I dintorni di Firenze, volume I/IX. Barriera del Ponte alle Mosse
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IX.
Barriera del Ponte alle Mosse
Itinerario. — Via Pistoiese - Peretola - Ormannoro - Campi. Via Lucchese - Petriolo - Quaracchi - La Sala - Brozzi - S. Andrea a Brozzi - S. Donnino - S. Piero a Ponti - San Moro - Lecore -Poggio a Cajano.
Mezzi di comunicazione. — Ferrovia Firenze-Livorno (stazioni di S. Donnino e Signa). - Tranvai Firenze-Prato (fermate di Peretola - Via di Sesto - Campi) - Firenze-Poggio a Cajano (fermate di Peretola, Petriolo, Quaracchi, Sala, Brozzi, S. Andrea, S. Martino, S. Piero a Ponti, Colli Alti, S. Angelo, Poggio a Cajano).
Uffici di posta e telegrafo. — Campi - Brozzi - S. Donnino - Poggio a Cajano.
AL ponte sul quale la Via Pistoiese traversa il torrente Mugnone si davano le mosse ai cavalli che correvano il Palio di S. Giovanni, passando per il borgo detto le Carra, e attraversando poi in tutta la sua lunghezza la città fino alla Porta alla Croce.
Da ciò derivano il nome di questo ponte e quello della barriera daziaria che lo precede.
Al di là del ponte, la via maestra passa framezzo all’abbandonato parco di S. Donato, lungo il quale si veggono tuttora alcuni di quelli eleganti edifizj che i Principi Demidoff avevano eretti a comodo e decoro della loro splendida tenuta; e per un lungo tratto percorre poi quasi in linea retta, i bassi piani di Polverosa e di Novoli, paludosi un giorno, oggi occupati da campi e da prati ubertosi e disseminati di case e di opifici. Per il tratto di varj chilometri nessun edifizio importante s’incontra lungo questa via, percorsa dal tranvai che mette in diretta comunicazione con Firenze la città di Prato, il borgo di Poggio a Cajano ed i numerosi paesi che sorgono in questa parte popolatissima della pianura fiorentina.
Peretola. — Venendo da Firenze è la prima delle lunghe e popolose borgate in mezzo alle quali passa l’antica via detta Lucchese che per Poggio a Cajano si dirige verso Pistoja. Che il nome di Peretola derivi dalle frutta che questi piani producevano forse in abbondanza potrebbe far credere lo stemma di una pera con foglie, usato in antico da questo popolo e che si vede pure figurare negli stemmi di alcune famiglie originarie del luogo come i Mazzinghi di Peretola, i Baccelli, gli Schiattesi, i Perondoli ed altri. Per quanto situato fra terreni paludosi, il borgo di Peretola fu anche ne’ secoli lontani di notevole importanza per il numero degli abitanti e per le ricche dimore di alcune celebri famiglie. Gli Spini fra gli altri ebbero a Peretola uno splendido palagio che i ghibellini smantellarono dopo Montaperti, ma che essi rassettarono più tardi e restituirono all’antica bellezza. E vanto di questo borgo l’essere stato culla alla famiglia Vespucci dalla quale nacque il celebre navigatore Amerigo.
Come gli altri luoghi prossimi a Firenze e posti lungo le vie più frequentate, Peretola subì i danni delle guerre asprissime che desolarono la Toscana e danni maggiori sofferse specialmente nell’ottobre del 1325 quando fu per varj giorni quartiere generale delle milizie lucchesi che guidate da Castruccio scorrazzavano attorno alla città indebolita dalle perdute battaglie. Ebbe modernamente questo luogo un periodo di prosperità quando qui, come in tutti gli altri centri della pianura a ponente di Firenze, era fiorentissima e produttiva l’arte della paglia e soprattutto dei cappelli di paglia, oggi resa fonte meno copiosa di guadagni a causa della concorrenza.
Peretola ha in questi ultimi anni accresciuto notevolmente il suo fabbricato che si distende tanto sulla via maestra, quanto lungo la riva del Canale Macinante che vi passa vicino. Ha decorosi e comodi fabbricati ed una
bella piazza dalla quale si biforcano le vie Pistojese e Lucchese. Corrisponde su questa piazza l’antica chiesa parrocchiale, dinanzi alla quale il popolo di Peretola e di Petriolo eresse in onore del generale Garibaldi, una statua di bronzo, pregevole opera dello scultore Garella. Sulla facciata della Compagnia della SS. Annunziata il Comune di Brozzi, del quale il borgo di Peretola fa parte, appose una lapide in onore di Amerigo Vespucci a ricordo del luogo d’onde la famiglia di lui ebbe origine.
Motrone o il Palagio degli Spini. - Villa Bargagli-Petrucci. — In mezzo ad una vasta estensione di campi e dì praterie che da’ piani di Novoli si spingeva fin quasi alle porte del castello di Campi, inalzava orgoglioso la sua massa severa un palagio che poteva dirsi piuttosto un fortilizio, di forma ottagona, difeso oltre che dalle sue mura gagliarde, dal profondo fossato che lo circondava, attraversato soltanto dal ponte levatojo. Era il palagio campestre degli Spini, una delle famiglie che nell’inquieto periodo delle fazioni esercitò al massimo grado autorità e potenza nell’andamento delle pubbliche cose. Il palagio di Motrone, posto all’estremità del borgo di Peretola dal lato di Firenze, poteva considerarsi anche come un baluardo a guardia e difesa di Firenze, perchè dominando tutte le vie principali che da questo lato facevan capo alla città, era luogo di sicuro asilo anche per le milizie poste a custodia di quel passo importante. Ma la rabbia delle fazioni non risparmiò nemmeno cotesto palagio, perchè dopo Montaperti, i ghibellini ebbri del trionfo, sfogarono tutto lo sdegno che nutrivano contro gli Spini, potenti campioni della parte guelfa, smantellando e abbattendo la loro forte dimora. Passato il triste periodo, l’edilizio fu da’ suoi possessori rialzato dalle rovine, ma allora da castello si trasformò in semplice palazzo di villeggiatura, dimora però ricca e sontuosa dove gli Spini poterono esercitare signorilmente l’ospitalità, accogliendovi principi, cardinali, ambasciatori che per la via di Pistoja si dirigevano a Firenze. Fu in questo palazzo che Geri degli Spini capo potente di parte Nera, tanto potente che per molti anni poteva dirsi quasi signore di Firenze, potè goder colla donna sua «costumata, di bel parlare e motteggiante» pochi giorni di quiete familiare, riposandosi delle fatiche che le lotte diuturne, le guerre dove fu capitano di milizie, le ambascerie e gli uffici affidategli gli procuravano.
Nel 1326, ospite certo non gradito, gli Spini dovettero accettare Castruccio degli Antelminelli il fiero condottiero lucchese che arditamente s’era spinto colle sue milizie fin sotto le mura della città sconfitta e sbigottita. Fin che l’ultimo fiato della gloriosa famiglia non venne a mancare il palagio di Motrone fu gelosamente conservato dagli Spini e dopo passò nei loro successori i Del Tovaglia e poi i Pitti. Dai figli del Cav. Roberto Pitti, Motrone fu venduto il 17 luglio 1837 al Cav. Priore Filippo Matteoni e da lui per eredità passava nella nobile famiglia senese dei Bargagli-Petrucci che tuttora ne è in possesso.
La villa di Motrone conserva tuttora la sua forma ottagona, ma i restauri e gli abbellimenti che per comodità vi sono stati fatti nel corso di varj secoli han fatto scomparire ogni carattere del vecchio e gagliardo fortilizio.
Accanto alla villa è una cappella dedicata ai SS. Filippo e Jacopo nella quale si conserva un quadro rappresentante il miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci firmato da Santi di Tito.
Dipendente pure dalla villa è il piccolo oratorio di S. Anna, posto all’entrar del borgo di Peretola, fondato dagli Spini nel XIV secolo.
Chiesa di S. Maria a Peretola. — Ampia, di bella costruzione, elegantissima per le sue decorazioni e doviziosamente ricca di opere d’arte è questa chiesa che fin da tempo remoto è ricordata fra quelle che avevano priore e canonici. Nel 1399 con bolla di Papa Bonifazio IX essa ebbe il fonte battesimale per comodità dei suoi popolani a’ quali era malagevole recarsi a Firenze o alla Pieve di S. Stefano in Pane per causa delle strade assai fangose nell’inverno. Nel 1449 la chiesa di Peretola, sulla quale aveva antico diritto di patronato lo Spedale di S. Maria Nuova, venne con bolla di Niccolò V unita e incorporata con tutte le sue pertinenze nello Spedale stesso dal quale essa venne distaccata nel 1787. Fu pertanto nel lungo periodo in cui stette sotto quell’amministrazione che dallo Spedale e dai suoi spedalinghi ed in specie da Messer Lionardo Buonafede venne arricchita del cospicuo patrimonio artistico che in gran parte conserva tuttora. Sull’alto della sua facciata, che nel 1466 venne dipinta di verde terra dal pittore Giusto d’Andrea, vedesi tuttora lo stemma dello Spedale, in terracotta invetriata. Dinanzi alla chiesa è un elegante portico d’ordine toscano, sotto il quale è un affresco che rappresenta S. Antonio abate seduto in cattedra fra S. Jacopo Apostolo e S. Egidio, opera eseguita nel 1466 da Giusto d’Andrea di Giusto Manzini. Nella lunetta sopra la porta è un altro affresco del XIV secolo raffigurante la Vergine col bambino Gesù e due mezze figure di Santi. L’interno della chiesa, che fu completamente restaurata nel 1888, è tutto a decorazioni policrome di carattere del xv secolo. Principale adornamento della chiesa è il meraviglioso ciborio di Luca Della Lobbia nel quale si trovano associate in vaga armonia opere di scultura in marmo, d’invetriato e di bronzo. Il semplice, ma elegante fonte battesimale è opera di Mino da Fiesole, e di Francesco di Simone Ferrucci è il delicato ciborio. Una Pietà ed una lunetta colla mezza figura di S. Zanobi sono caratteristiche pitture a fresco del XIV secolo. Più importanti sono gli affreschi scoperti nel 1888 nella cappella di S. Leonardo fondata ai primi del XVI secolo dal Vescovo Lionardo Buonafede spedalingo di S. Maria Nuova. Rappresentano storie della vita del Santo titolare e risentono della maniera di Filippino Lippi.
Nella canonica annessa alla chiesa è un ampio cortile con tettoja policroma sostenuta da esili colonnette joniche, di un effetto pittorico squisito e che può considerarsi come raro e prezioso esempio dei cortili del XV secolo.
Dalla Piazza di Peretola, sulla quale ebbero in antico alcune case gli Spini, i Del Bene, i Del Voglia, i Vespucci si partono due vie principali: la Strada Pistoiese che per il piano dell'Ormannoro si dirige verso Campi e Prato e la Via Lucchese che attraversando Brozzi e gli altri borghi di quel Comune, passa per il Poggio a Cajano e prosegue poi per Pistoja e Lucca. Seguiremo frattanto la prima delle due strade.
Tabernacolo. — Al principio della via dell’Ormannoro, a sinistra di chi muove dalla Piazza di Peretola, è sopra la casa Targioni un tabernacolo che racchiude un bassorilievo di terracotta, diviso orizzontalmente in due parti. Nella parte superiore è la Madonna col bambino Gesù in grembo: in quella inferiore è raffigurato il Presepio. È un buon lavoro de’ primi del XVI secolo.
Oratorio detto della Cupola. — È un grazioso tempietto di forma ettagona sormontato da una cupola, il quale venne edificato nel 1510 per racchiudervi un antico tabernacolo che sorgeva lungo l’argine del fosso dell’Ormannoro. Il dipinto a fresco che decora cotesto tabernacolo rappresenta la Vergine che, genuflessa, piange dinanzi al corpo esanime del Redentore. Ai lati sono S. Giovanni Evangelista e Giuseppe d’Arimatea; indietro due angeli. È opera di artista assai valente della prima metà del XV secolo.
Piano dell'Ormannoro o Osmannoro. — Dal nome di un fosso che l’attraversa in tutta la sua lunghezza, per imboccare poi al Ponte di Maccione nel Fosso Reale, s’intitola il vasto piano posto fra Peretola, Campi e Brozzi, piano che per il corso di secoli non fu che un vasto padule, causa di malaria e di febbri. La Signoria di Firenze più e più volte deliberò provvedimenti e stanziò somme rilevanti per la esecuzione di molti lavori atti a regolare l’andamento delle acque, riuscendo così a bonificare ampi tratti della pianura per destinarli a benefizio dell’agricoltura. S’incanalarono i torrenti che scendevano dal Monte Morello, si costruirono argini, si aprirono fossi e dogaje ed i lavori vennero poi completati a tempo del governo Mediceo coll’escavazione del Fosso Reale che per mezzo di canali e di fosse intermedie, raccoglieva tutte le acque dei campi a tramontana della strada pistoiese. Ma il piano dall’opposto lato, che si stende al disopra della strada lucchese a tramontana dei borghi di Brozzi, per avere un livello inferiore alle magre dell’Arno, del Bisenzio e degli altri minori torrenti attende ancora provvidi lavori di bonifica, giacché le vaste praterie che lo costituiscono si coprono tuttora di acque, quando nelle invernate piovose esse non trovano sufficente esito nei fossi che l’attraversano.
S. Croce all’Ormannoro. — Sulla riva del fosso che da nome alla pianura venne edificato nel 1250 un piccolo convento dove, sfidando la tristezza del luogo paludoso e deserto, si stabilirono pochi eremitani di S. Agostino. Papa Alessandro IV nel 1253 prese sotto la protezione della Sede Apostolica il nuovo convento, assegnandogli varj beni di chiese del territorio di Pisa e di Volterra e più tardi, nel 1305, la potente famiglia degli Spini dotò la chiesa che vi era annessa e ne acquistò il patronato. Quasi nello stesso tempo venne annesso al convento un piccolo spedale per accogliervi i pellegrini ed i passanti colpiti dalle febbri. Nel 1461 gli Spini conservavano ancora il patronato di S. Croce all’Ormannoro, ma del convento e dello spedale, passati per qualche tempo ai Carmelitani, non si hanno più altre memorie alla fine di quel secolo.
L’edìfizio, ridotto oggi ad uso di agenzia rurale, conserva il suo primitivo carattere ed esiste tuttora la modesta chiesetta sulla facciata della quale è lo stemma degli antichi patroni.
A breve distanza da S. Croce, nel punto in cui la via piega bruscamente verso tramontana traversando sopra un ponte il Posso dell’Osmannoro e il Fosso Reale, è
Maccione. — Questo nome che in tempi lontani si trova trasformato in Macione ed anche Maggione, è proprio di un’ampia tenuta, composta in gran parte di praterie soggette alle alluvioni, di campi e di cascine, situata nel luogo dove il torrente Gaville si collega ai fossi di scolo della pianura dell’Ormannoro. Ne’ tempi lontani questi beni erano assai frazionati; vi possedevano i Rucellai, gli Spini, i Del Troscia ed i frati Vallombrosani di S. Jacopo tra i Fossi di Firenze, proprietarj del fabbricato che fu dipoi dei Corsi e che oggi serve ad uso di agenzia e di magazzini della tenuta.
Dopo Maccione si entra nel territorio del comune di Campi e lungo la via cominciano poco dopo numerosi gruppi di case che si potrebbero dire subborghi popolatissimi dell’antico castello di Campi. Campi=Bisenzio. — Forte castello un giorno, oggi centro importantissimo di popolazione, e di movimento, Campi nei ricordi della sua storia riassume molte ed importanti vicende della storia toscana del medioevo. Castello dell’Impero fin da’ tempi di Carlomagno, luogo di dimora e di villeggiatura di famiglie potentissime, esso vide fra le sue mura scoppiare nel 1215, in una festa in casa de’ Mazzinghi, la prima scintilla delle fazioni terribili de’ Guelfi e de’ Ghibellini. E della violenza di queste fazioni esso sentì gli effetti tristissimi, quando dopo Montaperti fu invaso da’ Ghibellini che rabbiosamente infierirono sulle dimore de’ Guelfi incendiandole e distruggendole. La situazione sua importantissima lungo una delle maggiori vie di Toscana, al passo del fiume Bisenzio, indussero la Repubblica a munirlo di gagliarde fortificazioni; ciò che non valse pertanto a sottrarre il castello agli assalti ed ai saccheggi di Castruccio degli Antelminelli, di Giovanni d’Oleggio e delle milizie mercenarie straniere che lasciavano sempre sul loro passaggio la desolazione e lo sconforto. Nuove e più potenti fortificazioni vi furono fatte nel 1376 dalla Repubblica, affinchè Campi potesse servire in tempo di guerra di sicuro asilo agli uomini della campagna i quali divenivano così altrettanti difensori del castello.
Ma sui tanti e frequenti episodj guerreschi che a Campi ebbero il loro parziale svolgimento ci convien sorvolare per brevità.
Delle opere di fortificazione del castello che ebbe, come la maggior parte di quelli edificati nel contado dalla repubblica fiorentina, forma rettangolare, numerose tracce sussistono tuttora: de’ lunghi tratti di mura munite di ballatoio, le mura quasi intatte con alcune torri sulla riva del Bisenzio, la bella rocca o capo di ponte al di là del fiume e qualche resto del cassero. Le porte che sussistevano anche alla metà del xix secolo vennero abbattute per comodità del transito e per identica ragione fu sostituito, con uno nuovo, e molto più comodo, edificato nel 1832, il ripido ponte medievale. Oggi il castello di Campi è il centro, il nucleo di un grosso paese di quasi 7000 abitanti, formato da lunghe borgate che si distendono in ogni senso. Ha una bella strada centrale con decorose fabbriche, diverse piazze abbastanza ampie, un bel teatro dedicato a Dante, una vasta pieve, la residenza del Comune e della Pretura. Commercialmente ha importanza per la lavorazione della paglia, delle spazzole di saggina ecc.
Diversi uomini illustri ebbero qui i natali; ma su tutti prevale il ricòrdo di Fra Ristoro domenicano, architetto valentissimo al quale si deve in molta parte la costruzione della chiesa e del convento di S. Maria Novella.
Delle numerose famiglie fiorentine che ebbero abitazioni e possessi a Campi meritano speciale ricordo i Mazzinghi, originarj appunto di questo luogo dove furono padroni di palazzi, di ville e poderi. Anche i Foresi chiamati pure Filigni da Campi, i Del Troscia, i Del Vigna, i Brancacci, i Cantucci, i Cennamelli, i Sodi, i Bernardeschi ecc. ebbero la loro origine in questo castello o nelle sue vicinanze. Infiniti possessi v’ebbero pure fino dal XIV secolo i Rucellai e gli Strozzi.
Palazzo Comunale. — È un modesto edifizio il quale non ha d’importante che la copiosa raccolta di stemmi dei Podestà che vi risedettero ed un affresco della fine del XIV secolo rappresentante l’Annunziazione. Campi fu a capo di una delle Leghe del Contado che comprendeva anche i pivieri di Signa e di Brezzi e fino dalla metà del xiv secolo fu sede di un Podestà. Fu Podestà di Campi per sei mesi dell’anno 1523 Francesco Ferrucci, l’ultimo e glorioso capitano della Repubblica fiorentina.
Pieve di S. Stefano. — Questa chiesa è d’origine antichissima ed anteriore a quella della costruzione del castello; per tale ragione è fra le poche pievi che, contro la consuetudine, si trovano nell’interno di un castello. È ampia, a tre navate, ma nei molti restauri subiti ha perduto quasi affatto le tracce della sua primitiva struttura. Era provvista un giorno di cospicue rendite, talché venne spesso concessa a prelati illustri e benaffetti i quali raramente risedevano a Campi e vi esercitavano le loro funzioni. La pieve fu un giorno assai ricca di opere d’arte; ma oggi ben poche ne sussistono che presentino qualche importanza: una tavola colla Madonna in trono ed i santi Bartolommeo, Giovan Battista e Antonio abate, attribuita a Filippino Lippi, ma deturpata dai restauri, una statuetta Robbiana rappresentante S. Giovanni Battista, un’elegante pila da acqua santa del 1500 e qualche dipinto discreto del XVII secolo.
Il Cassero. — Sulla piazza del Mercato, nel luogo dove hanno oggi sede la Pretura, la caserma dei carabinieri e le carceri, fu l’antico cassero, ordinaria dimora del Castellano. Una torre scapezzata, delle volte, qualche tratto di solide mura, gli stemmi della repubblica fiorentina scolpiti in pietra stanno ancora a dimostrare l’esistenza di questo edifizio che costituiva la parte meglio fortificata del castello.
La Rocca. - Fattoria Strozzi. — Oltrepassato appena il ponte sul Bisenzio sorge l’antica rocca edificata a difesa e guardia di quel passo importante. L’edifizio è oltremodo interessante e caratteristico e conserva in gran parte la sua originaria struttura, colla torre, il ballatojo, l’antiporto e alcune parti interne. Per questa ragione è da considerarsi come uno degli esempi più completi di questo genere di architettura militare. Fin dai primi del XV secolo la rocca di Campi appartiene alla famiglia Strozzi. Oggi è ad uso di fattoria.
Nei borghi popolatissimi che oggi costituiscono come un insieme col castello, nulla v’è d’interessante all’infuori delle chiese che brevemente ricorderemo.
S. Martino a Campi. — È di remota origine, ma dell’antichità sua serba ben poche tracce. Fu di patronato dei Mazzinghi e dei Foresi. D’opere d’arte possiede: una tavola della maniera di Domenico Ghirlandaio, colla Madonna, il bambino, S. Pier Martire e S. Martino vescovo: due statue di terracotta di Giovanni Della Robbia rappresentanti i Santi Rocco e Sebastiano.
S. Maria a Campi. — Di vecchia costruzione, ma completamente trasformata, questa chiesa interessa per alcuni affreschi che vi si conservano. Nella cappella di S. Jacopo tutte le pareti sono adorne di storie di quel Santo che ricordano la maniera di Taddeo Gaddi. Un altro affresco, sull'altare a sinistra entrando, raffigura la Madonna in trono coi Santi Giovan Battista e Lorenzo. Porta la data 1332 ed è pure di scuola Gaddiana.
Attorno a Campi e nei popoli del piviere sorgevano innumerevoli ville di antiche e potenti famiglie fiorentine, fra le quali quelle Rucellai, Strozzi, Tornaquinci, Davanzati, Federighi, Brancacci, Mazzinghi, Cantucci, Soderini, Stefani, Corsini, Ginori, Berardi, Riccardi, Giugni, Della Stufa, Capponi, Tedaldi, Alamanni, Michelozzi, Benintendi ecc.
Non potendo dar soverchia estensione a questa nostra illustrazione, ci limiteremo a poche notizie relative ad alcune fra le principali di queste ville.
Campi. - Villa Rucellai. — I Rucellai ebbero nel comune di Campi non meno di dieci case da signore, molti poderi e terre fino dal XIV secolo. Delle loro ville la più importante è quella che la famiglia ha conservato per il lungo corso di secoli, posta appena fuori del, castello dal lato di levante. È un edifizio di carattere barocco, ma ricco di eleganti decorazioni e reso gaio dallo splendido giardino che lo circonda.
Villa alla Marina. - Villa Matteucci. — È un’ampia ed elegante villa d’antichissima costruzione. Fu in origine dei Tornaquinci; poi passò ai Gaetani e nel 1764 Isabella Gaetani la portò in dote a Leone Ramirez di Montalvo. Da questa famiglia passò per eredità nei Matteucci.
Fornello. - Villa Sarri. — Fu per lunghissimo tempo della famiglia Del Vigna ed è forse da questo casale di Fornello che essa andò più tardi a stabilirsi a Firenze. La villa fu dipoi del Capitolo Fiorentino.
Il Palagio. - Villa Mazzoni. — È posta nel popolo di S. Lorenzo ed è fra le più belle ville dei dintorni di Campi. Appartenne in antico agli Strozzi e poi fu dei Bruni.
L’Olmo. - Villa Viviani. — Fu dei Borghini e più tardi dei Della Robbia da’ quali l’ebbero in eredità, insieme al cognome, i Viviani.
Ed ora facciamo ritorno a Peretola e terminiamo le nostre escursioni percorrendo la Via Lucchese. Petriolo. — Borgo assai popolato che si potrebbe chiamare
quasi una continuazione dell’altro borgo di Peretola col caseggiato del quale esso è collegato. Varie interpretazioni si sono date al nome di questo borgo che secondo taluno deriva dalla parola provenzale che è il diminutivo di Pietro, secondo altri della corruzione di Pretoriolo o piccolo pretorio, mentre altri suppone derivi dalle pietre miliari. Certo è che nessuna di tali interpretazioni offre
un carattere accettabile di sicurezza. Di questo borgo si hanno ricordi fino dall’XI secolo, nel quale si vuole che qui sorgesse un castello eretto da’ longobardi a difesa della strada.
Diverse famiglie fiorentine ebbero possessi a Petriolo; ma due specialmente, egualmente celebri nei ricordi storici della città, i Pilli e i Del Bene vi possedettero fin da tempo remoto solidi e grandiosi palagi.
Il Palazzo già Del Bene, oggi Bettarini, è posto a metà del Borgo; si distingue per l’eleganti linee architettoniche del XVII secolo e per gli stemmi dell’antica famiglia che si vedono in varie parti.
Il Palazzo de’ Pilli, oggi de’ Pichi, eredi Sermolli, è sulla via della Chiesa. Ha sulla facciata uno stemma del XV secolo ed un tabernacolo che contiene un calco di un bassorilievo della maniera del Bossellino. I Pilli ebbero pure un’altra casa nel borgo e su questa pure rimane tuttora il loro stemma.
Chiesa di S. Biagio a Petriolo. — La forma ed il carattere esterno dell’abside semicircolare, unica parte della primitiva struttura della chiesa sfuggita alle trasformazioni successive, mostrano com’essa fosse edificata nell’XI secolo e difatti essa si trova già ricordata in documenti del secolo posteriore. Una prima e sostanziale modificazione fu fatta alla chiesa nel XIV secolo dalla famiglia Pilli che ne adornò la facciata e ne rinnovò la porta sulla quale si veggono scolpiti i di lei stemmi. I Pilli con sentenza del 1353 avevano ottenuto di succedere, a parte coi parrocchiani, ai diritti di patronato che fin da tempo remoto avevano sulla chiesa i Filitieri Da Castiglione e forse fu allora che essi ebber cura di risarcire la fabbrica mal ridotta per ragioni di vetustà. Dinanzi alla chiesa è un’antica tettoja a guisa di portico, sorretta da svelte colonnette, eretta quasi a difesa degl’interessanti affreschi che adornano la parte inferiore delle pareti. Essi sono divisi in varj spartiti e rappresentano differenti soggetti: la Trinità, la Deposizione della croce, i Santi Niccolò di Bari, Bartolommeo apostolo, Jacopo apostolo e Cristofano. Sono opere della prima metà del xv secolo e ricordano la maniera di Bicci di Lorenzo. La porta adorna degli stemmi dei Pilli e del Popolo, è sormontata da una lunetta nella quale è un affresco della maniera dei Gaddi rappresentante la Madonna col bambino Gesù fra S. Biagio e S. Lucia. Questi affreschi che erano stati imbiancati, vennero scoperti e riparati nell’anno 1893.
L’interno della chiesa, a tre navate, ha carattere totalmente moderno. Vi si conserva una tavola della scuola di Fra Bartolommeo rappresentante la Madonna in trono col bambino ed ai lati S. Giovanni Evangelista, S. Niccola da Tolentino, S. Luca e S. Francesco d’Assisi. Vaghissimo pelle sue forme è un ciborio di marmo con eleganti figure di angeli, delicati ornati e cogli stemmi della famiglia Del Tovaglia. Esso ricorda la maniera di Desiderio da Settignano.
La canonica è ricca di belle decorazioni in pietra che portano gli stemmi dei Pilli e della famiglia Del Tovaglia alla quale appartenne forse qualche rettore della chiesa.
La Madonna del Terrazzo. — È un piccolo oratorio posto a breve distanza dal borgo di Petriolo. Fu in origine un tabernacolo dove un pittore della scuola dei Gaddi fresco la Vergine col bambino, due santi e due angioli. Nel XVI secolo il tabernacolo fu chiuso e ridotto a cappella della quale vennero dipinte anche le pareti. Oggi non vi rimane che il vecchio affresco assai danneggiato dall’umidità.
Nel popolo di Petriolo furono due antiche chiese delle quali oggi non si hanno più tracce. Una chiesa di S. Maria a Liccio che il Vescovo di Firenze, Lamberto, donò nel 1026 alla Badia di S. Miniato al Monte, alla quale la confermò il Vescovo Ildebrando; ed un Eremitorio fondato da una Mona Bella eremita in detto luogo e che è rammentato in un documento del 1308. Le Sciabbie. — È un caseggiato che si distende a tramontana del borgo di Petriolo. In questa località, nel XV e XVI secolo, possedette un’antica casa la famiglia Ferrucci alla quale apparteneva il celebre capitano Francesco, il glorioso campione della libertà fiorentina.
Quaracchi. — Oltrepassato il ponte che traversa il Canale Macinante si trova lungo la via Lucchese questo borgo, attorno al quale sorgono diversi antichi casali. Di esso i ricordi sono remotissimi, trovando che se ne fa menzione in documenti del IX secolo. Anche l’origine del nome di Quaracchi è incerta. Chi lo dice corruzione di Aquariaculea, ossia anfore da acqua, chi di Claraeaquae, vale a dire acque chiare; certo esso ha origine dalle condizioni della località in antico palustre e continuamente invasa dalle acque dell’Arno e dei fossi che attraversano la bassa pianura. A Quaracchi ebbero antichi possessi gli Strozzi, i Pilli, gli Schiattesi, i Rucellai, gli Acciajuoli.
Chiesa di S. Pietro a Quaracchi. — Più remota di quella delle altre vicine è l’origine della chiesa di S. Pietro a Quaracchi della quale si trova un primo ricordo nell'anno 866; ma essa più delle altre ha subito i danni delle alterazioni de’ secoli successivi, talché oggi ha carattere moderno ed insignificante e conserva appena poche tracce della sua vetustà. Numerose famiglie si succedettero e si alternarono nei diritti di patronato su questa chiesa. Nel XIII secolo i Da Castiglione; nel 1371 i Pilli, nel 1399 gli Schiattesi da Peretola, nel 1418 i Dell’Antella, che lo cedono ai Corsini ed ai Pilli, e questi alla lor volta lo donano un’altra volta agli Schiattesi. Più modernamente, il patronato era dei Capponi. La chiesa per un periodo di tempo fece parte insieme coi suoi beni di una commenda dell’Ordine Gerosolimitano. Nel popolo di Quaracchi esisteva un monastero intitolato di
S. Luca a Quaracchi. — Di esso troviamo il ricordo che «il 26 aprile 1316 Antonio d’Orso vescovo di Firenze concede licenza alla Badessa di S. Luca a Quaracchi di unirsi con tutte le ragioni e pertinenze alle suore o recluse di Campo Corbolini e permette di vendere il luogo che abitavano a Quaracchi per supplire alle spese dell'unione dei due monasteri».
Lo Specchio. - Convento dei Frati Minori. — Fu villa antichissima dei Rucellai e per quanto la tradizione ed i ricordi familiari la dicano edificata da Giovanni di Paolo Rucellai, lo stesso che fece erigere in Firenze il palazzo di Via della Vigna Nuova, pure i caratteri di alcune parti dell’edilìzio e soprattutto il cortile, sono del XIV secolo. De’ tempi di Giovanni sono invece alcune decorazioni di pietra e fra le altre un lavabo. Modernamente la villa di Specchio fu degli Orsini dai quali l’acquistarono i Frati Minori per farne sede di un Collegio e di una Stamperia dove si studiano e si pubblicano le opere francescane, specialmente di S. Bonaventura.
Gli Agi o l’Agio. — È oggi un casale dove fin da tempo remoto possedettero una casa da signore gli Strozzi.
Chiasso dell’Oche. — Anche questo è un caseggiato che fa parte del borgo di Quaracchi e qui per il corso di varj secoli ebbe villa la famiglia Acciajuoli.
La Sala. — È un villaggio sparso del quale fa parte anche un piccolo borgo situato lungo la Via Lucchese. Il nome di esso ha indubbiamente origine da una piccola corte (sala) de’ tempi longobardi, ricordata in documenti dell’XI secolo. Anche in questo luogo ebbero ville e beni di campagna diverse celebri famiglie fiorentine e più specialmente i Corbinelli, i Tornaquinci ed i Popoleschi.
Chiesa di S. Lucia alla Sala. — La costruzione di questa chiesa è anteriore al mille, giacché se ne trovano ricordi fino dalla metà dell’xi secolo. Essa però dev’essere stata in gran parte rifatta nel XIII secolo, giacché serba i caratteri dell’arte di quel tempo. Diverse famiglie ne ebbero il patronato: nel 1357 i Tornaquinci ed i Marini; più tardi i Niccolini ed i Ricciardi-Pollini. Speciali cure ebbero per questa chiesa i Corbinelli che vi eressero cappella, vi eseguirono lavori di adornamento e vi ebbero la loro sepoltura. Poche opere d’arte esistono nella chiesa di S. Lucia: un antico Crocifisso, un ciborio ed un altro identico tabernacoletto con delicati adornamenti scolpiti in marmo che ricordano altri lavori congeneri usciti dalla bottega di Giuliano Da Majano. Dinanzi all’altar maggiore è la sepoltura dei Corbinelli colla data 1408.
Sala. - Villa Pastinali. — Era una delle case da signore che fin dal XIV secolo erano possedute dalla celebre famiglia Corbinelli. Alla fine del XVI secolo passò nei Pasquali i quali per un lungo periodo di tempo furono padroni di un numero considerevolissimo di ville, di case e di poderi nel territorio di Brozzi.
Brozzi. — È la più importante e più popolata fra le borgate che fra Firenze ed il Poggio a Cajano sorgono lungo l'antica Via Lucchese ed è capoluogo di un comune costituito nel 1809 col distacco di una parte del territorio del Comune di Sesto.
Posto in mezzo alla pianura che fu un giorno paludosa e sottoposta di continuo alle alluvioni dell’Arno, Brozzi si accrebbe notevolmente di fabbricati e di popolazione allorquando con notevolissimo dispendio la repubblica fiorentina riuscì con un ben inteso sistema di fossi e di argini a sottrarre ai danni della malaria questa parte del suo antico territorio.
Sono tre le borgate che portano il nome di Brozzi, ciascuna con parrocchia propria; ma la più notevole è quella che dipende dalla Pieve di S. Martino e che è oggi sede del Comune. Molti abbellimenti, molte comodità vi sono state aggiunte modernamente, come la grandiosa piazza che serve ai mercati ed alle fiere; ma anche in antico Brozzi fu un importantissimo borgo nel quale molte illustri famiglie fiorentine edificarono palazzi robusti e grandiosi e comode e decorose ville. Brozzi conserva tuttora in molta parte il carattere singolare e pittoresco di un borgo medievale e parecchie delle sue fabbriche più antiche, ricordano col loro aspetto severo ed elegante il fasto e la potenza delle famiglie che le eressero e che vi dimorarono. Che Brozzi fosse fra le borgate fiorentine una delle più cospicue e più signorili basta a dimostrarlo la semplice memoria di coteste famiglie. Que’ palazzi, quelle case da signore che dell’antico fasto non serbano che le tracce nella robusta costruzione e nella loro grandiosa struttura, appartennero nel XV secolo agli Strozzi, ai Tornaquinci, ai Rucellai, ai Pilli, agli Erri, ai Cavalcanti, ai Pollini, ai Baldesi, ai Franceschi, ai Del Bene, ai Tncci, al fiore insomma di quella cittadinanza che fattasi opulenta coll’esercizio del commercio, ebbe in mano e guidò le sorti della patria.
Ne’ tempi tristissimi delle lotte delle fazioni Brozzi, come tutte le altre indifese borgate che si stendevano attorno a Firenze, ebbe a subire tutte le conseguenze delle ire e delle rivalità che si cozzavano con tanta violenza; e le distruzioni, le arsioni, i saccheggi lasciarono qui, forse più che altrove, tracce penose quando i ghibellini infierirono contro le proprietà de’ guelfi e quando le milizie di Castruccio e dell’Aguto sfogarono anche su questi miseri abitanti i loro istinti di violenza e di rapina.
Brozzi fu un tempo sede di potesteria che poi venne soppressa ed unita a quella di Sesto e fu pure capo di una delle leghe nelle quali era diviso il territorio della repubblica. Sottratti al dominio delle acque i vasti piani dattorno, anche l’agricoltura potè prosperare ed il territorio di Brozzi produsse sempre in abbondanza, fieni, saggine, granaglie, canape e gelsi. La natura de’ prodotti del suolo dette vita a diverse industrie locali, fra le quali, più notevoli, la produzione dei cappelli di paglia e delle granate di saggina.
Il Comune di Brozzi ha per stemma un piano paludoso, ma più opportuno sarebbe stato uno stemma parlante che rappresentasse un fosso, perchè è ormai accertato che il nome di Brozzi deriva dalla parola greca che significa appunto fosso.
Fra gli edifizj di antica costruzione che sorgono nel borgo di Brozzi due specialmente meritano di esser ricordati per l’importanza dei loro caratteri architettonici.
La Torre. - Casa Orsini-Baroni. — Fu un giorno palagio bello e grandioso e della sua antica struttura e delle sue decorazioni interne ed esterne serba tuttora resti d’un interesse pittorico singolarissimo. Il fabbricato è tutto di mattoni con cornici, porte e finestre di pietrami assai ben lavorati. Al disopra del palazzo è la torre scapezzata che gli da il nomignolo. Fu degli Strozzi fin da tempo remotissimo e nel 1577 passò per compra nei Pasquali. Ai Pasquali, che furono devotissimi di casa Medici, si deve certo la collocazione sulla facciata del palazzo di uno di quei grandi stemmi Medicei che non indicavano possesso, ma significavano atto di onoranza e di omaggio verso i Sovrani. I Pasquali convertirono il palazzo della Torre in casa da pigionali, la quale fu per un notevole periodo di tempo della famiglia Papini dalla quale passò agli Orsini.
Brozzi. - Villa Aruck-Nissim. — Quest’antico palazzo conserva alcune parti di molto interesse artistico. Sulla facciata è l’antica loggia, oggi murata, con eleganti colonne; il cortile ha un portico con colonne di granito e capitelli di pietra di squisita fattura: in uno di essi spiccano insieme ai fogliami diverse teste di tutto rilievo. Sono lavori oltremodo caratteristici del XIV secolo. A chi appartenesse in origine questo palazzo non è facile determinare, mancando nell'edifizio stemmi contemporanei alla costruzione. Nel 1427, all’istituzione del catasto, spettava per metà ad Antonio di Ser Luca Franceschi e per l'altra metà a Bartolommea Franceschi vedova di Benedetto Federighi. Restò nella famiglia Franceschi fino a’ primi del xvi secolo in cui passò nei Bonaccorsi del Lion d’Oro. Nel 1602 pervenne negli Arrighi e nell’anno stesso in Cosimo Pasquali. I Pasquali, che a poco alla volta avevano acquistato gran parte delle case del borgo di Brozzi ne fecero centro della loro vasta fattoria. Dai Pasquali andò nei Capponi e questi nel 1800 lo vendevano ai Mori-Ubaldini che assunsero il cognome di Alberti e da loro l'acquistavano i proprietarj attuali nel 1829.
La Madonna del Pozzo. — A metà del borgo di Brozzi è un piccolo oratorio nel quale si conserva un’antica immagine a fresco della Madonna che è oggetto di speciale venerazione. L’oratorio fu restaurato nel XVII secolo a spese della famiglia Bonsi della Ruota della quale vi si veggono gli stemmi.
Forse doveva sorgere presso quest’oratorio un antico Spedale di S. Lucia del quale si hanno antiche memorie. Era di patronato dei Cavalcanti e dava ospitalità ai pellegrini ed ai malati, con due letti. Brozzi. - Villa e Fattoria Orsini. — Fin dal XIV secolo era casa da signore della famiglia Lamberteschi potentissima un giorno e che in Firenze dette nome alla strada dov’ebbe palazzo e case. Però ai primi del secolo successivo i Lamberteschi erano assai decaduti dall’antica fortuna e uno dopo l’altro videro sparire i loro beni. Così la villa di Brozzi venne acquistata nel 1454 da Jacopo d’Ugolino Mazzinghi che ne comprò metà dagli Uffiziali delle vendite come beni di Andrea Lamberteschi e l’altra metà da Margherita figlia di Tommaso d’Andrea. I Mazzinghi tennero il possesso di questo luogo per dugento anni precisi e nel 1654 andò per eredità in Lucrezia di Vincenzo Mazzinghi vedova di Vieri de’ Cerchi. La figlia di lei Maria Regale la portò in dote a Baldassarre Stores nel 1670 e dai Suares de la Concha andò col patrimonio e col nome in Francesco Maria Pecori che nel 1823 la rivendè a Massimiliano Papini. Dai Papini l’ereditarono gli Orsini-Baroni, attuali possessori.
All’esterno di questa vecchia villa è un tabernacolo che racchiude un pregevole affresco della maniera di Domenico del Ghirlandajo. Rappresenta la Vergine e S. Giuseppe genuflessi in atto di adorare il bambino Gesù. Negli sguanci laterali sono le figure di S. Giuliano e S. Rocco.
Pieve di S. Martino a Brozzi. — Come può giudicarsi dalla sua costruzione, simile a quella della maggior parte delle antiche pievi del territorio fiorentino, questa chiesa deve esser sorta attorno al 1000 e dichiarata matrice delle altre che vennero erette lungo l’antica via e nei piani circonvicini. Basterebbero a provare l’antichità della chiesa i frammenti del suo fonte battesimale dell’XI e XIII secolo adoprati nel xv secolo per la composizione di un altro fonte di forme e di caratteri differenti. Nella parte tergale e nei fianchi della chiesa appaiono pure le tracce della vetusta sua costruzione. La facciata, che ebbe già un portico modernamente distrutto, conserva la caratteristica porta ed alcuni affreschi del xiv e xv secolo. Elegante di forme è il campanile a torre con polifore, restituito all’antico aspetto nei restauri eseguiti l’anno 1894. L’interno della chiesa ha maggiormente perduto il tipo originario, giacché alla copertura a cavalletti delle tre navate si sostituirono le volte che chiusero le luci delle antiche finestre a feritoja. Il fonte battesimale, opera Cosmatesca fu ricostituito di forma esagona alla fine del XV secolo, coll’aggiunta di pilastri scannellati, di cornici e di un fregio di cherubini. Eleganti lavori di scultura ornamentale in marmo di fattura e di maniera simili a quelle delle aggiunte del fonte sono un ciborio ed un tabernacoletto per l'olio santo. In sagrestia si conservano alcuni quadri fra i quali meritano d’esser ricordati una tavoletta colla Madonna, il bambino, S. Giovanni Battista, S. Antonio abate, S. Martino vescovo e S. Francesco d’Assisi di scuola fiorentina della fine del XV ecolo ed un’altra tavoletta dell’epoca e della scuola medesima colla Madonna, Gesù bambino e S. Giovannino. In epoca remota ebbero il patronato della chiesa i Cattani di Cercina che lo trasmisero ai Filitieri da Castiglione. Più tardi il patronato passò ai Pilli dei quali si veggono gli stemmi sulla porta della chiesa ed in alcuni luoghi della canonica.
Borgo di S. Andrea a Brozzi. — È una continuazione della borgata principale che dà nome al comune e come ne ebbe eguali le vicende, così ne conserva identici i caratteri. Anche qui ebbero signorili dimore illustri famiglie fiorentine e fra le altre i Lamberteschi, i Mazzinghi, i Tornaquinci ed i Giachinotti.
Chiesa di S. Andrea a Brozzi. — Dell’antica sua costruzione questa chiesa serba tracce, tanto nella parte esterna che nell’interna, per quanto sia stata parzialmente alterata da aggiunte posteriori e da restauri. Il portico esterno vi fu aggiunto nel XVII secolo. Il campanile, per quanto intonacato e colorito, conserva la sua elegante struttura del XV secolo. L’interno restaurato nel 1889 mantiene maggiormente l’antico carattere. Il patronato di questa chiesa appartenne successivamente a diverse famiglie. Nel 1295 ne erano patroni i Bernardeschi di Campi; nel 1324 oltre ai Bernardeschi altre due famiglie originarie dello stesso castello di Campi: i Foresi ed i Carboni. Per un periodo fino a’ primi del 1400, l’esercizio dei diritti patronali fu alternativo fra le famiglie Foresi e Carboni e successivamente vi entrarono pure i Mazzinghi, i parrocchiani ed i Tornaquinci per eredità delle ultime due donne di casa Carboni.
Più che per i suoi ricordi storici, comuni press’a poco alle altre chiese vicine, questa di S. Andrea offre un interesse tutto speciale per le importantissime opere d’arte che tuttora vi si ammirano in buono stato di conservazione. Esse costituiscono un prezioso gruppo, nel quale sono rappresentati diversi fra i più valenti artisti della scuola fiorentina nel suo periodo più fiorente. Di Giuliano d’Arrigo detto il Pesello è una croce delicatamente dipinta, di Domenico Del Ghirlandajo un soave affresco colla Madonna, il bambino, S. Sebastiano e S. Giuliano che spiccano sopra il fondo d’un paesaggio palustre. Al disopra di questo è il battesimo di Cristo che trae la ispirazione dalla scuola del Verrocchio. In un trittico della fine del XIV secolo sono effigiati l’Annunziazione nel centro ed ai lati S. Eustachio e S. Antonio abate; di Francesco di Giovanni Botticini è una tavola colla Madonna e il bambino in trono framezzo ai Santi Sebastiano, Bartolommeo, Jacopo e Antonio abate. Sopra a questa è un’altra tavola a forma di lunetta colla mezza figura dell’Eterno Padre che ricorda la maniera di Alessio Baldovinetti. Sotto la lunetta è questa iscrizione: «Questa capella chon tuti suoi ornamenti «a facto fare Symo di Domenico Cecherelli perimedio de «lanima sua nel MCCCCLXXX...». Un altro affresco, dove sono dipinte da un artista della scuola di Fra Bartolommeo le figure di S. Alberto e di S. Sigismondo, ha al disotto questa curiosa iscrizione che allude alla malaria che un giorno infestava questi piani: «S. Alberto dovoto dela febre quotidiana et terzana. - S. Sigismondo devoto dela febre «uartana. 158...». Completa il ricco corredo artistico di questa chiesa un elegante ciborio scolpito in pietra da un artista del XV secolo.
S. Donnino a Brozzi. — Anche questa borgata è ampia ed assai popolosa e molte delle sue fabbriche, dall’aspetto grandioso e vetusto, stanno a ricordare come in questo luogo pure avessero forti e signorili dimore antiche e celebri famiglie. V’ebbero fra le altre palazzi, che la furia dei ghibellini vittoriosi a Montaperti pose a fuoco ed a ruba, gli Abati ed i Tornaquinci di parte guelfa e ve n’ebbero pure i Marabottini, gli Adimari, i Mazzinghi, i Lamberteschi, i Carpi, i Carboni ecc.
Il borgo di S. Donnino ha una stazione lungo la ferrovia da Firenze a Livorno.
La Torre. - Casa Benvenuti. — Un’alta e massiccia torre di mattoni che sorge nel borgo di S. Donnino, dominava un giorno un palazzo che fin dal XIII secolo era dei Tornaquinci; più tardi fu dei Marabottini e poi dei Giachinotti consorti dei Tornaquinci. Alla guisa di quelle esistenti in Firenze le torri che esistono tuttora a Brozzi appartennero alla vecchia nobiltà fiorentina e servirono di difesa e di offesa nel triste periodo delle fazioni.
Chiesa di S. Donnino a Brozzi. — All’estremità del lungo borgo che da essa trae il nome, a breve distanza dalla riva dell’Arno, sorge questa chiesa della quale si hanno memorie fin dall’XI secolo. Però se si eccettuano poche parti esterne e il campanile a torre coronato da una piramide, poco conserva dell’aspetto originale, essendo stata totalmente trasformata prima nel XVI, poi nel XVII secolo, epoca in cui vi furono aggiunti degli altari ricchi di pietrami, ma di aspetto troppo materiale. Scarso è il suo corredo di opere d’arte, limitato ad un’ancona d’altare di scuola Giottesca e ad un Crocifisso di legno dei primi del XVI secolo. L’ancona divisa in tre scompartimenti, ha nel centro la Vergine seduta col bambino Gesù ed ai lati le figure di S. Antonio abate, S. Giuliano, S. Caterina d’Alessandria ed un’altra Santa. Nei laterali sono S. Donnino e S. Giovanni Battista. Nel gradino sono cinque piccole storie della vita di S. Donnino. La pittura è a tempera su fondo d’oro. In origine la chiesa di S. Donnino fu esente dalla giurisdizione dei Vescovi di Firenze, dipendendo direttamente dalla Chiesa Romana. Papa Gregorio VI, l’anno primo del suo pontificato, la donò alla Canonica fiorentina coll’obbligo che essa pagasse annualmente un soldo d’oro al Palazzo Apostolico. Era nell’elenco delle chiese obbligate a ricevere i legati ed i nunzi pontifici quand’erano di passaggio da Firenze. Il patronato dì essa fu in antico dei Carboni, poi passò nel XV secolo nei Mazzinghi.
S. Piero a Ponti. — È un’ampia e popolosa borgata che si distende lungo la via Lucchese dal ponte che traversa il Fosso Reale fino al di là del ponte sul fiume Bisenzio. Dal titolo della sua antica chiesa e dai due ponti ricordati derivò il nome di questo borgo nel quale, come in tutti gli altri dell’adiacente pianura, ebbe grande sviluppo l’industria dei lavori in paglia. Fra i ricordi storici di questa località è notevole il triste episodio della strage di diversi individui di casa Panciatichi i quali nel marzo del 1500 fuggiti da Pistoja vennero qui raggiunti dai Cancellieri loro implacabili nemici. Parecchie celebri famiglie fiorentine ebbero ville e case a 8. Piero a Ponti e, fra le altre: i Bartolini Salimbeni, gli Spini, i Berardi, i Salutati, i Tornabuoni, i Michelozzi, i Sernigi, i Monti, i Rapetti, i Calandri, i Redditi, i Mini ecc.
Il ponte sul Bisenzio fu rifatto nel xvi secolo su disegno del pittore Tommaso di Stefano Lancetti ed il Vasari lo disse «una bell’opera».
Chiesa di S. Piero a Ponti. — E situata a tramontana del borgo ed è di remota origine; ma ingrandita e restaurata più volte ha perduto il suo carattere originario. Ha dinanzi un elegante portico del xvi secolo e sulla porta una lunetta adorna d’un bassorilievo della maniera di Giovanni Della Robbia rappresentante la Madonna col bambino Gesù fra i Santi Pietro e Paolo. In chiesa è un’antichissima e deturpata tavola di maniera pre-giottesca.
A poca distanza da S. Piero a Ponti è
San Moro, grosso villaggio, che fu già comunello, il quale prese nome dal Santo titolare della sua chiesa.
Chiesa di San Mauro. — Antichissima di origine, questa chiesa, ampia di proporzioni e preceduta da un portico, conserva qualche traccia della sua originaria struttura. Sulla facciata ha lo stemma parlante del luogo, uno scudo con un gelso (moro) in terracotta invetriata. Due belle opere della maniera di Giovanni Della Robbia esistono nell’interno della chiesa: un elegante ciborio ed un dossale d’altare colla Madonna, il bambino, l’Eterno padre, due santi e angeli.
Presso S. Moro, sulla sinistra del Bisenzio è
Il Palagio de’ Vecchietti. - Villa Altoviti. — È un grandioso edifizio dominato da alta e massiccia torre, il quale conserva il suo severo e tipico carattere medievale. Appartenne fin da tempo remoto ai Vecchietti, poi fu dei Tornabuoni.
La via Lucchese, passando di sotto al borghetto chiamato i Colli Alti di Signa, giunge ad un altro piccolo borgo dov’è la Chiesa di S. Michele Arcangiolo a Lecore detta comunemente S. Angelo. La chiesa, grande di proporzioni, non ha importanza artistica per le ricostruzioni subite. Ad essa fu riunita un’altra vicina chiesa di S. Biagio a Lecore che nel 1383 era di patronato dei Pulci e dei Sodi di Campi e più tardi de’ Frescobaldi. La chiesa di S. Angiolo invece ebbe per patroni prima i Pulci, poi i Conti Bardi di Vernio. A poca distanza, verso mezzogiorno è
Lecore, villaggio assai popolato, dove esistono diverse case di antichissima e caratteristica costruzione.
Chiesa di S. Pietro a Lecore. — Non ha importanza come costruzione; ma è di origine antica. Era esente dall’autorità vescovile e dipendeva dagl’imperatori di Germania che l’avevano eretta. Più tardi ne furono patrone le famiglie Mazzinghi e Strozzi. Vi si conservano un busto di S. Pietro della maniera di Andrea Della Robbia ed una tavoletta colla Madonna e il bambino della scuola di Agnolo Gaddi.
Pur superando i limiti entro i quali, per non dar soverchia mole a questo lavoro, abbiamo ristrette le nostre escursioni, data l’importanza artistica e storica della località, ci spingeremo fino al
Poggio a Cajano. — Questo nome è comune ad un lungo e popoloso borgo che distende il suo caseggiato sulle due rive dell’Ombrone Pistojese ed alla splendida villa che tuttora fa parte del patrimonio della Corona italiana. Questa villa sorge nel luogo di un fortilizio edificato dalla famiglia de’ Cancellieri di Pistoja che nel 1420 lo vendè a Messer Palla di Noferi Strozzi per 7390 fiorini d’oro. Gli Strozzi ridussero il cadente fortilizio a palazzo di campagna che per lungo tempo portò il nomignolo di Ambra. Confiscato agli Strozzi, passò ai Rucellai e ad altre persone dalle quali l’acquistava nella seconda metà del XV secolo Lorenzo il Magnifico. Egli affidò all’architetto Giuliano da San Gallo l’incarico di ricostruire in gran parte e di adornare splendidamente la villa che nella sua parte costruttiva restò compiuta verso il 1485. La villa dell’Ambra divenne un soggiorno favorito della famiglia Medicea la quale vi profuse somme rilevantissime per farla abbellire di opere di artisti valenti e per arricchirla di giardini, di un ampio parco e di comodi annessi. Lorenzo il Magnifico e Papa Leone X si adoperarono specialmente ad accrescere lo splendore di questa villa ed i primi Granduchi Medicei proseguirono l’opera iniziata. Stupendo è l’insieme del fabbricato che ha dinanzi una loggia di squisito gusto del rinascimento. Nell’interno poi, nonostante le trasformazioni successive e gli ammodernamenti, si conservano varie sale di carattere bellissimo adorne di pitture, di lavori di legname e di stucchi. Oltre al Sangallo che profuse nella ricostruzione della villa tutto il suo gusto decorativo, lavorarono nell’adornamento delle sale Filippino Lippi, Andrea Del Sarto, il Franciabigio, il Pontormo, l’Allori, Giorgio Vasari ed altri celebri maestri de’ quali si ammirano tuttora le opere.
La villa del Poggio a Cajano, che tuttora è tenuta con molta cura, è da annoverarsi fra le più ricche e più belle fra le villeggiature della Toscana.