Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro IV/Capo VI

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Capo VI – Medicina

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Capo VI.

Medicina.

1. Come la filosofia e la matematica, dopo essere siate parecchi secoli quasi interamente neglette, cominciarono a questi tempi a risorgere in Italia, e da essa si sparsero poscia nelle o, secondo alcuni, parigino. Egli fu abate del monastero di Afflighem nella contea di Brabante. Fiorì sul fine dell’xi secolo e sul principio del xu. • Di lui fanno menzione fra gli altri il Tritemio, Arrigo Gandavense e il Moreri Nel mentovato codice vien riferito, anzi proposto per esempio il primo versetto d’una canzone provenzale posta sotto le note secondo la musica di quei tempi. Qui l’abate Arteaga ci dà la figura delle note musicali, con cui è segnato il seguente verso: Doure secors aii ancore retroveis. Supponendo adunque, conchiude egli, che Francone scrivesse il suo trattato verso il 1100, o anche, verso il 1106, e trovandosi di già citate poesie musicali, hassi ogni ragione, di credere che siffatta usanza conosciuta. fosse dai Provenzali anche. prima del 1100; sino alla quae’epoca non trovandosi alcun monumento che risalga nelle altre nazioni europeo, ae’essi pure incontrastabil rimane la gloria di averla i primi adoperata. Mi spiace di esser costretto a rilevare non pochi errori che questo valoroso scrittore ha in questo passo commessi. In primo luogo il codice dell1 Ambrosiana non si può in alcun modo dire antichissimo; anzi le miniature fregiate d’oro, la pergamena bianca e sottile anzi che no, in cui è scritto, le abbreviature, il carattere, tutte in somma le circostanze cel mostrano un codice del secolo xv, o al più della fine del secolo xiv, come mi ha assicurato il dottissimo ee’esattissimo signor ab. D. Gaetano Bugatti dottore del collegio ambrosiano [p. 574 modifica]574 LIBRO vicine non meno che nelle lontane provincia , così pure la medicina, intorno alla quale in tutto 10 spazio di tempo in questo tomo compreso appena ci si è oflerla cosa degna il’essere rammentata , nell1 epoca di cui ora scriviamo, venne «Ui ine consultato. Certo esso non può essere più antico del secolo xiv, perciocché collo stesso carattere con • cui è scritta l’opera di Francone , sono ivi scritte alcune altre opere di musica, e tra le altre due di Marchetto da Padova, cioè Lucidarium in Arte Musiate pianar, e Poni eriurn in Arte Musicac mens limine, la qual seconda opera è da lui dedicata a Roberto re di Napoli, che tenne quel regno dal 1309 al 1343. In secondo luogo non è stato abbastanza esatto 1’abate Arteaga nel riportare il titolo di questo libro, il quale essendo il principal fondamento della sua opinione , dovea perciò da lui descriversi colla più scrupolosa esattezza. Eccolo , quale esso è veramente: Incipit ars can~ tns ntensurabilis edita a ntagistro Francane parisiensi. Il sig. abate Arteaga avrà certamente veduto questo titolo nella copia, ossia nel transunto di questo trattato che da Milano fu mandato a Bologna al P. Martini. Forse egli ha temuto che la patria di Francone ivi indicata potesse rendere almen dubbiosa la sua opinione. Perciò lasciando di riportare il titolo , ha voluta però prevenire la difficoltà che potevane nascere , ed ha affermato che l’autore ne è Francone abate d’Afflighem normanno di nazione, o , secondo alcuni, parigino. Ma , di grazia chi son gli autori che dicono o normanno, o parigino Francone abate d’Afflighem? Non certo Arrigo Gandavense, non il Tritemio , non il Moreri,’ (almeno nell’edizion veneta del 1745 da me veduta) da lui citati, i quali della patria di questo Francone non fan parola. Chi son dunque gli alcuni che fan parigino Francone abate d’Afflighem? In terzo luogo, come sa 1’abate Arteaga che il Francone autore del Trattato di Musica sia I’ abate d’Affliglieli!? Egli non si compiace di addurcene pruova alcuna. Ei poteva nondimeno sapere che i dotti Maurini autori della Storia letteraria [p. 575 modifica]QUARTO 5r5 per opera degl’italiani singolarmente a nuova luce, e cominciò ad esser di nuovo l’oggetto della premura e della protezion de’ sovrani. Parlo della celebre scuola salernitana, il cui nome dopo un lungo volger di secoli è ancora illustre di Francia attribuiscon quell’opera non all’abaie d’Affiighcin, ina a un altro Francone scolastico di Liegi, cui provano doversi distínguele da quel di AITligbein, e lo mostrali vissuto almeno (ino al io83 (Ilist. iillcr. de la France, t. 8, p. lai , ec.). Con qual fondamento adunque ha egli abbandonato il lor sentimento? Il sig. ab. Arteaga risponderà per avventura, che se l’autore del Trattato di Musica è Francone da Liegi vissuto nel secolo xi, una maggiore antichità ne risulta per la poesia provenzale, e che perciò la sua opinione viene anzi a confermarsi. Ma io son persuaso che quell’opera non sia neppure di esso. Sigeberto gemblacense, contemporaneo di Francone da Liegi, e morto alcuni anni dopo di lui, ne rammenta alcune opere (De Script, eccl. c. 164), e di quella sulla Musica non fa parola. Parla di questo Francone da Liegi anche il Tritemio, e non ne rammenta quest’opera. Anzi da lui io traggo un altro argomento per la mia opinione; perciocché I- roncone ila Liegi, secondo questo scrittore, fu di nazione tedesco, e l’autore del Trattato di Musica fu parigino. Non può dunque Francone da Liegi essere l’autore dell’opera sulla Musica. Non può esserlo l’altro Francone per le stesse ragioni, e anche perchè in tutti i codici l’autore prende il titolo di magister, di cui non usavano gli abati nè i monaci almeno in quel tempo. Dunque debb’essere un altro, qualch’egli siasi, Francone parigino. Quando egli vivesse precisamente, non possiamo affermarlo. Il p. Gerbert, che ne ha pubblicata l’opera nel tomo serondo della sua Raccolta degli Scrittori musicali de’ bassi tempi, crede che a lui alluda Giovanni di Sarisbery scrittore del XII secolo, ove nel suo Policretico riprende la musica che allor si usava. Ma questo argomento non è certo bastante a provarlo. Anche il p. Martini lo crede vissuto nel secolo xi (f. i , [p. 576 modifica]II. Fin dal \ secolo Salerno era celebre pi-’suoi medivi. 576 limo per la memoria dell’onore a cui ella salì, e de’ precetti che ce ne sono rimasti. Di essa dunque dobbiam qui attentamente investigare F origine e le vicende, ed esaminare ciò che appartiene all’opera che soLto il nome di essa abbiamo alle stampe. II. La città di Salerno fin verso la fine del x secolo era anche presso le straniere nazioni in gran noine pel valor de’ suoi medici; perciocché Ugone di Flavigny racconta (Chron. ad an. 984) che 1’anno 984 Adalberone. -vescovo di Verdun colà trasportossi per cercare rimedi ad alcune sue infermità. Cosi pure leggiamo che Desiderio abate di Monte Casino, e poscia papa col nome di Vittore III, travagliato essendo di p. i6t)), ma non reca pruova di sorta alcuna; e potrebbe anche Francone esser vissuto o alla fine del XII , o anche nel XIII secolo. E perciò dalla età a cui egli visse, non può l’abate Arteaga ricavare alcun argomento a provare l’antichità dell eseinpio musicale da lui prodotto. Finalmente senza alcun fondamento asserisce l’abate Arteaga che le parole da lui riportate siano il primo versetto d’una canzone provenzale. Francone riporta semplicemente quelle parole senza accennare che siano nè il primo nè I’ ultimo verso di una canzone. Nè l’abate Arteaga le ha riportate esattamente, perciocchè esse così si leggono: Paure se cor s ay encore retrovey. E finalmente accordando anche all’abate Arteaga ogni altra cosa , ei non proverà facilmente che queste parole sian della lingua provenzale, e non piuttosto de1!’antica francese; perciocchè i Provenzali sogliono scrivere encare e non encore , e trobat o trobet non retrovey. Ed ecco gittato a terra il sol fondamento su cui lusingavasi l’abate Arteaga di aver assicurata a’ Provenzali la gloria di essere stati i primi ad adattare la musica alla profana poesia. [p. 577 modifica]QUARTO 577 malattia, recossi per guarirne a Salerno (Leo ostien. Chron. Casin. l. 3 , c. 7). Questo però non basta a provare che fin d’allora vi avesse scuola , o collegio di medici, e un sol di questi che ivi fosse per saper rinomato, poteva essere sufficiente a consigliare ad Adalberone e a Desiderio un tal viaggio. Egli è nondimeno probabile che la scuola di medicina già ivi fosse e istituita e famosa fin dal x secolo, poichè Orderico Vitale, scrittore del XII secolo, parlando di un monaco detto Rodolfo che vivea nell’ xi , dopo averne lodato l’erudizione negli studj di gramatica, di dialettica , di astronomia e di musica, soggiugne che nella medicina ancora egli era così versato, che in Salerno , ove fin dagli antichi tempi sono famose scuole di medici, non si trovò chi lo uguagliasse fuor di una dotta matrona (Chron. ad. an. 1059). Or se alla metà del XII secolo, in cui scrivea Orderico, diceansi le scuole de’ medici salernitani fondate fin da’ tempi antichi , egli è verisimile certamente che fin dal secolo x esse avessero avuta l’origin loro. Ma non abbiamo nè più sicure pruove per accertarlo, nè più distinte notizie de’ primi lor fondatori. Alcuni , e fra gli altri M. le Gendre (Traité de C Opinion, i. 1, p. 648, ed. de Paris 1758), hanno voluto attribuire la fondazione di questa scuola a Carlo Magno. Ma essi potevano pur facilmente osservare che non potè questo principe aprire pubblica scuola in una città di cui mai non ebbe il dominio. Egli è ben vero che abbiamo alcuni codici ne’ quali l’opera della scuola salernitana, di cui or or parleremo , Tikabosciu , Voi. 111. 37 [p. 578 modifica]5^8 LIBRO vedesi indirizzata da essa a Carlo Magno, e di uno di essi così si dice nel Catalogo de’ Codici MSS. dell’Inghilterra e dell’Irlanda (Cat. MSS sin gl. et IIih crii. pars, 2, t. 2, p. 98, n. 3806): Scholae Salernitanae versus medicinales inscripti Carolo Magno Frane orimi Regi, quorum in fine haec verba: Explicit Florarium Versuum Medicinalium scriptum Chistianissimo Regi Francorum Carolo Magno a tota Universitate Doctorum medicinarum praeclarissimi Studii Salernitani, tempore quo idem Saracenos devicit in Runcivalle , quod latuit usque tarde, et Deo volente nuper prodit in lucem. In initio haec: Incipiunt Versus Medicinales editi a Magistris et Doctoribus Salernitanis in Apullia , scripti Carolo Magno Francorum Regi gloriosissimo , quorum Opusculum in quinque partes dividitur 263. Francorum Regi scribit schola tota Salerni. Ma ancorchè si concedesse che quest’opera fosse veramente indirizzata a Carlo Magno, ciò non proverebbe che la scuola salernitana dovesse conoscerlo a suo fondatore. E innoltre le stesse arrecate parole ci mostrano chiaramente che questo codice, da cui gli altri vennero probabilmente, fu scritto gran tempo dopo Carlo Magno 5 e che fu per avventura qualche copiator capriccioso, il quale finse indirizzati a un re di Francia que’ versi che in tutti gli altri codici si veggono indirizzati a un re d’Inghilterra. Nel che ancora ei si mostrò ignorante, affermando che Carlo vinse i Saracini a Roncivalle, ove tutti gli storici narrano eli’ ei [p. 579 modifica]QUARTO 5TCJ fu disfatto. L’opinion più probabile, seguita comunemente da’ più diligenti storici del regno di Napoli, e fra gli altri dal celebre avvocato Giannone (Stor. civ. di Nap. l. 10 , c. 11, parag 3), si è che i Saracini ossia gli Arabi, da’ quali furono quelle provincie in gran parte occupate , seco vi recassero i loro libri, tra’ quali molti ve ne aveano a medicina appartenenti. Questi divolgati ivi, e ricevuti con plauso, dovettero probabilmente risvegliare in que’ popoli lo studio della medicina, il quale poi dovette vie maggiormente avvivarsi all’occasione che or siam per esporre (a). 111. Un tal Costantino nato in Cartagine , spinto da ardente brama d’istruirsi in tutte (a) Il sig. Pietro Napoli Signon lli combatte con assai buone ragioni ciò ch’io , seguendo Giannone , avea creduto probabile, che la scuola salernitana dovesse la sua origine e il suo nome principalmente a’ Saracini ossia agli Arabi; e fra le altre che ei reca (Vicende della coltura nelle Due Sicilie , t. 2, p. 148» ec.) parmi assai concludente questa, che fin dal x secolo, come io pure ho osservato, eran celebri i medici di Salerno. Or benchè nel ix secolo cominciassero le scorrerie de’ Saracini nel regno di Napoli, è certo però, che assai più tardi ebbero essi stabil sede in Salerno, e che prima’ che in questa città, si stabilirono in altre, e singolarmente in Napoli e in Bari. Perchè dunque in Salerno piuttosto che in queste altre città si sparsero le lor dottrine nell’arte medica? Aggiungasi, che i primi invasori non dovean essere che corsari, uomini perciò a tutt’altro opportuni^, che a recar seco dei libri e a promuover gli studj. È dunque più verisimile che lo studio della medicina, che abbiamo veduto fiorire principalmente presso i monaci di Monte Casino, si andasse propagando in altre città , e che in Salerno sopra le altre felicemente fiorisse. [p. 580 modifica]58o LIBRO le scienze, andossene in Babilonia, ed ivi con lungo studio apprese diligentemente la gramatica , la dialettica , la fisica , la geometria , l’aritmetica , la matematica , l’astronomia, la negromanzia e la musica de’ Caldei, degli Arabi, de’ Persiani e de’ Saracini. Quindi passò all’India , e nelle scienze ancor di quei popoli volle essere ammaestrato. Di là recossi in Egitto , e nelle arti che ivi fiorivano, esercitossi con non minor diligenza. Finalmente dopo 39 anni di viaggi e di studj fece ritorno a Cartagine. Ma ivi poco mancò che il suo sapere non gli fosse fatale. I suoi concittadini veggendol sì dotto temerono per avventura eli’ ei fosse un mago, e si determinarono a dargli morte. Egli il riseppe, e fuggito segretamente sen venne a Salerno, e stettesi ivi per alcun tempo nascosto in abito di mendico , finchè venuto colà il fratello del re di Babilonia, questi il riconobbe , e il fè conoscere al famoso Roberto Guiscardo , da cui perciò fu avuto in gran conto. In fatti in un codice della Laurenziana gli vien dato il titolo di primo segretario (Band. Cai. Codd. MSS. graec. Bibl. Laur. vol. 3.p. Egli però non curando cotali onori, abbandonata la corte, ritirossi a Monte Casino presso l’abate Desiderio che fu poi papa col nome di Vittorio III, da cui ricevette l’abito monastico. Ivi egli passò il rimanente de’ giorni suoi, occupandosi in tradurre dalla lingua arabica e dalla greca nella latina molte opere a medicina appartenenti, e in comporre altri libri sullo stesso, argomento; pe’ quali venne in sì gran fama, che fu detto maestro dell’Oriente o [p. 581 modifica]QUARTO 58I deir Occidente , e nuovo Ippocrate. Così di lui narra Pietro Diacono (Chron. Mon. Casin. l. 3, c. 35; et de Vir. ill. c. 23). Noi abbiam già osser» vato clic a’ racconti di questo scrittore non conviene troppo facilmente affidarsi, ove singolarmente ci narra cose maravigliose. E forse nella narrazion sopraddetta vi son più cose da lui inventate a capriccio. Ma che Costantino Africano recasse in latino molti de’ libi arabici e greci di medicina , e che più opere scrivesse sulla stessa materia , ce ne fan fede e le traduzioni medesime, delle quali alcune ancor ci rimangono , e le stesse sue opere pubblicate in Basilea l’anno 153(3 (V. Fabr. Bibl. gr. t. 13, p. 123 , ec.), oltre più altre opere che abbiam manoscritte, e che diligentemente si annoverano dall’Oudin (De Script, eccl. t. 2, p. 694 ec-)Egli è ben vero che le traduzioni fatte da Costantino non furono anche ne’ più remoti e più oscuri tempi in gran pregio. Taddeo celebre medico fiorentino del secolo XIII parla della traduzion da lui fatta degli Aforismi d’Ippocrate con espressioni di molto disprezzo , e le antipone di gran lunga quella fatta da Burgondio pisano, benché aggiunga eh’essendo quella di Costantino più comune e più usata, egli era stato costretto a servirsi di essa: Et translationem Constantini persequar, non quia melior sit, quia communior; nam ipsa pessima est, et superflua, et defectiva. Nam ille insanus monachus in transferendo peccavit quantitate et qualitate: tamen translatio Burgundionis pisani melior est... et hoc invitus faciam; sed propter communitatem translationis Constantini. ec. [p. 582 modifica]582 LIBRO < Procem. Exposit. in Aphoris. Hippocr.). E similmente Simone da Genova, medico dello stesso secolo, chiama sospette le versioni di Costantino: Et si aliqua ex libris lsaac, seu ex aliis a Costantino translatis collegi, et perpauca stmt; nani ejt/s transla/io salis est mihi suspecta (prœm. in Clavem Sanationis). Nondimeno queste traduzioni, qualunque fosse il lor pregio, non giovarono poco a ravvivare lo studio della medicina. Pietro d’Abano, che fiorì al principio del xiv secolo, oltre il parlarne egli pure con poca stima, il dice ancora in un luogo: Constantinus apostata (Conciliat. diss. 4) » c°l che se voglia indicarci ch’egli abbandonasse la professione monastica, o se altra cosa egli intenda , non possiamo per difetto di monumenti congetturarlo. A questi tempi adunque e a questa occasione, cioè verso l’anno 1060, dovette la scuola salernitana per gli studj e per le opere di Costantino farsi più celebre; e la medicina prese ad esservi coltivata con tanto maggior fervore, quanto più copiosi erano i mezzi che a ciò fare venivan lor dati da questo celebre uomo. Mi sia qui lecito di rilevare un troppo notabile errore commesso da M. Portal nel parlare di Costantino, perciocché egli dopo avere parlato.non, molto esattamente della vita di questo monaco, così conchiude (Hist. de l’Anatom. t. 1, p. 170): Alcuni autori dicono che ne fu tratto (dal monastero) per esser fatto papa sotto il nome di Vittore III. Come mai al giorno d’oggi si possono scriver tai cose? Di un papa dell’ xi secolo può egli rimaner dubbio chi fosse? E [p. 583 modifica]qijaato 583 vi è forse , direi quasi, fanciullo alcuno che non sappia che il papa Vittore III fu l’abate Desiderio di Monte Casino? IV. Assai maggior fama però ottenne la scuola medesima, quando essa ebbe l’onore di offrire al re d’Inghilterra una raccolta di precetti per conservare la sanità. Noi abbiamo ancora questa raccolta distesa in versi esametri, ma con alcuni pentametri a quando a quando inseriti. I versi per la più parte sono o leonini, o rimati, e scritti in quel barbaro stile che allora era il più usato. Diversi titoli ha in diversi codici e in diverse edizioni, ed or si appella Medicina salernitana, ora de Conservanda bona valetudine, ora Regimen sanitatis Salerni, ora Flos medicinae. I versi sono in numero di 373, ma, se crediamo a Giovanni Schenkio, essi erano prima 1639. Qual fondamento arrechi egli di questa sua opinione, non saprei dirlo; poichè io non ho veduta la Biblioteca medica di questo autore, ov’ei l’afferma, ma solo il passo che il Vossio ne arreca (De natura. Artium l. 5), in cui ancora egli asserisce che in alcuni codici i versi arrivano al numero di 664, e in alcuni fino a 1096. Di questi precetti per conservare la sanità alcuni moderni medici han favellato con gran disprezzo; ma nondimeno le tante edizioni che di essi abbiamo, e le tante versioni in diverse lingue, e i tanti comenti con cui sono stati illustrati, dei quali puossi vedere il catalogo nelle Biblioteche mediche del Mangeri e del Lipenio, sono una non ispregevole pruova della fama a cui quest’opera è salita. Ma io non debbo entrare all1 esame di questa operetta; e quando pure io [p. 584 modifica]584 LIBRO volessi decidere se ella debba aversi in gran pregio, credo che i dotti medici non farebbon gran conto della mia opinione, e che per essi non cambierebbon parere. Più opportune allo scopo di questa mia Storia saran due altre quistioni, cioè a qual occasione fosse composto questo trattato, e chi ne fosse f autore. V. Esso fu certamente dalla scuola salernitana indirizzato a un re d’Inghilterra, come il primo verso dimostraci chiaramente: Anglorum regi scribit schola tota Salerni. E l’autorità di pochi codici ne’ quali, come sopra si è detto, esso vedesi indirizzato a Carlo Magno, non basta a rivocare in dubbio l’universale opinione appoggiata a numero tanto maggiore di manoscritti. Ma chi fu egli questo re d’Inghilterra? L’eruditissimo Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 935) pensa che quelle parole Anglorum regi debbono intendersi letteralmente di un vero re d’Inghilterra; ed egli crede perciò probabile che il re Edoardo prima dell’anno 1066 scrivesse alla scuola salernitana per averne opportune istruzioni a ben conservare la sanità, e che ne avesse in risposta l’opera di cui trattiamo. Ma io non veggo ragione per cui a Edoardo piuttosto si debba ciò attribuire, che a qualunque altro de’ re d’Inghilterra che gli furono o predecessori, o successori. E comunque fosse grandissimo il nome della scuola salernitana, non sembra verisimile che ad essa fino dall’Inghilterra si ricorresse per avere ammaestramenti e consigli. Sembra dunque più probabile assai che questa scuola indirizzasse[p. 585 modifica]QUARTÒ 585 i suoi precetti a un principe a cui in qualche modo si convenisse il nome di re d’Inghilterra , e che si trovasse allora in Salerno. Or questi potè esser Roberto duca di Normandia figliuolo di Guglielmo I, re d’Inghilterra, morto l’anno 1086, e fratello di Guglielmo II, ucciso sventuratamente alla caccia l’anno 1100. Era Roberto alla guerra sacra della prima Crociata, e trovossi alla espugnazione di Gerusalemme l’anno 1099. L’anno seguente, come racconta Orderico Vitale scrittore contemporaneo (Hist. eccL ad an. 1100), egli sen venne in Puglia, e amichevolmente accolto da Ruggieri che n’era signore, prese in moglie Sibilla figliuola di Goffredo conte di Conversano. Egli è assai pio-, babile che mentre trattenevasi in Puglia, udisse la morte di suo fratello Guglielmo che, come abbiam detto, avvenne in quell’anno medesimo 5 e perchè Arrigo, l’ultimo de’ suoi fratelli, erasi tosto impadronito del trono, Roberto che risoluto avea di muovergli guerra, pretendendo che a sè fosse dovuto, dovette verisimilmente prendere fin d’allora il titolo e le insegne reali. In fatti, come lo stesso autore seguito da tutti gli Storici d’Inghilterra racconta, l’anno seguente Roberto scese con forte armata in quell’isola per contrastar la corona ad Arrigo; ma fu costretto a cedergli, e ad appagarsi del suo ducato di Normandia, e di una somma di denaro da Arrigo pagatagli. Ecco dunque in Salerno un principe che pretendeva di aver diritto alla corona d1 Inghilterra, clic probabilmente facevasi già onorar qual sovrano, e a cui perciò la scuola salernitana, che nulla avea a temere d’Arrigo, [p. 586 modifica]VI. A qua) occasione «li scrivessero essi. 5 86 LIBRO potea facilmente accordare il nome di re degl’Inglesi; ed ecco perciò probabilmente il re a cui la scuola medesima indirizza i suoi consigli. Io certamente non veggo, a chi altri possa con miglior fondamento credersi offerta quest’opera, la qual di fatto in un codice MSS. vedesi al Re Roberto indiritta: Salernitanae Scholae versus ad Regem Robertum. (Cat. Codd. MSS. Bibl. reg. Paris, t. 4, p 295, n. 6941)VI. Il desiderio di acquistarsi nome presso il nuovo re d’Inghilterra fu forse il solo motivo che indusse la scuola salernitana ad offerirgli quest’opera. Forse ancora essa ne fu richiesta dal re medesimo. Ma quasi tutti gli autori, e i più accreditati ancor tra’ moderni, come il Giannone (l. cit.), e il Freind (Hist. Medic, p. 147, edil. P’en.), un’altra ragione ne arrecano. Raccontan essi che Roberto avea dall’assedio di Gerusalemme riportata una ferita, la quale era poscia degenerata in fistola pericolosa; che venuto a Salerno consultò que’ medici valorosi, che far dovesse a guarirne; che da essi ebbe in risposta, niun altro rimedio,avervi fuorchè il farne succhiare il veleno che vi stava nascosto; che non volendo permetter Roberto che alcun si esponesse con ciò a pericolo di perder la vita, la pietosa e coraggiosa sua moglie Sibilla, colto il tempo opportuno, mentr’ei dormiva, succhiò segretamente il veleno per modo, eli’ ei ne fu sano-; che allora Roberto prima di partire per l’Inghilterra chiese a que’ medici che gli suggerissero il metodo con cui conservare la sanità; e che essi nel soddisfecero , e perciò inserirono ancora ne’ loro versi [p. 587 modifica]/ QUARTO 587 il metodo con cui curare la fistola. Così essi; nè io so di alcuno che abbia su questo fatto mossa difficoltà, o dubbio. Ma, a dir vero, io temo che esso non meriti fede punto maggiore di quella che ora si dà a tante altre cose maravigliose che troppo buonamente credute furono da’ nostri maggiori. A me non è riuscito di trovare antico e accreditato scrittore che narri tal cosa; e Orderico Vitale che pur fa grandi elogi della moglie di Roberto, di questo insigne atto di conjugale amore non fa pur motto. Questo solo silenzio potrebbe, a mio parere, bastare perchè si dubitasse della verità del racconto. Ma più ancora. I medici salernitani, dicono i sopraccitati scrittori, decisero che a curare la fistola non v1 era altro rimedio che il succhiare il veleno; e perciò nell’opera loro trattarono ancora della maniera onde guarir da tal male. Udiam dunque che ne dicano essi: Auri pigmentum , sulphur miscere memento: H.s (lecct apponi calcem: conjunge saponi: Quatuor haec misce: commixtis quatuor istis Fistula curatur, quater ex his si repleatur. C. 83. Ecco il rimedio che da’ medici salernitani prescrivesi alla curazion della fistola. Di succhiamento qui non si dice parola. Or se essi avean questo sì efficace rimedio, perche non usaron di esso con Roberto? perchè dissero che non altrimenti ei poteva esser sano, che facedone succhiare il veleno? E se essi veramente credevano che il succhiar del veleno fosse il solo rimedio opportuno , perchè non parlaron di esso nel loro libro? perchè ne prescrissero un [p. 588 modifica]588 LIBRO allro, che secondo essi, se crediamo agli sto-, rici, non potea recar giovamento? La dottrina dunque de’ medici salernitani è troppo contraria al fatto che di essi si narra, e questo perciò deesi, a mio parere, avere in conto di favoloso. VII. Rimane a parlar dell’autore di questi precetti. Essi furono scritti a nome della scuola salernitana, e ad essa perciò si attribuiscono. Ma non è a credere che tutti i medici di quella scuola si occupassero nel comporre quest’opera, ed è troppo verisimile che ad un di loro ne fosse dato l’incarico, e che il libro da lui scritto fosse poi riveduto e approvato dagli altri tutti. Così in fatto si legge al fin di un codice di quest’opera, che da Zaccaria Silvio si chiama il codice Tulloviano (Praef.ad. Schol. Salern, c. 3), ove così sta scritto: Explicat (l. Explicit) Tractatus, qui dicitur Flores Medie inae compilatus in Studio Salerni a Mag. Joan. de Mediolano instructi Medicinalis Doctore egregio, compilationi cujus concordarunt omnes Magistri illius Studii. Io non voglio muover contrasto all’autorità di un tal codice, e mi persuado che il Silvio non abbia scritto se non ciò che ha veduto co’ suoi propj occhi. Nondimeno a confermar sempre più un tal onore alla città di Milano, sarebbe a bramare che altri codici si trovassero in cui i precetti della scuola salernitana si attribuissero a Giovanni. Io confesso di aver perciò ricercati quanti ho potuto aver tra le mani catalogi de’ manoscritti di molte biblioteche, e benchè molti codici di quest’opera abbia trovati, in niuno però mi \ V [p. 589 modifica]/ * QUARTO 58y è riuscito di rinvenir menzione di questo scrittore, a cui nondimeno parmi che si debba conceder la lode di averla composta , finchè non si mostri insussistente l’autorità del codice dal Silvio allegato. VIII. L’applauso con cui fu ricevuta l’opera della scuola salernitana, giovò a conciliarle fama sempre maggiore. Quindi Romoaldo II, arcivescovo di Salerno, che fiorì dopo la metà del secolo xii, chiama quella città medicinae utique artis diu famosam atque praecipuam (Chron. ad an. 1075, vol 7 Script rer. Ital. p. 172). Ed era egli stesso in questa scienza versato assai, come e confessa egli stesso di se medesimo (ib. ad an. 1166, p. 206), e ci narra ancora Ugo Falcando (Hist. Sic. ib. p. 319) , il quale dice che da Guglielmo re di Sicilia ei fu chiamato come espertissimo in medicina, perchè cercasse di risanarlo. E verso il tempo medesimo essendo.venuto a Salerno il celebre ebreo viaggiatore Beniamino, di cui abbiamo ancora alle stampe l’Itinerario, ei diede a quella città il nome di scuola de’ medici idumei (Beniamin. Itiner. ed. Elzeo. p. 16), col qual nome egli intende i Cristiani d’Occidente; e inoltre aggiugne che ivi erano circa 600 Ebrei, e fra essi ne nomina alcuni per saper rinominati. La fama della scuola salernitana giunse ancora in Francia, e i Maurini, sì spesso da noi citati, confessano (Hist. litter. de la France, t. 7, p. 135) che molto assai giovò ad avvivare e a perfezionare in quel regno lo studio della medicina. I principi a’ quali questa parte di Italia era allora soggetta, onorarono questa scuola [p. 590 modifica]5()o LiBno della lor protezione, e con opportune leggi studiaronsi a mantenerne il decoro. Ruggiero I, re di Sicilia, fu il primo nel secolo XII a darne agli altri l’esempio col far legge che niuno ardisse di esercitare la medicina, se da’ magistrati e da’ giudici non fosse prima approvato; altrimenti fosse spogliato di ogni suo avere (Constitut regni Sicil. l 1 De probabili experientia medicorum). Molti fra’ moderni scrittori aggiungono che Federigo I più leggi pubblicò in questo regno sullo stesso argomento, e che fra le altre cose prescrisse che niuno prendesse il nome di medico, se dal collegio de’ medici o di Salerno, o di Napoli non ne avesse avuto il consenso. Ma essi dovean pure riflettere che Federigo I non fu mai signore di queste provincie, e quindi non potè promulgarvi leggi di sorta alcuna. Questa ed altre somiglianti leggi furon prescritte da Federigo II, come vedremo allor quando sarem giunti a’ tempi di questo imperadore. IX. Non è perciò a stupire se e in Salerno e nelle vicine città molti fossero a questi tempi coloro che scrissero di medicina. Fra essi vuole annoverarsi Matteo Plateario medico di Salerno, le cui Chiose sull’Antidotario di un cotal Niccolò (il qual pure dal Fabricio (Bibl. gr. vol. 13, p. 348) e da altri dicesi salernitano) rammentate vengono da Egidio di Corbeil, che scrisse verso la fine del xii secolo (V. Leyserus Hist. Poetar, medii aevi, p. 505) e di cui Vincenzo Bellovacese nomina più volte un libro Della semplice Medicina (V. Fab. Bibl. lat. med. et infi. aetat. t. 5 , p. 5 2). Gli scrittori delle [p. 591 modifica]QUAUTO 591 Biblioteche mediche gli danno il nome di Giovanni, e ne fissano assai più tardi l’età} ma maggior fede si dee a un contemporaneo scrittore, qual fu Egidio, se pure non vogliam dire che/due Platearii siano stati in diversi tempi e con nome diverso. Di un cotal Saladino di Ascoli medico del principe di Taranto verso l’anno 1163 rammenta il Fabricio (ib. t. 6, p. 1 \i) un Compendio delle Cose aromatiche j e ne accenna due edizioni in Venezia nel secolo xvi. Alcuni tra gli antichi medici di Salerno ripongono anche Erote, di cui abbiamo un trattato su’ Mali delle Donne, e un cotal Garione Ponto , o Garioponto, come altri leggono, di cui ancor ci rimangono otto libri sulle Malattie. Ma assai dubbiose ed oscure son le notizie intorno a tutti questi scrittori di medicina j e i moderni non s’accordano insieme nel fissarne la patria e l’età. Io penso però, che non sia pregio dell’opera il disputarne più lungamente, poichè e troppo malgevol sarebbe in tanta oscurità rinvenire il vero, e ancor quando dopo lungo studio ci venisse fatto di discoprirlo, non sarebbe, cred’io, il frutto proporzionato alla fatica. X. Anche tra’ monaci fu lo studio della medicina in questi tempi assai coltivato. Già abbiam veduto ne’ secoli addietro che alcuni tra’ Casinesi aveano e raccolti codici e scritti libri su tale argomento. Ma dappoichè visse tra lor Costantino, di cui abbiam parlato poc’anzi, questo studio dovette probabilmente aver tra loro assai maggior numero di seguaci. Due soli però rammentansi da Pietro Diacono, che illustraron quest’arte co’ loro scritti , Attone x. Molti tra i monaci colli-« varono questo studio. [p. 592 modifica]593 libro discepolo di Costantino e cappellano dell’impera dri ce Agnese, che in lingua romanza tradusse le opere da Costantino recate in lingua latina (De Viris ill. Casin. c. 24); e Giovanni discepolo egli pure di Costantino, che dopo la morte del suo maestro scrisse un libro di Aforismi (ib. c. 35). Così ancor di Domenico abate del monastero di Pescara, ossia di Casauria, verso la meLà dell’ xi secolo leggiamo (Chron. Casaur. t. 2, pars 2, Script. rer. ital p. 854) ch’era assai erudito nell’arte di medicina, per cui molto piacque ad Arrigo III, allora re di Germania; e di un cotal Bernardo monaco in Ravenna verso l’anno 1028 si legge fatto il medesimo encomio (Mabillon Ann. bened. t. 4, l. 56, n. 49). Inoltre Giovanni ossia Giovannellino nato in Ravenna, poscia monaco in Dijon, e quindi abate di Fescam, e dello’ stesso monastero di Dijon, vien celebrato da uno scrittore suo contemporaneo qual uomo, come in altre scienze, così ancor nella medicina ben istruito (Chron. Monast. Divion. edit. a Mabill.). Di lui parlano più ampiamente gli autori della Storia letteraria di Francia (t. 8, p. 48), i quali confessano che Giovanni fu uno di quei grand’uomini che i paesi stranieri han dato alla Francia, e dopo essi il ch. P. abate Ginanni (Scritt. Ravenn. t. 1, p. 358). Finalmente al principio del XII secolo troviam notizia di Faricio monaco nato in Arezzo, e passato poscia in Inghilterra, ove fu abate del monastero di Aberdon, e di cui pure si dice che piacque a’ sovrani col suo sapere nella medicina (Willelm. Malmesbur. de Gestis Pontif. Angl. l. 2). Io potrei seguire ancora più oltre [p. 593 modifica]QUARTO tessendo un ampio catalogo di molti monaci che coltivaron quest’arte/ e in essa ottenner gran nome; ma basti il detto fin qui ad averne un saggio; e a conoscere quanto universale fosse tra’ monaci questo studio, e come dall’Italia si andasse propagando nelle straniere e lontane provincic. XI. Questo fervore de’ monaci nel coltivare la medicina , che poteva esser lodevole, finchè si tenesse ristretto entro i dovuti confini, venne coll’andar del tempo degenerando in abuso; e molti di loro di quest’arte giovavansi per tenersi lungi dal chiostro, e per andare liberamente aggirandosi fra le città e fra le corti; il che pure avveniva di quelli che rivolgevansi allo studio delle leggi. Convenne dunque porre a un tal male efficace rimedio; e perciò nel secondo Concilio lateranese, tenuto da Innocenzo II l’anno 1139, si pubblicò un canone in cui dopo aver detto che molti monaci e canonici regolari, dopo aver preso l’abito e fatta la professione monastica, disprezzando la Regola de’ lor fondatori, per ingordigia di un temporale guadagno si applicavano allo studio delle leggi e della medicina, si vieta sotto gravi pene il farlo, e gravi pene ancor si minacciano a’ vescovi, agli.abati e a’ priori, i quali permettono un tale abuso (can. 9). Somigliante ordine fu rinnovato nel Concilio tenuto in Tours l’anno 1163 da Alessandro III, in cui pure fu a’ Regolari vietato il tenere scuola di medicina, o di leggi (can. 8); i quali divieti furon poscia in altri Concilj ancora saggiamente riconfermati. Non ostante però il gran numero di coloro che TiRABoscur, Voi. Hi. 38 [p. 594 modifica]5g4 LIBRO di questi tempi si volsero alla medicina, essa non fece grandi progressi, nè troviamo alcuna nuova scoperta fatta in quest’epoca. Gli studiosi di quest’arte non si occupavano comunemente che in tradurre, o in compendiare i libri de’ medici antichi. Ma lodevoli nondimeno furono i loro sforzi, perchè in tal modo e ci conservarono le cognizioni eli’ eransi prima acquistate, e animarono i lor successori a tentar cose nuove, e a condurre la medicina a perfezione maggiore. XII. I dotti autori della Storia de’ Professori dell’Università di Bologna, de’ quali parleremo nel capo seguente, han ricavato da alcune carte nel secolo XII (De clar. Prof. Archig. Bonon. t 1, pars 1, p. 439) i nomi di parecchi medici che a quel tempo furono in Bologna. Ma, come niuno di essi ci ha lasciata opera di sorte alcuna, non giova ch’io qui mi trattenga a parlare di loro, o di altri somiglianti medici di poca fama, che vissero a questa medesima età. Essi nondimeno confessano che non vi è indicio a provare che allora fosse in Bologna scuola pubblica di medicina, e lo stesso vuol dirsi di Pisa, benchè ivi pure molti medici fossero alla metà del XII secolo, come prova il cav. Flaminio dal Borgo (Diss. sull Orig. delrUniv. di Pisa, p. 78). Nè io penso che fuor di Salerno altra ve ne avesse in Italia, benchè pur fossero certamente medici in ogni luogo. Ad essi sarà bastato probabilmente il leggere quei pochi libri di medicina che riuscisse loro di rinvenire, e il prender consiglio ed ammaestramento da quelli cui la lunga esperienza avesse [p. 595 modifica]in quest’arte acquistata fama di medici valorosi (a).