lor sapere; ma per amore di brevità in un argomento che non ha bisogno di essere illustrato, ci basti l’accennar qualche cosa di due tra essi più celebri, cioè di S. Damaso e di S. Leone il Grande. S. Damaso da tutti comunemente gli autori vien detto spagnuolo. Ma il Tillemont fa veder chiaramente (Mem pour l’Hist. eccl. in Dam. art. 1, note. 1) che il padre di lui visse in Roma la più parte de’ giorni suoi, e che non si può in alcun modo dubitare che S. Damaso e Irene sua sorella ivi pur non nascessero. Ciò non ostante l’erud canonico Francesco Perez con una lunga e dotta dissertazione pubblicata in Roma l’anno 1 "56 ha preso a ribattere gli argomenti del Tillemont, e a mostrare che S. Damaso fu veramente spagnuolo. Io non voglio entrar in ciò a contesa; e per far qui menzione di questo S. pontefice, a me basta che ei passasse in Italia almen la più parte della sua vita, il che Ha [p. 608 modifica]6<>8 MURO ninno si nega (*). Sollevalo alla cattedra di S. Pietro l’anno 366, e cessate dopo due anni le turbolenze dello scisma contro di lui sollevato da Orsino, egli resse felicemente la Chiesa fino all’anno 384; e si posson vedere presso gli scrittori della storia ecclesiastica, e nella dissertazione promessa alle sue Opere dell1 edizione fattane in Roma f anno 1764 le cose da lui operate. Io debbo solamente riflettere che a questo pontefice noi dobbiamo singolarmente gli eruditi travagli di S. Girolamo intorno alla S. Scrittura, ch’egli.per comando di lui intraprese. Delle Opere di S. Damaso parla con lode lo stesso S. Girolamo (De Script, eccl. c. 106); ma altro non ce n’è rimasto che alcune lettere e alcuni sacri epigrammi, i quali però, come la più parte delle poesie di questo tempo, son più pregevoli per la pietà che per l’eleganza. XI. Niuno contrasta all’Italia l’onore di esser la patria di S. Leone; ma tra loro perciò contrastano nell’Italia stessa la Toscana e Roma. Il Quesnello però e i dottissimi Ballerini (V. S. Leon. Op. ed. venet. t. 2, p. 399) a Roma più che alla Toscana si mostrano favorevoli. (*) Io non ho preteso qui di decidere la quistione sulla patria di S. Damaso , benché mi sia mostrato favorevole all’opinione del Tillemout che lo dice italiano. L’ab. Lnmpillas (t. 2, ».V iq, ec.) ha seguito il Bayero, e ha messi in nuovo lume gli argomenti che provano eh’ei fu spagnuolo, i quali certo lian molla forza, lo ripeto clic nou voglio disputar su ciò, e che per parlar di S. Dauiaso ini basta eh’ei passasse in Italia la maggior parte della sua vita. [p. 609 modifica]QUARTO ÒOQ Io non mi tratterrò a nairare le grandi cose da lui operate nel suo pontificato, cui egli tenne dall’anno 440 fino al 461 e il combattere e l’atterrar ch’egli fece le eresie de’ Manichei, de’ Pelagiani, degli Eutichiani; e l’eloquenza con cui indusse Attila a ritirarsi dall’Italia, e Genserico a non usare delle fiamme e del ferro contro di Roma; la moltitudine e la magnificenza degli edificj da lui o innalzati, o ristorati, e tutte in somma le virtù e le intraprese di questo santo pontefice, che gli acquistarono a ragione il soprannome di Grande. Intorno a ciò si possono leggere le dissertazioni del sopraccitato Qnesncllo, e P erudite note ad esse aggiunte da’ Ballerini, i quali per altro confessano che una nuova e più esatta Vita di questo grand’uomo converrebbe formare con più diligenza che non siasi fatto finora. Io rifletterò solamente ciò che più appartiene al mio argomento, ch’egli fatto pontefice chiamò a sè i più dotti uomini che allora fossero nella Chiesa, per valersi del consiglio e dell’opera loro (V. Op. S. Leon. l. c. p. 426). E che egli stesso fosse uomo non sol nelle sacre, ma ancor nelle profane scienze profondamente versato, ce ne fan fede le Lettere e i Sermoni che di lui abbiamo, nelle quali oltre una giusta ed esatta dottrina vedesi una gravità e un’eloquenza non ordinaria, che in mezzo ancora a uno stile, quale allora si usava, non troppo terso, piace ciò non ostante ed alletta assai. Quali sian le opere che a lui falsamente si attribuiscono, veggasi presso i suddetti autori. Nel Dizionario degli Autori Ecclesiastici Tiraboschi, Voi. IL 3y [p. 610 modifica]610 LIBRO stampato a Lyon l’anno i 767 si dice (t. 3, p. 120) che l’ultima e la più corretta edizione dell’Opere di S. Leone è quella pubblicata dal P. Quesnel l’an 1675. È egli possibile che in Francia sì tardi giunga la notizia de’ buoni libri che si stampano in Italia, che ivi ancor non si sappia delle più esatte e più pregevoli edizioni che ne hanno fatto tra noi il dotto P. Cacciari in Roma l’anno 1753, e i chiarissimi Ballerini in Venezia l’anno 1756? XII. A questi vescovi e a questi pontefici per santità non meno che per sapere illustri vuolsi aggiugnere ancora il celebre Rufino, che comunque non possa ad essi uguagliarsi nella fama d’uom santo, in quella nondimeno d’uom dotto non fu inferiore ad alcuno. Di lui più ampiamente e più eruditamente di tutti han favellato monsig. Fontanini (Hist. litt. A quii. I. 4, 5), il P. de Rubeis domenicano (Mommi. A quii. c. 8, et Diss. de. Turranio Rufino), e il sig Giangiuseppe Liruti (Notiz. de’ Letter. del Friuli t. 1, c. 6), i quali hanno con singolar diligenza esaminato ciò che a Rufino e all’Opere da lui composte appartiene. Egli vien detto Aquileiese pel lungo soggiorno e per la professione della vita monastica ch’egli fece in quella città. Ma è certo che Aquileia non ne fu la patria, come col testimonio di S. Girolamo provano i mentovati scrittori. Qual ch’ella si fosse, il che non è certo abbastanza, essa fu certamente un luogo ad Aquileia vicino , in che tutti convengono i detti autori. Nondimeno ad altri n’è sembrato altrimenti, ed alcuni han fatto Rufino alessandrino, altri romano, altri [p. 611 modifica]QUARTO 6l 1 spagnuolo, altri portoghese , altri di altra patria. Le opinioni de’ quali dagli scrittori medesimi si dimostra che non hanno alcun probabile fondamento. E lo stesso dicasi della nuova e non più udita opinione dell’ab. Quadrio, che sul nome di Tiranio che da alcuni si dà a Rufino, e su qualche altra frivola congettura, il fa nativo di Tirano nella Valtellina (Diss. sulla Valtell, t. 3, p. 126). A questa mia Opera non appartiene l’entrare all’esame delle controversie ch’egli ebbe a sostenere con S. Girolamo, delle vicende a cui per esse fu esposto, e de’ libri seri Iti dall’una e dall’altra parte. Tutto ciò si potrà vedere presso i mentovati autori, e presso gli altri scrittori della storia ecclesiastica, a’ quali però conviene aggiugnere l’altre volte citato P. Stiltingo nella bella difesa eli’ egli ha fatta di S. Girolamo (Acta SS. sept. t. 8) accusato di avere nelle controversie con Rufino oltrepassati i limiti di una giusta moderazione. Non si può nondimeno negare a Rufino la lode di essere stato uomo singolarmente dotto, come le sue Opere stesse ci mostrano apertamente. Ei morì in Sicilia l’anno 410 - 0 non molto dopo. XIII. Io lascio di parlare di altri che a questo tempo medesimo in tali studj furon famosi in Italia; poichè mi sono prefisso di non parlare se non di passaggio di tale argomento, su cui tanti valentuomini hanno già scritto in maniera che appena resta che aggiugnere alle erudite loro fatiche. Di S. Agostino poi e di S. Girolamo non debbo fare parola, se non voglio incorrere nel difetto che spesso in altri ho XIII. Altri scrittori otnmeiti. [p. 612 modifica]ripreso, di usurpare l’altrui; perciocchè niun di essi fu italiano di patria; e benchè vi abitassero per qualche tempo, non vi fecero nondimeno sì stabil dimora, che possiamo a giusta ragione annoverarli tra’ nostri. Solo di S. Agostino ci converrà dir qualche cosa nel Capo seguente per l’impiego di professore di rettorica che per breve tempo ei sostenne in Roma e in Milano.