Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VIII/Lettera dell'abate Tiraboschi all'abate N.N.

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Lettera dell’abate Tiraboschi all’abate N.N.

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Lettera dell’abate Tiraboschi all’abate N.N.
Libro III - Capo VI Risposta di Don Saverio Lampillas - Risposta di Don Saverio Lampillas

[p. 803 modifica]LETTERA DELL’ABATE GIROLAMO TIRABOSCHI BIBLIOTECARIO DEL SERENISSIMO DUCA DI MODENA AL SIGNOR ARATE N. N. Intorno al Saggio storico-apologetico della Letteratura, spagnuola dclV abate don Saverio Lampillas. Ho letto il primo tomo diviso in due parti del Saggio storico-apologetico della Letteratura spagnuola del sig. abate D Saverio Lampillas, stampato in Genova nel corrente anno 1778, che voi mi avete trasmesso, perchè io ve ne dica il mio sentimento (1). Voi sapete che non vi ha cosa alcuna di’ io vi soglia tener nascosta j tanta è l’amichevole confidenza che sempre è stata tra noi. Ma questa volta, ancorchè voi non mi foste quell’intimo amico che pur mi siete, vi scoprireri l’animo mio, perchè desidero che i miei sentimenti si faccian palesi, affinchè tutti conoscano quanto sian diversi da quelli che il sig. abate Lampillas mi attribuisce. - j, (1) Il sig. abate Lampillas ha poi pubblicati due altri tomi del suo Saggio, ciaschedun diviso in due parti \ e ad alcuni passi, ne1 quali egli combatte la mia Storia, si è data a suo luogo risposta. [p. 804 modifica]8o4 Non vi ò ignota la costante mia risoluzione di non fare alcuna risposta alle critiche che contro la mia Storia della Letteratura italiana vengano a luce. La bontà con cui il pubblico l’ha accolta, ha fatto che pochi avversarii e in cose di poco momento ha ella avuti finora. Io non ho replicato alle loro censure, e ho lasciato che i saggi e gli eruditi decidessero tra me e loro. A quelli che mi hanno amichevolmente avvertito di qualche fallo in cui io era caduto, ho attestata la mia riconoscenza , e le Giunte e le Correzioni che pubblicherò al fin della Storia faranno conoscere quanto io sia facile a ritrattare e a correggere ciò che ho scritto. Lo stesso metodo avrei io volentieri tenuto col sig. abate Lampillas j e s’ci non avesse fatto altro che confutare le mie opinioni, io o avrei cambiato parere, s’ei mi avesse convinto, o, se avessi creduto di aver per me la ragione, pago di ciò , avrei lasciato che il pubblico ne decidesse. Nè a farmi rompere il mio silenzio avrebbero avuta forza bastante le maniere non troppo amichevoli e dolci colle quali egli mi ha assalito. Ma il sig. abate Lampillas non contento di combattere le mie opinioni, combatte ancora la mia riputazione e il mio buon nome. Egli mi rappresenta come un dichiarato nimico della letteratura spagnuola; che altro non cerca che di screditarlaj che raccoglie studiosamente tutto ciò che possa render ridicoli gli autori spagnuoli j che dissimula tutto ciò che torna in lor gloria j che pare in somma clic abbia preso [p. 805 modifica]8o5 a scriver la Storia della Letteratura italiana solo per biasimar la spagnuola. Eccovi alcuni traili deir opera del sig. abate Lampillas. Leggeteli, e decidete s1 io poteva esser dipinto con più neri colori. Il sig. abate Tiraboschi, dice egli (par. 1, p. 64), ha loro dato luogo, parla degli autori spagnuoli, nella Storia letteraria A Italia per aprirsi la strada a biasimarli. E poco appresso (p. 65): Adottata dal! ab. Ti raboschi la sfavorevole prevenzione contro i celebri Spagnuoli che fiorirono in Roma dopo la morte d’Augusto, bisognava far comparire nel più orrido aspetto la decadenza della letteratura romana in quel secolo. — Vsdo ben io (p. 89) quanto premeva all ab. Tiraboschi il trovar alcuno della famiglia de’ Seneca accennato tra’ corruttori dell’eloquenza. Così quest’Autore (parla di me, p. 129) trova facilmente ragioni per iscusare gli autori italiani: non, così ei si contiene, allorchè vuol esporre alla vista i difetti degli scrittori spagnuoli. Egli allora non trova espressioni che sieno forti a sufficienza. Nulla perdona , nulla scusa, nulla dissimula, anzi alC opposto si prevale de’ più neri colori per far mar più orrido quel ritratto che ha nelle mani. — Io mi persuado (par. 2, p. 30) che se Balbo fosse vissuto nel secolo dopo Augusto, avrebbe avuto luogo in detta Storia, come altri Spagnuoli, conciosiacchè venendo dal detto autore dipinto quel secolo come corruttore della romana letteratura, bisognava frammischiarvi Spagnuoli a’ quali addossare la causa di tal corruttela. Ma nel secai A oro, nel secolo [p. 806 modifica]8o(3 del buon gusto introdurvi uno Spagnuolo di merito! Ciò non poteva ottenersi che da un autore il qual fosse prima spogliato affatto de’! pregiudizii antispagnuoli, e tale certamente non era I’ abate Ti rabeschi, mentre scrisse la Storia di quel secolo. —Il solo titolo (p. 40) di Spagnuolo ha privato Igino del meritato posto tra i celebri scrittori del secol d’oro. — Premeva troppo al detto Autore (parla di me, p. 41, e vedete con qual gentilezza)! che non comparisse in Roma nel secol d’oro uno Spagnuolo, il quale fra i letterati romani fosse stato prescelto da Augusto , a cui affidar la cura delI’ imperiai Biblioteca; temendo forse non fosse per perdere molto nella comune estimazione il posto) che egli degnamente occupa, se si sapesse che fin nel secol d’Augusto fu ottenuto da uno Spagnuolo. — Tutti quei Spagnuoli (p. 62), i quali ha stimato il suddetto storico di doversi lodare meritevolmente, vengono da lui pretesi Italiani, quasicchè non potesse combinarsi insieme l’essere Spagnuolo e l esser letterato di merito. — Ciò ben sapeva V abate ’Tiraboschi (p. (63) e credeva troppo ingiusto il non entrar aneli egli nel numero de’ panegiristi di Quintilliano Dover però confessare che Spagnuolo fu /’autore, d una delle pregevoli opere di tutta V antichità... era questo un imbarazzo, dal quale non credi de potersene sbrigare, se non col mettere in dubbio che Quintilliano fosse spagnuolo. — Non così! l’autore della Storia Letteria d’Italia (p. 78), anzi dissimulando che detti principi (Traiano, Adriano e Teodosio) fossero Spagnuoli, priva [p. 807 modifica]la nostra narrazione di quella stima clic ispirerebbe ne’ suoi leggitori il sapere che fu la Spagna madre di così illustri sovrani. In questa guisa (p. 93) pensa il suddetto storico di trovare fin dove non v c, quello che può recar poco onore agli Spagnuoli, e non trova ciò che trovano altri men pregiudicati a loro vantaggio. — A vista (p. 1 q3) di quanto abbiam detto in questo § parrà incredibile che il Bettinelli e il Tiraboschi passino per quest’epoca, discorrendo minutamente della poesia provenzale , senza che scuoprano il menomo vestigio di Spagna. o di governo spagnuolo. Anzi per iscancellarne vieppiù ogni memoria sfigurano stranamente il cognome de’ nostri principi, senza che mai da loro vengano chiamati conti di Barcellona. titolo che gli darebbe a conoscere per Ispagnuoli. — L’Abate. Tiraboschi (p. 208) ha stimato di avere ragione di poter condannare l’intiera nazione Spagnuola ad esser per una fatal forza di clima portata al cattivo gusto. Questi sono i leggiadri colori co’ quali mi dipinge l’ab. Lampillas non sol ne’ passi da me allegati, ma in moltissimi altri ch’io tralascio per brevità 3 e non contento di questi tratti qua e là sparsi, sul fine della sua opera fa un epilogo della mia Storia, e pretende di dimostrare che tutto lo studio io abbia posto nell’oscurare la gloria spagnuola, cucilo screditare gli autori di quella nazione. Questo è ciò di che io dolgomi col sig. abate Lampillas, e me ne dolgo in faccia a tutti gli uomini letterati, cioè che egli voglia attribuirmi una rea intenzione, indegna d’uom saggio ed \ [p. 808 modifica]8o8 onesto, qual è quella di screditare, riguardo alla letteratura, la nazione spagnuola , per la quale io serbo, e in diversi passi della mia Storia ho mostrato , quel sincero rispetto di cui ella è meritevole. Io mi appello alla testimonianza vostra, e di tutti quelli da’ quali ho l’onore di essere conosciuto. V oi sapete, e sanno essi pure, se sia questa la maniera mia di pensare, e se io soglia prescrivere alle letterarie mie fatiche fini sì bassi e sì sconvenienti, quali il sig. abate Lampillas suppone. Io confesso che ho creduto ed ho scritto che gli Spagnuoli abbiano avuta non poca parte nella corruzione del gusto così ne’ tempi della romana letteratura, come nella decadenza che soffriron tra noi le lettere nel secolo precedente. Ed eccovi tutto il passo in cui ho proposta e spiegata la mia opinione 3 passo che meglio avrebbe fatto il sig. abate Lampillas a recar per intero. invece di recarne or un membro, or un altro, e ripeterlo più e più volte e in diverse maniere, talchè sembra ch’io altro non faccia nella mia Storia, che declamar contro la Spagna. A ciò concorse, dico io parlando del secolo xvii t. 2 , p. 26), ancora , come osserva un colto e ingegnoso moderno scrittore, il dominio che gli Spagnuoli aveano allora in Italia. Questa ingegnosa nazione, che sembra, direi quasi, per effetto di clima portata naturalmente alle sottigliezze, e che perciò ha avuti tanti famosi scolastici, e sì pochi celebri oratori e poeti, signoreggiavane allora una gran parte; i loro libri si spargevano facilmente; il loro gusto si comunicava; e come sembra [p. 809 modifica]che i sudditi facilmente si vestano delle inclinazioni e de’ costumi de’ loro signori, gl’italiani divennero, per così dire: Spagnuoli. A confermare un tal sentimento io aggi ugnerò una riflessione che parrà forse aver alquanto di sottigliezza; ma che e certamente fondata su un vero fatto. La Toscana, che era più lontana dagli Stati e di Napoli e di Lombardia da essi dominati , fu la men soggetta a queste alterazioni; come se il contagio andasse perdendo la sua forza, quanto più allontanavasi dalla sorgente onde traeva l’origine. Non potrebbesi egli ancor dire, che ciò concorresse non meno al primo dicadimento delle lettere dopo la morte il Augusto? Marziale, Lucano e i Seneca furon certamente quelli che all’eloquenza e alla poesia recarono maggior danno; ed essi ancora erano spagnuoli; e il clima sotto cui eran nati congiunto alle cagioni morali che abbiamo recate, potè contribuire assai a condurgli al cattivo gusto che in essi veggiamo. In otto tomi della mia Storia , quanti a quest1 ora nc son venuti a luce, questo è il sol passo in cui io parli generalmente dell1 influenza clic, a mio parere, gli Spagnuoli hanno avuta nella corruzione del buon gusto 5 e io prego il sig. abate Lampillas a citare, se può , solo un1 altra parola in tutta la mia Storia che a ciò si riferisca. Ed ei nondimeno parla in tal modo, come se altro io non facessi in tutto il decorso di essa che screditare la sua nazione. Non è qui tempo di tornar sull1 esame di questa opinione, nè di ricercare se il sig. abate Lampillas 1 abbia a ragion combattuta. Lo scopo [p. 810 modifica]8 io di questa mia lettera non è il difender ciò ch’io ho scritto, ma di ribatter le accuse e, mi sia lecito il dirlo, le ree calunnie ch’egli mi ha apposte. Io chieggo in primo luogo a chiunque non è del tutto sfornito del senso comune, se questa mia opinione poteva esporsi con maggior modestia e riserbo di quel ch’io ho fatto. Io non dico, come mi accusa di aver detto l’abate Lampillas, che la decadenza della letteratura debbasi al dominio spagnuolo*, dico che a ciò concorse, dico che il clima sotto cui nacquero Lucano, Marziale, ec., potè contribuire a condurgli al cattivo gusto; espressione , come ognun vede, assai moderata, e molto più che vi si aggiugne il clima congiunto alle cagioni morali, Io riferisco ancora questa opinione, come già sostenuta da altri, e in fatti da non pochi ella è stata sostenuta: confesso che la ragione ch’io reco per confermarla, parrà forse aver alquanto di sottigliezza. Se io dico che la nazione spagnuola ha avuti pochi celebri oratori e poeti, dico ancora che ha avuti tanti famosi scolastici. In somma io espongo il mio sentimento, quale esso è veramente, ma lo espongo in quel modo in cui vorrei che il sig. abate Lampillas avesse esposto il suo. Se egli non avesse fatto altro che impugnare la mia opinione, io farei plauso al suo ingegno e al suo amor patriottico. Mach’egli mi attribuisca intenzioni ch’io non ho avute giammai, questo è ciò eh’e licar, nè scusare. E veramente qual maniera di scrivere è mai gli non potrà mai nè giusti[p. 811 modifica]Sii questa? Se io dico che i Seneca hanno recato gran danno alla romana eloquenza, ciò è perchè i Seneca sono spagnuoli. Se accuso Seneca il filosofo di empietà e d’ipocrisia, il fo perchè egli è di nazione spagnuolo. Perchè sono spagnuoli, io affermo che Lucano e Marziale hanno corrotto la poesia latina. Io non parlo di Cornelio Balbo, nè d1 Igino, perchè sono spagnuoli. Perchè Quintiliano è un uomo di raro merito, io muovo dubbio intorno alla sua patria, e vorrei farlo credere nato in Italia. Io antipongo nel carattere morale Plinio a Seneca, perchè Plinio è italiano, Seneca è spagnuolo. Traiano, Adriano e Teodosio furono imperadori degni di molta lode, e perciò io dissimulo eli’ essi fossero spagnuoli. Ma di grazia, sig. abate Lampillas, come sa ella che io abbia operato per questi fini? È ella un Dio che vede l’interno de’ cuori? O è ella un profeta che dal Cielo è scorto a conoscer le cose più occulte? Io nego solennemente di aver avuto un sì basso motivo nel mio scrivere, e protesto in faccia a tutto il mondo che non è mai stata questa la mia intenzione. O ella pruovi ch’io l’ho avuta, o io ho diritto di esigere soddisfazione del torto che mi vien fatto. Io posso bensì affermare con più ragione che il sig. abate Lampillas non ha usata nel suo scrivere quella buona fede che dagli uomini onesti non deesi mai dimenticare: i.° perchè egli mi fa dir cose ch’io non ho dette: 2." perchè mi accusa di aver dissimulate cose eli’ io non ho in alcun modo dissimulate: 3.1’ perchè dissimula egli stesso più cose che fanno m mio [p. 812 modifica]81 a favore, e che distruggo» le accuse eli’ ci mi ha intentate. Dico in primo luogo ch’egli mi fa dir cose ch’io non ho dette. Egli reca (par. 1, p. 15) come da me scritte le seguenti parole: La dominante nazione spagnuola porta seco il contagio di cattivo gusto in genere di letteratura; e cita la Dissertazione preliminare innanzi al tomo secondo della mia Storia, cioè il passo da me recato poc’anzi. Ma dove sono elleno cotai parole? Legga e rilegga il sig. abate Lampillas quel passo, e ve le truovi, s’egli è da tanto. È vero che da ciò che ivi dico, sembra potersi raccogliere ciò ch’egli mi attribuisce. Ma quanto diversamente e quanto più dolcemente ho io esposto il mio sentimento, con qual cautela e con qual mitigazione! E egli lecito dunque il cambiar le parole di uno scrittore, e 1 alterarne in qualche modo il senso; e citare come precise parole da lui usate, quelle ch’egli mai non ha usate? Poco appresso egli altera ancora e travolge un’altra mia proposizione. Io dico: Marziale, Lucano e Seneca furono certamente quelli che aW eloquenza e alla poesia recarono maggior danno; ed essi ancora erano spagnuoli. Ed ei cita come da me scritte queste parole: Dopo la morte d’Augusto furono gli Spagnuoli (quei che recarono nuiggior dumo all eloquenza ed alla poesia; e con ciò rendendo universale la proposizione, che io ho ristretta a que’ tre solamente, la rende ancora più odiosa, e non pago di ciò, un’altra volte ripete (p. 36) questa proposizione, e di nuovo l’altera e la travisa attribuendomi queste parole: [p. 813 modifica]813 Spagnuoli certamente furono quelli che condotti al cattivo gusto dalla forza del clima., sotto di cui eran nati, recarono in questi tempi maggior danno all’eloquenza e alla poesia, ove ei mi fa dire francamente quelle parole condotti dalla forza del clima, mentre io ho detto solo che il clima sotto cui eran nati, congiunto alle cagioni morali, potè contribuire, ec. È ella dunque questa la fedeltà e la scrupolosa esattezza con cui si debbon recar le parole degli autori, quando si vogliono impugnare? Un’altra ancor più grave infedeltà io debbo rimproverare il sig. abate Lampillas. Ecco le parole ch’egli in altro luogo mi attribuisce (par. 1, p. 219): Lucano e Marziale, come chiaramente si vede, vogliono andare innanzi a Catullo e Virgilio, e il loro esempio fu ciecamente seguito; e dice che ciò io ho scritto per conservare alt Italia il privilegio di non corromper la poesia; e per mostrare chi furono gli autori del fatale cangiamento nella romana poesia. Or leggasi quel tratto nella mia Dissertazione preliminare (p. 26). Io mi studio di provare in quel luogo, che la decadenza dell’amena letteratura nasce dal voler superare coloro che l’hanno condotta alla sua perfezione. Io lo dimostro con rammentare ciò che accadde dopo la morte di Cicerone, e nell’età susseguente al secolo detto d’Augusto. Dico che Asinio Pollione, e poi i due Seneca, con raffinar l’eloquenza affine di superar Cicerone, la renderon peggiore; che Velleio Patercolo e Tacito caddero in molti difetti, perchè vollero superare Livio, Cesare e Sallustio; e venendo poi [p. 814 modifica]8i4 a’ poeti, Lucano, io dico, Seneca il tragico t Marziale, Stazio, Perseo e Giovenale vogliono, come chiaramente si vede da’ loro versi, andare innanzi a Virgilio, a Catullo, Oras/o, ec. Ove è qui, sig. abate mio stimatissimo, la buona fede? Io unisco insieme senza alcuna diversità Spagnuoli e Italiani, e con Lucano e con Marziale nomino Stazio, Persio e Giovenale; ed ella troncando il testo mi fa nominar solamente due poeti spagnuoli, per persuadere a’ lettori che tutta io attribuisco agli Spagnuoli la colpa della corruzion del buon gusto. E a questa infedeltà è somigliante quell’altra in cui ella citando quel mio passo medesimo , dice ch’io confesso che Lucano e Marziale furono i migliori poeti del suo tempo; cosa ch’io ho detto generalmente di tutti i già nominati poeti, e non de’ due soli spagnuoli. Più ancor mi ha commosso un’altra infedeltà che a mio riguardo ha usata il sig. abate Lampillas (par. 1, p. i4;)- Dopo aver lungamente impugnato (nè è qui luogo a cercare con qual sorta di pruove) il carattere ch’io ho formato di Seneca il filosofo, dice ch’io passando da esso a Plinio il Vecchio, uso queste parole: assai diverso fu il carattere e il tenore di vita di Caio Plinio Secondo, detto il Vecchio. E queste son veramente mie parole. Ma che? Il sig. abate Lampillas sdegnasi per esse meco, e quasi quasi mi accusa al tribunale dell’Inquisizione. Dimando io, dice egli, può dirsi utile ed opportuno a’ tempi nostri il cercar tutte le congetture, per far credere che fu un uomo bruttato di lutti i vizi un filosofo che scrisse [p. 815 modifica]8i5 ultamente della Divinità e della Provvidenza, qual fu Seneca; e in confronto suo voler far credere di un carattere onestissimo e virtuoso un derisore, della Divina Provvidenza, un combattitore delf immortalità dell’anima, qual fu C. Plinio? Ma di grazia, ove mai ho io scritto che Plinio il Vecchio fosse un uomo di carattere onestissimo e virtuoso? Legga e rilegga il sig. abate Lampillas tutto il passo in cui io ne ragiono* e s’ei vi trova queste, o somiglianti parole, io mi do vinto. Io dico, è vero, che Plinio fu di carattere ed ebbe un tenor di vita assai diverso da quel di Senecaj ed è vero ch’io ho creduto, e credo tuttora, che Seneca fosse un uomo vizioso e un solenne ipocrita. Ma ne siegue egli perciò, che se Plinio fu di carattere assai diverso da Seneca, fosse uom di carattere onestissimo e virtuoso? Non posson forse trovarsi due o più uomini tutti viziosi, e tutti di carattere l’un dall’altro diverso? Se Seneca fu un ipocrita, se Plinio fu un ateo libertino, non furon essi di carattere assai diverso? E il carattere non abbraccia forse ugualmente e l’indole naturale, e il tenor di vita, e il talento e lo studio e i costumi e più altre relazioni? Con qual fondamento dunque afferma il sig. aliale Lampillas che io dipingo Plinio il Vecchio come uomo di carattere onestissimo e virtuoso? Dico in secondo luogo che il sig. abate Lampillas mi accusa di aver dissimulate cose eli’ io non ho in alcun modo dissimulate. Udite come ei mi rimprovera di aver aspramente trattato Lucano (par. 1, p. 264): Se Lucano avesse Tikàboschi, Voi. XV. 18 [p. 816 modifica]8i(j avuta la sorte ili nascer sotto il Ciclo privilegialo iC Italia, trovato avrebbe l’Abate Tiraboschi nella giovine età, in cui compose la Parsali a , ragion potentissima onde scusare i difetti che si scuoprono in questo poema, ed ammirare le molte bellezze che gl’imparziali vi ammirano. Voi crederete ch’io non abbia punto accennata la giovanile età di Lucano, e i pregi di cui questo poeta fu adorno. Ma aprite di grazia la mia Storia (£2, p. 70) e leggete: Nè voglio già io negare che Lucano fosse poeta di grande ingegno; che anzi ne’ difetti che noi veggiamo in lui, non cade, se non chi abbia ingegno vivace e fervida fantasia. Ma oltrechè egli era in età giovanile troppo e immatura per ordire e condurre felicemente un poema, avvenne a lui prima che ad ogni altro (in ciò che c poema epico) quello che avvenir suole a’ poeti, ec. Poteva io toccare più chiaramente ciò che il sig. abate Lampillas si duole di’ io non abbia toccato? E qui di passaggio osservate ch’egli mena un gran rumore perchè io ho detto che Lucano fu il primo a distogliersi dal buon sentiero , e non bada, o finge di non aver badato alla spiegazione che di queste parole ho data nel passo sopra recato , cioè in ciò che e poema epico. Mi accusa innoltre il sig. abate Lampillas, perchè io non ho dato luogo nella mia Storia ad alcuni dotti Spagnuoli che vissero lungamente in Roma a’ tempi di Augusto, e nelle età susseguenti. E primieramente ei si duole ch’io non abbia nominato Cornelio Balbo (par. 2, p. 29); ed è vero ch’io non ne ho fatta menzione, come [p. 817 modifica].... 8l’ pure lauti altri auclie Italiani lio passati sotto silenzio, perché non ci è rimasta alcuna loro opera. Ma non così mi può egli rimproverare eli’ io abbia dimenticato Igino. Al leggere ciò che ne dice il sig. abate Lampillas , par ch’io non abbialo pur nominato. Dovea certamente , dice egli (par. 2, p. 38), sperar tuff altro un bibliotecario (f Augusto, che vedersi dimenticato in una Storia de’ letterati di quel secolo... Prie olio però di questo onore il paese in cui nacque , come già aveva reso indegno il gran Cornelio Balbo... il detto autore crede non dover nemmeno far menzione d’Igino , perchè ei fu spagnuolo... come nuii crede che sia a lui lecito il far menzione if Igino? e così segue ripetendo più volte stucchevolmente la stessa cosa. Ma non ne ho io forse parlato, e non in un solo , ma in due passi della mia Storia l Cìdersi anche, così io dico parlando de’ gramatici (t. 1, p. 340), alcuni di essi sollevati a onorevoli impieghi, come Caio Giulio Igino e Caio Melisso, a’ quali fu da Augusto data la cura delle sue biblioteche. Ove vuolsi di passaggio riflettere che le opere che abbiamo sotto il nome d’Igino, gli son supposte, come comunemente si crede. E altrove parlando de’ bibliotecarii d’Augusto (p. 362): Il secondo è Caio Giulio Igino liberto d Augusto 5 uomo nelle antichità versatissimo, di cui pur dice S ve toni o che fu prefetto della Palatina biblioteca. È vero che dopo le parole del primo tratto, poc’anzi recate, io soggiungo: ancorchè fossero da lui scritte, non é qui a farne menzione, poichè secondo alcuni ei fu spagnuolo, secondo altri [p. 818 modifica]8.8 alessandrino. Ma ciò è conforme al metodo cì.< me prescrittomi; cioè di non ragionare se non di passaggio degli stranieri che vissero in Roma, trattine alcuni pochi de’ quali è più chiara la fama. Perchè dunque menar tanto rumore, come se io per odio alla nazione spagnuola avessi taciuto il nome d’Igino? Piacevole poi è l’accusa che mi dà il sig. abate Lampillas (par. 2 , p. 77, ec.), rimproverandomi eli1 io non dico che fossero spagnuoli gl’imperatori Traiano, Adriano e Teodosio, e dissimulo con ciò la gloria che alla Spagna verrebbe dall’essere stata madre di così illustri sovrani. Che dite, amico mio, di una tale fanciullaggine? che con altro nome non saprei io chiamarla. Io sto a vedere che gli abitanti dell’antica Pannonia si dorranno di me, perchè io non ho detto che delle lor contrade fosse natio P imperadore Valentiniano I, di cui pure ho parlato con lode. Il più leggiadro si è, eli’ ci passa poscia a difendere Adriano da alcune taccie eli’ io gli ho date, e a mostrare che Teodosio fu più benemerito delle belle lettere, ch’io non ho detto. Ma almeno perchè non sapermi grado, se non volendo io lodar mollo quegl’i 111peradori, ho dissimulato per gloria della nazione eli* essi fossero spagnuoli? Se però) è ridicola f accusa eli1 egli mi dà di aver io dissimulata la patria di que’ tre imperadori, almeno ella è vera. Ma eli’ egli poscia soggiunga: L istessa condotta si osserva dal detto autore, dove parla del grande Alfonso re di Napoli: come può egli scusarlo? Lo stesso nome di Alfonso d’Aragonaj con cui io l’appello (t.6, par. 1), non [p. 819 modifica]pruova abbastanza ch’egli era spagnuolo? E non l’ho io detto altrove (ivi) anche più chiaramente Alfonso re dt Aragona? E i grandi encomii che io ho fatti di quell’illustre sovrano, non bastano essi a mostrare ch’io sono ben lungi da que’ puerili pregiudizii che il sig. abate Lampillas mi attribuisce? Quanto più si avanza nella sua opera il signor abate Lampillas , tanto più sembra che gli si annebbino gli occhi, per non vedere nella mia Storia ciò che pur vi si legge da chiunque sa leggere. Egli dopo aver confutate le pruove colle quali io ho procurato di dimostrare che Gherando filosofo del secolo XII fu italiano, e non già spagnuolo (nè è qui luogo di esaminare s’ei le confuti a ragione) arreca diversi tratti, ne’ quali io ragiono del sapere di esso, e quindi conchiude par. 2, p. 165): chi non crederà leggendo questi bei tratti della Storia letteraria, che il gran Gherardo fosse un celebre Filosofo italiano, che arricchito in Italia con ogni genere di Filosofiche cognizioni, passò in ISpagna a far conoscere il suo valore , e che spargendo copiosi lumi di dottrina dissipò le tenebre che per molti secoli aveano ingombrato quel regno? Eppure bisogna sapere, che Gherardo, nel caso che sia stato Cremonese , fu un Italiano, che sul principio del secolo XII desideroso di coltivare gli studi filosofici , e vedendo che questi giacevano dimenticati in Italia per la mancanza de’ libri degli antichi filosofi, e sapendo che fra gli Ira hi di Spagna già da tre secoli fiorivano felicenumte la filosofa , la matematica , hi [p. 820 modifica]8ao medicina, che là trovavansi in gran copia i libri più pregevoli di queste scienze, recossi a Toledo, dove fatto discepolo de’ maestri spagnuoli , ed appresa la lingua arabica, che in que’ tempi era la lingua filosofica , recò in latino molti libri degli Spagnuoli, ed altri de’ Greci, che gli Spagnuoli recato aveano nella lor lingua. Tutto il valore, di Gherardo si fè conoscere in queste traduzioni, senza che composta egli abbia opera alcuna appartenente, a dette scienze, Chi non crederà, dirò io pure, leggendo questo tratto del sig. abate Lampillas, ch’io nulla abbia detto di tutto ciò eli ei va qui raccontando in lode della sua Spagna? Eppure bisogna sapere ch’io I’ ho scritto e stampato quasi colle stesse parole che qui egli usa. I primi studi nondimeno, io dico (t. 3), furon da Gherardo fatti in Italia, come abbiamo udito affermarsi da Francesco Pipino; ma avendo egli osservato che assai rari erano in queste provincie i libri degli antichi filosofi e matematici , e sapendo che presso gli Arabi delle Spagne ve n avea gran copia, recossi a Toledo, e appresa la lingua arabica, si accinse al faticoso esercizio di recare da quella lingua nella latina, ec. E poco prima io aveva affermato che Gherardo dovette verisimilmente in gran parte a Toledo i suoi studi e il suo sapere. Poteva io dire più chiaramente ciò eli’ ei mi accusa di avere dissimulato? Nè solo egli non vede ciò che vede ognuno nella mia Storia, ma dimenticandosi di ciò che ha letto, dopo aver affermato ch’io dissimulo in essa qualche gloria degli Spagnuoli, reca egli [p. 821 modifica]♦ 8:? i stesso le mie parole con cui loro volentieri l’attribuisco. Udite di grazia: Per quanto, ei dice par. 2 , p. 162), si mostri prevenuto contro la spagnuola letteratura il sig. abate Bettinelli, non perciò dissimula qualunque, vantaggio recato dalla Spagna alla letteratura italiana, come fa il sig. abate Tiraboschi. In fatti dove si tratti de gii studi di filosofia, di matematica, di medicina dopo il mille, confessa l’abate Bettinelli, doverli l Italia agli Spagnuoli; non così l abate Tiraboschi, anzi dispone in maniera la sua Storia, che comparisca l’Italia la ristoratrice di tali studi in Europa, ed anche illuminatrice della Spagna. Quindi passa a ragionar lungamente degli studi e delle opere degli Arabi spagnuoli. per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quella nazione. Ma il credereste voi mai? Per dimostrarlo , oltre i passi dell’abate Bettinelli, ei reca ancora diversi passi di quell’abate Tiraboschi che dissimula qualunque vantaggio recato dalla Spagna alla letteratura italiana , e che dispone in maniera la sua Storia, che comparisca l’Italia illuminatrice della Spagna. E cita le parole (p. 169) nelle quali io confesso che a que’ tempi era tra noi sconosciuta e dimenticata la filosofia, e ch’ella fioriva felicemente tra gli Arabi della Spagna. Se io affermo tai cose, come chiaramente le affermo per testimonianza del sig. abate Lampillas, come può egli accusarmi ch’io abbia in questo punto medesimo dissimulate le glorie letterarie de’ suoi Arabi spagnuoli?. Io lascio in disparte la ridicola accusa che egli mi dà par. 2, p. 196) di non aver dotto [p. 822 modifica]822 che S. Domenico fosse spagnuolo. Chi v’ ha che noi sappia? Oltre di che io ho fatto un breve elogio, ma tale di cui spero ch’essi non sieno mal soddisfatti de’ due Ordini de’ Predicatori e de’ Minori (t. 4), e l’elogio degli Ordini ridonda in lode de’ lor fondatori. Io non dico che S. Domenico fosse spagnuolo; ma dico forse che S. Francesco fosse italiano? Anzi ivi io non nomino pure que’ due Santi, perchè parlo di cosa nota perfino alla più ignobile plebe. Chi mai avrebbe creduto che dovesse trovarsi un abate Lampillas che di ciò mi facesse un reato? Ma questa non è finalmente che una puerilità in cui mi vergogno di trattenermi. Non così un’altra accusa ch’egli mi dà, di non aver fatta menzione nella mia Storia del celebre Cardinal Albornoz spagnuolo, e del molto che a lui dee l’Italia; perciocchè qui di nuovo io debbo lamentarmi della mala fede del sig. abate Lampillas, e farne solenne doglianza in faccia a tutto il mondo: In questo luogo 7 dice (par. 2, p. 202), non posso non fare un amorevol lamento con l’Ab Tiraboschi, e molto più coll’abate Bettinelli; imperciocchè dove ci dipingono lo stato dell’Italia nel secolo 14 oppresso e tiranneggiato da tanti prepotenti, non si degnano nemmeno di nominare il gran cardinale Egidio d’Albornoz, che a costo <1 immense fatiche liberò) gran parte (I essa dall7 oppressione di quei tiranni, ed assicurò alla Romana Chiesa ! l’antico Patrimonio. Quindi dopo avere rammentate le grandi imprese di quel celebre cardinale, e ripetuto più volte ch’io dovea pure [p. 823 modifica]8 a3 farne menzione, e dopo aver dello che da me è stata dimenticata la memoria del celebre Albornoz , conchiude {p. ao6): Questa disgrazia però è comune al nostro cardinale con tant’altri celebri Spagnuoli benemeriti dell’italiana letteratura , i quali, come abbiam visto, vengono dimenticati dall’autore della Storia letteraria, mentre, aveano tutto il diritto alla più onorevol memoria. S’io qui levassi allo la voce , e chiedere soddisfazione contro la calunnia che ini si appone, non ne avrei io lutto il diritto? (’urne? Io non mi son degnato di nominare il Cardinal Albornoz? Io ne 1 io dina liticata la memoria? Ma non ho io impiegata quasi una pagina (/.5) in ragionarne? Non ho io detto che ad accrescere vie maggiormente la fama dell università di Bologna dovette giovar non poco la fondazione del collegio degli Spaglinoli, che in quella città tuttavia sussiste, ordinata nel suo testamento dal Cardinal Egidio Albornoz? Non ho io poi narrata più a lungo la fondazione di quel collegio, e la magnificenza con cui essa lii fatta? Non ho io recato il bellissimo elogio che di quel gran cardinale ci ha lasciato I antica Cronaca di Bologna col dire: Fece comunemente ad ogni uomo di Bologna gran male della sua morte, imperciocché esso era stato un grande e prudente /corno, savio e grande amico degli uomini di Bologna, e fu quegli che ci cavò dalle mani di quello di Milano con gran sudore e fatica. E per certo non si potrebbe scrivere a pieno quello che meriterebbe Vonor suo? Non ho io conchiuso il passo, in cui ragiono del collegio [p. 824 modifica]ftif da lui fondalo, con questo elogio della nazione spagnuola: Così alla nazione spagnuola, che fin dal secolo precedente avea a questa università inviati alunni e professori di non ordinaria fama , si agevolò sempre meglio la via per frequentare queste celebri scuole? E dopo ciò , poteva io aspettarmi di vedermi citato in giudizio per avere dimenticato il Cardinal Albor1107,? Dico in terzo luogo, che il sig, abate Lampillas dissimula più cose che fanno in mio favore, e distruggon l’accusa che ei mi ha intentata, sì perchè egli tutto intento a raccogliere ciò di’ io ho scritto contro alcuni autori spagnuoli non riflette che colla medesima libertà io ho scritto contro alcuni autori italiani, sì perchè ei non si compiace di rilevare non pochi tratti della mia Storia che alla Spagna e agli scrittori spagnuoli sono assai onorevoli. Ho biasimato lo stil di Lucano, e ciò, secondo l’abate Lampillas, perchè Lucano fu spagnuolo, e per lo stesso fine io ho parlato mal di Marziale. Ma son essi forse i soli poeti de’ quali io abbia ripreso lo stile? Io ho pur detto, parlando di Valerio Flacco italiano (t. 2), che a chiunque dalla lettura di Virgilio passa a quella di 1 alerio Fiacco, sembra di passare da un colto e ameno giardino a uno sterile e arenoso deserto; anzi io ho antiposto Lucano allo stesso Valerio Flacco , soggiungendo: Nè io penso che questo poeta debba aver luogo tra quelli che per volersi spinger troppo oltre, abusarno del loro disegno, come Lucano, ma sì tra quelli che a dispetto della natura [p. 825 modifica]8.a;*) willrro esser poeti. Io ho pur detto di Stazio, che (ivi) giganteggia egli pure, e di ogni piccola arena/orma, per così dire, un altissimo monte. Affetto, soavità, dolcezza son pregi a lui ignoti; tutto è sovra grande presso di lui e mostruoso, oltre il difetto di aver seguito il metodo di narratore anzichè di poeta. Io ho pur detto (ivi) che in Silio (il quale dal sig. abate Lampillas si dice francamente spagnuolo (par. 1, p. 245), senza eh ei neppure si degni di accennar le contrarie ragioni per le quali f ho creduto italiano) vedesi una languidezza spossata , e un continuo, ma impotente sforzo a levarsi in alto. Io ho pur detto (ivi) che Persio è viziosamente oscuro. Perchè dunque accusarmi di avere per forza di pregiudizii ripreso lo stile di Lucano e di Marziale, perchè furono spagnuoli, mentre colla medesima libertà ho biasimato lo stile di quegli Italiani che mi son sembrati degni di biasimo? Non ho parlato nella mia Storia di alcuni scrittori spagnuoli che vissero per alcun tempo in Italia. Ma ho anche lasciato di parlare per la stessa ragione di molti francesi e di altre nazioni. Ho procurato di dimostrare che alcuni scrittori, i quali dagli Spagnuoli sono annoverati tra’" loro, furon veramente italiani. Io non voglio ora rientrare in disputa, nè esaminare se le mie ragioni sien più forti delle contrarie che adduce il sig. abate Lampillas. Ma perchè mi accusa egli di aver ciò fallo quasi per odio contro la Spagna? S’ei dicesse ch’io mi mostro in ciò troppo parzial per l’Italia, direbbe cosa di cui io non potrei offendermi ragionevolmente. [p. 826 modifica]Sr>G Ma con qual fondamento mi accusa egli di avversione al nome spagnuolo? Non son io venuto a contesa cogli scrittori francesi, e singolarmente co’ dotti Manrini, e colf abate Longchanips, assai più spesso che cogli spagnuoli, per rivendicare all1 Italia molti uomini dotti che essi cercato aveano di rapirle? Non ho io mostrato che Plozio Gallo (t. 1, pref.), Cornelio Gallo, Giulio Montano e Senzio Angurino, Germanico , Frontone Cornelio, Giulio Tiziano, il retore Palladio e più altri sono stati senza buona ragione annoverati da’ Francesi tra’ loro scrittori? Perchè adunque attribuirmi uno sfavorevole pregiudizio a riguardo degli Spagnuoli, ove tutta la condotta e la serie della mia Storia chiaramente dimostra eh1 io non ho altro fine che di sostenere la gloria del nome italiano contro coloro, chiunque e di qualunque nazione essi siano, che se ne mostrano invidiosi o nimici? Ma che dirò io del dissimulare che fa il signor abate Lampillas le molte cose ch’io ho scritte in lode di alcuni autori spagnuoli? Io son certo che un saggio ed imparzial giudice si stupirà come abbia egli potuto accusarmi qual dichiarato nimico della letteraria gloria della sua nazione. Io ho ripreso lo stil di Seneca, io l’ho annoverato tra’ più dannosi corrompitori dell1 eloquenza, io l’ho anche descritto come un ipocrita e un impostore. Ma non ho io ancor detto che qualunque fosse (t. 2) l’animo e il costume di Seneca, egli è certo che le Opere, morali che di lui abbiamo, son piene di savissimi ed utilissimi ammaestramenti, e tali in gran [p. 827 modifica]8,7 parte y che anche a cristiano scrittore non mal conwrrebbono? E non ho io fatto un magnifico elogio del molto saper di Seneca nelle quistioni di fisica? Permettetemi ch’io vi rechi qui questo passo, perchè veggiate quanto io mi sia steso nelle lodi di questo filosofo: Nè la morale soltanto, così io dico poco dopo le citate parole, ma la fisica ancora dee molto a Seneca. In molte occasioni vegliamo eh egli col penetrante ingegno di cui fu certamente dotato, e col lungo studio era giunto a vedere, direi quasi, da lungi quelle verità medesime che i moderni filosofi hanno poscia più chiaramente scoperte, e confermate colle sperienze. Così egli ragiona della gravità dell’aria , e della forza , che noi or diciamo elastica, con cui essa or si addensa, ed or si dirada: Ex his gravita te rn aeris fieri... habet ergo aliquam vim talem aer, et ideo modo spissat se, modo expandit, et purgat, alias contrahit, alias diducit, ac differt. Così parimente egli recò la cagion vera de’ tremuoti, cioè i fuochi sotterranei che accendonsi, e facendo forza a dilatarsi, se trovan contrasto, urtano impetuosamente e scuotono ogni cosa. Così ancora egli spiega per qual maniera l’acqua del mare insinuandosi per occulte vie sotterra si purga e si raddolcisce , e forma i fonti ed i fiumi. Così molte altre quistioni di fisica e di astronomia si veggon da Seneca, se non rischiarate, adombrate almeno per tal maniera, che si conosce ch’egli fin d allora in più cose o conobbe, o fu poco lungi dal conoscer il vero. Ma bello è singolarmente l’udir Seneca, ove ragiona delle [p. 828 modifica]8i8 comete , e stabilisce chiaramente eh esse hanno un certo e determinato corso, e che a tempi fissi si fanno vedere in cielo e svaniscono, e ritornan poscia con infallibili leggi; e predire insieme che verrà un tempo in cui queste cose medesime, eli egli non può che oscuramente accennare] si porranno in più chiara luce; e che i posteri si stupiranno che i lor maggiori non abbian conosciute cose tanto evidenti. Sulle quali fisiche cognizioni di Seneca veggasi singolarmente l’opera da noi altre volte lodata di M. Dutens. Or ditemi, per vostra fede, anzi mi dica lo stesso abate Lampillas, se vi è scrittore spagnuolo che tanto abbia esaltato f erudizione di Seneca in questa materia , quanto ho fatto io, nimico, secondo lui, delle glorie letterarie di quella nazione. S’io fossi quel malizioso oscuratore della letteratura spagnuola, qual mi finge il sig. abate Lampillas, mi sarei io steso tanto in queste lodi di Seneca? E non è ella questa una pruova evidente eli’ io sono scrittor sincero*, che lodo e biasimo in chiunque ciò che mi par degno d" esser lodato e biasimato; e che forse in tali giudizii caderò in errore per mancanza di buon gusto e di fino discernimento , ma non certo per alcuna rea premeditata intenzione? Scorrete, di grazia, i tomi della mia Storia , e vedete con quanta lode io parli di altri Spagnuoli , de’" quali ho creduto che dovessi fare in essa menzione. Vedrete che parlando di Pomponio Mela spaglinolo (t. 2) dico che lo stile di esso è terso ed elegante forse sopra tutti gli altri scrittori di questo secolo. Vedrete [p. 829 modifica]8 2C) eh’io parlo assai lungamente e con molta lode ,di Antonio Giuliano retore spagnuolo famoso in Roma (ivi). Vedrete che di Claudio vescovo di Torino, e spagnuolo di nascita, ho parlato non brevemente (t. 3), e se ne ho biasimati, come era dovere, gli errori, ne ho lodata f erudizione. Vedrete ch’io ho attribuito agli Arabi lo scoprimento della proprietà dell1 ago calamitato di volgersi al polo (t 4)j e cbe a quelI occasione ho altamente lodati gli studi de’ filosofi arabo-ispani. Vedrete che ho mentovata (ivi) la raccolta de’ Canoni fatta da Bernardo di Compostella. Vedrete ch’io fo grandi elogi del sapere e degli studi di S. Raimondo da Pennafort (ivi)) e piacciavi qui di riflettere all1 ingegnosa censura che fa l’ab. Lampillas di questo passo. Io dico che tra noi, cioè nell’università (di Bologna, ei si fornì (di quel sapere, ec. Or che risponde il nostro censore? Sebben sia certo (par. 2, p. 197) che il nostro Raimondo fece i suoi studi del Diritto in Bologna, non è però certo, che agli Italiani debba il suo sapere, giacchè, come dice il Sarti, non sappiamo chi fosse il suo maestro. E chi ha detto ch’egli il debba agl’italiani? Io ho detto che egli tra noi, nell’università di Bologna, si fornì del sapere; non ho mai detto eli1 ei fosse scolaro di alcun Italiano. Ma torniamo al nostro argomento. Vedrete che tra’ professori della detta università di Bologna io ho nominati Lorenzo (t. 4). Vincenzo, Giovanni di Dio, Garzia e Martino, tutti spaglinoli, com1 io medesimo ivi affermo. Vedrete che al re Alfonso X ho dato il nome di splendido protettore de’ dotti (ivi). [p. 830 modifica]83o Aggiugnete a tutto ciò le cose poc’anzi accennate , cioè l’onorevol menzione eli io ho fatta T Igino, le lodi da me date agli studi degli Arabi, 1’elogio di’ io ho formato del Cardinal Albornoz e di Alfonso d’Aragona re di

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Napoli, e quello ancora che l’abate Lampillas non ha potuto vedere prima di stampare il suo libro , ch’io ho fatto del marchese del Vasto (t 7,par. 1), la cui famiglia ho espressamente notato ch’era orionda dalla Spagna; e poi ditemi se questi sieno indicii di animo per prevenzione avverso al nome spagnuolo. Io credo anzi di certo che chiunque leggerà attentamente la mia Storia della Letteratura italiana, dovrà confessare che tra le nazioni straniere all’Italia non ve n’ ha alcuna a cui lode tante cose io abbia in essa inserite, quante alla spagnuola; e che se la mia Storia desse ragionevol motivo a qualche doglianza, il che per altro io mi lusingo che non sia , assai maggior diritto a farla avrebbono i Francesi, che gli Spagnuoli; perciocchè la rivalità che è sempre stata tra la nostra e la lor nazione, e il disprezzo con cui alcuni Francesi parlano degl’Italiani, mi ha talvolta animato a prendere con qualche calore le nostre difese. Ma non avrei mai creduto che potessi esser preso di mira come nimico del nome e della gloria spagnuola. Meglio dunque avrebbe fatto il sig. aliate Lampillas , se avesse seguito l’esempio di un altro valoroso Spagnuolo, cioè del sig. abate D Giovanni Andres. Spiacque a lui pure ciò ch’io avea scritto intorno alla parte che gli Spagnuoli [p. 831 modifica]831 avcano amia nel conompimento del gusto in Italia, e ciò clic prima di me avea scritto sullo stesso argomento il celebre sig. abate Bettinelli. Prese egli dunque la penna in difesa della sua nazione, e fin dal 1776 pubblicò su ciò in Cremona una sua lettera al sig. commendatore Valente. Voi certo l’avrete letta; e avrete veduto con qual forza insieme e con quale modestia ribatte l’accusa data ai letterati spagnuoli , con qual rispetto parla de’ suoi avversarii, con qual sobria erudizione va rammentando le glorie della letteratura spagnuola. Egli non ha mai sognato eli1 io potessi avere nella mia Storia quelle ree e basse intenzioni di cui mi ha creduto capace l’abate Lampillas. Egli ha mostrato il buon gusto , di cui è fornito , col non accingersi a fare ridicole apologie di certi antichi scrittori spagnuoli che non si posson difendere, se non da chi è lor somigliante; egli non ha già avanzate quelle gigantesche proposizioni dell1 ab. Lampillas. A nessuna delle straniere nazioni (toltane la Greca) debbe tanto l’antica letteratura romana, quanto alla nazione spagnuola (par. 2, p. 3); in Ispagna furono coltivate le arti e le scienze prima che in Italia (ivi, p. 5). In nessun tempo potè Roma chiamar barbara la Spagna; potè bensì questa per molti secoli chiamar barbara Roma (ivi, p. 12). La lingua latina debbe agli Spagnuoli T essersi donservata men rozza nel secolo dopo Augusto (ivi, p. 47). L’abate Andres era troppo saggio e prudente, per lasciarsi trasportare a tai paradossi. Ei difende la sua nazione con armi Tirabusciò Voi. XV. 19 [p. 832 modifica]83a molto migliori; e ne è pruova la stessa modestia con cui egli scrive, che suol esser tanto maggiore nelle letterarie contese, quanto più dotto è il combattente. Io non vo’ dire con ciò che 1’abate Andres mi abbia convinto; dico che la causa degli Spagnuoli non potea difendersi meglio di quel ch’egli ha fatto, e che Si Pergama dextra Defendi possent.... hac defensa fuissent. Dico che vale assai più la lettera dell’ab. Andres, che tutti i due tomi dell’abate Lampillas. Dico che s’io allora avessi avuto agio a rispondere , l’avrei fatto volentieri, perchè non vi è cosa che più giovi a rischiarare le scienze e le lettere, quanto una onesta e amiche voi contesa con un dotto e ragionevole avversario. Ma io avea allora risoluto di non distogliermi in alcun modo dalla continuazion della mia Storia, e a questo mio proponimento io debbo il piacere»! che or provo di vedermene ormai giunto al line, j Se il sig. abate Lampillas avesse tenuto lo stesso metodo, io farei volentieri applauso al suo talento e al suo amor per la patria. E forse , or che la mia Storia comincia ad accordarmi qualche riposo, impiegherei di buon animo alcuni giorni in rispondergli. Ma come posso io risolvermi ad entrare in battaglia con uno scrittore che legge nella mia Storia cio ch’io non ho mai scritto; che non vi trova ciò che pure da ognuno che abbia occhi in fronte, vi si può trovare e leggere facilmente; che mi attribuisce intenzioni e fini ch’io non ho avuti giammai; che si mostra in somma [p. 833 modifica]833 prevenuto per tal maniera, che non è sperabile che possa mai esser convinto? Per altra parte il saggio ch’io vi ho dato finora della buona fede con cui egli procede meco in questa sua opera, vi può mostrare abbastanza di qual peso e di qual valore essa sia. Chiunque ha tra le mani una buona causa, non ha bisogno di alterare, di troncare, di travolgere, di dissimulare le parole e i sentimenti del suo avversario, come io ho dimostrato che ha fatto il sig. abate Lampillas. Chi usa di tali artificii, dà a vedere con ciò solo che gli mancan buone ragioni a difendersi. Ma è tempo ch’io ponga fine a questa mia lunga lettera, e cessi ormai d’annoiarvi. A voi che conoscete la mia indole naturalmente pacifica, parrà forse che io v’abbia scritto con calore e con forza maggior dell’usata. Nè io il nego; anzi vi prego a volermene per questa volta accordare il perdono. Già vel dissi, e il ripeto: se il sig. abate Lampillas mi avesse additati i miei errori, io gliene saprei grado. Ma al vedere ingiustamente attaccato il mio buon nome, e al vedermi prestate intenzioni e fini ad uomo onesto mal convenienti, i quali io so di non avere avuti giammai, non ho saputo contenermi entro gli usati confini, e spero che voi mi perdonerete questo innocente sfogo, o anzi questa giusta e ragione voi difesa del mio onore. Continuate ad amarmi, ec. Modena, 23 luglio 1778. P. S. Io non credo che il sig. abate Lampi Ila s farà alcuna risposta a questa mia lettera. [p. 834 modifica]834 E che può egli rispondere? Io cito le sue precise parole senza punto alterare le mie. Alle sue parole io oppongo le mie totalmente diverse da ciò ch’egli afferma. L’unica risposta ch’egli può fare , si è il confessare che il soverchio amor della patria- lo ha acciecato, e gli ha fatto leggere nella mia Storia ciò che niun altro vi ha letto, e non gli ha permesso di leggervi ciò che gli altri tutti vi leggono. Che se nondimeno a forza di cav illazioni e di stiracchiature ei si sforzasse di farmi qualche risposta, o colle solite arti ei facesse inserire in qualche prezzolato foglio periodico riflessioni e critiche su questa mia lettera , io vi prevengo che non aspettiate da me alcuna replica. Io mi appello al giudizio imparziale de’ dotti e de’ saggi. Se essi mi condannano, io cedo e mi do vinto. Se essi mi son favorevoli, io mi rido di qualunque risposta mi venga fatta. •