516 proverbi sul cavallo/Alimentazione

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Alimentazione

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Al lettore Cavallo e cavaliere

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Alimentazione.


1. A caval che non vuol sella, biada non si crivella.

Per correggere certi cavalli viziosi fu ed è da taluni scudieri adoperata la fame come castigo, amministrando la biada come premio ad ogni miglioramento constatato. Tale metodo è specialmente usato nei circhi equestri. Ma se il vizio di non voler portar sella, od altro peso, proviene da cattivi trattamenti usati nell’addestrare il cavallo e non da indole indomita, è affatto ingiusto aggiungere alle battiture anche il castigo del digiuno. A questo proposito riportiamo quanto insegna Senofonte nel suo trattato sulla equitazione: «L’uomo istruisce il suo simile colla parola che Dio gli ha dato, ma lo stesso mezzo non può adoperarsi col cavallo; gli è ricompensandolo quando ha fatto la nostra volontá, punendolo quando disubbidisce, che gli si fará intendere quel che da lui si esige. Per esempio, accetterá volontieri il morso se dopo averglielo messo in bocca, gli si fará qualche cosa di gradito, di cui abbia a rammentarsene e così salterá o fará quall’altra cosa gli venga domandata, se saprá che facendola otterrá una ricompensa.» In senso figurato il proverbio vuol anche significare che non si fa spesa a bocche disutili. [p. 2 modifica]

2. A cavallo mangiatore, capestro corto.

Se la buona nutrizione giova immensamente al cavallo, la voracitá, l’ingordigia, il troppo mangiare può produrgli dei disturbi gravi, epperciò a questo genere di cavalli, capestro corto, altrimenti mangeranno persino la lettiera sporca, come fanno alcuni di essi, con grave danno della loro salute. Spesso infatti si vedono cavalli troppo mangiatori dimagrire e deperire rapidamente. Però, anzichè tenere a capestro corto questi cavalli, sará bene invece munirli di museruola, perchè così potranno coricarsi e riposarsi.

3. Al cavallo biada e strada, ed anche semplicemente:

Biada e strada, e gli arabi:

Allef ou annef, cioè: Dá orzo ed abusa.

La maggior parte dei proverbi che si riferiscono all’alimentazione del cavallo, associano quasi sempre le idee del lavoro e del vitto; dimostrando così la stretta relazione che vi è, e vi deve esistere fra l’una e l’altro. Una lauta alimentazione ed un lavoro scarso, fanno il cavallo grasso e pigro; una razione in rapporto col consumo delle forze lo mette in buona condizione.

4. Bel cavallo non morire che l’erba ha da venire, ed anche:

Mentre l’erba cresce, il cavallo muore.

Scampa caval che l’erba cresce, ed i tedeschi:

Das Pferd stirbt oft, während das Gras wächts.

Modi dispettosi di chi trovasi nell’urgente [p. 3 modifica]bisogno. Servono a dimostrare che son vane le promesse dove sono necessari i fatti. Spesso si sente dire di un cavallo ridotto sulle cinghie, verrà la primavera, l’erba di maggio lo risanerà; ma se intanto si trasanda ogni cura, in attesa della migliore stagione, prima che il prato rinverdisca, il cavallo morrà. Dum Romæ consulitur, Saguntum expugnatur: diceva nel Senato romano, Catone, se la memoria non mi falla; mentre vi perdete in chiacchere, Sagunto è espugnata.

5. Bello me lo faccia Iddio, grande lo farò io.

È una pietosa invocazione di colui che sá di non potere a suo talento creare un puledro bello. La bellezza è dono degli Dei; ma grande lo può fare e lo farà l’avena. Però è neppure da disconoscere che una ricca ed abbondante alimentazione, associata a ben intesa ginnastica muscolare, modifica l’aspetto e la costituzione di un cavallo, specialmente se puledro, e può influire grandemente sulla bellezza del suo aspetto. Qual è il cavallo bello? Ce lo dice l’Alamanni in questi suoi versi:

  Grande il cavallo, e di misura adorna
Esser tutto dovria quadrato e lungo:
Levato il collo; e dove al petto aggiunge,
Ricco e formoso; e s’assottigli in alto;
Sia breve il capo, e s’assomigli al serpe:
Corte l’acute orecchie e largo e piano
Sia l’occhio e lieto, non intorno cavo:
Grandi e gonfiate le fumosi nari.
Sia squarciata la bocca e raro il crino;
Doppio, eguale, spianato e dritto il dorso;
L’ampia groppa spaziosa; il petto aperto;
Ben carnose le coscie e stretto il ventre.

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Sian nervose le gambe, asciutte e grosse;
Alta l’unghia, sonante, cava e dura;
Corto il tallon, che non si pieghi a terra;
Sia rotondo il ginocchio; e sia la coda
Larga, crespa, setosa e giunta all’anche;
Nè fatica o timor la smuova in alto.

     Poi del vario vestir, quello è più in pregio,
Tra i migliori cavalier, che più risembra
Alla nuova castagna allor che saglie
Da l’albergo spinoso, e in terra cade
A gli alpestri animal matura preda.
Pur che tutte le chiome, e ’l piede in basso
Al più fosco color più sieno appresso.

     Poi levi alte le gambe, e ’l passo snodi
Vago, snello e leggier. La testa alquanto
Dal drittissimo collo in arco pieghi:
E sia ferma ad ognor; ma l’occhio e ’l guardo
Sempre lieto e leggiadro intorno giri:
E rimordendo il fren di spuma imbianchi.
Al fuggir, al tornar sinistro e destro
Come quasi il pensier sia pronto e leve.
Poscia al fero sonar di trombe e d’arme
Si svegli e innalzi, e non ritrovi posa,
Ma con mille segnai s’acconci a guerra.
Nol ritenga nel corso o fosso o varco
Contro al voler giammai del suo signore:
Non gli dia tema, ove il bisogno sproni,
Minaccioso il torrente, o fiume, o stagno;
Non con la rabbia sua Nettuno istesso:
Nol spaventi romor presso o lontano
D’improvviso cader di tronco o pietra;
Non quell’orrendo tuon che s’assomiglia
Al fero fulminar di Giove in alto,
Di quell’arma fatal che mostra aperto
Quanto sia più d’ogni altro il secol nostro
Già per mille cagion là su nemico.

Alamanni.

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6. Biada alla sera, gamba alla mattina, e gli arabi:

La biada della sera va nelle gambe, quella della mattina nel letamaio.

Questo proverbio c’insegna che il massimo della razione deve essere somministrato alla sera, cioè dopo la fatica e molte ore prima di un nuovo lavoro. Tutti gli igienisti, tutti gli agronomi e gli ippofili convengono nella giustezza di questo proverbio: gamba alla mattina vuol dire che il cavallo avendo potuto assimilare il nutrimento della sera è in perfetta condizione.

7. Biada e paglia caval di battaglia, ed anche:

Caval di paglia, caval di battaglia, ed:

Orzo e paglia, caval di battaglia.

La convenienza di somministrare paglia ai cavalli da sella, come parte integrante della loro razione alimentare, fu notata in ogni tempo ed in ogni paese. Ma errerebbe chi, appoggiandosi a questo pomposo proverbio, credesse che la paglia possieda grandi ed eccezionali proprietá alimentari. L’alimento per eccellenza del cavallo è e sarà sempre la biada. In certe regioni calde, la paglia tagliuzzata e mescolata alla biada ed all’orzo, costituisce un ottimo alimento; da sola può anche surrogare senza inconvenienti il fieno dove questo è meno nutritivo. È buona cosa lasciar mangiare un po’ di paglia ai cavalli dopo che hanno avuto la biada, ciò facilita loro la digestione. Gli inglesi usano per ingrassare i cavalli comporre un pastone (mash) con paglia e fieno tagliuzzati, avena, crusca, farina d’orzo e sale marino; esso giova molto a rimettere in condizione i cavalli magri, affaticati, o [p. 6 modifica]convalescenti. Al proverbio si potrebbe dare anche un’altra interpretazione, cioè: che il cavallo di paglia, ossia di carattere freddo, è quello che meglio conviene nel dì della battaglia, perchè si è più sicuri di governarlo a piacimento.

8. Briglia e biada, Striglia e strada.

Vale il commento del precedente n. 3.

9. Caval che ha fame, mangia d’ogni strame.

Questo purtroppo non ha bisogno di commento; chè non pur alle bestie ma anche agli uomini ciò avviene.

10. Caval da erba, caval da m....

Ne dà ragione il commento al proverbio seguente:

11. Cavallo al verde, caval malato.

Il cavallo sano non occorre sia sottoposto al regime, così detto, del verde. Invece ai cavalli che furono affetti da qualche malattia gastroenterica, giova molto l’amministrar loro nella primavera dell’erba fresca; in tale circostanza essi vogliono essere tenuti d’occhio e risparmiati come se fossero veramente ammalati e quindi non si devono sottoporre ad alcun lavoro, perchè questo trattamento provoca una spossatezza muscolare ed un assopimento nervoso. È inutile dar biada ai cavalli sottoposti al verde perchè non vien digerita. Cessato il regime del verde bisogna trattare il cavallo come se uscisse da una malattia.

12. Cavallo che mangia, paga.

Se il cavallo è trattato bene con sana e lauta [p. 7 modifica]alimentazione, paga ad usura colla florida salute, col lavoro energico e spontaneo, la biada che gli è somministrata. Ogni economia quindi sulla razione alimentare del cavallo è riprovevole e riesce dannosa.

13. Cavallo che non mangia, ha il mal di resta.

Resta, e per lo più Reste, dice il Fanfani, dai veterinari è chiamato una sorta di tumoretto che viene ai piedi dei cavalli. Però questo termine è poco usato in veterinaria ed io credo che sia piuttosto un idiotismo adoperato in qualche provincia, e che vorrebbe indicare il non muoversi, od il restar fermo del cavallo. Varrebbe quindi a significare che quando un cavallo non mangia, è ammalato e come tale è obbligato a restare inoperoso in scuderia.

14. Cavallo d’avena, cavallo di lena, ed i francesi:

Cheval d’avoine, cheval de peine.

L’avena è l’alimento che al cavallo maggiormente si conviene. L’esperienza ha ormai dimostrato ad evidenza che è un errore lo sperare d’infondere al cavallo brio, forza ed energia, sostituendo, per ragioni d’economia, all’avena altri alimenti meno costosi. Con questi si potrá ottenere uno stato di apparente floridezza, mai però quel fondo d’energia, di resistenza e di salute, che con un termine comprensivo diciamo lena, e che è necessaria nel cavallo, quando si vuole avere un animale dotato di poderosi muscoli, di robuste ossature, di solide articolazioni; un animale insomma che sopporti bene quegli esercizii e lavori che necessitano un grande dispendio di forze muscolari. Si è dibattuta non [p. 8 modifica]poco la questione se convenga o no dar al cavallo la biada bagnata od asciutta. A questo proposito riportiamo parte di uno scritto in cui si afferma essere un errore quello di somministrar la biada bagnata1.

15. Cavallo sano vuol quattro cose: aria e biada, striglia e strada.

È la sintesi dell’igiene del cavallo: aria buona, biada abbondante, governo ben fatto, e lavoro proporzionato.

16. Cavallo troppo pasciuto, scavalca il padrone.

Questo proverbio può avere doppio significato, primo cioè: che se al cavallo troppo pasciuto fa difetto la mancanza di esercizio e spesso di [p. 9 modifica]addestramento, diventa troppo allegro e bizzarro, s’impaurisce per un nonnulla e manda a gambe levate il padrone; in secondo luogo può intendersi che il cavallo troppo pasciuto non guadagna in forza, consuma molti alimenti e manda poco meno che in rovina il padrone.

17. Cheval de foin, cheval de rien, ed i piemontesi:

Caval da fen, caval da nen.

Riportiamo questo proverbio in francese ed in piemontese per amor della rima. Con esso si dichiara da poco il cavallo nutrito di fieno. Ciò è vero solo in parte. Il cavallo nutrito con solo fieno non è capace di un lavoro che richieda pronto ed energico impiego di forza muscolare, in breve spazio di tempo. Ma il proverbio è troppo restrittivo trattandosi di cavallo destinato a tiro lento e pesante, poichè in questo caso, oltre alla forza muscolare, il cavallo impiega anche la potenza della sua massa per vincere la resistenza dei pesi che trascina; ed il fieno è certamente meglio adatto della biada a sviluppare la grassezza, tanto più quando è somministrato in grande quantità.

18. Chi dà il proprio cavallo in cura ad altri, presto andrà a piedi.

Vale il commento al proverbio: L’occhio del padrone ingrassa il cavallo (V. n. 42).

19. Chi ha cavallo, ha biada.

Contiene questo proverbio un prezioso avvertimento per coloro che per diletto o per necessità tengono cavalli. Nell’un caso e nell’altro esso inculca che non si deve lesinar sulla biada, [p. 10 modifica]perchè non si può far assegno nell’impiego della forza muscolare del cavallo senza una corrispondente razione alimentare; lascia poi anche intendere che male provvede colui che vuol tener cavalli senza averne i mezzi.

20. Chi tien cavallo e non ha strame, in capo all’anno si gratta il forame, ed i lombardi:

Chi tegn caval nè ’l ga de fagg el lecc, in co de l’an el sentirà on gran fregg.

Questo è un volere e non potere, ed è naturalmente causa di danni e di rovine. Chi ha cavallo ha biada, o per meglio dire deve esser sicuro di non lasciargliela mancare, se no in capo all’anno il suo cavallo sarà deperito tanto da non valer più che pochi quattrini.

21. Chi vuol che i cavalli non sudino, tengali magri.

Male avviserebbe chi prendesse questo proverbio in modo troppo assoluto; magri qui stá per allenati e sono appunto i cavalli in lena che poco sudano, e più resistono al lavoro.

22. Dimmi che fieno mangia il tuo cavallo e ti dirò che cavallo è.

L’esperienza, checchè ne vogliono dire certi veterinari troppi fautori della economia, stà a dimostrare che il fieno maggengo e di prato asciutto è e sarà sempre il miglior dei fieni che si possa somministrare al cavallo. L’agostano ed il terzarolo, come anche i fieni di marcita, non danno che una scarsa nutrizione, e quindi imprimono minor forza e resistenza alla [p. 11 modifica]macchina cavallo. Il fieno maggengo è usato per l’alimentazione degli animali soggetti a lavori pesanti, per quelli fini o destinati a produzione lucrosa; l’agostano è meno nutritivo e vien specialmente somministrato ai bovini; il terzarolo non conviene affatto ai cavalli, perchè scarsissimo di principi nutritivi; vien dato ai bovini, ovini, ed ai cavalli d’infimo prezzo, i proprietari dei quali non hanno mezzo di acquistarne del migliore. Ci consta che nell’esercito si fa ora meno uso, di una volta, di fieno maggengo e ci duole che dei veterinari militari tenendo in poco conto l’insegnamento di questo proverbio, non siano persuasi che il cavallo è, quello che lo fanno i buoni alimenti, ed abbiano consigliata la sostituzione dell’agostano al maggengo.

23. Dodici galline ed un gallo, mangiano quanto un cavallo.

Questo proverbio ci dice una cosa che non è che troppo giusta e vera. Dodici galline ed un gallo, lasciati liberi in un prato, danneggiano la produzione del fieno, tanto, e forse più, di quanto basterebbe per alimentare un cavallo.

24. Freddo e fame fanno brutto pelame.

Il freddo fa diventare il pelo lungo e dilavato, ma il pelo lungo è un mezzo protettore che la natura largisce al cavallo, ed è meglio che questo abbia il pelo d’inverno, piuttosto che tenerlo in scuderie calde e non ventilate. Esse sono la negazione dell’igiene equina. Se il brutto pelame poi è effetto della fame, allora si ha una delle più sciagurate situazioni a cui un cavallo può arrivare, perchè è difficilissimo che si rimetta in sanità e vigorìa. [p. 12 modifica]

25. Gramo quel cavallo che non si guadagna la biada.

Ogni cavallo deve esser sottoposto a tal lavoro, proporzionale a’ suoi mezzi, da guadagnarsi la biada. Quello che adoperato in questa misura, non rende quel profitto che uno è in diritto di attendersi, non può esser che un gramo cavallo, e di peso al padrone.

26. Il caval che dura la pena, mangiar deve l’avena.

Così dovrebbe essere, non pure riguardo ai cavalli, ma anche in riguardo agli uomini. Chi lavora e fatica ha diritto a giusta ricompensa.

27. Il caval che ha meritata l’avena, poca ne ottiene, ed i Tedeschi:

Das Pferd, das den Hafer verdient hat, kriegt ihn nicht.

Purtroppo così va il mondo! I più meritevoli sono spesso i peggio rimeritati e questo avviene poi maggiormente trattandosi di gente non danarosa, che sottopone i cavalli a durissime fatiche senza poi rimeritarli con un adeguato alimento. A tal proposito non sarà fuor di luogo riferire quanto leggesi nelle cronache di Napoli: «Carlo, Duca di Calabria, era uso rendere giornalmente giustizia ai suoi sudditi assistito dai ministri e dignitari dello Stato; ed affinchè anche ai più poveri non fosse precluso l’ingresso alla sua presenza, fece mettere nel tribunale una campana la cui corda penzolava al di fuori. Chiunque reclamasse giustizia tirava la corda ed era ammesso ad udienza dal Duca. Avvenne che un bel dì, sedendo in tribunale, la campana violentemente tirata per la corda si [p. 13 modifica]mettesse a suonare a distesa. — Sia fatto entrare chi suona — ordina il Duca. Accorrono le guardie, ma ben tosto ritornano e riferiscono la corda essere stata tirata da un cavallo vecchio e sciancato. Scoppiano in risa gli astanti, ma il Duca voltosi a loro: — Sappiate, signori, che la giustizia estende la sua protezione anche alle bestie. Si chiami il padrone del cavallo. — Era questi un ricco signore della cittá, il quale arrossendo, dovette confessare essere stato il cavallo in sua giovinezza un bello e nobile animale, di cui egli si era servito in molte guerre, ma che ora, non essendogli più di alcun utile, causa la vecchiaia e gli acciacchi, gli avea dato il largo. Lasciato libero il cavallo, spinto dalla fame aveva addentata la corda. Udita la confessione di tanta ingratitudine, il Duca dopo aver severamente rimproverato quel gentiluomo, gli ingiunse di riprendersi il cavallo nelle scuderie e di trattarlo come e meglio anzi degli altri suoi cavalli più giovani.»

28. Il caval che non vuol fieno, affamisi e dopo s’infreni.

Questo, che a tutta prima pare un proverbio che dia un consiglio barbaro, non è che giusto. Se il caval non vuol più fieno, è segno che è satollo, e se uno lo sottoponesse al lavoro specialmente se un po’ violento, come sarebbe il correre, il galoppare, il saltare, ne seguirebbero dei disturbi gastrici. Per non andar incontro a pericoli di malattie, sarà bene lasciar che la digestione sia compiuta interamente, per modo che al cavallo sia ritornata la fame, ed allora si potrà infrenarlo, cioè sottoporlo al lavoro. Sarebbe invece barbaro affamare il cavallo che non volesse fieno perchè di cattiva qualità o di odore ributtante. [p. 14 modifica]

29. Il cavallo ben vuol l’avena, ma non la sella, ed i latini:

Esse cupit mannus, sed ephippia ferre recusat.

Certuni vogliono bensì godere, ma non faticare.

30. Il cavallo deve andare alla greppia e non la greppia al cavallo.

Chi ha da aver l’utile, deve dichinarsi: dice il Giusti nella sua raccolta; e vale a significare che le azioni devono essere regolate dalla logica e dal buonsenso e non pretendere di andare contro l’ordine naturale delle cose.

31. Il cavallo non guarda alla siepe, sì all’avena.

Proverbio cimbro che rivela i costumi rusticali degli antichi britanni.

32. Il cavallo vuol la biada in corpo, il mulo nelle gambe.

Il mulo ha poco bisogno di mangiare, ma molto di faticare.

33. La buona greppia, fa la buona bestia.

È sempre la stessa raccomandazione rappresentata sotto diverse forme, cioè: che chi vuol cavalli sani, robusti, da cui trarne un lavoro utile, deve mantenerli bene. [p. 15 modifica]

34. La cavalla che non ha mangiato erba, non può saper di che sappia.

E per traslato, chi non ha provato una cosa, non può conoscerne le qualità, il bene ed il male che può produrre.

35. La cavalla ordisce, la biada tesse.

Il sangue, le forme, le altitudini sono la misteriosa orditura della cavalla, su cui colla biada, a tempo e dose opportuna, l’uomo tesse la statura, e fino ad un certo punto la salute e la bellezza del futuro cavallo. Se nei nostri depositi d’allevamento si somministrasse ai puledri maggior quantità di biada di quello che ora si fa, si vedrebbero presto di molto aumentate quelle qualità di cui oggidì sono riconosciuti da tutti deficienti quelli che vengono assegnati alle armi a cavallo dell’esercito.

36. La cavalla per un fil d’erba si spalla.

Vale a dire che il cavallo, spinto dalla fame e dalla necessità di appagarla, corre verso qualsiasi pericolo. Ma anche senza essere spinto dalla fame il cavallo per un fil d’erba arrischia di spallarsi; esso è così ingordo dell’erba verde e delle foglie verdi, che alle volte per addentarle, anche se montato, non bada dove mette i piedi. Chi ha attraversato un bosco, una strada fiancheggiata da piante, sa quante volte il suo cavallo abbia tentato abboccar le verdi foglie.

37. La miglior parte della razza entra per la bocca.

Per quanto sia di belle forme la madre, per [p. 16 modifica]quanto nobile e generoso lo stallone, non si avrà un buon puledro, se fin dai primi mesi non gli sarà somministrato abbondante alimento, specialmente di avena. Lo sviluppo del puledro è tanto più rapido quanto egli è più vicino alla nascita, aiutando convenevolmente la attività formatrice della natura, si otterranno mirabili risultati.

38. La salute e la buona qualità del cavallo stanno nel sacco della biada.

Vale quanto è detto nel proverbio seguente:

39. La statura del cavallo sta nel cassone della biada.

Tutti gli allevatori sanno che la biada ha la più decisa influenza sullo sviluppo, sulla bellezza e sulla salute dei puledri. L’avena, somministrata sin dai primi mesi della loro vita, favorisce un accrescimento uniforme ed armonico; li fa resistenti, vispi e coraggiosi, tanto da diventare poi ottimi cavalli. Il Corano promette ai credenti, anni e secoli d’indulgenza in cambio dei grani d’orzo somministrati al cavallo. Se non saranno indulgenze, saranno bene tanti quattrini che si guadagneranno seguendo il consiglio che dà il proverbio.

40. Lavoro da cavallo e cibo da canarino mal si convengono.

La salute del cavallo ed il lavoro che da lui esigiamo, sono in assoluta relazione colla quantità e qualità dell’alimentazione e debbono per conseguenza bilanciarsi. Sottoporre il cavallo a servizio faticoso e rimunerarlo con scarsa [p. 17 modifica]nutrizione è opera anticaritatevole ed insana, e che avrà per conseguenza il rapido deperimento dell’animale, il sorgere di malattie e la morte.

41. Lesto a mangiare, lesto a lavorare.

È proprio dei cavalli vecchi, logori, e malaticci il mangiar lentamente; il cavallo sano invece a grandi boccate divora la sua razione di avena ed in quell’istante ha gli occhi scintillanti dal piacere e par che dica al suo signore: a momenti sono all’ordine. Il proverbio vale il più bell’elogio che si possa fare ad un cavallo egregio e svelto mangiatore.

42. L’occhio del padrone ingrassa il cavallo, ed anche:

Ciò che ingrassa il cavallo è l’attenzione di chi il governa e l’occhio del padrone, ed i tedeschi:

Des Herrn Auge macht das Pferd fett, ed i latini:

Oculus domini saginat equum.

Vale a significare che non bisogna troppo fidarsi dei palafrenieri. In senso traslato ci insegna che bisogna badar da sè ai fatti propri; riveder spesso e con diligenza le cose proprie per ben conservarle. Presso i Romani era obbligo del censore di togliere il cavallo a quel cavaliere che non ne avesse molta cura. Narra Aulo Gellio, come i censori Scipione Nasica e Mario Pompilio, facendo il censimento dei cavalieri, videro un cavallo mal governato, macilento, mentre il cavaliere era in floridissimo stato di salute e ben pasciuto. Domandatane spiegazione, il cavaliere rispose: Gli è che al cavallo pensa Stazio mio servo, ed io mi [p. 18 modifica]governo da me. I censori per punizione gli tolsero il cavallo.

Senofonte, che per primo scrisse un trattato di equitazione, dice che il cavallo deve essere ricoverato in luogo tale che spesso il padrone lo possa vedere, ed aggiunge che la stalla deve esser tenuta come è la dispensa del padrone, acciò non sia privato dell’ordinario suo cibo, con danno di chi lo cavalca. Vegliare alla regolare consumazione degli alimenti, rilevar subito con la massima diligenza tutto quello che può esservi di anormale nell’aspetto e nelle abitudini del cavallo, sorvegliare gli uomini che ne devono aver cura, pretendere di essere subito informati delle irregolarità delle funzioni digestive, dei guasti alla ferratura, alla bardatura, ecc., ecc., per provvedere prontamente a seconda dei casi, è dovere di un oculato padrone.

43. Magrezza non è vergogna.

Come: grasso non è condizione, così: magrezza non è vergogna. A meno che si tratti di cavalli da tiro pesanti, nel qual caso occorre anche la massa per vincere la resistenza dei pesi da trainare, del resto i cavalli da sella è meglio sieno magri che grassi. I muscoli addominali ed intercostali, che hanno tanta parte nell’elevare, deprimere e fissare le pareti toraciche, si trovano assai più liberi nelle loro funzioni quando non sono inceppati da soverchia pinguedine. Magrezza quindi non è vergogna, a meno che essa sia effetto di alimentazione scarsa e non in rapporto col lavoro cui il cavallo è sottoposto, nel qual caso la vergogna è a carico del proprietario.

44. Mangione fa cavallone.

Il puledro di buona bocca promette di divenire un buon cavallo. [p. 19 modifica]

45. Non è sì melanconico cavallo che al veder la biada non si rallegri.

La biada è l’alimento più gradito e maggiormente preferito dal cavallo, e se non si rallegra al solo vederla, è segno che, più che melanconico, è ammalato.

46. Pasto e basto.

Ha significato identico all’altro proverbio: Biada e strada, e solo colla sua forma più dimessa pare accenni ai cavalli che nei tempi addietro, per mancanza di strade, lavoravano a basto nel trasporto delle cose e delle persone.

47. Quando la greppia è vuota i cavalli si tirano calci, ed i tedeschi:

Wenn die krippe leer ist, schlagen sich die Pferd’im Stalle, ed i francesi:

Quand il n’y a plus d’avoine dans l’auge, les chevaux se battent, e gli inglesi:

When the manger is empty, the horses fight.

I cavalli che sono tenuti a lungo nelle scuderie ed ai quali vien distribuito l’alimento a grandi intervalli, per lo più quando hanno la greppia vuota si tirano dei calci.

48. Quando si ciba soltanto di fieno, il cavallo non ingrassa per avena.

Il cavallo alimentato con solo fieno presenta un aspetto e trovasi in condizioni diverse da quello che mangia anche l’avena e non si può quindi sottoporre all’identico lavoro l’uno e l’altro [p. 20 modifica]e pretendere da loro gli stessi sforzi. La botte non può dare, dice un altro proverbio, che il vino che contiene.

49. Quel che si risparmia in fieno va poi nella frusta.

Quando si dà poco da mangiare ai cavalli, bisogna poi batterli per farli camminare.

50. Strigliare è abbiadare, ed anche:

Caval strigliato, caval sano.

Vale quanto l’altro: Una buona stroffinata vale una passeggiata; e l’altro: buon governo metà razione; commentati nel: Cavallo e cavaliere.

51. Tanto mangia una rozza quanto un buon cavallo.

Epperò male provvedono coloro che pel risparmio di pochi quattrini preferiscono una rozza, un cavallo sciancato e pieno di malanni ad un cavallo giovane, pieno di vigorìa e che, se ben trattato, renderà al suo possessore un interesse elevato.

52. Tre cose occorrono per fare un cavallo: uno stallone, una cavalla e della biada.

Proverbio inglese che dovrebbero aver sempre in mente gli allevatori; esso ci dimostra quale influenza gli inglesi attribuiscano alla biada, e quanto essi ritengano che giovi alla struttura uniforme ed armonica, alla bellezza ed alla salute del puledro. Il suo sviluppo si fa più rapido [p. 21 modifica]nei primi tempi dopo la nascita, che non più tardi; aiutando quindi convenientemente la mirabile attività formatrice della natura si ottengono i più favorevoli risultati. La biada data ai puledri, fa sì che in poche generazioni se ne rialza e se ne modifica favorevolmente la conformazione; somministrata più tardi, non riesce ad altro che ad aumentare sproporzionatamente la lunghezza delle gambe.

53. Trotto dopo la biada semina la strada.

Il lavoro intrapreso subito dopo la somministrazione della biada riesce dannoso al cavallo, perchè, non avendo tempo a digerirla, la emette intatta cogli escrementi lungo la strada. Non è la biada che entra quella che fa buon pro’ al cavallo, ma quella che non esce, cioè che è bene digerita ed assimilata. Nell’interesse dell’igiene giova quindi concedere al cavallo fra la somministrazione della biada e il lavoro attivo, uno spazio di tempo quanto più è possibile, maggiore.

  1. Nel minor tempo che i cavalli impiegano a mangiar questo alimento umido, sta appunto l’inconveniente. Se la biada è asciutta il cavallo la mastica lentamente e la ritiene nella bocca per inumidirla convenientemente colla saliva, se invece è bagnata viene introdotta nello stomaco senza essere mescolata alla saliva, l’alimento non può quindi essere digerito e viene in gran parte espulso dal corpo, intero, senza aver contribuito alla nutrizione. Molteplici esperimenti hanno dimostrato che i cavalli digeriscono una quantità da 6 ad 8 volte maggiore di biada secca, che di quella bagnata. I cavalli alimentati colla biada umida per lo più all’aspetto sembrano ben nutriti, ma essi sono solo gonfiati dalla grande quantità d’acqua che assorbono, sudano facilmente, si stancano pure facilmente e non sono atti a resistere alle fatiche. L’alimentazione umida è poi spesso causa di indebolimento dello stomaco e di coliche. Quindi è da guardarsi dal somministrare ai cavalli biada bagnata.