Il nostro padrone/Parte seconda/XV

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XV

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XV.

Era di ottobre. Il tempo si manteneva sereno e qualche operaio ne profittava per finir di scorzare gli ultimi elci della lavorazione Perrò, mentre i carbonai toscani, già in gran parte arrivati, si accingevano a metter fine all’opera.

Predu Maria aveva ottenuto dallo [p. 337 modifica]speculatore la promessa di esser mandato in un altro taglio di boschi; quindi viveva tranquillo riguardo alla sua posizione ormai assicurata, ma nel suo mondo interno continuavano ad agitarsi ombre e fantasmi. Gli pareva di veder sempre davanti a sè, assieme con gli antichi spauracchi, la figura malaticcia di Antoni Maria, e di sentirne continuamente i rimproveri ed i sarcasmi.

Qualche volta Bruno saliva a cavallo e attraversava la lavorazione, melanconico e abbattuto come un re spodestato. Aveva gli occhi smorti e la persona curva, e persino i suoi baffi si erano scoloriti e gli spiovevano lunghi e trascurati sulla bocca triste; eppure egli parlava sempre di riprendere le sue funzioni faticose di capo‐macchia, e faceva continuamente calcoli e progetti. Siccome di solito egli saliva in compagnia dello speculatore di cui sembrava l’ombra, i lavoranti non mancavano di mormorare al loro passaggio, e un giorno un vecchio, mentre Predu Maria gli forniva le provviste, disse:

— Ricordi come Bruno era freddo e superbo? Pareva già diventato lui il padrone; ed ecco adesso sembra un pipistrello, tanto è brutto ed accasciato. Pare che sconti qualche peccato mortale.... [p. 338 modifica]

— Ah, se tutti dovessimo scontare i nostri peccati! — disse Predu Maria, toccando abilmente la bilancia per far precipitare il peso; e non aveva finito di parlare, quando un paesano entrò e gli diede un bigliettino.

La maestra lo avvertiva che il delegato lo mandava a chiamare: si presentasse in questura l’indomani mattina alle otto.

Egli scese a Nuoro incalzato da una sorda inquietudine. Il sole tramontava circondato da grandi nuvole rosse; e fra poggio e poggio, nello sfondo dei boschi, la nebbia autunnale saliva purpurea come il fumo di un incendio lontano. Egli ricordava, e camminava svelto, per quanto glielo permetteva la sua pinguedine, impaziente di arrivare in paese e di sapere qualche cosa. Ma le donne non seppero dirgli nulla, ed anzi la maestra cominciò a tormentarlo con mille domande e mille supposizioni. Allora egli andò a domandare notizie di Bruno.

— È già andato a letto, — disse la serva, e lo invitò ad entrare; ma egli s’era fermato sul limitare della porta e non aveva intenzione di avanzarsi. Guardava la vasta cucina ingombra di stoviglie sporche, i fornelli accesi, la vecchia serva imponente, Marielène che andava e veniva, agile e [p. 339 modifica] silenziosa come una farfalla; e antichi ricordi gli risalivano dal cuore, e gli pareva di rivedere la cucina della piccola locanda del suo paese e la servetta silenziosa e timida....

Quanto tempo era passato! Egli si domandava se Marielène, diventata padrona, fosse più felice di quando era servetta: forse egualmente infelice, meno simpatica certo. Eccola là, col viso piccolo e scarno colorito da uno strano rossore giallognolo: i suoi occhi hanno uno sguardo vago, stanco, eppure avido, e la sua fisonomia e la sua personcina vibrante rivelano un’eccitazione morbosa, la smania di arrivare a far tutto, di guadagnare, di accumulare....

— Ella ha dimenticato ogni altra cosa, persino che suo marito è malato, che la vita è breve....

Ma a un tratto egli cessò di osservare la padrona accorgendosi che la cuoca a sua volta lo osservava.

— Era un bel po’ che non tornavi in paese! — ella gli disse, mentre Marielène correva nella sala da pranzo.

— Eh, come si fa? Non si può scendere tutti i giorni! Si vorrebbe, magari, ma non si può....

— Fai bene, fai bene: prima di tutto il dovere. E adesso ti tratterrai, almeno?

— Fino a domani. [p. 340 modifica]

— Così poco? Poi ti toccherà di andar più lontano ancora....

— Sì, più lontano ancora! Ma, pazienza, bisogna lavorare: meno male quando c’è la salute.

La vecchia sospirò due volte, ed egli domandò sottovoce:

— Ma lui come sta?, ditemi la verità....

— È debole, molto debole; non vuol mangiare, è avvilito, ma a mio avviso hanno fatto male a tenerlo in paese; egli si annoia, si crede più gravemente ammalato di quello che è.

— E che fa durante la giornata?

— Nulla: va di qua e di là, e non si interessa più a nulla. L’unica cosa che ancora gli piaccia è di venire alla lavorazione o di venire.... a casa tua. Egli chiacchiera volentieri con tua suocera!

Rientrato a casa Predu Maria ripetè le parole della vecchia, e Sebastiana disse quasi piangendo:

— Egli morrà presto, e non lo sa!

Predu Maria trovò naturale che ella si commovesse alla sorte di un moribondo; ma quando uscì ancora, dopo aver di nuovo discusso con la suocera circa la chiamata del delegato, si meravigliò di veder Bruno nel viottolo, appoggiato al muricciuolo dell’orto. [p. 341 modifica]

— Ma come, non eri a letto?

— Mi sono alzato; soffocavo dal caldo....

La notte era calda, infatti; la luna attraversava il cielo violaceo, e il suo chiarore si confondeva con quello dei fuochi d’erbe secche e di stoppie, che brillavano qua e là negli orti solitarî.

— Perchè sei tornato? — domandò Bruno, dopo un momento d’esitazione.

— Ma.... non lo so neppur io! Sono citato per testimonio; non so per qual causa....

— Forse l’incendio della tanca Moro. Sono stato interrogato anche io....

— Ah, ah! Ancora? — disse Predu Maria con voce alta e forte; e cambiò discorso, domandando a Bruno come stava.

— Bene.

— Bene! — ripetè fra sè Predu Maria, allontanandosi. — E la sua voce intanto è fiacca come quella di un moribondo!

Egli ricordò che sua madre diceva che certi malati, prima di morire, sentono una smania d’andare in giro, e si alzano da letto e vagano come fantasmi; e forse anche Bruno....

Ma avvicinandosi alla casupola di Antoni Maria dimenticò i mali altrui per ripensare ai proprii. Perchè risorgeva la questione dell’incendio? Gli sembrava che [p. 342 modifica] il contegno della suocera a suo riguardo fosse stato, quella sera, quasi ostile. Anche lei sapeva?...

Entrò nel cortiletto e picchiò alla porticina, ma nessuno rispose. Allora ritornò indietro, ma ripassando per il cortile sentì nella strada un passo lento e incerto, e capì che Antoni Maria ritornava a casa alquanto ubbriaco.

— Quello ti fa bene, per le febbri, — gli gridò dal portone.

Al sentire all’improvviso quella voce, l’ubbriaco si fermò come impaurito, poi si avanzò di corsa, inciampando, e sarebbe caduto se Predu Maria non lo avesse accolto fra le sue braccia; ma invece d’essergliene grato, l’amico cominciò a tempestarlo di pugni gridando:

— Tu eri in agguato.... tu volevi uccidermi.... Prendi, allora, prendi....

— Tu hai perduto la ragione! — gridò Predu Maria, trascinandolo nel cortiletto. — Andiamo, ti metto a letto come un marmocchio. Dove hai la chiave?

Antoni Maria si mise a ridere goffamente, con un riso strano, soffocato, misto a singulti.

— Vuoi anche la chiave? Non ci ho niente, dentro. Niente! Neanche acqua, adesso! Jaja mi ha tolto la pensione.... E [p. 343 modifica] di chi la colpa? Tua, Gerusalè, tua, immondezza! Vattene, non c’è nulla da bruciare, qui! Vattene, se no ti schiaccio come una lucertola.... Ti farò mangiare ancora il pane del re....1

Predu Maria sentì un brivido di terrore, non per il pericolo che correva, di venir preso e condannato di nuovo; ma pensando al male che aveva fatto ad Antoni Maria, al suo ex compagno, al suo ospite....

Non gridò più, non parlò più, finchè non riuscì a prendergli la chiave ed a spingerlo dentro.

Dentro c’era buio. Solo dalla finestruola aperta si scorgeva come un lontano sfondo di mare, e uno scoglio in mezzo, e una stella sopra lo scoglio, piccolo lume nella notte infinita.

Così entro l’anima di Predu Maria Dejana brillava una piccola luce, l’ultima: la speranza di farsi perdonare da Antoni Maria confessandogli il delitto.

— Adesso mi dirai tutto, — gridò, spingendolo sul lettuccio. — Antoni Maria Moro, parla!

Ma l’ubbriaco non faceva altro che ripetere: [p. 344 modifica]

— Tu mi hai rovinato! Tu mi hai ucciso!

— Ebbene, lo so! — proruppe il colpevole. — Ma, senti, rimedierò. Domani devo andare dal delegato, e gli dirò tutto. Gli dirò: sono stato io, non incolpate nessuno e tanto meno quel disgraziato....

— Tu dirai così? E perchè dirai così?

— Perchè è la verità, Antoni Marì! E dirò anche: sì, l’ho fatto, perchè vi sono stato spinto da uomini malvagi: l’ho fatto perchè mi ha spinto la disperazione....

Antoni Maria si sollevò lentamente, appoggiandosi al letto, ma non parlò subito. Vi fu un momento di silenzio tragico: poi all’improvviso la voce rauca e beffarda dell’ubbriaco risuonò nella camera buia.

— Ah, immondezza! Dunque è vero?

— Mi pare che tu non ne dubitassi!

— E invece ne dubitavo ancora! Ma se tu lo dici devo crederlo anch’io! Ricordo, sì, d’averti trovato là, come la vipera fra i cespugli. Ma perchè lo hai fatto, di’, perchè lo hai fatto? Eri disperato? Ah, ah, volevi comprare le cianfrusaglie a tua moglie, a quella perla! Ecco perchè lo hai fatto. Ma anche lei adesso ti orna il capo con una corona d’oro! Va a vedere: va.... va.... va a guardare.... Tu volevi rider [p. 345 modifica]di me; ma son io che rido di te, adesso. Ah, ah, ah!...

La camera echeggiò del suo riso forzato, più orribile di ogni insulto: e Predu Maria sentì come un colpo in pieno viso e un tintinnìo metallico gli tremolò entro le orecchie. Sebastiana lo tradiva? Con chi? Col Perrò?

— Con chi? — gridò allungando le mani contratte. Si toccarono, come pronti ad azzuffarsi; ma Antoni Maria tornò a sedersi sul lettuccio e disse ridendo:

— Va a vedere! Va!

— Tu mentisci. Ti conosco. Ad ogni modo devi pronunziare un nome, se no ti pentirai: bada a te, uomo!

— Ah, alzi la voce, anche? Tu, proprio tu? Che cosa puoi farmi, tu, più di quello che mi hai fatto? Incendiami l’altra tanca, e poi va a dire che sono stato io.

Cieco di umiliazione e di dolore, Predu Maria si avviò per andarsene. L’ultima speranza era perduta, non solo, ma tutto si sprofondava attorno a lui.

Mentre a tastoni cercava la porticina sentì di nuovo la risata del suo ex compagno — risata spaventevole, vibrante d’odio, di beffe e di gioia, — e provò la stessa impressione di terrore che lo aveva spinto contro il patrigno: un istinto di [p. 346 modifica] difesa, più che di offesa, che lo costringeva a tornare indietro per gettarsi contro Antoni Maria come contro un aggressore. Ma nel frattempo l’ubbriaco aveva acceso il lume, ed egli lo vide davanti a sè, a spalle voltate, tentennante, più miserabile di lui, e non ebbe il coraggio di assalirlo. Si guardò attorno, come svegliandosi da un sogno; rivide la camera nuda e triste, il camino spento, il lettuccio dove un giorno Sebastiana si era seduta accanto a lui: e all’improvviso, mentre Antoni Maria rideva ancora, egli sentì come una mano pesante gravargli sul capo, costringendolo a piegarsi sopra sè stesso. Cadde a sedere sul lettuccio e scoppiò in pianto.

Allora Antoni Maria si volse, e una comica espressione di stupore si fuse, sul suo viso, con la macabra gaiezza di poco prima: per alcuni momenti stette ad ascoltare i singhiozzi dell’infelice, come se ascoltasse un rumore lontano e minaccioso; poi, siccome Predu Maria non cessava di piangere, gli si accostò, lo prese per un omero e cominciò a scuoterlo.

— Oh, uomo, che fai? Non ti vergogni? Adesso piangi? Dovevi piangere prima, Predu Maria Dejà! Va, cessa, smetti; può darsi che io mi sbagli, anzi mi sbaglio, certo. Un amico non può andare in casa [p. 347 modifica] di un amico? Forse che io non vado in casa di tua moglie? Va, finiscila, matto. Io volevo ridermi di te, poichè tu ti sei beffato di me. Tu sembri uno stupido, ma sei più furbo dei furbi: questo solo mi fa arrabbiare. Ma noi invecchiamo e non impariamo niente, e più la gente ci sembra stupida e più è furba. E anche tu lo credevi stupido e onesto, il forestiere, e lui ti ha ingannato due volte, e se non crepa presto, come speriamo, ti ingannerà la terza volta, come San Pietro ingannò Gesù....

Predu Maria non sentì le ultime parole. Con la testa sollevata, il viso paonazzo, egli fissava sul suo ex compagno gli occhi lucenti ove pareva che le lagrime si fossero improvvisamente cristallizzate: come una luce improvvisa gli balenava davanti, e molte cose gli apparivano chiare, e provava un sentimento misto di rabbia e di compassione verso sè stesso, che si era lasciato così stupidamente ingannare.

— Hanno trovato il merlo.... hanno trovato il merlo.... — mormorò due volte, e il suo viso prese un’espressione feroce. Poi domandò:

— Tu credi che mia suocera sappia? Ah, vecchia asina! Adesso mi spiego tutto. Tutto, tutto! Ma riderò io, per l’ultimo; adesso! adesso!.. [p. 348 modifica]

S’alzò, ma Antoni Maria, nonostante i fumi del vino che ancora gli offuscavano la mente, capì che una fosca tragedia stava per compiersi, e decise di impedirla. Si mise davanti alla porta e disse gravemente:

— Rifletti bene, prima, Predu Maria Dejà! Assicùrati coi tuoi occhi, e anche quando ti sei assicurato pensa bene a quello che devi fare. Ti ho forse ucciso, io? Eppure tu mi hai tradito, e l’amico è più che la moglie.

Predu Maria tornò a sedersi, e di nuovo curvò la testa abbandonandosi sopra sè stesso; allora l’altro gli si avvicinò, e confortandolo e tormentandolo nello stesso tempo continuò a rinfacciargli l’ospitalità tradita, i consigli disprezzati, il crimine commesso.

— Quello che ora ti succede è il castigo, Predu Maria Dejà! Pensaci e rasségnati. D’altronde, che puoi fare adesso? Ucciderli? E quando li hai uccisi? Ti rovini, ritorni in galera e di là vai dritto dritto all’inferno.

Predu Maria emise un gemito selvaggio e si morsicò i pugni.

— Perchè non mi uccidi, tu? — domandò sottovoce. — Fallo, su! Ecco il coltello; tagliami le vene dei polsi: io lascierò una dichiarazione scritta che mi sono ucciso io. [p. 349 modifica]

Trasse un coltello a serramanico e con l’unghia ne fece scattare la lama sottile; e si sbottonò i polsini quasi che Antoni Maria fosse pronto a svenarlo.

— Tu parli dell’inferno ma non ci credi, Antoni Marì, e potresti farmi questo favore. Se no mi costringi a suicidarmi ed a morire dannato. Salva almeno l’anima mia! Quante volte tu stesso mi hai detto: non ti resta che impiccarti! Ed ecco, l’ora è giunta!

Antoni Maria guardava il coltello e sorrideva.

— Ho vedute ore peggiori di questa, io! In confronto questa è un’ora da ballo. E non ho pensato a morire....

— Lasciami andare, allora, — gridò Predu Maria alzandosi. — Qualche cosa devo fare: è tempo di finirla.

L’altro lo tirava per la giacca, ma egli si dibatteva e pareva avesse finalmente coscienza di tutta la sua disgrazia. Buttò per terra il suo cappello e lo calpestò, urlando vituperi e minacce contro Sebastiana e Bruno, ed anche contro Antoni Maria che col farlo andare a Nuoro aveva causato la sua estrema rovina. Ricominciarono a rinfacciarsi i loro errori e i loro inganni; ma i loro gridi minacciosi e disperati parevan rivolti ad un nemico [p. 350 modifica] invisibile e invincibile, lo stesso che contro la loro volontà li aveva condotti di luogo in luogo, di vicenda in vicenda, e ancora li sospingeva verso una mèta fatale. E quando, stanchi, tacquero, entrambi ebbero lo stesso lamento:

— Ah, la nostra cattiva sorte!

Finalmente Predu Maria si lasciò convincere a passare la notte nella casupola, e si buttò per terra gemendo, mentre anche Antoni Maria cadeva sul lettuccio lamentandosi. Fino all’alba sospirarono come due malati, e quando si svegliarono, dopo un breve sonno, si guardarono istupiditi.

— È ora d’andare dal delegato. Su, ti accompagno, — disse Antoni Maria.

Bevettero un calice d’acquavite e uscirono. Il mattino era dolce e roseo; su gli alberelli rossastri dei piccoli orti selvatici le foglie secche sembravano di cristallo dorato, e l’aria pura e la luce parvero rinfrescare e rischiarare i torbidi pensieri di Antoni Maria. Egli batteva una mano sulla spalla al suo compagno e gli diceva, incoraggiandolo:

— Adesso tu guarda in faccia il delegato e nega: nega tutto. Se egli ti domanda se credi in Dio nega persino che credi in Dio. [p. 351 modifica]

Ma l’altro camminava come un cieco, senza veder dove andava. La speranza che l’amico lo avesse ingannato, calunniando Sebastiana, lo sorreggeva ancora; ma ormai ogni suo pensiero era rivolto ad uno scopo: cercare, scoprire la verità e vendicarsi.

Seduto nell’anticamera della questura non ricordava più perchè era lì, e pensava:

— Li spierò, mi vendicherò: e tutto il disonore sarà mio, e la rovina sarà mia. Ah, io sono un gran peccatore, ma Dio mi castiga come Egli solamente sa castigare.

Uscito di là, dopo un lungo interrogatorio, ritornò automaticamente verso l’angolo di strada ove Antoni Maria lo attendeva, e si lasciò guidare da lui come una bestia malata che segue a testa bassa il suo conduttore. Il suo compagno parlava, egli non sentiva che una voce interna, un grido che echeggiava entro di lui come in un luogo vuoto e desolato.

— Il castigo! Il castigo!

Egli conosceva bene quella voce; la stessa che aveva animato i silenzi del reclusorio e gli aveva destato rimorsi e speranze e fatto sognare Gerusalemme! Seduto sul lettuccio di Antoni Maria, col mento sul petto e le braccia abbandonate [p. 352 modifica] sui fianchi, ripeteva ogni tanto come ossessionato:

— Il castigo! il castigo!

— Sentimi, — disse l’altro, scuotendolo, — io adesso andrò a dire alle donne che sei ripartito senza rivederle per sfuggire ai loro rimproveri dopo la notte trascorsa fuori di casa. Tu intanto pensa ai casi tuoi e decidi il da farsi.

— Ho già deciso! Tu adesso vuoi metterle in avvertenza; ma oggi o domani la vendetta non mi sfuggirà.

— Ti giuro, io non dirò una parola di quello che è passato fra noi.

Rimasto solo egli ricominciò ad agitarsi disperato. Era certo che Antoni Maria lo avrebbe tradito; forse in quello stesso momento andava ad avvertire Bruno, ad avvertire Sebastiana. Diventati cauti, gli amanti sfuggirebbero alla sua vendetta. Egli non aveva prove, non sapeva neppure se Antoni Maria avesse parlato in buona fede. Forse nulla era vero: tutti lo ingannavano perchè anche lui aveva ingannato tutti, a cominciare da sè stesso. Antoni Maria si vendicava da par suo, spingendolo verso un nuovo delitto. Ah, no, ah, no! Meglio morire....

A un tratto la calma funebre dei morti parve rasserenare il suo viso livido. Tornò [p. 353 modifica]a sbottonarsi i polsini della camicia e fissò a lungo le vene che si disegnavano sulla pelle bianca come ramoscelli nudi, verdastri; poi riaprì il coltellino e tagliò la pelle sul polso sinistro.

Ma appena il sangue sgorgò, rosso e scintillante come un chicco di melograno, egli provò una vertigine di terrore e cominciò a gridare, come se qualcuno stesse ad assassinarlo.

Il suo grido rauco e infantile risuonò nel silenzio desolato della casupola come in un deserto; nessuno accorse ed egli rinvenne dal suo momentaneo accesso di follia.

Si legò un fazzoletto al polso, stringendo il nodo coi denti, e cadde in ginocchio per terra, davanti al lettuccio, nascondendosi il viso fra le mani. Rivide la stanza polverosa e solitaria in fondo al ballatoio, nell’antica casa di sua madre, l’angolo ove s’ammucchiavano i libri, i breviari, le statuette sacre di suo zio prete; e gli parve d’essere ancora inginocchiato là, nella penombra, sotto un grande crocifisso giallo la cui fronte ed i cui polsi stillavano sangue.

— Egli è morto per noi; è stato tradito, crocifisso, ha mille volte sofferto più di quanto soffro io, — disse a voce alta, [p. 354 modifica] gemendo. — Dio mio, Dio mio, perdona al tuo peccatore, aiutalo, aiutalo! Io ti ho chiesto mille volte di farmi soffrire, di farmi espiare, in questa vita, ed ora non riconosco la tua mano che grava sopra di me!


Note

  1. Rimettere in carcere.