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Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro primo - Capo I

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Libro primo - Capo I

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Indice Libro primo - Capo II

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STORIA

DELLE ARTI DEL DISEGNO PRESSO GLI ANTICHI.




LIBRO PRIMO.

Origine loro, e cagioni delle loro differenze
presso le varie nazioni.




Capo I.


Idea generale delle Arti del Disegno... presso gli Egizj, gli Etruschi, e i Greci — Simile n’è l’origine presso i diversi popoli — Antichissime furono in Egitto... e più tardi fiorirono in Grecia — Cominciarono dal rappresentar l’uomo imitandolo gradatamente — Somiglianza fra le più antiche figure delle tre summentovate nazioni — Dubbio se i Greci abbiano appresa l’arte dagli Egizj — Progressi dell’arte nel dar azione alle figure.


Idea generale delle Arti del Disegno. Le arti che hanno connessione col disegno (e che noi in questa Storia, per amor di brevità, chiameremo sovente col semplice nome di Arte), cominciarono, siccome tutte le altre [p. 2 modifica]umane invenzioni, da ciò ch’era di pura necessità: aspirarono quindi al bello; e poscia passarono all’eccessivo e al caricato. Ne sono questi i tre principali periodi.

§. 1. Le opere dell’arte ne’ loro principj, come i più begli uomini allorché nascono, non altro furono che abbozzi grossolani, e come i semi di varie piante altronde fra loro diverse, le une dalle altre appena distinguevansi. L'arte stessa nel suo fiore, e nella sua decadenza s’assomigliò in qualche modo a que’ gran fiumi, che ove più estesi esser dovrebbono, o in piccoli ruscelli finiscono, o interamente si perdono.

..presso gli Egizj... §. 2. Quest’arte presso gli Egizj si può paragonare ad una pianta vigorosa, a cui o la corrosione d’un insetto, o altro accidente abbia impedito di crescere e d'ingrandirsi. Essa bensì senz’alcun decadimento costantemente serbossi a quel punto a cui crebbe ne’ primi tempi, ma senza perfezionarsi mai; e nello stato medesimo sembra essersi mantenuta fino ai re greci. Pare che la sorte medesima abbia avuta fra i Persiani. ..gli Etruschi... Presso agli Etruschi nel suo nascimento, era simile ad un torrente, che tumultuoso scorre fra dirupi e sassi, poiché duro infatti e forzato è il loro disegno; ma presso i ..e i Greci. Greci fu simile a maestoso fiume, che mentre in suo corso va sempre crescendo, bagna di limpid’acque le sponde di fertili piaggie senza mai soverchiarle.

§. 3. L’arte si è principalmente occupata dell’uomo, onde possiamo a questo riguardo dire con più ragione che Protagora1 esser l’uomo di tutte le opere dell’arte la misura e la regola; e sappiamo dai più antichi storici, che le prime figure disegnate rappresentarono l’uomo, non i tratti e le sembianze, ma solo i contorni dell’ombra delineandone. Da queste semplici forme si passò a segnare le proporzioni, s’acquistò della giustezza, e l’artefice fatto più franco [p. 3 modifica]s’avventurò ad operare in grande. Così l’arte si estese, si migliorò, e finalmente sotto i Greci sollevossi a grado a grado al più alto punto di perfezione. Quando poi si giunse a ben prendere l’insieme di tutte le parti, e a ben adattarvi gli ornati, nel volere avanzarsi ancora si cadde nell'eccesso, si perdè la grandezza dell’arte, e l’arte istessa finalmente mancò.

§. 4. Ecco in brevi termini l’idea di questa Storia. Si descriveranno in questo libro le arti del disegno quali furono nella loro origine; si passerà quindi a trattare delle diverse materie su le quali lavorarono gli artisti, e poscia dell’influenza de’ climi su di esse.

Simile presso i diversi popoli è l’origine delle arti. §. 5. Cominciarono le arti del disegno da semplici immagini e figure foggiate di argilla, e per conseguenza da una specie di statuaria. Può anche un fanciullo dare ad una molle massa una certa forma, ma non può sì facilmente disegnare su una superficie piana; poiché per quella basta aver d’una cosa la semplice idea, laddove a disegnare ben altre cognizioni si richieggono. La pittura venne in seguito ad ornare la statuaria2.

§. 6. Sembra che le arti presso i differenti popoli che le hanno coltivate, abbiano cominciato nella stessa maniera; e non havvi ragionevole fondamento di dar loro per patria un paese anziché un altro. Se devono esse l'origin loro al bisogno, in ogni clima devon’essere state originalmente immaginate; e ove considerar si vogliano, siccome la poesia, quali figlie del piacere, presso ogni nazione debbono credersi nate, essendo questo connaturale e necessario all’uomo al pari di altre cose che per lui sono indispensabili. E perché pare, che il primo formar figure abbia cominciato colle immagini degli dei, perciò diversa dev’esser l’epoca dell’origine [p. 4 modifica]dell'arte presso i diversi popoli, a misura che più presto o più tardi s’introdusse presso di loro un culto religioso; così i Caldei e gli Egizj foggiate si avranno molto prima de’ Greci le sensibili immagini de’ loro numi per adorarle3: e da ciò nasce che sì le arti del disegno, che le altre utili invenzioni, come per esempio della porpora4, molto prima in Oriente che altrove siano state praticate. Diffatti prima che cominciasse la greca storia, le Sacre Lettere già faceano menzione di sculte figure5; anzi le statue, che a principio scolpivansi in legno, hanno presso gli Ebrei diverso nome da quelle che si fondevano6: le prime in seguito di tempo indorate furono7, o con lamina d’oro ricoperte.

§. 7. È qui da osservarsi, che coloro i quali trattano dell’origine d’una costumanza, o d’un’arte, ovvero del suo passaggio da una ad un’altra nazione, in ciò per lo più errano, che fermandosi su pochi tratti di somiglianza ravvisati tra due popoli ne deducono generali conseguenze d’una somiglianza totale. Così argomentò Dionisio d’Alicarnasso, il quale veggendo agli atleti romani una fascia intorno alle reni ad imitazione de’ Greci, ne inferì che quelli da questi la derivassero8. In simil guisa ragionando alcuni hanno immaginata una genealogia delle arti, e le fanno tutte originarie di un sol popolo, da cui le altre nazioni apprese le abbiano successivamente.

[p. 5 modifica] Antichissime furono in Egitto.. §. 8. Fiorirono le arti in Egitto da’ secoli più rimoti; e se è vero che Sesostri9 vivesse oltre trecent’anni prima della guerra di Troja, avremo in conseguenza che da que’ tempi vedeansi già in quel regno per ordin suo innalzati i grandi obelischi, che or veggonsi in Roma10. Costruironsi pure superbi edifizj a Tebe, mentre oscure ancora e fra le tenebre erano le arti tutte presso i Greci11. Questo sì precoce avanzamento delle arti in Egitto sembra doversi alla popolazione di quel regno, e alla potenza de’ suoi re, per le quali cose si poterono facilmente perfezionare le scoperte fatte da alcuni uomini ingegnosi, o presentate dal caso; e tale popolazione, e potenza de’ re in Egitto si dovea principalmente alla situazione e alla natura del paese. Godendo questo d’una temperatura sempre eguale, e sotto un clima caldo12, forniva agevolmente ai bisogni tutti della vita13, e i suoi abitatori lasciar potevano poco men che ignudi i loro figli negli anni della fanciullezza, onde la moltiplicazione della specie doveva essere presso di loro singolarmente eccitata14. La natura ha formato dell’Egitto per la sua situazione un regno, a così dire, isolato, indivisibile, e per conseguenza possente, facendovi scorrere in mezzo un grandissimo fiume, e dandogli per confine da settentrione il [p. 6 modifica]mare, e dalle altre parti altissimi monti15. Il corso del fiume, e l’uguaglianza della sua superficie non permisero mai che si dividesse; e se in certi tempi v’ebbero più re, ciò ben poco durò. Quindi è che l’Egitto più di qualunque altro paese lunga pace e riposo ha goduto; le quali cose fanno nascere le arti, e i progressi ne favoriscono.

..e più tardi fiorirono in Grecia. §. 9. La Grecia all’opposto per molti fiumi, monti, penisole ed isole divisa, ebbe ne’ più rimoti tempi altrettanti re quante aveva città, e que’ re troppo gli uni agli altri vicini, portati alle contenzioni e alle guerre, turbavano perpetuamente il riposo; del che e la popolazione, e seco lo studio e gli utili ritrovamenti nelle arti molto danno risentivano. È quindi facile l’argomentare che le arti siano state molto più tardi conosciute in Grecia che in Egitto16.

§. 10. Quando però in Grecia quelle ebbero principio, mostrarono colà, come presso i popoli orientali, tanta semplicità e rozzezza, che ben può vedersi non averne i Greci avuti i primi semi da altre nazioni, ma esserne stati eglino stessi i primi inventori17. Adoravano già trenta divinità visibili, e a nessuna ancora non aveano data umana forma, contenti d’indicarle per mezzo d’informi masse, o di pietre quadrate, siccome faceano gli Arabi18 e le Amazzoni19: queste trenta pietre trovaronsi nella città di Fera in Arcadia [p. 7 modifica]ai tempi di Pausania20; e non meno informi erano allora le figure degli dei venerati nel rimanente della Grecia21. Tali erano la Giunone di Tespi e la Diana d’Icaro22: la Diana Patroa e ’l Giove Milichio a Sicione23, e la più antica Venere di Pafo24 non altro erano che una specie di colonne25. Bacco fu adorato sotto la forma d’una colonna26, e l’Amore istesso27 e le Grazie28 rappresentate veniano da una semplice pietra. Indi è che i Greci, anche ne’ più bei giorni, usarono la parola κίων (colonna) per indicare una statua29. Castore e Polluce disegnati furono dagli Spartani con due pezzi di legno paralleli insieme uniti a due traversi pur di legno30, e quella primitiva configurazione si ravvisa tuttora nel segno H, con cui nello Zodiaco son figurati i Gemini31.

Cominciarono da rappresentar l'uomo. §. 11. In seguito di tempo furono messe delle teste in cima a queste pietre. Eravi un Nettuno così foggiato a Tricoloni32, e un Giove a Tegea33, l’uno e l’altro in Arcadia, poiché in questo paese, piucchè presso ogn’altro [p. 8 modifica]popolo greco, serbaronsi le antiche forme34; anche a’ tempi di Pausania eravi una simile Venere Urania in Atene35. Si manifesta pertanto ne’ primi lavori de’ Greci l’invenzione originale, e come a dire il primo sbozzo della figura. Gl'idoli del gentilesimo che d’umana sembianza non altro aveano che il capo, sono pur mentovati36 nelle Sacre Lettere37. Le pietre quadrangolari con una testa, com’ognun sa, chiamavansi Erme, vale a dire gran pietra38, nome che gli scultori di poi ritennero39. Si pretende eziandio, che con tal nome venissero chiamati que’ monumenti, detti pure Termini, perché a Mercurio fossero innalzati la prima volta40

...imitandolo gradatamente.. §. 12. Dopo questi primi saggi e abbozzi della figura noi possiamo e dagl’indizj che ce ne hanno lasciati gli scrittori, e dai monumenti medesimi inferire l’avanzamento che fece la scultura. A quelle pietre, che aveano una testa, si cominciò a formare verso il mezzo la diversità del sesso, che forse alle informi sembianze del volto non poteasi ben discernere41. Ove pertanto leggesi che Eumaro dipinse il primo ne’ suoi quadri la differenza de’ sessi42, ciò deve probabilmente intendersi de’ volti giovanili, ne’ quali il pittore con tratti [p. 9 modifica]caratteristici e proprj seppe un sesso dall’altro distinguere. Quest'artefice vivea avanti Romolo, e non molto dopo il ristabilimento de’ giuochi olimpici per opera d’Ifito. Diedersi quindi alla parte superiore della figura convenevoli sembianze, mentre l’inferiore avea tuttora la forma di un Erme43, se non che la divisione delle gambe era per un taglio longitudinale indicata, come vedesi in una figura muliebre ignuda nella villa Albani (Tav. I.) Né io qui parlo di tal figura come d’opera de’ primi tempi della scultura, poiché molto più tardi è stata formata; ma bensì per dimostrare, che tali antiche figure erano note anche ai più recenti artefici, i quali vollero imitarle. Ignoriamo se gli Ermi di sesso femminile fatti porre da Sesostri in que’ paesi che senza resistere eransi lasciati soggiogare, simili fossero alla summentovata statua, ovvero se a disegnare quel sesso sia stato scolpito un triangolo, emblema con cui gli Egizj soleano indicarlo44.

§. 13. Finalmente cominciò Dedalo, secondo la più generale opinione45, a separare l’una dall’altra le due gambe, [p. 10 modifica]e a dare la forma convenevole alla parte inferiore di quegli Ermi. Tali statue ebber poscia da lui il nome di Dedali46. E poiché ancor non sapeasi su una pietra effigiare un’intera figura umana, questo artista lavorò nel legno. Delle di lui statue formarcene possiamo un’idea dal giudizio che ne portavano gli scultori ai tempi di Socrate. Se Dedalo, dicean essi, tornasse al mondo, ed opere facesse simili a quelle che ne portano il nome, sarebbe messo a fischiate47.

Somiglianza fra le più antiche figure delle tre mentovate nazioni. §. 14. I primi saggi pertanto della statuaria presso i Greci furono sommamente semplici, e il più delle volte non altro erano che linee rette: né differenti furono i cominciamenti di quest’arte presso gli Egizj e gli Etruschi, come fede ne fanno le opere loro descritteci dai più vetusti scrittori48. Perciò che riguarda i Greci ne abbiamo un monumento in una delle più antiche figure di bronzo, esistente nel museo Nani di Venezia, su la cui base sta scritto:

cioè Policrate dedicava; dal che si può verosimilmente inferire, che questi non siane stato l’artefice. A quella maniera semplice di disegnare devesi la rassomiglianza che scorgesi negli occhi delle teste, sì delle più antiche greche monete, che [p. 11 modifica]delle egiziane figure: tutti sono allungati in una superficie piana, come in appresso più diffusamente vedremo. Egli è probabile che tali occhi avesse in mira Diodoro49, il quale, parlando delle figure di Dedalo, dice che formate erano ὄμμασι μεμυκότα50. I traduttori rendono le greche parole colle latine luminibus clausis, cogli occhi chiusi; ma certamente mal s’appongono: avendo Dedalo voluto far gli occhi alle sue figure, perchè non gli avrebb’egli fatti aperti? Altronde la versione non rende punto il senso vero e proprio della greca voce μεμυκώς, che significa sbirciare, e dicesi in latino nictare. Doveasi dunque tradurre conniventibus oculis51 come traducesi μεμυκότα χείλεα le semi-aperte labbra52. Tale fu lo stato primiero della scultura. Le prime pitture furono monogrammi, come Epicuro chiamava gli dei53, cioè consistevano nel semplice lineale contorno dell’ombra della figura umana; e in tal guisa la figlia del vasajo Dibutade fece il ritratto del suo amante54.

Dubbio se i Greci abbiano appresa l'arte dagli Egizj. §. 15. Da quelle linee e da quelle forme dovea pur risultare una specie di figure, e son quelle appunto che figure egiziane comunemente s’appellano; esse son ritte senza mossa colle braccia distese incollate ai fianchi. È vero che tale era pur la statua eretta nell’olimpiade liv. ad un arcade [p. 12 modifica]vincitore ne’ giuochi per nome Arrachione55, ma non per questo si argomenti che i Greci apprendessero dagli Egizj le arti del disegno. Essi non ne ebbero certamente l'occasione, poiché sino ai tempi di Psammetico, che fu uno degli ultimi re d’Egitto, era vietato a tutti gli stranieri l’entrare in quel regno; e altronde molto prima tali arti presso i Greci erano in uso. Che se alcuni viaggiatori, quali furono i savj della Grecia, vi penetrarono immediatamente dopo la conquista fattane dai Persi, non altro si proposero que’ filosofi fuorché di osservare la forma del governo di quelle contrade56, e di apprendervi l’arcana scienza da que’ sacerdoti, ma non già di conoscerne le arti57.

§ 16. Coloro i quali tutto derivar vogliono dall’Oriente, ben maggiore verosimiglianza troveranno facendo venire le arti dai Fenicj, coi quali i Greci molto prima ebbero relazione, e da essi, al riferire degli storici, appresero per mezzo di Cadmo le lettere dell’alfabeto58. Alleati de’ Fenici, negli antichissimi tempi anteriori a Ciro, furono pur gli Etruschi59, [p. 13 modifica]come appare dalla flotta comune, che quelle due nazioni contro de’ Focei armarono60

§. 17. Tutto ciò non basterà forse a convincere coloro a’ quali è noto che, per asserzione de’ Greci medesimi, la loro mitologia era venuta d’Egitto, e che gli egizj sacerdoti rivendicavano le loro divinità, dicendo non altro aver fatto i Greci, che cangiarne i nomi e gli emblemi; le quali cose principalmente da Diodoro ci vengono rapportate61.

§. 18. Io confesso che, se nulla oppor si potesse a siffatte testimonianze, da questo passaggio della religione dagli Egizj ai Greci inferir se ne potrebbe un forte argomento anche pel passaggio delle arti; poiché, ove ciò fosse vero, ne seguirebbe che i Greci, in un coi dommi della religione, e le forme e le figure de’ loro dei imitate avrebbono da quei d’Egitto. Ma ben lungi dal tenere in conto di vera tal supposizione, io credo piuttosto che dopo la conquista dell’Egitto fattane da Alessandro, nel regno de’ Tolomei suoi successori, gli egizj sacerdoti per dimostrarsi uniformi ai Greci nella religione, e l'antico loro culto sostenere, immaginassero tal pretesa somiglianza tra gli dei delle due nazioni per non divenire, a cagione delle mostruose forme delle loro divinità, oggetto di riso a’ loro ingegnosi vincitori, e gli affronti evitare che loro altre volte fatti aveva Cambise62.

§. 19. A quella conghiettura accresce molta probabilità ciò che narra Macrobio63 del culto di Saturno e di Serapi, che in Egitto non s’introdusse se non dopo Alessandro il Grande e a’ tempi de’ Tolomei, imitando allora gli Egizj il culto de’ Greci d’Alessandria. Dovendo pertanto i sacerdoti [p. 14 modifica]egizj, per esercitare tranquilli il lor ministero, riconoscere le greche divinità e adorarle, non poteano prendere un miglior partito, che di asserire non esservi su questo punto differenza alcuna tra i Greci e gli Egizj64; e ove quelli di ciò convenissero, accordare pur doveano d’aver ricevuta la religion loro da quelli, che erano riconosciuti per uno de’ più antichi popoli della terra. I Greci altronde conosceano assai poco la religione degli altri popoli, ed è perciò che attribuirono ai Persi una moltitudine di deità, che ci hanno ben anche specificate, mentre quella nazione non ebbe mai altro dio, che il Sole, cui sotto l’emblema del fuoco adorava65.

§. 20. Non voglio io già qui oppormi tutti gli argomenti che contro l’opinion mia addur si potrebbono; ma non posso dissimularmi un’obbiezione che a molti de’ miei eruditi leggitori verrà probabilmente in pensiere. Quando, a cagion d’esempio, vedesi uno scarafaggio, come immagine del sole66, scolpito su la sommità d’un obelisco, ed inciso su la parte [p. 15 modifica]convessa delle gemme egiziane67 e delle etrusche, non si può a meno d’inferire che gli Etruschi abbiano dagli Egizj ricevuti que’ simboli; per la qual cosa rendesi anche verosimile che appresa ne abbiano l’arte dello scolpire. E a vero dire, non sarebb’egli stranissimo, che un sì vile e schifoso insetto fosse stato adottato qual simbolo sacro non da un solo, ma da molti popoli, senza che uno lo avesse appreso dall’altro? V’è anche ragione di congetturare, che i Greci medesimi sotto la figura dello scarafaggio qualche cosa di particolare significar volessero; e quando Pamfo uno de’ loro più antichi poeti parla di Giove negli escrementi di cavallo involto68, intendere si può bensì, che per quest’emblema indicar volesse che alle più abbiette cose eziandio la divinità s’estende, ma è più probabile ancora, che il poeta, usando sì bassa immagine, allo scarafaggio alludesse, il quale nello sterco di cavallo o di bue vive e di esso si nutre.

§. 21. Ove però io pur convenga, che verosimilmente dagli Egizj passasse agli Etruschi questa figura simbolica, non è quindi necessario supporre, che per imitarla siano questi andati fino in Egitto; né verosimilmente v’andarono, poiché ai tempi di cui parliamo interdetto erane l’ingresso ad ogni straniero, altronde poté quel simbolo ben passare a loro per qualche altro mezzo. Ma non può dirsi lo stesso dell’arte, né potea questa impararsi se non coll’istudiarne i lavori originali e sul luogo medesimo.

§. 22. L’asserzione d’alcuni greci scrittori che hanno [p. 16 modifica]preteso esser venute loro dall’Egitto le arti, ove anche generalmente fosse stata presso di loro adottata, non terrebbesi ciò non ostante per una dimostrazione da coloro, che ben conoscono quanta sia la mania degli uomini per tutto ciò che loro viene da’ paesi stranieri; mania da cui certamente non andarono esenti i Greci, come ne fan prova quei di Delo, i quali pretesero che il fiume Inopo, passando sotto il mare, venisse loro per fin dal Nilo69.

§. 23. Potrebbero altresì, contro l’opinione di chi vuole le arti derivate da un sol paese, addursi le diverse usanze degli artisti presso le tre summentovate nazioni. Così p. e. presso gli Etruschi, come presso i più antichi Greci, incidevasi l’iscrizione su la figura medesima, la qual cosa non si scorge in niuna figura d’egizio artefice, ma sempre vedonsi i geroglifici o sullo zoccolo incisi, o sul pilastro che alla figura serve d’appoggio70.

§. 24. Ha preteso il signor Needham di dimostrare il contrario, fondandosi su una testa di pietra nericcia esistente nel regio museo di Torino, il cui viso è tutto segnato di sconosciute cifre, che a parer suo sono caratteri egiziani, alle lettere cinesi molto somiglievoli. Egli ne ha pubblicata la [p. 17 modifica]descrizione colla spiegazione de’ caratteri fattasi fare in Roma da un Cinese, che tanto poco saper dovea la sua lingua nativa, quanto poco la sanno que’ cinesi fanciulli, che sono educati a Napoli in un collegio per loro istituito. Niuno di questi ha mai saputo leggere lo scritto, con cui vengono segnate le mercanzie della Cina, adducendo per iscusa essere quelle scritte nel linguaggio de’ letterati; né ciò parrà strano a chi sa essere costoro fanciulli che, a persuasione de’ missionarj avendo abbandonata la loro famiglia, o essendo stati salvati dalla morte a cui erano esposti, lasciarono la patria tosto che l’età loro lo permise, e perciò poco o nulla saper possono del natio loro idioma71. Altronde la testa di Torino non avendo colle altre teste egiziane conosciute la menoma somiglianza, e lavorata essendo in una specie di pietra tenera chiamata bardiglio, deve essere l'opera d’un impostore72.

Progressi dell'arte nel dar azione alle figure. §. 25. Col tratto di tempo perfezionandosi i talenti, gli [p. 18 modifica]artisti etruschi e i greci non si limitarono più, come gli egizj, alle figure ritte e senza mossa, ma i diversi atteggiamenti ne espressero. E poiché nelle arti il bello è sempre preceduto dalla scienza, e questa è fondata su strette e severe regole, si cominciò con un’espressione regolare e forte. Allora il disegno fu esatto, ma angoloso; energico, ma duro, e sovente più forte del dovere, quale negli etruschi lavori lo scorgiamo; e quale pur si vide rinascere, con maggior perfezione però, in tempi a noi più vicini nelle opere di Michelangelo. Veggonsi ancora lavorati in questo gusto de’ bassi-rilievi in marmo, e delle gemme incise, che descriverò a suo luogo. Fu questa la maniera, che i summentovati scrittori paragonarono all’etrusca73, e che pare essere rimasta propria della scuola eginetica; poiché gli artisti di quell'isola abitata dai Dorj74 sembrano avere più d’ogni altro popolo conservato l’antico stile.

§. 26. Pare che Strabone75 abbia usato la voce σκολιὸς volendo spiegar con essa l’espressione forzata dell’atteggiamento nelle figure che più non erano secondo l’antica maniera. Imperocché narrando egli che vedeansi in Efeso molti tempj, altri antichissimi con statue di legno de’ primi artisti, altri più recenti con statue di moderno lavoro, chiama quelle ἀρχᾶια ξόανα, e queste Σκολιὰ ἔργα. Or egli non volle senza dubbio darci ad intendere che le statue più recenti mediocri fossero e difettose, siccome l’ha inteso Casaubono, che tradusse76 σκολιὸς per pravus77; poiché [p. 19 modifica]Strabone dato avrebbe tal nome alle statue più antiche anzichè alle posteriori. L’opposto di σκολιός sembra essere ὀρθός; e questa voce, allorchè si riferisce alle statue, come presso Pausania ove parla della statua di Giove, opera di Lisippo78, vien da’ traduttori spiegata per una positura diritta, laddove significa piuttosto un’attitudine senza mossa e senza azione.



Note

  1. Sext. Emp. Pyrrh. hyp. lib. i. c. 32. pag. 44.
  2. Vegg. Goguet Della Origine delle leggi, delle arti ec. Tom. iI. par. iI. lib. iI. cap. V. art. iiI.
  3. È cosa certa presso tutti gli antichi autori sacri, e profani. Vegg. il P. Nicolai Dissert. e. lez. di S. Scritt. Tom. V. Lez. LXII. del Genesi, pag. 153 e seg.
  4. Vedi Goguet l. c. cap. iI. art. I.
  5. V. Gerh. Voss. Instit. Poet. lib. 1. c. 3. §. 6. pag. 53. [V’erano gl’Idoli nella Mesopotamia sin dai tempi d’Abramo, Josue. c. 24. v. 14.; e Giacobbe nel ritorno che facea da Labano ordinò alla sua famiglia di gettar via quelli che mai avesse potuto avere con sé. Genes. c. 35. v. 2. I terafimi, che Rachelle involò a suo padre, ibid. c. 31. v. 19., dai migliori interpreti si vogliono idoletti che avessero figura umana.
  6. [testo ebraico] ...
  7. Isaias c. 30. v. 22.
  8. Antiq. rom. lib. 7. cap. 72. pag. 458. [Non mi pare che Dionisio dica questo. Dopo aver detto che i primi atleti, e al tempo d’Omero ancora, si coprivano almeno le parti virili, e che poi tal uso fu lasciato, e andavano essi nei giuochi affatto ignudi, dice che presso i romani v’era il costume d’andare così coperti come una volta i greci, dai quali non l’aveano imparato, e che neppur li imitarono nell’abbandonarlo. Constat igitur romanos, qui ad hanc usque ætatem hunc priscum græcorum morem servant, eumque non a nobis postea didicisse; sed ne progressu quidem temporis eum mutasse ut nos fecimus.
  9. V. Not. ad Tac. Ann. lib. 2. cap. 60. pag. 252. edit. Gron., Vales. Not. ad Amm. lib. 17. c. 4. pag. 160. e seg., et Warburthon Essai sur les hierogl. Tom. iI. p. 608. e segg.
  10. Gli obelischi di Roma non furono tutti fatti alzare da Sesostri in Egitto. Plinio l. 36. c. 9. sect. 14. num. 5. dice che uno solo eretto da quel sovrano ce ne fosse fatto trasportare da Augusto, e collocato in campo Marzo. Uno si crede fatto alzare colà dal di lui figlio, uno da Ramesse, altri da altri. Vegg. Mercati nel suo libro degli Obelischi, e Goguet l. c. cap. iiI. art. I.
  11. Vegg. Goguet l. c.
  12. È caldo, ma soffribile, nell’estate. Nell’inverno è incostante, e freddo, principalmente la notte. Dapper Descript. de l'Afriq. pag. 93. Erodoto, il quale l. 2. c. 77. pag. 138. dice che le stagioni in quelle parti non si mutano, dovrà intendersi della maggior parte dell’anno, e in un senso più esteso.
  13. Diodoro Biblioth. l. 1. §. 34. p. 40.
  14. Non pare troppo plausibile questa ragione. Plinio l. 7. c. 3. sect. 3., Solino c. 1. pag. 4. E., Seneca Nat. quæst. l. 3. c. 25. attribuiscono alla qualità delle acque del Nilo la quasi prodigiosa moltiplicazione della specie in quel regno, ove essi ll. cc., e Paolo nella l. Antiqui 3. ff. Si pars her. pet. dicono essere cosa frequente, che le donne sette figli diano a luce in un sol parto.
  15. Dalla parte d’oriente non ha monti; quindi fu sempre aperto alle incursioni dei popoli vicini. Sesostri ritornato dalle sue conquiste vi fabbricò per difesa un muro da Pelusio fino ad Eliopoli lungo 1500. stadj, che fanno circa 190. miglia. Diodoro l. 1. §. 57. pag. 66. e 67. Fece scavare anche un gran numero di canali lungo il Nilo, per rendere l'Egitto impraticabile ai carriaggi, e ai cavalli dei nemici se mai vi fossero entrati. Diodoro l. c., Erodoto l. 2. c. 108. p. 152.
  16. Vegg. Goguet l. c. l. iI. sez. iI.
  17. Osservaremo qui col dotto P. Bertola Lezioni di Storia, Tom. I. cap. 3. not. 2., che dicendosi avere i greci, e altri popoli avuto per maestri gli egiziani, o altri, non intendesi che non esistessero tra di essi i primi germi delle belle arti in ispecie, i quali spuntaron sempre dove più, dove meno, e rivestiti di una singolare indole dal clima, dalla religione, dal governo: si ha solo da intendere, che si sono sviluppati più facilmente, ed hanno messo fiori più presto coll’ajuto di chi avea già potuto consimili germi ridurre a grandi ed utili piante. Né Winkelmann prova il contrario colle ragioni, che va in appresso esponendo.
  18. Max. Tyr. Diss. 8. §. 8. pag. 86., et Clem. Alex. Cohort. ad Gent. c. 4. p. 40. l. 21. [Codin. de Origin. Constantinopolit. cap. 66. pag. 31. C.
  19. Apollon. Argon. l. 2. v. 1176.
  20. Pausan. lib. 7. cap. 22. pag. 379. l. 32.
  21. Id. l. 8. c. 31. p. 665. l. 28., c. 32. p. 666. l. 27., c. 35. p. 671. l. 23. [Per dar luogo a questa citazione di Pausania, che qui stava fuor di proposito, forse per una svista dell’Autore, ho inserito nel testo l’inciso, a cui si riporta, come sta nel Tratt. prelim. ai Monum. ant. capit. I. pag. X. lin. 18. Pare però che Pausania nei luoghi citati parli di Ermi ben fatti, anziché di rozze pietre quadrate.
  22. Clem. Alex. l. c. [Erano fatte di due tronchi d’albero senza alcun lavoro. A Clemente Alessandrino si accorda Arnobio Advers. Gentes l. 6. p. 196.
  23. Paus. lib. 2. cap. 9. p. 132. l. pen. [La prima era in forma di colonna, e il secondo in forma di piramide.
  24. Max. Tyr. l. c. [La dice in forma di una bianca piramide. Tacito Hist. lib. 2. c. 2 e 3., che ci ha conservata più a lungo la memoria del tempio antichissimo di Venere in Pafo, e della di lei statua, dice avesse la figura d’un cono, come una meta, e aggiugne d’ignorarne la ragione. Di tale figura si vede anche su qualche medaglia presso Patino Imper. rom. numism. ex are media et inf. for. pag. 80., Tristan Comment. hist. Tom. I. pag. 419., Spanhemio De usu et præst. numism. Tom. I. Diss. 8. §. VI. pag. 505.
  25. Eumalo antico poeta diceva che da principio le divinità tutte si rappresentavano in forma di colonna; e tale era fra le altre l’Apollo delfico. Clemente Alessandr. Strom. l. 1. n. 42. p. 418. in fine, e pag. seg.
  26. Schwarz Miscel. polit. humanit. p. 67. [Tristan Comment. hist. Tom. I. p. 419.
  27. Paus. lib. 9. cap. 27. pag. 761. l. 35.
  28. Id. lib. 9. cap. 38. pag. 786. l. 19.
  29. Codin. de Origin. Constantinop. c. 38. pag. 19. C. [Questo scrittore de’ bassi tempi parla di statue poste sopra colonne.
  30. Plutarch. de Amor. frat. princ. oper. Tom. iI. pag. 478.
  31. Palmer. Exercit. in auct. græc. ad Plut. de ira cohib. pag. 223.
  32. Paus. lib. 8. cap. 35. p. 671. l. 24.
  33. Id. ibid. cap. 48. p. 698. l. 2.
  34. Id. ibid. [Dice Pausania al luogo citato, che particolarmente si dilettavano gli Arcadi della figura quadrata, non che serbassero le antiche forme dell’arte.
  35. Id. lib. 1. cap. 19. pag. 44. l. 18.
  36. Psal. 134. v. 16.
  37. Il Salmo CXXXIV. parla, è vero, del capo solo; ma nel Salmo CXIII. v. 7. et segg. ove si espone lo stesso sentimento, si rammentano le mani, e i piedi.
  38. Scylac. Peripl. p. 50., e seg., Suida, voc.Ἕρμα.
  39. Tzetzes Chiliad. 13. hist. 429. v. 593. dice che si chiamasse pure Erme qualunque statua, e mucchio di pietre.
  40. Gli Ermi, coi quali originalmente si rappresentava Mercurio, devono forse la loro forma a qualche mistica allusione, come vogliono Macrobio Saturnal. dier. l. 1. cap. 19. pag. 293., e Suida in voce Ἑρμῶν [e Codin. l. c. cap. 29. pag. 15. B.]; ovvero all’essere state a questo dio, mentre dormiva, recise le mani e i piedi, come riferisce Servio ad Æneid. lib. 8. v. 138. [e in un Erme rappresentato nel musaico presso lo Spon Miscell. erud. antiq. sect. iI. art. VIII. pag 38. segg. si vede questo dio colle braccia quasi affatto recise]. Secondo Pausania lib. 4. cap. 33., pag. 361. in fin. gli Ateniesi furono i primi a dare agli Ermi la forma quadrata. Cicerone ad Atticum lib. 1. epist. 8. accenna alcuni Ermi colle teste di bronzo poste su tronchi di marmo pentelico; e un Erme, il qual finisce in zampe di leone posate sull’abaco centinato d'un pilastro, vedesi tra le pitture d’Ercolano Tom. IV. pag. 5.
  41. Guasco De l’usage des statues, chap. iiI. pag. 39. coll’autorità di antichi scrittori vuole che agli Ermi d’uomo si fossero apposte le parti virili per simboleggiare la fecondità del sole.
  42. Plinio lib. 35. cap. 8. sect. 34.
  43. Il citato scrittore ch. iiI. pag. 32. opina che dopo qualche tempo gli Ermi pigliassero la figura presso a poco delle mummie egizie; e osserva che tale è la forma di tante statuette di legno, e di creta, che si sono trovate nei sepolcri di quella nazione, e quindi trasportate in Europa. A lui si accorda Paw Recherch. philos. T. I. sec. part. sect. IV. p. 260.; e Newton Chronol. des Anc. Royaum. pag. 171. crede che così fossero i simulacri delle divinità, che a’ tempi di Eaco furono portati nella Grecia. Ammessa questa sentenza s’intende quel che dice Pausania citato poc’anzi, cioè, che gli Arcadi amassero la figura quadrata, e fossero i primi a darla agli Ermi, e da loro imparassero gli altri popoli della Grecia a far lo stesso.
  44. Euseb. De Præp. Evang. l. 2. c. 8. p. 79. B. [Clemente Alessandrino Cohortat. ad Gent. nu. 2. pag. 13. l. 20. riportato da Eusebio non fa parola alcuna di questo triangolo. Che esso fosse figura misteriosa presso gli Egizj, lo attesta Plutarco De Isid. et Osir. op. Tom. iI. pag. 373. E., e l'osserva anche il sig conte di Caylus Recueil d’Antiquit. Tom. iI. Antiquit. Ægypt. pag. 11. Quanto agli Ermi, come dice Winkelmann, o piuttosto semplici pietre di qualche regolarità, o quadrate all’uso dei termini, fatti porre da Sesostri nei paesi delle nazioni da lui conquistate nella sua celebre spedizione in Asia, ci narra Diodoro l. 1. §. 55. p. 65. l. 50., che per indicare le nazioni bellicose, e forti da lui superate, oltre un’iscrizione col suo nome, vi facesse scolpire le parti genitali dell’uomo; e le muliebri in quelli per le nazioni timide, e vili: In cippis illis pudendum viri, apud gentes quidem strenuas, et pugnaces, apud ignavas autem, et timidas fœminæ expressit. Ex præcipuo hominis membro animorum in singulis affectionem posteris evidentissimam fore ratus. Erodoto l. 2. c. 102. p. 150. l. 5. ci attesta lo stesso riguardo a questi secondi, de’ quali forse parla solamente, perché ne avea veduti alcuni, che a’ suoi tempi duravano ancora nella Siria, come scrive l. c. cap. 106. p. 151. l. 55. Ed era più confacente allo scopo di Sesostri lo scolpire per un tal simbolo le parti come sono naturalmente, anziché coprirle sotto un altro simbolo egiziano, che poco o nulla sarebbe stato inteso tra qualche tempo.
  45. Io credo che Palefato de Incredib. hist. cap. 23. pag. 30. sia l’autore di questa opinione, che Winkelmann chiama comune. Lui cita Eusebio Chron. ad ann. 730., e forse da lui ancora l’ha presa Temistio Orat. XXVI. pag. 361.
  46. Diodoro lib. 4. §. 76. pag. 319., e Pausania lib. 9. cap. 3. pag. 716. l. 17. segg., sembrano dir il contrario di quanto qui asserisce l’Autore. Secondo il primo non fu Dedalo che immaginò di dare agli Ermi le gambe, ma avanti di lui gli artefici faceano le statue cogli occhi socchiusi, e colle mani pendenti, e attaccate ai fianchi. Dedalo insegnò il primo a rappresentarle cogli occhi guardanti, a disgiungerne le gambe, e a distaccarne le mani dal corpo; per la qual cosa fu da tutti sommamente ammirato. Οἱ πρὸ τούτου τεχνῖται κατεσκέυαζον τὰ ἀγάλματα τοῖς μὲν ὄμμασι μεμυκότα. Πρῶτος δὲ Δαίδαλος ὀμματῶσας &c. Pare dunque che prima di Dedalo già vi fossero delle statue simili alle egiziane, di cui si parla più sotto. Secondo Pausania loc. cit. Dedalo non ha dato il nome alle statue, ma da loro lo ha preso, poiché Dedali chiamar soleansi le statue di legno avanti che nascesse in Atene Dedalo. Winkelmann non ignorò questo testo di Pausania, da lui citato altrove, [cioè in appresso cap. iI. §. 9. in fine.
  47. Platone Hipp. maj. op. Tom. I. pag. 282. A.
  48. Diod. Sic. lib. 1. §. 97. pag. 109. [Diodoro in questo luogo tratta dell'eccellenza degli antichi scultori, e architetti egiziani, da’ quali dice che avessero imparato i primi più celebri artisti antichi greci, e in ispecie Dedalo.], Strab. Geogr. l. 17. p. 1159. B.
  49. Lib. 4. §. 76. pag. 319.
  50. Diodoro, come vedemmo nella nota antecedente, non a Dedalo, ma a’ più antichi artefici attribuisce le statue cogli occhi socchiusi.
  51. Rodmanno, e Wesselingio nell’edizione dell’anno 1746. fattane colle stampe di Westenio in Amsterdam, di cui facciamo uso, traducono nictantibus oculis; e Winkelmann avrebbe potuto vederla anche su quello proposito, giacché pare che l’abbia veduta intorno all’emendazione, che essi fanno in altro luogo di Diodoro, come si vedrà in appresso lib. iI. cap. IV. princ. n. *. Giunio Catalog. Architect. V. Ægyptii, pag. 5. pr., ove parla di quelle statue le dice fatte conniventibus oculis; e forse a lui Winkelmann dee questa osservazione.
  52. Nonnus Dionys. lib.4. v. 150.
  53. Diceva questo filosofo presso Cicerone de Nat. Deor. lib. 1. cap. 27., che Dio non avea corpo, ma simiglianze di corpo. Vegg. anche Bruckero Hist. Crit. Philosoph. Tom. I. part. iI. cap. XIII. §. XII.
  54. Plinio lib. 35. cap. 12. sect. 43. Atenagora. Legat. pro Christian. num. 17. pag. 292. attribuisce i primi disegni del contorno a certo Saurio, che disegnò l’ombra del suo cavallo; e i principj della pittura a Cratone, che sopra una bianca tavola vi segnò le ombre di un uomo, e di una donna. Dalla figlia di Dibutade poi, che chiama Core, vuole che abbia avuto principio la Coroplastica. Dice che essa delineasse al muro l’ombra del suo amante mentre dormiva, e suo padre che era vasajo vi formasse sopra l’immagine di rilievo colla creta: immagine che si conservava ancora a’ suoi giorni in Corinto.
  55. Paus. lib. 8. cap. 40. pag. 682. princ.
  56. Strab. lib. 10. pag. 738. D., et Plutar. Solon. op. Tom. I. pag. 92.
  57. Per non fare qui una Dissertazione, io mi riserbo a trattare più opportunamente del commercio dei Greci, e delle altre nazioni cogli Egiziani anche ne’ tempi antichissimi, nella nuova edizione della lodata opera del sig. Goguet, Della Origine delle leggi, delle arti, e delle scienze, e de’ loro progressi presso gli antichi popoli. Basterà fare qui due osservazioni. In primo luogo Diodoro lib. 1. §. 96. pag. 107. parla di filosofi, e di artisti, che prima, e dopo il re Psammetico andarono in Egitto: e sono Orfeo, Museo, Melampode, Dedalo, Omero, Licurgo, Solone, Platone, Pittagora, Eudosso, Democrito, Enopide. Lo afferma su l’autorità dei sacerdoti egizj, e soggiugne che colà se ne conservava la memoria, e per le statue, o immagini, che di essi vi erano state fatte, e vi duravano ancora a suo tempo, e per denominazione, che da loro aveano preso alcuni luoghi, e opere forse pubbliche. In secondo luogo col lodato P. Bertola Lezioni di Storia ec. Tom. I. cap. iiI. pag. 48. domanderemo a Winkelmann, come mai ha egli potuto dissimulare il passaggio in Grecia di colonie egizie? passaggio, che da tanti antichi storici viene accertato, come può vedersi presso il lodato Goguet l. c. lib. I. c. IV., il P. Paoli della Relig. de Gent. ec. par. iI. § .XXV. pag. 76., e Denina Istoria della Grecia lib. I. cap. I.
  58. Erod. lib. 5. cap. 58. pag. 399., Euforo presso Clemente Alessandrino Strom. lib. 1, num. 16. pag. 362., Diod. lib. 3. §. 66. p. 236., Plinio lib. 7. cap. 56. sect. 57., Tacito Annal. lib. 11. c. 14., Euseb. De Præp. Evang. l. 10. c. 5. pag. 473., ed altri comunemente. Vegg. Bochart Geograph. sacr. par. iI. lib. 1. cap. 20., Goguet l. c. Tom. iI. par. iI. sez. iI. cap. VI., a Bennettis Chronolog. et crit. hist. prof. et sacr. par. I. Tom. I. proleg. num. XIX., Denina Istoria della Grecia Tom. I. lib. iI. cap. XI.
  59. Paus. lib. 10. cap. 17. pag. 836. princ. [Affinché Pausania quadri a ciò, che forse voleva dire qui Winkelmann, conviene emendare questo mezzo periodo così: Gli Etruschi nazione potente in mare ne’ tempi antichissimi (Pausania etc.), e anteriori a Ciro, alleati, furono de’ Fenicj, come appare ec.
  60. Herod. lib. 1. cap. 166. pag. 79.
  61. Lib. 1. §. 23. e segg. pag. 26. e segg. Mostra però di non essere dello stesso sentimento, e rigetta in gran parte le pretensioni degli Egiziani.
  62. Siffatto argomento cade a terra considerando che ai tempi di Erodoto, il quale viveva più di cent’anni prima di Alessandro, già si credeva nella Grecia e nell’Egitto, e lo credeva anch’egli lib. 2. cap. 49. p. 128., che dagli Egiziani avessero i Greci adottate molte divinità, e i riti, colle quali si onoravano.
  63. Saturn. lib. 1. cap. 7. pag. 215.
  64. Comunque sembri specioso questo raziocinio, pure è falso, e appoggiato a falsi supposti. Saturno, e Serapide non erano divinità di origine greca. Di Serapide altri vogliono che fosse portato in Alessandria dal Ponto; altri che fosse il Plutone stesso, che si adorava in Egitto. Vegg. Tacito Hist. l. 4. cap. 81., Plutarco de Isi. et Osir. op. Tom. iI. p. 361. E., e Clemente Alessandrino Cohort. ad Gent. num. 4. pag. 42. Macrobio l. c. dice che furono costretti gli Egizj ad ammetterli fra le loro divinità; Tacito, Plutarco, e Origene Contra Celsum lib. 5. num. 28. p. 607. D. scrivono che vi fossero indotti per frode del re Tolomeo. Aggiugne Macrobio che se furono obbligati a venerarli, non fu possibile a quel Sovrano di costringere i sacerdoti a usare i riti e sacrifizj, coi quali li onoravano in Alessandria, perchè non si accordavano con quelli, che usavano per le loro deità: Tyrannide Ptolemæorum pressi hos quoque deos in cultum recipere Alexandrinorum more, apud quos præcipue colebantur, coacti sunt; ita tamen imperio paruerunt, ut non omnino religionis suæ observata confunderent. Ora dopo tanta resistenza, e tanta tenacità nelle loro costumanze religiose, come potremo supporre in essi a un tempo altrettanta, e maggiore facilità in riconoscere tante altre greche divinità, e adorarle, e asserire per questo, che non v'era differenza fra di esse, e quelle degli Egizj? I detti autori, e Plutarco in ispecie, non ne fanno parola; e noi con qual fondamento potremo affermare, che lo abbiano fatto spontaneamente? E poi concedendo ancora, che fossero venuti a questo partito i sacerdoti egizj per esercitare tranquilli il loro ministero, come non si sarebbero riscossi da questa oppressione, e soperchieria quando non furono più sotto al dominio dei Greci, siccome dice Winkelmann in appresso lib. iI. c 1. §. 8., che fecero in altre occasioni? E così facendo, oppure continuando ancora in appresso nello stesso sistema, con qual franchezza avrebbero potuto spacciare a Diodoro, e a tanti altri Greci, e questi crederlo con buona fede, che la maggior parte delle deità della Grecia erano venute dall’Egitto?
  65. Si vedrà meglio nel lib. iI. cap. V. §. 17.
  66. Euseb. De Præp. Evang. lib. 3. cap. 4. pag. 94. [Clem. Aless. Strom. lib. 5. num. 4. pag. 657.
  67. Sotto nome di gemme egiziane non intendo io già di mentovare lavori d’antichi artisti d’Egitto, ma bensì quelle opere de’ tempi posteriori, forse del terzo o quarto secolo dell’era cristiana, che per lo più sono in basalte verdiccio, e su le quali sono incisi i geroglifici e le divinità di quella nazione.
  68. Ζεῦ κύδιστε, μέγιστε θεῶν, εἰλυμένε κοπρῷ,
    Μηλείῃ τε καὶ ἱππείῃ καὶ ἡμιονείῃ,
    Massimo fra gli dei, nume sublime,
    Che del caval, del mulo, e della pecora
    Nello sterco t’avvolgi, e nel concime.

    Ap. Philostrat. Heroic. cap. 2, §. 19. pag. 693.

  69. Paus. lib. 2. cap. 5. pag. 122. lin. 30. [Qualunque possa essere stato il fondamento o fisico, o vanaglorioso, di quegl’isolani nel credere quella cosa, non pare che da essa si possa tirare una conseguenza così generale per gli altri Greci, e per altre loro opinioni: e nel nostro proposito racconta Diodoro lib. 1. §. 23. pag. 27. e seg., che gli Egizj si lagnavano, che i Greci si volessero attribuire come loro proprie, e originarie tante divinità, ed eroi, che erano egiziani, e negassero di avere avuta da essi alcuna colonia. Sappiamo eziandio la vanità, e ridicola pretensione degli Ateniesi volgarmente, di essere Autocthones, ossia gente nata nello stesso paese, quasi appunto come le piante, e i vegetabili; del che vegg. Goguet Della Origine delle leggi, delle arti ec. Tom. I. lib. I. art. V. §. I.
  70. Si veggono spesso anche su la figura. Una piccola statua d’Iside in legno presso il conte di Caylus Rec. d’Antiq. Tom. V. Antiq. Egypt. pl. iI. num. I. e iI. pag 9. ha scritto tutto il panneggiamento da mezza vita in giù fino ai piedi. Nel museo ricchissimo della nobile famiglia Borgia nella città di Velletri vi sono più idoli egiziani molto antichi in marmo, in porcellana, ed in legno di sicomoro, che portano sopra della figura incisi, o dipinti molti geroglifici. Di altre statue d’Iside, di Osiride, in parte disegnate da Pococke, e di molte di quelle, che si trovano nei sepolcri egizj (una delle quali porteremo noi appresso), scritte sul petto, sul dorso, sul panneggiamento, o da capo a piedi, veggasi Guasco De l’Usage des stat. ch. X. p. 296., ch XII. pag. 323. L’antichissima sfinge in bronzo, della quale noi daremo la figura al principio del libro iI. ricavata dal lodato Caylus T. I. pl. 13. pag. 44. è pure scritta sul corpo.
  71. Winkelmann su questo punto era male informato. È vero che i fanciulli cinesi, venendo in una età tenera non possono sapere la loro lingua né a perfezione, né a un certo punto, come succede in tutti i fanciulli, e in tutte le lingue del mondo; ma dovea sapere che nel collegio di Napoli vengono istruiti in essa maestrevolmente: e ne abbiamo avuta una prova nello scorso autunno, in cui quattro de’ medesimi alunni già sacerdoti venuti in Roma per il loro esame, d'ordine dell’illustre prelato monsignor Borgia segretario della Congregazione di Propaganda Fide, compilarono con molta facilità l'indice di qualche centinaio di manoscritti in quella lingua nella biblioteca esistenti. Che poi non sappiano intendere lo scritto, con cui vengono segnate le mercanzie della Cina, che meraviglia? E quanti de’ nostri più gran letterati, per non dir tutti, neppure intendono quelle de’ nostri mercanti? È nota ancora la difficoltà grandissima d’imparare quella lingua piena di caratteri differenti, e simbolici, per cui si esige uno sforzo prodigioso di memoria, Niccolai Dissert. e lez. di S. Scritt. Tom. V. lez. LX. pag. 110. e seg., Acad. Royale de Berlin Nouveaux Memoires an. 1773. p. 506.; e i più gran dottori Mandarini di quell’Impero sono quelli che sanno più parole. Il Cinese che dà luogo a quella digressione, era antecessore di Winkelmann nella biblioteca Vaticana, e sapeva molte parole; ma per il caso nostro fu un solenne impostore. Costui, probabilmente informato della contesa eccitata, e promossa in questi ultimi tempi con tanto calore fra gli eruditi intorno alla primazia, e originalità delle due nazioni cinese, e egiziana, come si vedrà lib. iI. cap. I. §. 1. n. 1., e che tra le ragioni, che si adducevano, v’era l’esame, e il confronto dei loro caratteri, e della maggiore antichità, e somiglianza fra di essi, per favorire la sua nazione, e provare che la lingua cinese era la stessa che l’antica egiziana, scrisse del suo in alcuni codici di quella nazione esistenti nella detta biblioteca le cifre, o caratteri, che sapeva essere nella testa di Torino.
  72. Ora si dà per certo. Il sig. cavaliere Montaigu assicurò al signor marchese Gualco di essersi certificato, che la testa della supposta Iside sia fatta d’una pietra nericcia, che si trova nel Piemonte. Veggasi questo scrittore De l’Usage des stat. chap. X. p.296., e Paw Recherch. philosoph. sur les Egypt. et les Chin. Tom. I. prém. part. sect. I. p. 28.
  73. Diod. Sic. et Strab. ll. cc.
  74. Her. lib. 3. cap. 73. e seg. pag. 652.
  75. Geogr. lib. 14. pag. 948. A.
  76. Casaubono non ha tradotto Strabone, ma commentato soltanto. Per rispondere alle tante critiche fatte dagli eruditi alla sua edizione di quello scrittore, principalmente per gli errori, che non avea corretti nella traduzione, di cui si serviva, egli protestò nella prefazione a Polieno, ripetuta in questa parte da Jansonio nella sua prefazione premessa all’edizione di Strabone fatta nell’anno 1707. in Amsterdam, di cui ci serviamo, che la principale sua cura, e impegno era stato di restituire il testo dello Storico alla sua vera lezione, non di riformare la traduzione, o emendarne gli errori, come avrebbe potuto fare agevolmente.
  77. Cum autem plura sint ibi templa, antiqua alia, alia recentia: in antiquis vetusta sunt simulacra, in novis opera prava.
  78. Paus. lib. 2. cap. 20. pag. 155. lin. 28 [E regione Nemei Jovis ædes: in qua simulacrum Dei recto statu ex ære, Lysippi opus.