Dei Sepolcri (1835)

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Lettera a M.r Guill... su la sua incompetenza a giudicare i poeti italiani Vestigi della Storia del Sonetto Italiano dall'anno MCC al MDCCC


Questo testo fa parte della raccolta Scelte opere di Ugo Foscolo


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DEI SEPOLCRI


carme


A IPPOLITO PINDEMONTE




Deorum. manium. iura. sancta. sunto.

XII TAB.


 
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro? Ove più il Sole
Per me alla terra non fecondi questa
5Bella d’erbe famiglia e d’animali,
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Nè da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
10Nè più nel cor mi parlerà lo spirto
Delle vergini Muse e dell’Amore,
Unico spirto a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite

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Ossa che in terra e in mar semina morte?15
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
Tutte cose l’obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe20
E l’estreme sembianze e le reliquie
Della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perchè pria del tempo a sè il mortale
Invidierà l’illusion che spento
Pur lo sofferma al limitar di Dite?25
Non vive ei forse anche sotterra, quando
Gli sarà muta l’armonia del giorno,
Se può destarla con soavi cure
Nella mente de’ suoi? Celeste è questa
Corrispondenza d’amorosi sensi,30
Celeste dote è negli umani; e spesso
Per lei si vive con l’amico estinto
E l’estinto con noi, se pia la terra
Che lo raccolse infante e lo nutriva,
Nel suo grembo materno ultimo asilo35
Porgendo, sacre le reliquie renda
Dall’insultar de’ nembi e dal profano
Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
E di fiori adorata arbore amica
Le ceneri di molli ombre consoli.40
Sol chi non lascia eredità d’affetti

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Poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
Dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
Fra ’l compianto de’ templi Acherontei,
O ricovrarsi sotto le grandi ale45
Del perdono d’Iddio: ma la sua polve
Lascia alle ortiche di deserta gleba
Ove nè donna innamorata preghi,
Nè passeggier solingo oda il sospiro
Che dal tumulo a noi manda Natura.50
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
Contende. E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro55
Con lungo amore, e t’appendea corone;
E tu gli ornavi del tuo riso i canti
Che il lombardo pungean Sardanapalo,
Cui solo è dolce il muggito de’ buoi
Che dagli antri abduani e dal Ticino60
Lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
Spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
Fra queste piante ov’io siedo e sospiro
Il mio tetto materno. E tu venivi65
E sorridevi a lui sotto quel tiglio
Ch’or con dimesse frondi va fremendo
Perchè non copre, o Dea, l’urna del vecchio,

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Cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi70
Vagolando, ove dorma il sacro capo
Del tuo Parini? A lui non ombre pose
Tra le sue mura la città, lasciva
D’evirati cantori allettatrice,
Non pietra, non parola; e forse l’ossa75
Col mozzo capo gl’insanguina il ladro
Che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
La derelitta cagna ramingando
Su le fosse e famelica ululando;80
E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,
L’ùpupa, e svolazzar su per le croci
Sparse per la funerea campagna,
E l’immonda accusar col luttuoso
Singulto i rai di che son pie le stelle85
Alle obblîate sepolture. Indarno
Sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
Dalla squallida notte. Ahi! sugli estinti
Non sorge fiore ove non sia d’umane
Lodi onorato e d’amoroso pianto:90
Dal dì che nozze e tribunali ed are
Dier alle umane belve esser pietose
Di sè stesse e d’altrui, toglieano i vivi
All’etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura95

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Con veci eterne a’ sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
Ed are a’ figli; e uscìan quindi i responsi
De’ domestici Lari, e fu temuto
Su la polve degli avi il giuramento:100
Religïon che con diversi riti
Le virtù patrie e la pietà congiunta
Tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
Fean pavimento; nè agl’incensi avvolto105
De’ cadaveri il lezzo i supplicanti
Contaminò; nè le città fur meste
D’effigïati scheletri: le madri
Balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
Nude le braccia su l’amato capo110
Del lor caro lattante, onde nol desti
Il gemer lungo di persona morta
Chiedente la venal prece agli eredi
Dal santuario. Ma cipressi e cedri
Di puri effluvi i zefiri impregnando115
Perenne verde protendean su l’urne
Per memoria perenne; e prezïosi
Vasi accogliean le lagrime votive.
Rapìan gli amici una favilla al Sole
A illuminar la sotterranea notte,120
Perchè gli occhi dell’uom cercan morendo
Il Sole; e tutti l’ultimo sospiro

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Mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
Amaranti educavano e viole125
Su la funebre zolla; e chi sedea
A libar latte o a raccontar sue pene
Ai cari estinti, una fragranza intorno
Sentia qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti130
De’ suburbani avelli alle britanne
Vergini, dove le conduce amore
Della perduta madre, ove clementi
Pregaro i Geni del ritorno al prode
Che tronca fe’ la trîonfata nave135
Del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
E sien ministri al vivere civile
L’opulenza e il tremore, inutil pompa
E inaugurate immagini dell’Orco140
Sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
Decoro e mente al bello Italo regno,
Nelle adulate reggie ha sepoltura
Già vivo, e i stemmi unica laude. A noi145
Morte apparecchi riposato albergo,
Ove una volta la fortuna cessi
Dalle vendette, e l’amistà raccolga
Non di tesori eredità, ma caldi

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Sensi e di liberal carme l’esempio.150
A egregie cose il forte animo accendono
L’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
E santa fanno al peregrin la terra
Che le ricetta. Io quando il monumento
Vidi ove posa il corpo di quel grande155
Che, temprando lo scettro a’ regnatori,
Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue;
E l’arca di colui che nuovo Olimpo
Alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide160
Sotto l’etereo padiglion rotarsi
Più Mondi, e il Sole irradiarli immoto,
Onde all’Anglo che tanta ala vi stese
Sgombrò primo le vie del firmamento:
Te beata, gridai, per le felici165
Aure pregne di vita, e pe’ lavacri
Che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
Di luce limpidissima i tuoi colli
Per vendemmia festanti, e le convalli170
Popolate di case e d’oliveti
Mille di fiori al ciel mandano incensi:
E tu prima, Firenze, udivi il carme
Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
E tu i cari parenti e l’idïoma175
Dèsti a quel dolce di Calliope labbro,

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Che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
D’un velo candidissimo adornando,
Rendea nel grembo a Venere Celeste;
Ma più beata che in un tempio accolte180
Serbi l’Itale glorie, uniche forse
Da che le mal vietate Alpi e l’alterna
Onnipotenza delle umane sorti,
Armi e sostanze t’invadeano, ed are
E patria, e, tranne la memoria, tutto.185
Che ove speme di gloria agli animosi
Intelletti rifulga ed all’Italia,
Quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
Venne spesso Vittorio ad ispirarsi,
Irato a’ patrii Numi; errava muto190
Ove Arno è più deserto, i campi e il cielo
Desîoso mirando; e poi che nullo
Vivente aspetto gli molcea la cura,
Qui posava l’austero; e avea sul volto
Il pallor della morte e la speranza.195
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
Fremono amor di patria. Ah sì! da quella
Religïosa pace un Nume parla:
E nutrìa contro a’ Persi in Maratona
Ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,200
La virtù greca e l’ira. Il navigante
Che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
Vedea per l’ampia oscurità scintille

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Balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
Fumar le pire igneo vapor, corrusche205
D’armi ferree vedea larve guerriere
Cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
Silenzi si spandea lungo ne’ campi
Di falangi un tumulto e un suon di tube
E un incalzar di cavalli accorrenti210
Scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
E pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna215
Oltre l’isole Egée, d’antichi fatti
Certo udisti suonar dell’Ellesponto
I liti, e la marea mugghiar portando
Alle prode Retèe l’armi d’Achille
Sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi220
Giusta di glorie dispensiera è morte:
Nè senno astuto, nè favor di regi
All’Itaco le spoglie ardue serbava,
Chè alla poppa raminga le ritolse
L’onda incitata dagl’inferni Dei.225
E me che i tempi ed il desio d’onore
Fan per diversa gente ir fuggitivo,
Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
Del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando230

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Il tempo con sue fredde ale vi spazza
Fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
Di lor canto i deserti, e l’armonia
Vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Tròade inseminata235
Eterno splende a’ peregrini un loco
Eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
Onde fur Troja e Assàraco e i cinquanta
Talami e il regno della Giulia gente.240
Però che quando Elettra udì la Parca
Che lei dalle vitali aure del giorno
Chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
Mandò il voto supremo: E se diceva,
A te fur care le mie chiome e il viso245
E le dolci vigilie, e non mi assente
Premio miglior la volontà de’ fati,
La morta amica almen guarda dal cielo
Onde d’Elettra tua resti la fama.
Così orando moriva. E ne gemea250
L’Olimpio; e l’immortal capo accennando
Piovea dai crini ambrosia su la Ninfa
E fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio: e dorme il giusto
Cenere d’Ilo; ivi l’Iliache donne255
Sciogliean le chiome, indarno, ahi! deprecando
Da’ lor mariti l’imminente fato;

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Ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
Le fea parlar di Troja il dì mortale,
Venne; e all’ombre cantò carme amoroso260
E guidava i nepoti, e l’amoroso
Apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospirando: Oh se mai d’Argo,
Ove al Tidide e di Laerte al figlio
Pascerete i cavalli, a voi permetta265
Ritorno il cielo, invan la patria vostra
Cercherete! le mura, opra di Febo,
Sotto le lor reliquie fumeranno;
Ma i Penati di Troja avranno stanza
In queste tombe; chè de’ Numi è dono270
Servar nelle miserie altero nome.
E voi palme e cipressi che le nuore
Piantan di Priamo, e crescerete ahi! presto
Di vedovili lagrime innaffiati.
Proteggete i miei padri: e chi la scure275
Asterrà pio dalle devote frondi
Men si dorrà di consanguinei lutti
E santamente toccherà l’altare,
Proteggete i miei padri. Un dì vedrete
Mendico un cieco errar sotto le vostre280
Antichissime ombre, e brancolando
Penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
E interrogarle. Gemeranno gli antri
Secreti, e tutta narrerà la tomba

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Ilio raso due volte e due risorto285
Splendidamente su le mute vie
Per far più bello l’ultimo trofeo
Ai fatati Pelìdi. Il sacro vate,
Placando quelle afflitte alme col canto,
I prenci argivi eternerà per quante290
Abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu, onore di pianti, Ettore, avrai,
Ove fia santo e lagrimato il sangue
Per la patria versato, e finchè il Sole
Risplenderà su le sciagure umane.295

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NOTE


AI SEPOLCRI


Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci, i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasìa ed al cuore. Lasciando agl’intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di questo tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le tradizioni antiche.

Verso 8-9 . . . . . . . Il verso
E la mesta armonia che lo governa.

Epistole e poesie campestre d’Ippolito Pindemonte.

v. 44. Fra ’l compianto de’ templi Archerontei

«Nam jam saepe homines patriam carosque parentes.
«Prodiderunt vilare Acherusia TEMPLA petentes1.

chiamavano Templa anche i cieli2.

v. 57-58 . . . . . . . i canti
Che il Lombardo pungean Sardanapalo.

Il Giorno di Giuseppe Parini.

v. 64 Fra queste piante ov’io siedo.

Il boschetto de’ tigli nel sobborgo orientale di Milano.

v. 70 . . . . fra plebei tumuli.

Cimiteri suburbani a Milano.

v. 97 Testimonianza ai fasti eran le tombe.

«Se gli Achei avessero innalzato un sepolcro ad Ulisse, quanta gloria ne sarebbe ridondata al suo figliuolo3!».

v. 98 . . . . are a’ figli.

«Ergo instauramus Polydoro funus et ingens
«Aggeritur tumulo tellus, stant manibus ARAE [p. 76 modifica]
«Coeruleis moestae vittis atraque cupresso4.

Uso disceso sino a’ tempi tardi di Roma, come appare da molte iscrizioni funebri.

v. 98-99 . . . . uscian quindi i responsi
De’ domestici Lari.

«Manes animae dicuntur melioris meriti quae in corpore nostro Genii dicuntur; corpori renuntiantes, Lemures; cum domos incursionibus infestarent, Larvae; contra si faventes essent, LARES familiares5».

Verso 117 e seg. . . . . preziosi
Vasi accogliean le lagrime votive

I Vasi lacrimatori, le lampade sepolcrali, e i riti funebri degli antichi.

v. 125-126 Amaranti educavano e viole
Su la funebre zolla.

«Nunc non e manibus illis,
«Nunc non e tumulo fortunataque favilla
«Nascentur violae6?

v. 126-127. . . . . . . e chi sedea
A libar latte

Era rito de’ supplicanti e de' dolenti di sedere presso l’are e i sepolcri.

«Illius ad tumulum fugiam supplexque sedebo
«Et mea cum muto fata querar cinere7.

v. 128-129. . . una fragranza intorno
Sentia qual d’aura de’ beati Elisi

«Memoria Josiae in compositione unguentorum facta opus pigmentarii»8. [p. 77 modifica]E in un’urna sepolcrale:

ΕΝ ΜΥΡΟΙΣ
ΣΟ ΤΕΚΝΟΝ
Η ΨΥΧΗ


«Negli unguenti, o figliuolo, l'anima tua»9.

v. 131-132 . . . . . . le britanne
Vergini.

«Vi sono de’ grossi borghi e delle piccole città in Inghilterra, dove precisamente i Campi Santi offrono il solo passeggio pubblico alla popolazione; vi sono sparsi molti ornamenti e molta delizia campestre»10.

v. 134-135-136 . . . . al prode
Che tronca fe’ la trïonfata nave
Del maggior pino, e si scavò la bara.

L’ammiraglio Nelson prese in Egitto a’ Francesi l’Oriente vascello di primo ordine, gli tagliò l’arbore maestro, e del troncone si preparò la bara; e la portava sempre con sè.

Verso 154 e seg. . . . il monumento
Vidi ove posa il corpo di quel grande.

Mausolei di Niccolò Machiavelli, di Michelangelo, architetto del Vaticano: di Galileo, precursore di Newton; e d’altri grandi nella chiesa di Santa Croce in Firenze.

v. 173-174 E tu prima, Firenze, udivi il carme
Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggìasco.

È parere di molti Storici che la Divina Commedia fosse stata incominciata prima dell’esilio di Dante.

v. 175-176. . . . i cari parenti e l’idioma
Desti a quel dolce di Callìope labbro.

Il Petrarca nacque nell’esilio, di genitori fiorentini:

v. 179. . . . . Venere Celeste.

Gli antichi distingueano due Veneri; una terrestre e [p. 78 modifica]sensuale, l’altra celeste e spirituale11: ed aveano riti e sacerdoti diversi.

v. 183-184 Irato a’ patrii Numi errava muto
Ove Arno è più deserto.

Così io scrittore vidi Vittorio Alfieri negli ultimi anni della sua vita. Giace in Santa Croce.

v. 193 Ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi

«Nel campo di Maratona è la sepoltura degli Ateniesi morti nella battaglia; e tutte le notti vi s’intende un nitrir di cavalli, e veggonsi fantasmi di combattenti»12. L’isola d’Eubea siede rimpetto alla spiaggia ove sbarcò Dario.

v. 205. . . . delle Parche il canto.

«Veridicos Parcae coeperunt edere cantus»13.

Le parche cantando vaticinavano le sorti degli uomini nascenti e de’ morenti.

v. 210-211 . . . . dell’Ellesponto
I liti.

«Gli Achei innalzino a’ loro Eroi il sepolcro presso l'ampio Ellesponto, onde i posteri navigatori dicano: Questo è il monumento d’un prode anticamente morto14. E noi dell’esercito sacro de’ Danai ponemmo, o Achille, le tue reliquie con quelle del tuo Patroclo, edificandoti un grande ed inclito monumento ove il lito più eccelso nell’ampio Ellesponto, acciocchè dal lontano mare si manifesti agli uomini che vivono e che vivranno in futuro15.

Verso 212-213 Alle prode Retée l’armi d’Achille
Sovra l'ossa d’Ajace.

«Lo scudo d’Achille innaffiato del sangue d’Ettore fu con iniqua sentenza aggiudicato al Laerziade; ma il mare lo rapì al naufrago facendolo nuotare non ad Itaca, ma alla tomba [p. 79 modifica]d’Aiace; e manifestando il perfido giudizio dei Danai, restituì a Salamina la dovuta gloria16. Ho udito che questa fama delle armi portate dal mare sul sepolcro del Telamonio prevaleva presso gli Eolii che posteriormente abitarono Ilio»17. Il promontorio Retèo che sporge sul Bosforo Tracio è celebre presso tutti gli antichi per la tomba d’Ajace.

v. 229 Eterno . . . un loco.

I recenti viaggiatori alla Troade scopersero le reliquie del sepolcro d’Ilo antico Dardanide18.

v. 230-231 . . . La ninfa a cui fu sposo
Giove ed a Giove diè Dardano figlio.

Tra le molte origini de’ Dardanidi, trovo in due scrittori greci19 che da Giove e da Elettra, figlia di Atlante, nacque Dardano. Genealogia accolta da Virgilio e da Ovidio20.

v. 248-249 . . . . L’Iliache donne
Sciogliean le chiome.

Uso di quelle genti nell’esequie e nelle inferie:

«Stant manibus arae,
«Et circum Iliades crinem de more solutae21.

v. 251 Cassandra.

«Fatis aperit Cassandra futuris
«Ora, dei jussu, non umquam credita Teucris22.

v. 273 Mendico un cieco.

Omero ci tramandò la memoria del sepolcro d’Ilo23. [p. 80 modifica]È celebre nel mondo la povertà e la cecità del sovrano Poeta.

«Quel sommo
«D’occhi cieco, e divin raggio di mente,
«Che per la Grecia mendicò cantando:
«Solo d’Ascra venian le fide amiche
«Esulando con esso, e la mal certa
«Con le destre vocali orma reggendo
«Cui poi tolto alla terra, Argo ed Atene,
«E Rodi a Smirna cittadin contende:
«E patria ei non conosce altra che il cielo24.

Poesia di un giovine ingegno nato alle lettere e caldo d’amor patrio: la trascrivo per tutta lode, e per mostrargli quanta memoria serbi di lui il suo lontano amico.

v. 278 Ilio raso due volte

Da Ercole25, e dalle Amazzoni26

v. 281 Ai fatati Pelìdi.

Achille, e Pirro ultimo distruttore di Troja.

Note

  1. Lucrezio, lib. iii, 85.
  2. Terenzio, Eunuco Att. iii, Sc. 5. Ed Ennio presso Varone de l. i, lib. vi.
  3. Odissea, lib. xiv. 369.
  4. Virgilio, Eneid. lib. iii, 62. ibid. 305; lib. vi, 177.
  5. Apuleio, de Deo Socratis.
    ARA SEPULCRI.
  6. Persio, Sat. i, 38.
  7. Tibullo, lib. ii, eleg. viii.
  8. Ecclesiastici, cap. xlix, i.
  9. Iscrizioni antiche illustrate dall’abate Gaetano Marini p. 184.
  10. Ercole Silva, Arte de’ giardini inglesi p. 327.
  11. Platone, nel Convito, e Teocrito, Epigram. xiii.
  12. Pausania, Viaggio nell’Attica, c. xxxii.
  13. Catullo, Nozze di Tetide vers. 306.
  14. Iliade, lib. vii, 86.
  15. Odissea, lib. xxiv, 76 e seg.
  16. Analecta veterum Poetarum, editore Brunch, vo. iii, Epigram. anonimo cccxc.
  17. Pausania, Viaggio nell’Attica, cap. xxxv.
  18. Le Chevalier, Voyage dans la Troade, seconda edizione. — Notizie d’un viaggio a Costantinopoli dell’ambasciadore inglese Liston, di M. Hawhins, e del D. Dallaway.
  19. Lo scoliaste antico di Licofrone al verso 19. - Apollodoro, Bibliot. lib. iii, cap. 12.
  20. Eneide, lib. viii, 134. Fasti, lib. iv, 31.
  21. Virgilio Eneide lib. iii, 65.
  22. Idem, lib, ii, 246.
  23. Iliade, lib. xi, 166.
  24. Versi d’Alessandro Manzoni in morte di Carlo Imbonati.
  25. Pindaro, Istmica v. epod. 2.
  26. Iliade, lib. viii, 189.

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