Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/XVII

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Delle Opere di Dante, e prima del suo libro intitolato la Vita Nuova, e della sua Commedia.

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XVI XVIII


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§. XVII.

Delle Opere di Dante, e prima del suo libro intitolato
la Vita Nuova, e della sua Commedia.

E per entrare a dire delle Opere di Dante secondo l’ordine del tempo, in cui credo che da esso sieno state composte, in primo luogo dobbiamo far parola di quella intitolata [p. 158 modifica]

Vita Nuova, la quale scrisse in età giovanile intorno al 1295.1 forse per consolarsi della perdita della defunta Beatrice Portinari; imperciocchè non altro è che una storia de’ suoi giovanili amori, distesa in forma di comento ad alcuni poetici componimenti fatti da lui in occasione degli stessi. Scrive il Boccaccio, che Dante in età provetta si vergognava di aver fatta quest’Opera, ma è ciò tanto falso, che anzi egli medesimo quasi si compiacque di averla composta, siccome dell’altra intitolata Convivio2 apparisce. Avendo messer Niccolò Carducci gentiluomo Fiorentino somministrato a Bartolommeo Sermartelli questo libro di Dante3, egli lo pubblicò colle sue stampe in Firenze nel 1576. in un piccolo volume in 8. dedicandolo a messer Bartolommeo Panciatichi4, [p. 159 modifica]e ad esso vi unì le Canzoni amorose, e morali del medesimo Dante, e la Vita di lui scritta dal Boccaccio. In questa edizione come, in quasi tutti i manoscritti, mancano le divisioni, o sommarj delle poesie sparse per entro la Vita nuova, secondo che ci avverte il canonico Antonio Maria Biscioni nelle annotazioni alla medesima da lui corretta, e ristampata in Firenze presso il Tartini nel 1723. in 4. fra le prose di Dante, e del Boccaccio5. Non intese per altro il Poeta quando scrisse quest’Opera, di voler soltanto per mezzo di essa immortalare la sua Beatrice, ma fin d’allora col suo divino Poema, di cui aveva già concepito il disegno, promesse di dire di lei quello che mai non era stato detto d’alcuna6. Questo sublime lavoro fu poi da lui intitolato Commedia. Il celebre Padre Harduino nel Giornale di Trevoux della anno 1727.7 pretese di abbattere il comun sentimento, il quale ci dà per legittimo Autore di questo Poema Dante Allighieri, e di sostenere che esso sia opera di uno sconosciuto Impostore, seguace della falsa dottrina di Wiclefo, il quale vivesse su la fine del secolo XV. Sarebbe inutile che noi di proposito ci accingessimo a confutare lo strano pensiero di questo per altro dotto Gesuita, il quale di molti altri simili sogni non si vergognò di farsi difensore; perchè o noi non [p. 160 modifica]possiamo prestar più alcuna credenza alla fede umana, o la Commedia, che in tanti manoscritti di un’antichità rispettabile porta in fronte il nome di Dante8, è veramente opera di lui. Il dotto Marchese ed Abate Giuseppe Garampi ha però soddisfatto ai dubbj del Padre Harduino in una sua Dissertazione impressa nel primo Volume della Commedia che Giuseppe Berno pubblicò in Verona9; onde in tal modo sono tolti tutti gli scrupoli, che l’ingegnoso Gesuita poteva avere risvegliati nel capo di qualche Critico troppo delicato. Erasi l'Allighieri accinto a fare il suo Poema in versi latini10, ma o che [p. 161 modifica]egli si credesse poco atto allo stile latino, e letterato11, ovvero che volesse andare in traccia di una più luminosa gloria col tentare di scrivere nell’idioma del volgo, cosa non peranche da niuno pensata: o che finalmente dubitasse che se di altro stile si fosse servito fuori di quello, il quale si parlava comunemente in Italia, l’opera sua potesse essere lasciata in abbandono12, mutò pensiero, ed in lingua volgare si pose a distenderla. Non è poi facil cosa il decidere in che tempo appunto Dante intraprese questo suo nobil lavoro, e quando dette al medesimo compimento. Narra Gio. Boccaccio13 che egli prima del suo esilio aveva preso a scrivere la Commedia, e che sette Canti della medesima erano terminati quando fu dalla Patria scacciato; ma tanto Maffei, quanto Raffaelli sostengono che il nostro Poeta pose mano all’opera, dopo che esule se ne stava lontano da Firenze. Di qui è che i mentovati Scrittori, e con essi il canonico Biscioni14 giudicarono una favola il racconto dello stesso Boccaccio intorno al ritrovamento de’ primi VII. Canti dell’Inferno. Dice esso15 che fra le scritture, le quali la moglie di Dante aveva nascoste, quando la plebe tumultuosamente corse a rubargli la casa, per fortuna vi erano i detti primi sette [p. 162 modifica]Canti, e che questi, essendo venuti in mano di Dino di messer Lambertuccio Frescobaldi buon rimatore di quei tempi16, furono mandati a Dante, acciò potesse proseguire l’incominciato lavoro; lo che fece egli per dar nel genio al Marchese Maorello, presso del quale si ritrovava, quando il suddetto Dino gl’inviò i medesimi Canti. Per questo osserva il mentovato Boccaccio, che Dante ripigliando l’opera interrotta, in tal forma dette principio all’VIII. Canto dell’inferno:

Io dico seguitando, ec.

Questo medesimo fatto in succinto è narrato ancora da Benvenuto da Imola, il quale fu discepolo dello stesso Boccaccio17; e Francesco Sacchetti18 racconta che Dante nel passare un giorno per porta S. Piero, prima che egli fosse mandato in esilio, sentì un fabbro che cantava un pezzo del suo libro, come si suol fare di una [p. 163 modifica]canzone; lo che dimostra aver esso lavorato intorno a questa sua nobilissima opera avanti il partir della Patria19. Il più forte argomento contro quello che dice il Boccaccio, è la parlata che finge nel Canto VI. che gli fosse fatta da un certo Ciacco, nella quale gli predice la cacciata sua da Firenze; ma il Boccaccio conobbe l’obbiezione, che gli poteva esser fatta; onde sapendo per altra parte sicuramente20, che Dante aveva composto sette Canti del suo Poema innanzi di essere stato esiliato, si ristringe a dire che poteva darsi, che Dante avesse posteriormente aggiunto qualche squarcio nel Canto VI. cosa certamente molto verisimile. Ma se volessi in questo luogo esaminare a fondo la presente questione, e ribattendo gli argomenti addotti dal Marchese Maffei21, [p. 164 modifica]e dal Raffaelli22 per sostenere il loro assunto, e raccogliendo i luoghi della Commedia, dai quali si può venire in cognizione del tempo preciso, in cui scriveva le respettive parti di essa, porre in chiaro quando dette principio alla medesima, e quando la condusse a fine23, non mi sarebbe facile lo sbrigarmi in poche parole, nè senza molte osservazioni, ricerche, e digressioni uscire dal mio impegno. Lo scopo di questa mia fatica non mi permette che mi prolunghi assai in questa sola cosa, onde in breve mi contento di dire, che è molto probabile aver Dante principiato a comporre il suo Divino Poema avanti che fosse esiliato dalla Patria, perchè di questo ci assicura il Boccaccio sulla fede di persone, le quali potevano avere piena contezza di un tal fatto; e che lo stesso Dante desse a questa sua fatica l’ultima mano innanzi [p. 165 modifica]che le cose dell’Imperadore Arrigo VII. avessero cominciato a declinare, perchè altrimenti non si vedrebbero negli ultimi Canti della sua Commedia le tracce di quella speranza, la quale aveva concepita nella di lui venuta in Italia24. Non è meno curiosa la ricerca perchè Dante intitolasse Commedia25 questo suo narrativo Poema, siccome con ragione lo chiamano i critici più esatti. Il mentovato Maffei credè essere il primo26 ad assegnare la ragione, la quale da lui forse ricopiò il celebre Autore dell’Eloquenza Italiana27. Avverte adunque il Maffei, che nel suo libro della Volgare Eloquenza28 Dante distinse tre stili diversi, cioè il Tragico, il Comico e l’Elegiaco, e con questi termini spiegò la natura di ciascheduno «Per tragoediam superiorem stilum induimus. Per comoediam, inferiorem. Per Elegiam stilum intelligimus miserorum». Di qui s’impara, per tanto, che non per altro motivo Dante intitolò il suo Poema Commedia, se non perchè intendeva d’avere [p. 166 modifica]scritto la maggior parte di essa nello stile di mezzo29. Questa spiegazione certamente è la migliore di quante ne sieno state ritrovate dai nostri Gramatici, ed è sempre appoggiata sopra delle prove molto convincenti30; onde si dee finalmente por termine alle tante contese, che fecero gran rumore nel secolo XVI. intorno al titolo di Commedia imposto al Poema di Dante. Egli finse di avere intrapreso il poetico viaggio, che ci descrive in esso, la sera del lunedì santo dell’anno 1300.31 e di essersi ritrovato nel Cielo nella solennità di Pasqua, la quale in quell’anno cadde nel dì 10. d’aprile32. In questo suo mirabil lavoro, in cui con ragione si espresse di «descriver fondo a tutto l’Universo»33 perchè nel medesimo fece concorrere la descrizione del Mondo, e dei Cieli, i varj caratteri degli uomini, le immagini delle virtù, de’ vizj, de’ meriti, e delle pene, della felicità, della miseria, e di tutti gli stati della vita umana, tanta dottrina vi sparse, che lo Speroni34 non esitò a pronunziare non trovarsi alcun Poema al mondo, che in [p. 167 modifica]quanto al soggetto possa alla Commedia di Dante paragonarsi. Sarebbe per questo molto desiderabile, come pensava un dotto mio Amico, che diversi valentuomini prendessero, ciascuno nella sua professione, ad esaminare ciò che di bello si ritrova nella Commedia Dantesca, come ha fatto per la Teologia il celebre Padre Maestro Gio. Lorenzo Berti35 Lettore di Storia Ecclesiastica nell’alma Università di Pisa; mentre allora si vedrebbe che Dante era fornito di tutte le cognizioni, le quali potevano aversi in quell’età;36 e come stante la grandezza del suo penetrantissimo ingegno assai più ne sapeva degli altri suoi contemporanei. Non è perciò da maravigliarsi, se i nostri antichi conoscendo di quanta dottrina abbondava il Poema di Dante, e quante belle cognizioni si ascondevano sotto il velame de’ suoi versi, fossero solleciti in procurare, che gli alti sensi della Commedia venissero pubblicamente in volgar lingua spiegati. La Repubblica Fiorentina pertanto con suo Decreto del dì 9. agosto 1373.37 ordinò che si eleggesse uno con pubblico stipendio, il quale avesse l’incombenza di leggere, cioè di spiegare il Poema di Dante. Per questo impiego venne scelto Gio. Boccaccio, che nella Chiesa di S. Stefano presso il Ponte Vecchio il dì 3. ottobre di detto anno in giorno di Domenica dette a far ciò38; [p. 168 modifica]onde ne venne quel Comento, il quale fu dato alle stampe, non sono molti anni39, e che non si estende oltre il verso 17. del XVII. Canto dell'Inferno40. E quantunque nella prima deliberazione si fosse dichiarato, che per un’anno solo intendeva la Repubblica di eleggere quello che doveva spiegar Dante, bisogna non ostante, che con altri decreti prolungasse di mano in mano questo tempo a motivo del profitto, che ne ridondava in coloro che sentivano dichiararsi i sublimi, ed utili insegnamenti della Divina Commedia. Imperciocchè dopo la morte del Boccaccio seguita il dì 20. di dicembre 1375.41 altri soggetti furono di seguito scelti per quest’impiego, dei quali si potrebbe tessere una lunga serie42. Eglino nei giorni festivi ora in un luogo, [p. 169 modifica]ora in un altro43, attesero a spiegare quello, che aveva inteso dire nella sua opera Dante, ed in tempi più vicini a noi nell’Accademia Fiorentina sono state recitate moltissime lezioni sopra qualche luogo di essa dai più chiari ingegni che sieno quivi fioriti44; delle quali lezioni una buona parte ne è alle stampe45. Non solamente in Firenze vi fu questo bel costume di dichiarare dalla Cattedra i nascosi, e mirabili sensi della Commedia di Dante; ma in Pisa similmente, ove fu sempre famosa Università46, nel 1385. in circa spiegava il detto libro Francesco di Bartolo da Buti47, uomo di non mediocre dottrina, siccome apertamente si vede nella sua fatica, o comento che fino ad ora non ha [p. 170 modifica]veduto la pubblica luce48. Anche Benedetto Buonmattei lettore di eloquenza Toscana in Pisa, fece ivi, e in Firenze più lezioni su Dante. Lo rilevo dalla dedica messa dallo stampatore a Gio. de’ Medici in data di Pisa (21. giugno 1635.) alla cicalata delle tre Sirocchie, sotto il supposto nome di Benduccio Riboboli da Mattelica, anagramma del suo vero nome49. Nello Studio pure di Piacenza riformato, ed ampliato da Giangaleazzo Duca di Milano nel 1398. un tal Filippo da Reggio si trova in quel tempo aver letto pubblicamente Dante50; [p. 171 modifica]Mariano da Tortona spiegò a Filippo Maria Visconti51 ed anco in Venezia Gaspero Veronese spiegò pubblicamente Dante, come si rileva dal poema intitolata Leandris; lo che ridonda in maggior gloria del Poeta, perchè non si può credere che la parzialità, che gli uomini hanno per i loro concittadini, inducesse i Capi di quella Università ad ordinare la lettura sopra Dante, ma bensì la piena notizia del merito di un’opera tanto eccellente. Che se l’essere stato nelle pubbliche scuole esposto il Poema di Dante, mostra ben chiaro il pregio, in cui lo tennero i nostri maggiori; le private fatiche fatte sopra di esso provano senza fallo l’ardente desiderio, che essi ebbero sempre di penetrare i veri sensi dello stesso Poema. Ma se io volessi parlare di tutti coloro, i quali presero a fare i tanti Compendj in versi52, ed i tanti commenti in lingua volgare, e latina53, che si trovano [p. 172 modifica]nelle nostre Librerie, o che sono stati pubblicati per mezzo delle stampe averei certamente materia per un non mediocre Volume. In fatti non vi è forse alcuno, il quale sia stato vago di raccorre i più preziosi manoscritti, o di scorrere i codici delle tante biblioteche di questa nostra Patria, e di altrove, il quale non si sia più d’una volta imbattuto in qualche fatica fatta sopra la Commedia di Dante. Le copie di essa si sparsero ben presto per tutti i luoghi54, e dopo l’invenzione della [p. 173 modifica]stampa a segno tale si moltiplicarono l’edizioni della medesima, che fino in LVIII. se ne contano in tutte le [p. 174 modifica]forme, e fra queste, tre pubblicate nel breve giro di un’anno, cioè nel 147255. Vi fu ancora chi tentò di trasportare questo Poema dalla nostra lingua Volgare [p. 175 modifica]nell’idioma Latino56, Francese57, in [p. 176 modifica]Spagnuolo58, in Inglese59, ed in Tedesco60. Ma io sono di sentimento, che opere di questo genere, e molto più la Commedia di Dante, non si possa in un’altra lingua tradurre, senza toglierle quel bello, il quale trovano in essa quei che capaci sono d’intenderla nella originale favella. Quanto poi fosse ammirata l’ingegnosa invenzione del nostro Dante, e particolarmente della sua prima Cantica intitolata l’Inferno, nella quale forse più che nelle altre spicca la forza delle espressioni, e la varietà [p. 177 modifica]delle immagini, si comprende dall’uso, che i pittori fecero dei pensieri nella medesima mirabilmente dichiarati ed espressi61. Hanno perciò i curiosi voluto ricercare donde prendesse Dante l’idea del suo Inferno. Il tante volte lodato Monsignor Fontanini nel suo libro dell’Eloquenza Italiana62 parlando del celebre Romanzo intitolato il Guerrino di Durazzo detto il [p. 178 modifica]Meschino63 dice che Malatesta Porta64 fu di sentimento dal lib. VI. di questo romanzo aver Dante presa l’invenzione delle bolge, e de’ cerchi del suo Inferno, cioè di colà ove65 si narra che l’Eroe di questa favolosa storia entrò nel Purgatorio di S. Patrizio,66, posto nella piccola isola del lago Dearg nell’Ultonia67 al quale [p. 179 modifica]andavano i gran peccatori per purgare i loro peccati. Monsignor Gio. Bottari, letterato di gran nome, che si è [p. 180 modifica]sempre indefessamente occupato nell’illustrare gli scrittori della nostra Toscana favella, nell’esaminare l’accennata opinione pensò che veramente Dante68 potesse aver veduto il Romanzo del Meschino, e che dallo stesso avesse appreso l’idea del suo ammirabil Poema; ma che poi la molta corrispondenza, la quale s’incontra in questi due scrittori, non dimostri già, che Dante dall’altro di pianta copiasse ciò che nella sua Commedia di uniforme si legge69. Per altro, da altri ancora possiamo credere che Dante ricavasse l’idea della sua Opera; ed in vero lo stesso Monsignor Bottari parla d’un Codice della Libreria di Monte Cassino, in cui si descrive una visione, o sogno simile a quel di Dante, avuto da Alberico diacono Cassinese70, in tempo d’una sua gravissima malattia. [p. 181 modifica]I Poeti de’ tempi di mezzo amarono di prendere argomento da dei sogni, come rispetto a’ poeti Francesi è stato già osservato71. Ma checchè sia di questo, il libro di Dante diede certamente motivo a fra Tommaso di Matteo Sardi Fiorentino dell’Ordine di S. Domenico72 di comporre il suo Poema tutt’ora inedito, intitolato Anima Peregrina73, in cui perciò lo distinse onorevolmente chiamandolo suo maestro74. Ed in fatti [p. 182 modifica]niuno imitò meglio, e più esattamente Dante di questo Domenicano; onde l’Opera sua meriterebbe, che alcuno si prendesse la cura di pubblicarla75. Dice poi Gio. Boccaccio76 che a tre distinti personaggi dedicò Dante il suo Poema, vale a dire la prima Cantica ad Uguccione della Faggiuola, che fu un tempo Signore di Pisa, e Capitano Generale di messer Cane della Scala77; la seconda al Marchese Maorello Malaspina, di cui altrove si è parlato; e la terza a Federigo III. Re di Sicilia: ma lo stesso Boccaccio soggiunge «alcuni vogliono dire lui (cioè Dante) averlo titolato (il Poema) a Messer Cane della Scala; ma qual si sia l’una di queste due verità, niuna cosa altra n’abbiamo che solamente il volontario ragionare di diversi». Ed in fatti non è altrimenti vero, che il Paradiso fosse dal Poeta presentato al Re Federigo, nè tutto il Poema a Can grande, mentre la dedica appunto fatta da esso, la quale ci è solamente restata, fa vedere che il Paradiso, e non altro indirizzò non a Federigo, ma al detto Cane. Ella trovasi mentovata dal Mazzoni78, a cui la communicò Domenico Mellini79 gentiluomo Fiorentino; e gli Autori della Galleria di Minerva furono i primi nel 1700.80 a darla alle stampe; onde poi fu inserita nella moderna edizione Veronese della Commedia fatta con [p. 183 modifica]l’assistenza del P. Francesco Antonio Zaccaria Gesuita81. Questa Lettera non tanto serve per indirizzo a Can grande della Cantica intitolata il Paradiso, quanto ancora d’illustrazione di tutta l’Opera; poichè in essa si spiega il disegno, che ebbe in comporla il suo Autore, la forma, ed il titolo della medesima. Qui forse attenderanno da me i lettori, che io tessa la storia delle molte controversie sopra il valore della Commedia, alle quali Benedetto Varchi nel 1570. in circa dette moto col suo dialogo chiamato da lui l’Ercolano dal cognome di Cesare Ercolano, avendolo con lui tenuto in una Villetta donatagli dal Duca Cosimo82, perchè non solamente tali dispute non fecero altro che vagliare, per dir così alla minuta, il merito del Divino Poema di Dante, ma ancora perchè la narrazione delle cose accadute in questa guerra letteraria potrebbe dar motivo di schiarimento a molti punti curiosi; se non che la diligenza grande usata da Monsignor Fontanini nel notare83 tutti quei moltissimi libri, i quali vennero fuori in occasione di essa, e la troppa lunghezza, dalla quale non ci potremmo dispensare volendo riferire minutamente quel tanto, che allora accadde, dovrà servirmi di scusa se ho scansato di entrare nel racconto di tali contese. Basti pure a ciascuno di sapere, che i tanti tentativi di coloro, i quali dietro al mascherato Ridolfo [p. 184 modifica]Castravilla84 si sforzarono di far comparire i difetti della Commedia del nostro Dante, nissun danno arrecarono alla reputazione, in cui era salita quest’Opera,85 e piuttosto con questo mezzo si schiarirono molti punti di gran vantaggio per la volgar Poesia.

Note

  1. Il Boccaccio nella Vita di Dante scrive che egli «quasi nel suo vigesimo sesto anno» compose quest’opera; ma da esso apparisce che quando il nostro Poeta la lavorò, era morta da qualche tempo Beatrice, e noi fermammo di sopra, che la morte di costei seguì nel 1292. Anzi da quanto dice il Poeta in fine di questo suo Libretto, pare che egli lo terminasse dopo la mirabil visione, che ci descrive nella Commedia. Ma io credo che da questo non si debba argumentare che la detta opera la finisse dopo il 1300. perchè è probabile che, quando lavorò il Poema, allora figurasse di avere fatto il suo misterioso viaggio in detto anno.
  2. Nella stessa Opera dice «E se nella presente Opera, la quale è Convivio nominata, e vo’ che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova; non intendo però a quel a in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo siccome ragionevolmente, quella fervida e passionata, questa temperata e virile esser conviene». A quest’opera allude forse Dante ancora nel Canto XXX. del Purgatorio ver 115. ove di se stesso fa dire a Beatrice:

         Questi fu tal nella sua Vita Nuova
              Virtualmente, ch’ogni abito destro
              Fatto averebbe in lui mirabil prova.

  3. Ved. la dedica dello stesso Sermartelli al Panciatichi in data di Firenze del dì 26. marzo 1576.
  4. Fu Consolo dell’Accademia Fiorentina nel 1545. e nel 1567. fu creato Senatore. Di lui parla il Canonico Salvino Salvini ne’ suoi Fasti Consolari pag. 59. e seg.
  5. Pag. 1.— 49. Il Biscioni vi fece alcune note, ed alcun’altre dell’Abbate Antonio Maria Salvini ne unì alle sue. Si dice che la Vita Nuova fosse stata impressa nel 1527. in 8., ma non trovo chi abbia veduta questa edizione. Gio. Battista Pasquali stampator Veneto nel 1741. pubblicò di nuovo questa operetta nel Tom. II. delle Opere di Dante, in seguito della Commedia che uscì da’ suoi torchi nel 1739.
  6. Così dice appresso a poco il medesimo Dante in fine della Vita Nuova.
  7. Art. LXXVI. per il mese d’agosto pag. 1516. Il detto Articolo è intitolato «Dubbj intorno al vero Autore della Commedia di Dante. La memoria del P. Arduino è nel Tom. I. delle Memorie d’una Società celebre. Paris 1792. in 8. pag. 289. e nelle Memorie di Trevoux.
  8. Il testo della Commedia di Dante col Comento scritta nel 1334. il quale possedeva il celebre Vincenzo Borghini, al dire di Giorgio Vasari nella Vita di Cimabue; l’altro copiato da Gio. Boccaccio, e dedicato al Petrarca, il quale si conserva nella Vaticana (Fontanini Aminta difeso cap. XIV.) quello che abbiamo qui in Firenze nella Libreria di S. Croce scritto di mano di Filippo Villani nel 1343. e tanti altri che si tralasciano per brevità, non pruovano bastantemente che di Dante Allighieri è la Commedia che va fregiata col suo nome?
  9. Nel 1749. in 3. Vol. in 8. pag. 39. e seg. Un compendio di questa Dissertazione si legge nel primo Vol. del Magazzino Toscano pag. 73. e seg.
  10. Il Boccaccio nella Vita di Dante dice che principiava così:

            «Ultima regna canam, fluido contermina Mundo
            «Spiritibus quae lata patent, quae praemia solvunt
            «Pro meritis cujuscumque suis ec.

    quantunque il Varchi nell’Ercolano, edizione di Firenze pag. 189. affermi il suo cominciamento essere stato questo verso:

              Infera regna canam, mediumque imumque tribunal

    scambiando forse come osserva il Bottari nelle note a detto luogo, dall’Epigramma di Coluccio Salutati da noi riferito sopra pag. 106. not. 6. Otto di questi versi Latini tratti dal cod. 14. del Banco 62. della Libreria Mediceo-Laurenziana contenente parte del Comento di Francesco da Buti sopra la Commedia di Dante ne riferisce ivi lo stesso Bottari i quali sembrano essere la fine dell’Inferno. L’Abate Salvini nelle Note al Comento del Boccaccio sopra il Cant. I. dell’Inferno Tom. VI. pag. 336. dell’edizione delle Opere del medesimo Boccaccio fatta in Napoli colla data di Firenze, rammenta un testo di Dante con 20. o 30. versi latini in principio a fronte del Testo volgare. Il Fontanini ne aveva un’altro, nel quale ve ne erano le centinaja (Eloq. Ital. lib. 2. cap. 13.). Non dispiacerebbe agli Eruditi che alcuno pubblicasse questo frammento latino della Commedia di Dante.

  11. Leonardo Aretino Vita di Dante.
  12. Gio. Boccaccio Vita di Dante.
  13. Nella detta Vita, e nel suo Comento stampato sopra l’VIII. Canto dell’Inferno.
  14. Nella Prefazione alle prose di Dante, e del Boccaccio pag. 8.
  15. Nel detto Comento più distintamente che nella Vita di Dante, narra il Boccaccio questo fatto, e ci assicura di averlo saputo da Andrea di Leon Poggi nipote per parte di sorella dello stesso Dante; il quale era stato quello che fra le di lui scritture cercando per ordine di Gemma Donati, trovò i detti Canti, e che gli fece vedere a messer Dino Frescobaldi.
  16. Dino, di cui può vedersi il Negri negli Scrittori Fiorentini pag. 156. fu forse figliuolo di quel messer Lamberto Frescobaldi, il quale fece fare la prima volta nel 1252. il nostro Ponte a S. Trinita.
  17. Domenico Maria Manni ha osservato tal cosa nella Part. 1. cap. 30. della sua Istoria del Decamerone di Gio. Boccaccio, ed è perciò probabile, che Benvenuto fosse informato di questo dallo stesso Boccaccio. Il detto Benvenuto raccontando nel suo Comento al Canto VIII. dell’Inferno un simil successo, dice che i primi Canti della Commedia di Dante vennero in mano di un tal Dino (quemdam Civem nomine Dinum), onde il Muratori, o chi attese all’impressione di questo Comento nel Vol. I. Antiquit. medii aevii cadde in errore, dicendo che questo Dino fu Dino Compagni lo Storico, mentre il Boccaccio in due luoghi ci dice che fu messer Dino di messer Lambertuccio Frescobaldi. Un antico Comentatore le cui Chiose esistono in un Codice Riccardiano segnato num. 1016. e che porta la data dell’anno 1343. dice (come il Boccaccio) che fu messer dino lambertuccio frescobaldi, valente uomo massimamente nel dire in rima, e narra tutto il fatto concordando col Boccaccio medesimo, alla cui testimonianza dà maggior peso, per essere anch’esso scrittore molto vicino ai tempi.
  18. Novella CXIV.
  19. Se Dante fu, com’è stato detto, esiliato nel 27. gennaio 1302. ben avanti sembra che dovesse aver cominciato il suo Poema; e sembra che lo potesse aver finito prima del 1308. Vedi nota (23). Dionisi opina che deve averlo terminato dopo la morte di Arrigo che avvenne nel 1313., e lo arguisce da quanto scrive Dante nel XXX. Canto del Paradiso, ver. 133, cioè:

              Prima che tu a queste nozze ceni
              Sederà l’alma, che fia giù agosta,
              Dell’alto Arrigo ch’a drizzare Italia
              Verrà in prima ch’ella sia disposta.

    Aggiunge Dionisi stesso che egli accenna la rotta che ebbero i Padovani da Can Grande l’anno 1314. e conclude dunque che la Commedia non era finita e Arrigo era morto l’anno innanzi. Ma tutto questo può spiegarsi con ritocchi e aggiunte che gli autori fanno finchè vivono alle opere loro.

  20. Non pare che si possa negare assolutamente la verità di questo fatto senza torre la fede al Boccaccio, perchè ci da il discarico, nel suo Comento, della persona da cui l’aveva saputo.
  21. Negli scrittori Veronesi pag. 50. ove dice di più «Tradizion costante è rimasa, che in certa casa posseduta poi anche da’ suoi discendenti in Gargagnago di Val Pulicella una buona parte (della Commedia) ei (Dante) ne componesse» e nel Tom. II. delle sue Osservazioni letter. pag. 249. in occasione di rispondere a monsignor Fontanini, il quale nella sua Eloquenza Ital. lib. 2. cap. 19. aveva mostrato di aderire al racconto del Boccaccio. Non vorrei per altro, che in questo luogo il Marchese Maffei avesse detto che in età d’anni 35. Dante passò a Verona, perchè se l’Autore della Lettera di monsignor Giusto Fontanini scritta dagli Elisi, fosse stato più attento a notare tutti gli sbagli del Maffei, gli avrebbe potuto rinfacciare, che Dante aveva 37. anni, quando fu esiliato dalla Patria, e che per conseguenza passava i 35. allorchè si portò a Verona. Io non voglio dissimulare, che il Maffei fonda il suo sentimento intorno al tempo, nel quale principiò Dante la sua Commedia, sopra un luogo del primo Canto dell’Inferno, in cui crede che il Poeta alluda a Can grande; ma se io potessi estendermi ad esaminare posatamente il detto passo, spererei di far vedere che la congettura del Sig. Marchese è molto equivoca.
  22. Nel suo Trattato intorno a messer Busone da Gubbio cap. 4. Non mi posso lusingare che il dotto Sig. Raffaelli avesse scritto esser probabile che principiasse Dante la sua Commedia dopo la morte di Arrigo VII. ec. se egli avesse fatto riflessione, che in tutto il Poema l’Autore mostra di fondare ogni speranza di veder riformata l’Italia sopra la venuta del detto Imperatore.
  23. Giusepe Torelli Veronese in una sua lettera al Marchese Maurizio Gherardini sopra Dante (pag. 14.) cita un codice Veronese manoscritto nel 1308. della Commedia, di Fra Stefano di Francesco Fiorentino dell’Ordine de’ Predicatori, Professore di Teologia, dimorante nel castello della città di Bologna, nel quale sta espressa in margine brevemente, e chiaramente l’orditura della medesima; se pure la detta data del 1308. non è erronea, come inclino a credere per tutto l’andamento dei fatti narrati.
  24. Si legga particolarmente il Canto XXX. del Paradiso ver. 133. e seg.
  25. Vedi poi anche l'Ab. Mehus nella Vita di Frate Ambrogio Traversari pag. CLXXII. e pag. CCCXX. e seg. ove osserva che può anch’essere che Dante desse a questa sua poesia il titolo di Commedia per essere scritta in verso comico cioè volgare, come appunto si dice quì sotto.
  26. Vedi la sua Prefazione all’Opere del Trissino pubblicate in Verona nel 1729. in foglio in due Volumi; la Verona illustrata ove parla degli Scrittori Veronesi pag. 55. ec. ma nella poco fa mentovata Lettera scritta dagli Elisi pag. 52. e seg. si fa vedere che l’osservazione del Sig. Marchese Maffei era stata fatta prima di lui da Torquato Tasso nella Lezione sopra il Sonetto del Casa.
    Questa vita mortal ec.

    Col notare questi piccoli sbagli del Maffei non intendo derogar punto alla stima di un’uomo, che l’Italia si pregerà sempre di avere avuto fra’ suoi.

  27. Lib. 2. cap. 21. Così ha preteso il Maffei nel Tom. II. delle sue Osserv. letter. pag. 285. ove ha rigorosamente fatto l’esame del libro dell’Arcivescovo d’Ancira.
  28. Lib. 2. cap. 4.
  29. Si osservi che alla Dedica a Cangrande della 3. Cantica della Commedia si viene in cognizione non per altro motivo aver Dante professato di essere stato lontano dal suo Poema dallo stile sublime, se non perchè aveva usato il volgare Idioma. In questo luogo per altro accenna che dette il titolo di Commedia al suo Poema per motivo ancora che questo era un componimento, il quale cominciava da cose lugubri, e terminava in cose allegre; la quale spiegazione è riferita anche da Pietro di lui figliuolo nel Commento sopra il primo Canto dell’Inferno.
  30. Il Maffei ed il Fontanini loc. cit. fanno vedere, che altri scrittori usarono d’intitolare le loro opere secondo l’idea di Dante a forma dello stile adoperato da essi nelle medesime.
  31. Ved. Jacopo Mazzoni nel 1. lib. della sua difesa della Commedia di Dante cap. 6. In quest’anno cadde la celebrazione del Giubbileo istituito da Bonifazio VIII. con la sua Bolla in data de’ 21. febbrajo (Manni Istoria degli Anni Santi pag. 2.); al che allude lo stesso Dante per bocca di Casella nel Canto II. del Purgatorio ver. 94. e seg. intorno al qual luogo è da consultarsi l’autore della Storia Letteraria d’Italia Vol: II. pag. 89. e seg.
  32. Vedi il Mazzoni loc. cit.
  33. Canto XXXII dell'Inferno ver. 8.
  34. Nel suo Dialogo della Storia.
  35. Le sue Lezioni sopra la Teologia di Dante meritavano di vedere la pubblica luce, e per ragione di chi le scrisse, e di quello che contengono, e perciò furono dal nostro Zatta benemerito stampatore ultimamente stampate ed inserite nel fine del Tomo terzo della Divina Commedia di Dante, che ei pubblicò.
  36. Il Matematico Regio Dottor Piero Ferroni, che raccoglie in se grande erudizione scientifica, e letteraria, disse all’Accademia Fiorentina nel 1805. due belle lezioni dirette ad illustrare varj passi della Commedia, dalle quali apparisce di quali e quante cognizioni fisiche fosse Dante dotato.
  37. Canonico Salvino Salvini Prefazione ai Fasti Consolari dell’Accademia Fiorentina pag. 12. e 13. Domenico Manni Part. 1. dell’Istoria del Decamerone cap. 29.
  38. Cronica del Monaldi presso i Deputati nelle Annotazioni al Decamerone pag. 39.
  39. In Napoli con la data di Firenze nel 1724. nel Vol. V. e VI. delle opere dello stesso Boccaccio. A questo Comento vi sono le Note dell’Abate Anton-Marla Salvini inserite nella detta edizione alla fine del medesimo (Vol. VI. pag. 332. 386.); della pubblicazione del quale tratto da un Testo a penna del Cav. Anton Francesco Marmi, si ha l’obbligo a Lorenzo Ciccarelli Giureconsulto Napoletano. (Ved. l’illustre Autore delle Note alle Lettere di Fra Guittone df Arezzo pag. 189.).
  40. Gio. Battista Gelli nella sua settima Lettura sopra Dante interpretando quella terzina del Canto XVI. dell'Inferno che incomincia:
    La gente nuova, e subiti guadagni,
    scrive che il Boccaccio non passò colla sua Esposizione questo luogo, per essergli sopraggiunta la morte; ma le lezioni stampate arrivano più oltre, come si è detto. Lavoro diverso da questo, ma pure del Boccaccio, fatto nella sua gioventù, sono le Chiose sopra tutta la Commedia, che si conservano in un Testo a penna cartaceo in foglio del secolo XV. della Libreria Riccardiana Segn. O. I. N. XIV. del quale molto vi sarebbe da dire ricopiando ciò che sopra di esso con la sua solita erudizione ha scritto il Lami nel Catalogo dei manoscritti di detta Libreria, e particolarmente nelle sue Novelle Letterarie dell’anno 1752. num. 29. e 31. Questo Codice è unico, per quanto mi è noto.
  41. Manni loc. cit. cap. 35.
  42. Sarebbe necessario, che alcuno si prendesse la pena di ricercare le notizie di tutti coloro, i quali esposero la Commedia di Dante in Firenze, perchè fra questi vi sono stati molti Letterati di un merito distinto, come Filippo Villani, Francesco Filelfo, Fra Domenico di Gio. da Corella dell’ordine de’ Predicatori ec. Intanto si consulti quanto ne dice il Canonico Salvini nella mentovata Prefazione ai suoi Fasti Consolari.
  43. Il Boccaccio, come si è detto, in S. Stefano espose la Commedia di Dante. Se gli altri facessero ciò sempre in detta Chiesa, non mi è noto; ma è probabile che no; e negli ultimi tempi quando prese una forma certa la nostra Accademia, nel luogo ove la medesima si radunava, recitò le sue Lezioni Gio. Battista Gelli (Memorie degli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina pag. 54. e 55. ed i Fasti Consolari del Canonico Salvini pag. 77. e 116.).
  44. Vedi i Fasti Consolari del Canonico Salvino Salvini.
  45. Fra le altre quelle di Gian Francesco Giambullari, di Francesco Verino, di Giambatista Gelli, di Cosimo Bartoli, di Benedetto Varchi, ec.
  46. Di questa celebratissima Università ne scrisse la Storia il Dottor Stefano Maria Fabbrucci pubblico Lettore di Gius civile nella medesima, mio affezionatissimo Maestro.
  47. Alcuni hanno creduto, che questo in Firenze esponesse la Commedia di Dante; ma il mentovato Fabbrucci nel suo libro intitolato «De nonnullis quae constitutae recens Pisanae Universitati sinistra contigerunt, vel incommoda» pag. 25. e seg. fa vedere che messer Francesco Dottore in Grammatica, come allora si dicevano gli Umanisti, nello Studio di Pisa lesse veramente il nostro Dante. In questo impiego Francesco durò molti anni, come da quanto dice il Fabbrucci apparisce.
  48. Un bel Testo a penna del Commento di Francesco da Buti del secolo XIV. con miniature si conserva nella Libreria della Badia di Firenze, ed un’altro scritto nel 1428. è nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana Plut. 42. num. 13. ma del principio del XV. secolo è quello che in tre volumi distinto esiste nella Riccardiana Cod. O. I. membr. in fogl. num. IX. Appresso il Conte 'rtaserse Bajardi di Parma evvi un bel manoscirtto di Dante in cartapecora in foglio a colonna. In fine v’è la data «Explicuit liber Paradisi tertie comedie Dantis Aligherii de Florentia scriptus per me Antonium de Firimo ad petitionem et instantiam magnifici ed egregii viri Antonii Beccharii de Beccharia de Papia imperatorii militis legumque doctoris nec non honorabilis potestatis civitatis ed districtus Janue sub anno domini MCCCXXXVI ind. iiij. B. p.p. XII. pontif. ejus a LXII.».
     Diario, o sieno Efemeridi manoscritte del Cocchi vol. 3. pag. 173.
    In casa i Sig. Marsimedici ho veduto un codice membranaceo in foglio della Commedia di Dante con cattive miniature al principio delle tre cantiche scritto, come si legge in fine nel 1398.
     Al cap. 19. del Purgatorio è notato che scorda con i libri stampati nella disposizione di alcune terzine.
     Di un codice del 1346. fa menzione il Mehus Vita del Traversari pag. 179.
     Fra i libri del Marchese Alessandro Gregorio Capponi (catal. pag. 434.) vi era il cod. 266. contenente la commedia, scritto nel 1368. da Gio. di Ghirigoro di Antonio Ghini cittadino Fiorentino del popolo di S. M. Novella.
  49. Può vedersi la vita del Buonmattei scritta dal Casotti, e premessa all’edizione del suo trattato della lingua Toscana, impresso in Firenze nel 1714. in 4.°
  50. P. Omberto Locato Cronica di Piacenza edizione di Venezia del 1564. in 4. pag. 341.
  51. Tiraboschi tom. 14. pag. 27.
  52. Senza rammentare la fatica di Cecco di Meo Mellone Ugurgueri Sanese, che Girolamo Gigli progettò d’inserire nella sua collezione intitolata l’accademia Sanese Tom. XXXIX. (Ved. il suo Diario Sanes' Tom. I. pag. 250.); ed i 25. Sonetti di Mino di Vanni, i quali erano in un manoscritto del celebre Muratori; Gio. Boccaccio compendiò in 3. Capitoli la Commedia, e questi 3. Capitoli si contengono in un Codice Riccardiano scritto nel 1429. Cod. O. I. N. XXV., Membranaceo in foglio. Il Manni nella Istoria del Decamerone part. 1. cap. 21. mostra di dubitare, se veramente questa poesia debba credersi del Boccaccio. Del Petrarca nella detta Libreria Riccardi si conserva un prologo sopra la Commedia non intiero; e molto si disputa intorno al vero autore del compendio del Poema di Dante compreso in 11. capitoli, dei quali parla il Lami nelle sue Novelle Letterarie dell’anno 1756. num. 39. e 40. Di sopra noi dicemmo che detti Capitoli probabilmente sono opera di messer Busone da Gubbio Anco Simone di Ser Dino Forestani fu gran veneratore di Dante, in lode del quale scrisse un capitolo che contiene molte notizie sulla vita di lui, e si legge nella Strozziana come ne dice il Crescimbeni ne’ suoi Commentari vol. 1. part. 2. lib. 4. ediz. di Venezia del 1730. pag. 209.
  53. Il più antico di tutti i Comenti, se non è quello di Pietro figliuolo di Dante, di cui si è altrove parlato, si dee credere l’altro chiamato dai Deputati sopra la correzione del Decamerone nel Proemio, ora il buono, ora l’antico comentatore, perchè secondo quello che pensano i medesimi, chi lo fece, dette al suo lavoro cominciamento nel 1334. Si sa per altro che Autore ne fu Jacopo della Lana Frate Gaudente Bolognese, e che per render comune quest’opera, Alberigo Rosada (o di Rosate da Bergamo dottor di Legge in Bologna) la trasportò in lingua latina (Ved. il Gelli nella Lezione III. della sua prima Lettura di Dante). Rilevai da una lettera scrittami dal canonico Dionisi che egli inclinava a credere come autore di questo comento Michino da Mezzano canonico di Ravenna, e familiare del Petrarca. Del resto oltre Benvenuto di Gran Compagno Rambaldi da Imola che nel 1389. comentò Dante come egli attesta a pag. 1074. del Tom. I. antiq. Ital. del Muratori che lo pubblicò, e che inavvertitamente disse aver egli scritto circa il 1376. (ved. per altro il Mehus nella Vita del Traversari part. CLXXXII.) Fra Riccardo Teologo Carmelitano, Andrea Partenopeo, Guiniforte Barzisio Bergamasco (del quale vedi de Bure nella sua biblioteca instruttiva tom. 1. delle belle lettere pag. 621. che cita un codice manoscritto in foglio di pergamena abbellito con vari ornamenti e rilegato in marocchino antico con le armi di Francesco I. Re di Francia, il quale esiste nel gabinetto di libri del Conte de Lauraguais: contiente questo, il suo commento sopra l’Inferno di Dante e pare che sia una offerta fatta da Guiniforte a quel Sovrano). Martino Paolo Nidobeato Novarese, Fra Paolo Albertino dell’Ordine de’ Servi di Maria (P. Agostini nel tom. 1. degli Scrittori veneziani, ed il Senator Flaminio Cornaro nella III. Decade delle Chiese di Venezia), quanti altri Comenti ci sono involti fra la polvere nelle private Librerie, dei quali se ne ignora l’autore! Io non ho per ora tempo da registrare tutti quelli, dei quali ho preso memoria ne’ miei Zibaldoni.
  54. Non v’è biblioteca in Italia, che più Codici non conservi della Commedia di Dante; e di molti scritti nel secolo XIV. potrei far menzione se non temessi di esser troppo prolisso. La sola Firenze ne conta non pochi, de’ quali per altro non conviene indistintamente fidarsi, perchè fino da’ tempi di Coluccio Salutati molti testi della Divina Commedia erano assai scorretti, siccome questo letterato si lamenta in una Epistola ad Nicolaum de Tuderano accennata dal Mehus nella vita del Traversari pag. CLXXIX. e seg. Nella libreria Tempi cod. 66. cart. in fol. vi è la commedia di Dante, nella quale sino al canto 17. dell’Inferno vi è un comento d’autore incerto di carattere del 1400. Le iniziali sono miniate. I Proemi ad ogni parte sono in rima pure d’autore anonimo, ed in fine vi sono fra le altre cose quattro versi in carattere rosso:

              Finis adest longi Dantis cum laude laboris
              Gloria sit summo Regi, matrique precamur
              Quos oro celsas confundere sedes
              Dum superna dies veniet morientibus aegris.

    La seguente lettera di Pier Francesco Foggini, m’informò nel 22. gennajo 1763. di quanto segue: «Il cod. Vat. 3199. contiene la Divina Commedia di Dante scritta a colonne molto diligentemente, ed è in pergamena in forma di foglio. La prima pagina di ciascun libro è ornata di rabeschi, tra i quali ci sono varie armi gentilizie, e anche la prima lettera di ciascun canto è miniata con oro. Questo codice era prima di Fulvio Ursino, e monsignor Zaccagna custode della biblioteca Vaticana vi ha in principio fatto scrivere questo titolo: Dante le poesie, scritto di mano del Boccaccio con una epistola sua in verso latino diretta al Petrarca, con la mano di esso Petrarca in più luoghi. Questa lettera ch’è in principio del codice, è dello stesso carattere della Commedia, e pur dello stesso carattere in fine della suddetta lettera vi si legge: Johannes de Certaldo tuus. Il Manni ha stampata questa lettera nella sua illustrazione al Decamerone pag. 25, ma nel cod. Vat. vi sono molle varietà, e invece delle parole «illustri viro D. Francisco Petrarchae laureato, vi si dice: Francisco Petrarche Poete unico atque illustri.
     Siccome non solamente Luca Antonio Fortunato nella prefazione all’edizione da lui fatta dell’Ameto, ma anche Giannozzo Manetti nella vita del Boccaccio attestano, che questi si occupò in copiar libri, può essere che questo Codice Vaticano sia uno di questi, ma per esserne sicuri bisognerebbe riscontrare se il carattere è conforme a altri codici, che si dicono di mano del Boccaccio, e che esistevano, se non si sono sperduti, nella Biblioteca di codesto Convento di Agostiniani detto di S. Spirito. Per quello poi che spetta alle correzioni credute di mano del Petrarca, queste sono pochissime. La prima è al canto VII. dell'Inferno, dove al verso che dice:

    Non poterebbe farne posar una,

    vi si mette sopra la correzione tal che si possa leggere anche così:

    Non ne potrebbe far posar pur una.

    Il codice finisce: explicit comedia preclari poete Dantis Alagherii, ed è coperto di velluto rosso con borchie dorate, perchè l'apparenza esterna corrisponda all'intrinseca preziosità di esso. In quanto alla biblioteca Barberini, l’Ab. Ballarmi Bibliotecario della medesima mi ha in iscritto mandata l’appresso notizia «In questa biblioteca vi sono molti codici bellissimi di Dante, ma senza postille, e tra gli altri ve ne è uno col comento di Pietro figlio di Dante, che si crede appartenesse a Cristoforo Landini, per essersi trovata dentro al medesimo codice una lettera indirizzata: All'onorevole Uomo Cristofano Landini; il quale nel suo comento cita il suddetto Pietro figliuolo di Dante.

  55. La prima Edizione di Dante è quella di Foligno per Gio. Numeister in foglio uscita nel detto anno 1472. della quale ne ho veduto un’esemplare nella Libreria de' Conti della Gherardesca, che l’ebbero in dono dall’erudito Dottor Verzani Lettore di Medicina nell'Università di Pisa. L’anno stesso fu ristampata la Commedia in Mantova ed in Verona, come si può vedere nel catalogo delle edizioni di Dante, inserito in quella del celebre Giuseppe Comino di Padova. A questo catalogo per altro abbiamo preparate molte aggiunte, e correzioni per renderlo completo.
  56. Matteo Ronti Veneziano Monaco di Monte Oliveto, malgrado le congetture del Vandelli nella Dissertazione di cui parleremo, fu il primo che traducesse nell’anno 1380. in circa in Pistoja, la Commedia di Dante in versi Esametri, la qual fatica è ancora inedita, se non che di essa parla lungamente col riportarne qualche saggio il citato Domenico Vandelli in una sua dissertazione inserita nel Vol. VI. delle Simbole Goriane stamp. in Roma pag. 141. e seg. Di questo soggetto, oltre a molti altri parla il P. Gio. degli Agostini nel tom. 11. delle sue Notizie degli scrittori Veneziani, e l’Autore della Storia Letteraria d’Italia Vol. VI. pag. 632. e Vol. IX. pag. 154. ed il Mehus nella vita del Traversari pag. CLXXII. e seg. ove adduce sicuri riscontri che fosse Veneziano. Gio. da Seravalle Frate minore della Diocesi di Rimino, e Vescovo e Principe di Fermo tradusse pure ad litteram in latino, e comentò pure in latino Dante nel 1416. mentre si ritrovava al Concilio di Costanza (Ved. Monsignor Fontanini nel Tom. I. della sua Biblioteca Italiana pag. 355. edizione di Venezia del 1753. colle Note dell’Apostolo Zeno). La sua Versione si conservava in Roma in un Testo a penna del Marchese Alessandro Capponi. Forse sarà questo passato nella Vaticana con gli altri libri alla medesima lasciati. E nota la traduzione in verso Eroico del P. Carlo d’Aquino Napoletano della compagnia di Gesù stampata in Roma con la falsa data di Napoli per Rocco Bernabò nel 1728. in III. Vol. in 8. (Ved il Conte Mazzucchelli nella Part. II. del Vol. I. della sua Opera degli scrittori d’Italia). Coluccio Salutati attese a tradur Dante in versi latini, de’ quali ha dato un saggio l’Ab. Mehus nella vita di Ambrogio Camaldolense pag. 309. e Vita del Traversari pag. 308. e seg.
  57. Il Marchese Maffei nella sua succinta Notizia dei manoscritti della Real Biblioteca di Torino, inserita nel Tom. VI pag. 474. e 475. del Giornale dei letterati d’Italia, e ristampata fra i suoi opuscoli Ecclesiastici, parla d’una versione in terza Rima Francese del Poema di Dante di Autore Anonimo, da lui veduto nella detta Libreria, che incomincia:

             «Au millieu du chemin de la vie presente
             «Me retrouvay parmy une foreste obscure
             «Ou mestoye esgaré hors de la droicte sente.

    Baldassar Granger Consigliere e cappellano del Re, e abate di S. Bartolommeo di Nojon similmente trasportò in cattivi versi Francesi, e comentò Dante, e questa traduzione, di cui si servì il Bayle per compilare nel suo Dizionario l’articolo sopra Dante, fu impressa in Parigi per Gio. Gesselin. nel 1596 e 1598 in 12°. in 3. volumi dedicandola a Enrico IV. Il De Bure nella sua biblioteca istruttiva Tom. I. delle belle lettere, cita questa edizione e dice che è molto ricercata quando gli esemplari sono ben conservati, aggiungendo esser questa la sola versione che avessero fino allora i Francesi di Dante. Il De la Lande nel suo viaggio d Italia vol. 2. pag. 355. (ediz. d’Yverdun 1769. in 8.°) cita quella che aveva fatta il Conte Colbert d’Estouteville nipote del gran Colbert la quale però non è mai stata impressa. A Parigi 1776. con la data di Firenze è stato stampato in 8.° l’Inferno con la traduzione Francese note istoriche e vita del Poeta da Moutonnet de Clairfons per saggio in prosa (Gazzetta dei Due-Ponti 1776. num. 101. Giornale enciclopedico di Bouillon del 1777. Tom. II. Part. I. pag 101. e seg.). Nella prima parte del catalogo della biblioteca del Duca de la Valliere Tom. II. num. 3571. si cita la terza parte della commedia di Dante chiamata il Paradiso tradotta in versi Francesi da Francesco Bergaigne e dedicata a Guillaume Gouffièr altrimenti l’Ammiraglio de Bonniret, manoscritto in cartapecora in 4.° del XVI. secolo. Non so se costui traducesse anche le prime due parti.

  58. Don Piero Fernando de Villegas Arcidiacono di Burgas per ordine di donna Giovanna di Aragona figliuola del Re Ferdinando V. di Castiglia traslatò in verso Castigliano la Commedia di Dante, e vi fece il suo Comento, traducendo per lo più quello del Landino. Fu pubblicata questa fatica in Burgas per Federigo Alemanno di Basilea nel 1515. in fogl.
  59. Vi e una traduzione dell’Inferno di Dante in versi Inglesi con note istoriche, e con la vita del Poeta di Enrico Boyd impressa a Londra nel 1785. salvo in 2. Vol. 8.°
  60. A Lipsia ne fu pubblicata una traduz. in Tedesco da Buchen Schwantz del Paradiso di Dante (1770).
  61. Diversi Pittori, come apparisce dalle loro Vite, presero da Dante alcune idee. Fra gli altri Andrea di Cione Orgagna in una cappella degli Strozzi in S. Maria Novella ritasse l’Inferno, come aveva già fatto nel Campo Santo di Pisa il suo fratello Bernardo (Vasari Vite dei Pittori Part. I. pag 104.) La qual pittura è stata ristorata nel 1738. dai padroni di detta cappella, e i medesimi vi hanno apposta un’iscrizione in memoria di ciò. Vincenzo Borghini, il quale fece i pensieri della pittura della cupola del nostro Duomo, ricavò la figura di Lucifero dalla descrizione che ne fa Dante nel Canto XXXIV. dell’Inferno. Non voglio lasciare ancora di dire che ci è una stampa in 4. fogli grandi, la quale rappresenta il medesimo Inferno di Dante, dedicata a Cosimo II. Gran Duca di Toscana con lettera in data del dì 20. maggio 1612. Fu la medesima disegnata da Bernardino Poccetti, ed incisa dal celebre Jacopo Callot Loreno. Tutto il contenuto della Commedia in bellissimi disegni parte in matita e parte a tratti acquerellati fu con ardite imagini figuarato da Federigo Zuccheri. Si vede espresso in un suo libro che esiste nella R. Galleria di Firenze ove è ancora trascritto il Poema. Alcuni disegni dello Stradano si conservano nella Laurenziana:
     Trovo detto senza autorità nel tomo 53. part. 1. pag. 6. do la Biblioteque des romans «On representait en France le Poeme du Dante de la même maniere qu’au vieux tems de la Grece let Rapsodes ailoient representer l’Iliade de ville en village, un Acteur prenant pour lui le recit du poete, et les autres les paroles qui étoient mises dans la bouche des Heros». Io non ho finora (1800) indizio di questo spettacolo se non quello che mi presta la memoria del maggio 1304. Quando era qua il celebre Cardinale da Prato, come narra il Villani lib. 8. cap. 70, si volle rappresentare l’Inferno, nel quale spettacolo rovinò il ponte alla Carraja ch’era di legno con morte, e rovina di molta gente. Del resto difficile sarebbe di esprimere in scena le idee di Dante con proprietà, ed or non piacerebbe punto che fosse fatto.
  62. Lib. 1. cap. 26.
  63. Questo Romanzo dal Fontanini loc. cit. si dice essere originalmente Toscano, ma Monsignor Bottari nel luogo che citeremo, è di parere che fosse composto in lingua Francese, e poi tradotto in Toscano dopo i tempi di Dante da un Fiorentino. In verità Michel Poccianti nel suo catalogo dei nostri Scrittori pag. 10. ne fa Autore un tale Andrea di patria Fiorentino, ed io ho notizia di un testo a penna in 4. parte membranaceo, e parte cartaceo, scritto, come si legge in piè del medesimo, nella città di Napoli nel 1462. il qual Codice appartenente al sig. Cancelliere Giacinto Pomi è arricchito di alcune miniature, e storiette toccate molto bene in penna, e ci fa sapere, che lo compose il nobiluomo Maestro Andrea da Barberino da Firenze. Questo per altro non repugna al sentimento del Bottari, e può essere che il mentovato Andrea traesse dalla lingua Francese questa leggenda, e nel volgarizzarla l’ampliasse in qua, e in là a suo piacere. Il Canonico Biscioni nel tom. 2. della sua Storia degli scrittori Fiorentini manoscritta nella Magliabechiana parla pag. 765. d’Andrea di Jacopo di Tieri da Barberino di Valdelsa che tengo sia il nostro; ma benchè accenni diverse sue traduzioni Toscane di alcuni Romanzi francesi, pure di quella, di cui ora si tratta, non fa menzione. Fu impresso più volte nel secolo XV. cioè nel 1482. a Milano, e nel 1498. a Venezia.
  64. Pag. 160. del suo dialogo intitolato il Rossi, nel quale difende il Tasso dalle obbiezioni fatte alla Gerusalemme liberata dal cavaliere Leonardo Salviati tolto nome dell’Infarinato.
  65. Cap. 167.
  66. Vescovo, ed Apostolo in Irlanda morto verso l’anno 460. di anni 83. Fu fatta in Londra una Edizione in 8.° della supposta sua Opera nel 1658.
  67. Questo è il celebre Pozzo di S. Patrizio rammentato dall’Ariosto nel Canto X. st. 92. del suo Orlando e del quale parlano i padri Bollandisti nel tom. 2. di marzo pag. 588. ed il padre Pietro le Brun dell’Oratorio in una dissertazione fatta espressamente sopra questo argomento ed inserita nel IV. tomo della sua Storia delle pratiche superstiziose. Questa caverna celebre nelle antiche favole è distante da Dungal in Irlanda due leghe, in una piccola isola situata nel mezzo del lago che forma la Darg. Fu ripiena per ordine del Papa Alessandro VI. e di Enrico VIII. quando si separò dalla Chiesa Romana, e verso la fine del Regno di Giacomo I. Non ostante la devozione per questo luogo sussiste ancora fra i cattolici, e si disse Purgatorio perchè chi vi scendeva uscivane purgato dai suoi peccati.
    M. le Grand nella sua raccolta des Contes devots che forma il vol. 4.° di quella des Fabliaux ou Contes del XII. e del XIII. secolo pag. 71. e seg. riporta quello di una tal Maria di Francia che viveva verso la metà del XIII. secolo, la quale in versi scrisse una collezione di favole pubblicate in parte dal medesimo Autore in quel volume, il qual racconto è intitolato le Purgatoire de S. Patrice e narra come mediante un bastone datoli da Cristo che si conservò dagli Arcivescovi d’Irlanda, aperse questa caverna quando il detto Apostolo della medesima prese a convertire alla fede quei popoli, acciò chiunque vi entrava pentito avesse una imagine fedele della gioja del cielo, e delle pene infernali, e presso a quel luogo fondò un monastero di religiosi sotto la regola di S. Agostino, ed esigendo che chi scendesse in quella deponesse la storia di ciò, che avesse veduto, la quale si custodiva sempre fedelmente nel monastero medesimo. Alla morte del Santo la chiave fu tenuta dal Priore del convento. Questa favola secondo i Bollandisti negli atti de’ Santi, nacque sul principio del XII. secolo, e fu opera d’un Monaco per nome Enrico. Matteo Paris la riferisce al 1153. Qualche antico breviario l’ha adottata, e si trova nel romanzo del Meschino lib. VI. Anche Jacopo da Voragine la riporta nella sua Leggenda Aurea. Esiste un libretto stampato nel XV secolo in prosa col titolo le purgatoire de Sainct Patrice. Maria dice ancora con quali cerimonie si proparavano coloro, che entrar volevano nella caverna, e come il Cav. Ouvain ebbe questa curiosità, e si trovò a vedere l’Inferno, ed il Paradiso, essendosi fatto religioso in quel monastero dopo che tornato fu a rivedere la luce, e avendo convertiti molti con narrare ciò che veduto aveva. Le Grand nelle note si occupa a riconoscere la rassomiglianza di questa caverna con quella per cui scese Enea presso Virgilio nel Tartaro, e a mostrare di credere ch’Enrico trascrivendo l’Eneide aveva ideato di stendere questa finzione. Warburton ha preteso che il viaggio di Enea all’inferno fosse un allegoria dell’iniziazione ai misteri Eleusini, ed altri dotti hanno pensato lo stesso del Purgatorio d’Irlanda citando un passo di Strabone, il quale prova che in quell’isola dei misteri simili furono introdotti, e che la religione Cristiana potette poi profittare di essi. Il parere però di le Grand è che se le cerimonie religiose con cui vi si entrava, secondo il racconto di Maria, derivavano da dei misteri venuti di fuori, queste dovevano esser quelle dell’antro di Trofonio di cui c’informa Pausania.
     Del resto Dante potette saper tutto ciò, ma la sua finzione è un sogno e non un’invenzione analoga a quello che si narra del pozzo di S. Patrizio, onde non mi saprei troppo accordare al sentimento del Fontanini; ed è più probabile che il Poeta imitasse altre idee del suo secolo, e forse quelle di Raoul de Houdan nel suo Fabliau «Le songe d’Enfer, ou le chemin d’Enfer» pezzo satirico, che pubblicò già Barbasan (Stefano) nella sua collezione di racconti di antichi poeti impressa in 3. vol. 12. nel 1766. e ripetuto in estratto dal medesimo le Grand nel tom. II. pag. 17. e seg. il qual più somiglianza ha con l’invenzione dell’Alighieri, in quanto che ancor esso varie persone tormentate trovò per i loro peccati ne’ diversi luoghi, che gli parve di visitare, ove i vizi si punivano, senza però delle cose del Purgatorio, e del Paradiso far motto, perchè il suo viaggio fu per il solo regno di Belzebut, alla tavola del quale fu invitato, e di carne d’usurai, e di monaci neri, ingrassati col bene altrui e con l’ozio, regalato.
  68. In una lettera scritta sotto nome di un’Accademico della Crusca, impressa nel tom. VII. delle Simbole Goriane stamp. in Roma.
  69. Il Bottari pensa che chi volgarizzò il Romanzo del Meschino colle invenzioni della Commedia di Dante, ampliasse ciò che quivi si dice del viaggio di Guerrino di Durazzo.
  70. Di costui che visse nel XII. secolo parla Pietro Diacono nella giunta al Cronico di Leone Ostiense. Non deve ancora tralsciarsi di dire che il can. Gio. Giacomo Dionisi di Verona nella sua opera pubblicata nel 1773. in 4.° sopra il ritmo dell’Anonimo Pipiniano, un intiero capitolo (cap. 64.) ha impiegato per sostenere che Dante da questo ritmo prese il modello della sua divina commedia, cosa veramente bizzarra ad immaginarsi.
  71. Raoul d’Houdan nel secolo 13. intitolò una sua favola sogno, o viaggio dell’inferno, di cui, e del Poema di Dante ved. l’Ab. Denina nelle sue vicende della letter. ediz. Veneta del 1788. tom. 1. pag. 182. e seg.
  72. Egli fu nel 1486. deputato Lettore nella nostra Università, e dopo aver sostenuto diversi impieghi nel suo convento di S. Maria Novella, passò a miglior vita il dì 27. ottobre 1517. siccome costa dal celebre necrologio di detto monastero. Di fra Tommaso parlano molti con lode, e fra questi l’Echard nella Biblioteca dell’ordine tom. II. pag. 38; il Negri fra gli scrittori fiorentini pag. 514. il Poccianti in Catal. script. ill. Florent. etc.
  73. L’originale di questo Poema col Comento del medesimo Padre Sardi fatto nel 1515. si conserva nella libreria di S. Maria Novella: e nella Magliabechiana cl. VII. codice 309. un’altro esemplare abbiamo veduto membranaceo in foglio, il quale è quel medesimo che dall’autore fu donato a messer Pietro Soderini Gonfaloniere perpetuo della Repubblica Fiorentina. Il Sardi credè di poter pubblicare colla protezione del Pontefice Leon X. questa sua fatica; onde portatosi a Roma ad esso ne donò una copia, che colà presentemente trovasi nella copiosissima libreria del Cardinal Neri Corsini.
  74. Lib. 1. cap. 22. Niente è più comune che l’imitazione tra gli autori. Monsignor Lorenzo Parmiero di S. Genesio custode della Vaticana compose a imitazione di Dante in verso eroico il Purgatorio, l’Inferno e il Paradiso, e in vecchiaja quando si ritirò alla sua casa lo ripuliva per darlo in luce. Lo attesta in Can. Marino Angelo Severinio nella storia manoscritta di S. Genesio composta verso l’anno 1570. riferito nel tomo 3. degli aneddoti letterari impresso in Roma nel 1774. da Gregorio Settario pag. 304. in nota. Quivi l’Ab. Amaduzzi parla di questo prelato cameriere di Giulio II. Leon. X. e Clemente VII. in congiuntura di pubblicare la vita da lui scritta di detto Giulio, e copiata dalla Vaticana in 8.
  75. Il padre Fineschi ne dette un lungo ragguaglio in stampa nel 1782. in un opuscolo relativo a questo Poema medesimo.
  76. Vita di Dante.
  77. Di Uguccione, che tanto fece parlare di se in Italia, tutti gli storici, i quali narrano le cose avvenute alla fine del XIII. secolo, e nel principio del XIV. ragionano ampiamente. Morì nel 1319. sotto Padova, dice Muratori, ed aggiunge che fu onoratamente seppellito in Verona, quantunque la cronica pisana impressa nel XV. tomo ital script. col. 997. lett. B. porti aver esso terminato i suoi giorni in Vicenza.
  78. Nell’Introduzione e Sommario della sua difesa, pag. 74. Edizione di Cesena 1688. in 4.
  79. Di costui ved. il padre Negri negli scrittori fiorentini pag. 152. e seg.
  80. Nel tom. III. di quest’opera così intitolato pag. 220. 228.
  81. Nel 1749. tom. 1. pag. 24. e seg. È da avvertirsi che questa impressione non si crede corretta, e che anderebbe collazionata con un cod. Mediceo-Palatino in foglio, e con un altro della Strozziana seg. di num. 1116. in foglio nei quali s’incontra questa medesima epistola.
  82. Ved. l’Apostolo Zeno, nelle annotazioni alla Biblioteca del Fontanini tom. I. pag. 34.
  83. L’Apostolo Zeno nella Prefazione posta in principio delle mentovate sue annotazioni, fra i punti che rileva avere il Fontanini trattato con molta accuratezza nella sua Biblioteca italiana uno è quel tanto che in essa ci lasciò scritto «sopra gli scrittori che s’occuparono in censurare, o difendere i Poemi di Dante, dell’Ariosto, e del Tasso. (Ved. anche il tom. 1. pag. 311. di dette annotazioni).
  84. Il Fontanini credè, che sotto questo nome si nascondesse Ortensio Landi, autore di molte opere; e Celso Cittadini in certe sue note a penna sopra le considerazioni del Bulgarini mostrò di sospettare che al celebre Muzio si dovesse attribuire il discorso del Castravilla; ma lo Zeno loc. cit. tom. 1. pag. 341. fa vedere, che è molto probabile che Bellisario Bulgarini Sanese, il quale scrisse le considerazioni sopra la difesa del Mazzoni, le repliche alle risposte di Orazio Capponi ec. componesse ancora il detto discorso che prima di essere stampato, girò scritto a penna per le mani di molti.
  85. Nelle memorie francesi per la vita del Petrarca dell’Ab. di Sade tom. III. pag. 507. e seg. si riferisce tradotta una lettera del Petrarca al Boccaccio tratta dall’ediz. delle di lui lettere fatta a Ginevra, o Lione nel 1601. in fol. pag. 445. nella quale, senza nominare espressamente Dante, spiega il concetto che aveva di questo Poeta. Ella è uno squarcio prezioso, ma va osservata nell’originale.