Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro sesto - Capo I

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Libro sesto - Capo I

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LIBRO SESTO.

Del Panneggiamento.





Capo I.


Del panneggiamento — I panni di cui vestironsi gli antichi erano di lino... di bambagia... di seta... di lana... e talor anche d’oro — Usarono pur varj colori distintivi delle deità... de’ re, sacerdoti, ed eroi... e in occasione di corrotto — Parti del vestito muliebre — Sottoveste... veste... cingolo... Cinto di Venere — Figure discinte — Manto... fiocchetti attaccativi... sua forma.... maniera di metterselo — Piccolo manto — Preteso velo delle Vestali — Modo di vestirsi.

Del panneggiamento. Dall’esame del disegno del nudo passiamo a quello del panneggiamento nelle figure greche, di cui quanti hanno sin quì trattato, par che abbiano pensato piuttosto a far pompa d’erudizione che a dir cose istruttive, e a darci del vestito degli antichi idee chiare e distinte; onde un artista dopo d’averne lette le opere trovasi di non avervi appreso nulla. Ciò nasce dall’essersi quegli scrittori istruiti su i libri anzichè su [p. 398 modifica]i monumenti medesimi. Confesso però che assai difficil cosa è il ben determinare il tutto; nè io qui intendo di dare una piena ed esatta notizia circa il vestire degli antichi.

§. 1. Poiché, al dir di Plinio1, i Greci coprir non soleano le loro figure, facendone pur fede di ciò le statue de' loro eroi; così degli abiti virili, come di minor conseguenza per l’arte, parleremo in fecondo luogo; e cominceremo a trattar del vestire delle donne, dopo d’aver premesse alcune notizie generali sulla qualità de’ panni e loro colori.

Panni di cui vestironsi gli antichi. Tele di lino. §. 2. Le vesti degli antichi erano di tele di lino o d’altro panno sottile e leggiero; ne' tempi posteriori furono anche di seta, ma per lo più eran di lana: ebbero pur degli abiti tessuti a oro. La tela è ben riconoscibile sulla scultura e sulla pittura a cagione della trasparenza e delle piccole pieghe compresse. Gli artisti diedero quella forma alle loro figure, non solamente perchè imitavano così le tele umide onde rivenivano i modelli; ma ancora perchè era costume de’ più antichi Ateniesi2 e d’altri popoli greci di vellirfi di pannilini3; il che però, secondo Erodoto, dovrebbe solo intendersi della sottoveste muliebre4. I pannilini portavansi dalle donne ateniesi ancor a’ tempi d’Euripide5; e Tucidide, descrivendo la peste d’Atene, parla di camicie fatte di finissimo lino: λεπτῶν ἱματίων καὶ σινδόνων 6. E’ probabile altresì che i pannilini seguitassero ad esser comuni in Grecia; perocché ne’ contorni d’Elide bellissime e finissime tele si tessevano7. I Sanniti portavano le tele eziandio ne’ loro campi di battaglia contro i Romani8, e gli Iberi dell’esercito [p. 399 modifica]d’Annibale aveano vesti di lino colorite a porpora9: presso i Romani medesimi non erano le tele di lino sì rare, com’altri vuole farci credere, fondandosi in un mal inteso passo di Plinio, ove osserva, sul testimonio di Varrone, che le donne della casa Seranica a Roma non erano di lino vestite10. Se però taluno amasse piuttosto di prendere per un panno sottile di lana, quello che su gli antichi monumenti sembra tela, ciò è indifferente per la storia dell’arte.

...di bambagia... §. 3. I panni più sottili erano principalmente di bambagia, e lavoravansi nell’isola di Coo11: di questi soleano vestirsi le donne sì presso i Greci, che presso i Romani; ma l’uomo che portati gli avesse, teneasi qual molle ed effeminato12. Tali panni di bambagia erano talora rigati13, come quei di Cherea travestito da Eunuco nel Terenzio del Vaticano, e talora fiorati: ἱμάτιον ποικίλον πᾶσιν ἄνθεσι πεποικιλμένον 14. Furono pur tessuti talvolta per le donne dei panni fini di pinna marina, specie di lanugine, che nasce su certe conchiglie15, e di cui oggidì, principalmente a Taranto e sulle coste della Dalmazia, fannosi de’ guanti e delle calze per l’inverno. Aveano gli antichi de’ panni sì sottili, che chiamavansi nebbie16; ed Euripide, parlando del manto che ad Ifigenia velava anche il volto, dice essere stato sì fino, che poteva essa ciò non ostante tutto vedere.

[p. 400 modifica] ...di seta... §. 4. Credesi di distinguere le vesti di seta sulle antiche pitture al diverso colore, che si vede sullo stesso panno, e che noi diciamo color cangiante. Ciò scorgesi chiaramente sulle così dette Nozze Aldobrandine, e sulle copie, esistenti nella biblioteca Vaticana e nel museo Albani, di altre pitture scoperte in Roma e poi perdutesi. Tale specie di colore meglio ancorai più frequentemente si vede sulle pitture d’Ercolano, come appare dall’indice di esse e dalla descrizione che ne abbiamo17. Quello color cangiante deriva dalla superficie liscia della seta e dal vivo riflesso de’ raggi che ne risulta, e che non si ha nè sulla lana nè sulla bambagia a cagion de’ grossi fili e della superficie aspra18. Ciò indicar volle Filostrato, quando parlando del manto d’Anfione, dice che non era d’un color solo, ma differenti colori prendeva secondo i diversi punti di villa19. Non ci consta dagli scrittori che le greche donne ne’ migliori tempi vestisser di drappi serici, sebbene verosimilmente noti fossero ai loro artisti, e questi ne vestissero i loro modelli. In Roma ignorossi l’uso della seta fin sotto gl’imperatori; ma quando crebbe il lusso, fecersi venire i panni di seta dalle Indie, e gli uomini stessi se ne vestiano; onde Tiberio ebbe a promulgar su ciò una legge suntuaria20.

§. 5. Si vede su i panneggiamenti di molte antiche pitture un color cangiante di rosso e violato o azzurro, ovvero di rosso nel basso e verde in alto, o di violato nel basso e in alto giallo. Questo è fenomeno proprio de’ panni di seta, ove dei due colori uno ha servito per ordire, e l’altro per [p. 401 modifica]tessere; onde su i panneggiamenti ricevono il lume ora i fili dell’orditura, or quei della tessitura, secondo la diversa direzione delle pieghe. Di porpora generalmente tigneansi i panni di lana; ma è probabile che si desse talora quella tinta anche alle sete21. Di due colori era la porpora, una cioè d’un color violaceo22, detto da’ Greci ἰάνθινος23, che propriamente vuol dire color di mare24, e tal era la porpora di Taranto25; l’altra che era più preziosa, specialmente la tiria, somigliava pel colore alla nostra lacca26.

...di lana... §. 6. I drappi di lana sulle figure distinguonsi chiaramente dalle tele e dagli altri panni sottili, e l’artista francese27, [p. 402 modifica]che non ha trovato su i marmi se non panni finissimi, e trasparenti, mostra di non aver pensato se non alla Flora Farnese, o ad altre figure che hanno panneggiamento consimile; potendoli altronde dire con fondamento che, tra le antiche statue muliebri rimasteci, tante ve n’ha per lo meno vestite di drappo di lana, quante di panni fini o tele. Il drappo di lana è riconoscibile alle pieghe ampie e rilevate, com’eziandio per quelle che aveva prese stando ripiegato: di quest’ultime riparlero più sotto.

...d’oro. §. 7. Ai diversi panni, onde formavansi le antiche vesti, aggiugnerò pure quei lavorati in oro; e ciò benché sembri fuori del nostro proposito, non essendovi figura alcuna così vestita o dipinta, pur servirà a dare un’idea compiuta di tutte le maniere di panni presso gli antichi. I ricchi panni loro non consisteano già, come presso di noi, in uno sottilmente tirato e indorato fil di rame o d’argento, che si filasse poi sulla seta, ma i fili suoi n’erano d’oro massiccio intessuto, come si rileva da Plinio, ove parla d’un simil paludamento aureo, di cui Agrippina seniore, moglie di Claudio, era ammantata quando assistè ad uno spettacolo di naumachia: Nos vidimus Agrippinam Claudii Principis, edente eo navalis prælii spectaculum, assidentem ei indutam paludamento, auro textili sine alia materia28. Narra altresì lo stesso storico, che di già Tarquinio Prisco una sì fatta tunica d’oro avea: Tunicam auream29. In Roma a’ tempi miei in due urne sepolcrali furon trovati due vestiti così lavorati d’oro puro, i quali immediatamente furon [p. 403 modifica]fusi dai proprietarj; e i Padri del collegio Clementino, nella cui vigna trovaronsi alcune urne di basalte verdognolo30, ebbero a confessare che ricavaron essi dalle vesti contenutevi quattro libbre d’oro. Di questa maniera di panni potranno dare un’idea alcuni pezzi di gallone d’oro del museo d’Ercolano, i quali sono di puro oro tessuti31.

Usarono pur varj colori ... §. 8. Dopo d’aver parlato della qualità de* panni, onde formavansi le veste, convien pur dire qualche cosa del loro colore, tanto più che ciò generalmente si è omesso da quei ai quali distinguevansi le divinità... che scrissero delle vesti antiche. A Giove fu attribuito un panneggiamento rosso32: Nettuno dovrebbe aver avuto il verde mare, colore di cui pingeansi vestite le Nereidi33; e di tal colore pur erano le bende, onde fregiavansi gli animali34, che alle divinità marine si sagrificavano; così colorita è la chioma de’ fiumi personificati presso i poeti35; e tali generalmente erano nelle antiche pitture le vesti delle Ninfe36, che il nome stesso (Νύμφη, λύμφα) prendon delle acque. Azzurro o violaceo è il manto di Apollo37; e Bacco, a cui converrebbe un ammanto porporino, è sovente vestito dì bianco3839. Cibele, qual dea della terra e madre della vegetazione, vien da Marziano Capella vestita di verde40: Giunone, per rapporto all’aria di cui è simbolo, dovrebbe [p. 404 modifica]vestirsi di color celeste, ancorché il mentovato scrittore ce la rappresenti d’un bianco velo coperta41. Conviene a Cerere l’ammanto giallo, color delle biade mature, ond’ebbe presso Omero l’aggiunto di gialla42. Nel disegno colorito d’un’antica pittura della biblioteca Vaticana, da me pubblicato43, Pallade ha il manto, non già di color celeste, com’esser suole nelle altre sue figure, ma bensì di color di fuoco, forse per indicare l’animo suo guerriero, essendo pur questo il colore usato dagli Spartani in guerra. Su alcune pitture d’Ercolano44 Venere ha un drappo volante d’aureo colore, che a luogo a luogo cangiasi in verde cupo, forse per indicare il suo epiteto aurea. Sul mentovato disegno Vaticano una Najade ha una fina sottoveste di color d’acciajo o glauco, di cui pur Virgilio vestì il Tevere45; ma verde n’è la veste, quale aver la sogliono presso gli altri poeti i fiumi46; e sì l’uno che l’altro colore simboleggiano l’acqua, se non che il verde sembra più proprio di quelli che scorrono fra piagge erbose.

...i re, i sacerdoti, e gli eroi..... §. 9. Qualche vantaggio potremo qui recare ai pittori se daremo un’idea del color proprio agli abiti de’ re, de’ sacerdoti, e degli eroi. Rosso era il veftito di Nestore47. La veste e l’abito intero dei re prigionieri nella villa Medici, e degli altri due nella villa Borghese fono verosimilmente stati fatti di porfido per indicare la porpora, e con essa la dignità reale di que’ cattivi. In un’antica pittura aveva Achille una verte di color verde mare48, forse riguardo a Teti sua madre; e ciò pur imitò Baldassare Peruzzi nella figura di quest’eroe sulla [p. 405 modifica]volta d'una sala nella Farnesina. Di simil colore si vestì Sesto Pompeo dopo la vittoria navale contro Augusto riportata, immaginandosi, dice Dione49, d’esser figlio di Nettuno: così Augusto medesimo una bandiera color di mare donò a Marco Agrippa che disfatta avea l’armata navale di Pompeo50. Presso tutt’i poeti il color bianco fu sempre quello degli abiti sacerdotali51.

Colore usato in occasione di corrotto. §. 10. Gli antichi in occasione di corrotto, sì presso i Greci che presso i Romani, vestian di nero52; e ciò era già in uso ai tempi d’Omero, presso cui Teti prende un nerissimo ammanto per la morte di Patroclo53. Si cangiò usanza sotto i romani imperadori, e le donne in tal occasione vestironsi di bianco54, come abbiam da Plutarco55, il quale, dicendo ciò indeterminatamente, dev’intendersi de’ giorni suoi. Del corrotto in bianche vesti fa pur menzione Erodiano56, descrivendo i funerali dell’imperatore Settimio Severo, ove narra che presso alla figura di cera, che lo rappresentava, sedevan le donne in bianco ammanto, e lui piangevano, mentre alla sinistra stava tutto il romano Senato vestito a nero. Questo colore in sì fatte circostanze portarono sempre gli uomini a Roma: e fra gli altri Trajano per la morte di Plotina sua sposa andò nove giorni vestito di nero5758.

[p. 406 modifica] Parti del vestito muliebre §. 11. Da quelle notizie generali sulla qualità e sul colore de’ panni passiamo alla forma del panneggiamento. Tre parti avea il vestito muliebre, la sottoveste, la veste, e ’l manto, la forma della quali era la più semplice e naturale che immaginar si possa. Negli antichi tempi v’era una moda sola di vestire, cioè la dorica, comune a tutt’i Greci59; ma quindi gli Jonj si distinsero dagli altri. Sembra però che gli artisti sulle figure divine ed eroiche abbiano sempre rappresentata la più antica maniera.

Sottoveste... §. 12. La sottoveste, che tenea luogo della nostra camicia, è visibile su alcune figure spogliate o dormenti, come nella Flora Farnese, nelle statue delle Amazzoni, nella supposta Cleopatra della villa Medici, e sul bello Ermafrodito del palazzo Farnese. La più giovane delle figlie di Niobe, che gettasi in grembo a sua madre, non ha che la sottoveste60. Questa chiamavasi da’ Greci χιτὼν61, e coloro che portavano questa sola, cui pur riteneano le donne in letto, diceansi μονοπέπλοι 62, ed anche μονοχίτονες63. Era la sottoveste di tela o d’altro sottilissimo panno, siccome appare dalle mentovate figure, senza maniche, attaccata per mezzo d’un bottone sulle spalle, daddove cadeva in guisa che il seno interamente copriva, a meno che dalle spalle non si slacciasse. Una sì sottil veste portavano le fanciulle spartane, che neppure erano cinte64. Vi si vede talora cucita intorno al collo una fascia a pieghette di più fino panno; dal che potrebbe conchiudersi, che la descrizione di Licofrone della camicia da uomo, con cui Clitennestra avea ravvolto Agamennone65; [p. 407 modifica]debba ancor meglio applicarsi alla sottoveste femminile.

§. 13. Taluno ha preteso, ma senza addurne alcuna prova, che le donne romane non potessero portare la camicia da uomo (volle forse dire la sottoveste) con maniche66. Io non mi ricordo d’aver veduto mai su figure virili greche o romane, tranne le teatrali, la sottoveste con maniche strette. Si vedono bensì in alcune pitture d’Ercolano delle vesti con mezze maniche che coprono soltanto la metà superiore del braccio, e chiamavansi colobia. Le vesti virili con maniche lunghe e strette non s’incontrano mai, fuorché sulle figure di persone comiche o tragiche, come a cagion d’esempio su due piccole statue di comici nella villa Mattei67, in altra simile della villa Albani, in una figura di tragico fu una pittura d’Ercolano, e più manifestamente che altrove fu molte figure d’un basso-rilievo della villa Panfili da me pubblicato68. Gli schiavi nelle commedie, sopra il vestito con maniche lunghe e strette, aveano una corta sopravveste a mezze maniche.

§. 14. Trovansi però le maniche su tutte le figure frigie: le hanno quelle di Paride sì nelle belle statue de’ palazzi Altemps e Lancellotti69, che ne’ bassi-rilievi e sulle gemme. Quindi Cibele medesima, come una dea frigia, vien sempre rappresentata con simili maniche, che ben visibili sono, fra gli altri suoi simulacri, in un basso-rilievo del museo Capitolino70. Così per indicare in Iside una divinità straniera furonle date, come a Cibele, maniche lunghe e strette, le quali non ha nessun’altra fra le dee. In somma tutte le figure, che rappresentar doveano barbare persone, vestite erano all’usanza dei Frigj portando maniche strette; e pare che, secondo [p. 408 modifica]Suetonio, pur tali le avesse quella ch’egli chiama toga germanica71.

....veste... §. 15. La veste femminile generalmente riduceasi a due lunghi pezzi di panno, senza taglio e senz’altra forma, se non che erano longitudinalmente cuciti e attaccati sulle spalle con uno o più bottoni, quale appunto Giuseppe Ebreo descrive il vestito comune de’ suoi tempi72. Talora in luogo di bottone s’usò un acuto uncino; «sappiamo che le donne d’Argo e d’Egina un più gran fermaglio aveano, che quelle d’Atene73. Tal era la veste detta quadrangolare, né potea questa esser per verun modo tagliata rotonda, siccome immaginò il Salmasio74, dando la forma del manto alla veste, e della veste al manto. Si passava sul capo, ed era il vestimento più comune delle figure divine ed eroiche. Le vesti delle fanciulle spartane erano aperte lateralmente al di sotto de’ fianchi75, e sventolavano liberamente, come vedesi nelle figure delle danzatrici. V’hanno altre vesti a cui sono cucite certe maniche strette, che arrivano fino al polso, dette perciò καρπώτοι da καρπὸς, che significa polso76. Sono così vestite la maggiore delle due più belle figlie di Niobe77, la pretesa Didone nelle pitture d’Ercolano78, e molte figure de’ vasi dipinti.

§. 16. Quando veggonsi le maniche assai larghe, come nelle due belle statue di Pallade nella villa Albani, allor non son già quelle le maniche della veste o della sottoveste; né in alcun modo sono tagliate a parte, ma vengono formate colla [p. 409 modifica]veste quadrangolare, la quale per mezzo d’una cintura fi adatta in guisa che discende dalle spalle sulle braccia dai due lati a foggia di maniche; e ove tal veste non è cucita sulle spalle, ma v’è sostenuta da bottoni, quelli allora vengon giù per le braccia. Di tal ampia veste, chiamata da Livio79 amplissima vestis, ammantavansi le donne ne’ dì solenni. Non m’è avvenuto mai di vedere fu antichi monumenti camice con maniche larghe, e rotolate fui braccio alla maniera d’oggidì, quali le hanno fatte alcuni moderni scultori, e nominatamente il Bernini sulla santa Veronica della chiesa di san Pietro80.

§. 17. Non trovasi mai la veste ornata di frange, nè sull’orlo inferiore nè in altra parte; e quella osservazione può servire ad ispiegare quel che Callimaco, parlando della veste di Diana, chiama λεγνωτόν, parola sì dagli antichi che da’ più recenti traduttori spiegata per frange, fuorchè dallo Spanheim, il quale però non meglio si appone, spiegandola di certe fasce longitudinali che sono nella veste medesima intessute. Callimaco introduce quella dea che porge una supplica a Giove, acciò fra le altre cose le conceda di portar succinta la veste in maniera che il fregio (λεγνωτόν) le arrivi alle ginocchia:

. . . καὶ ἐς γόνυ μέχρι χιτῶνα
Ζώννυσθαι λεγνωτόν 81

Ma siccome in nessuno degli antichi monumenti, o statue sieno o pitture, non s’incontra mai la veste di Diana nè con frange nè con fasce longitudinali; e si vede altronde con una larga fascia intessuta tutt’intorno all’orlo, principalmente nella statua Ercolanese da me descritta nel Libro iiI. capo iI82; [p. 410 modifica]perciò son d’opinione che a questo fregio dell’orlo anziché ad altre frange si riferisca la voce λεγνωτὸν83.

.... cingolo... §. 18. Sì le donzelle che le maritate legavansi la veste immediatamente sotto le mammelle84, siccome si usa anche oggidì in alcune contrade della Grecia85, e come usava il sommo Sacerdote presso gli Ebrei86. Da ciò deriva la voce βαθύζωνος (alto-cinto), attributo frequente delle donne presso Omero87, ed altri poeti88. Tal fascia, chiamata da’ Greci ταινία89, strophium90, e talvolta anche mitra91, è visibile nella maggior parte delle figure. In una piccola Pallade di bronzo nella villa Albani92, come nelle figure muliebri de’ più bei vasi Hamiltoniani pendono alle due estremità della fascia fui petto tre cordoncini terminati in un gruppo. Legavasi la fascia sotto il seno con un nodo, ora semplice ora doppio, il quale però non vedesi alle due più belle figlie di Niobe; ma alla più giovane di quelle la fascia passa su per le [p. 411 modifica]spalle e pel dorso, quale pur vedesi alle quattro Cariatidi di grandezza naturale, trovate nell’aprile del 1761. a Monte Porzio non lungi da Frascati93. Succinctorium o bracile94 chiamavasi questa maniera di cingolo ne’ bassi tempi. Veggiamo nelle figure del Terenzio del Vaticano che le vesti erano così legate con due fettucce, le quali dovean esser attaccate sulle spalle, poiché in alcune figure pendon giù sciolte da amendue i lati, e servivano a tener sollevata la fascia che passava sotto le mammelle. Tale e sì lunga esser dovea la fascia o ταινία, con cui Cloe, presso Longo, tirò fu Dafni dalia fossa del lupo in mancanza di una corda, e non già una benda de’ capelli, quale nell’annessavi stampa si rappresenta. In alcune figure questa benda è larga quanto una cintura o fascia, come nella Musa della Cancellaria95 poco men che colossale, nell’Aurora dell’arco di Costantino, e in una Baccante della villa Madama fuor di Roma. La Musa tragica ha generalmente una cintura larga, la quale fu un’urna della villa Mattei vedesi messa a ricamo96; un così largo cingolo ha talora Urania97. Da un frammento del poeta Turpilio98, ove una fanciulla esclama: „ me infelice che ho perduta una lettera cadutami fuor del seno! „ me miseram, quid agam! inter vias epistola excidit mihi: infelix inter tunicam, ac strophium qnam collocaveram, taluno ha conchiuso che questa fascia o cingolo avesse col tempo presa una forma particolare99; ma senza fondamento ha così conchiuso, poiché la dolente donzella parla d’una lettera che posta si avea sotto la fascia fra la sottoveste e la veste.

[p. 412 modifica]§. 19. Le Amazzoni fra le donne erano le sole che portassero la fascia non sotto le mammelle, ma bensì intorno alle reni, come gli uomini: e ciò non tanto per tener sollevata la veste, quanto per indicare la lor indole guerriera; onde tal fascia in loro potea propriamente chiamarsi cingolo, giacchè cingersi presso Omero ed altri è lo stesso che apparecchiarsi ossia accingerli alla pugna. L’Amazzone minore della grandezza naturale, che ferita cade da cavallo nel palazzo Farnese, è la sola, ch’io sappia, cinta vicino al petto.

§. 20, Ciò serve a rischiarare Filostrato, ove narra che nel quadro di Como quelli era circondato da donne e da uomini; e i secondi scarpe di donne aveano, ed erano succinti contro il costume: καί ζώννυνται παρὰ τὸ οἰκεῖον100, cioè alla maniera delle femmine sotto il petto. Soleano portare scarpe da donna anche i tibicini sulla scena, e Battalo d’Efeso fu il primo che così calzato vi comparve101.

... Cinto di Venere. §. 21. Le statue di Venere, che la rappresentano tutta vestita, hanno sempre due cinti, uno de’ quali le circonda i lombi. Gli ha la Venere (la cui testa sembra essere un ritratto) collocata vicino a Marte nel Campidoglio102, e la bella Venere panneggiata, che era altre volte nel palazzo Spada a Roma, ora posseduta da Lord Egremont in Inghilterra. La cintura inferiore è propria a questa sola divinità, ed è quella che da’ poeti chiamasi particolarmente il Cinto di Venere103. [p. 413 modifica]Altri, ch’io sappia, non avea fatta finora questa osservazione. Giunone si procurò tal cinto, affine di eccitare più vivi desiderj di sé in Giove, e se lo pose in grembo, come dice Omero104, cioè intorno alle reni105, ove appunto sono cinte le mentovate figure: quindi è probabilmente che i Sirj [p. 414 modifica]davano questa cintura a Giunone. Gori106 immagina che su un’urna siano rappresentate due delle tre Grazie tenenti in mano il Cinto di Venere; ma ciò non è ben chiaro.

Figure discinte. §. 22. Discinte sono alcune figure in semplice sottoveste, che sciolta loro cade giù da una spalla. Alla pretesa Flora Farnese, o piuttosto ad una delle Ore107 la cintura cade giù molle sotto il ventre, e si posa su i fianchi ad Antiope madre di Anfione e di Zeto nel palazzo medesimo: così mollemente cinta descrive il mentovato Longo la sua ninfa108. Senza cintura sono alcune Baccanti, o saltatrici sulle pitture109, ne’ marmi, e sulle gemme110, sì per indicarne la molle voluttà, per la qual ragione discinto è Bacco; sì perchè colla cintura men libero e sciolto sarebbe stato il corpo loro pe’ salti, e pe’ balli. Fra le pitture d’Ercolano v’hanno due donzelle discinte111: una ha nella destra un piattello con fichi, e nella sinistra un vaso; e l’altra ha un simile piattello112 ed un canestro, onde potrebbono rappresentare le fanciulle, dalle quali la mensa imbandivasi a coloro che andavano a cenare nel tempio di Pallade, e perciò Δειπνοφόροι eran chiamate, cioè apportatrici della cena113. Gli editori di tali pitture non ci hanno data nessuna spiegazione di quelle figure, le quali altronde nulla significano, ove non rappresentino le summentovate vergini del tempio di Pallade114. Troviamo nell’Antologia fatta menzione d’un’antica statua di danzatrice [p. 415 modifica]senza cingolo115. In oltre son rappresentate discinte le donne in uno stato di somma afflizione, principalmente per la morte de’ loro più cari e stretti parenti116: cosi Seneca introduce sulla scena le Trojane piagnenti il morto Ettore colla veste discinta117; e in un basso-rilievo della villa Borghese Andromaca con altre donne in abito discinto e collo strascico riceve alle porte della città di Troja il cadavere del suo sposo118. Così pur si usò a Roma in alcuni casi, e in abito discinto i romani cavalieri accompagnarono il corpo d’Augusto sino alla tomba119.

Manto ... §. 23. Siegue in terzo luogo il manto o pallio. I Greci chiamaronlo πέπλος, voce che propriamente signifìcò da principio il manto di Pallade, indi si applicò a quello degli altri dei120, e degli uomini121122. Questo manto non era quadrangolare, qual se l’è immaginato Salmasio, ma era tagliato rotondo, come lo sono i nostri mantelli: tal forma dovettero aver pure i manti o pallj virili. So che così non sentono coloro, che hanno scritto del vestire degli antichi; ma essi [p. 416 modifica]giudicando su i libri, e sulle figure inesatte de’ vetusti monumenti, si sono ingannati. Né io voglio qui arredarmi a commentare gli antichi scrittori, o a conciliare le opinioni diverse de’ loro commentatori: a me bada che quanto essi dicono riguardo alla forma del manto possa anche spiegarsi consentaneamente alla mia opinione. Che se gli antichi parlano sovente del manto quadrangolare, ciò non vi si oppone punto, poiché non devono intendersi di angoli propriamente detti, cioè d’un panno tagliato in guisa che formi quattro angoli retti, ma bensì d’un manto che ha quattro cantoni o angoli, ai quali erano cuciti quattro fiocchetti, sia per allacciarlo, sia per ornamento123.

§. 24. Nella maggior parte de’ manti nelle figure d’amendue i sessi tanto nelle statue, che sulle gemme124, per lo più veggonsi due soli de’ summentovati fiocchetti, essendo gli altri coperti dal getto del manto medesimo125: talora se ne veggono tre, come in un’Iside di stile etrusco, e in un Esculapio, amendue di grandezza naturale, e in un Mercurio su uno de’ due bei candelabri di marmo: tutti e tre nel palazzo Barberini126. I quattro fiocchetti e i quattro angoli sono visibili sul manto di una delle figure etrusche somigliantisi, di grandezza naturale nel mentovato palazzo, e sulla Melpomene, ossia Musa tragica, nella surriferita urna della villa Mattei.

[p. 417 modifica] Forma del manto. §. 25. Ognun può vedere che que’ fiocchetti non sono punto attaccati ad angoli propriamente detti, ed è chiaro che il manto siffatti angoli non può avere; poiché, se fosse tagliato quadrato, le pieghe che da ogni parte cadon giù serpeggiando come potrebbon elleno avere la convenevole forma e disposizione che hanno? Così gettate erano le pieche de’ manti sulle figure etrusche; e per tanto dovean questi aver la forma, che vedesi sulle figure del basso-rilievo di cui daremo il disegno nel Tomo iI.

§. 26. Chi vorrà di ciò meglio convincersi faccia cucire con alcuni punti per dinanzi un mantello rotondo secondo il solito, e sel metta alla maniera degli antichi: ei vedrà tosto come imiterà il panneggiamento dell’antico pallio. La forma presente delle pianete sacerdotali, le quali dinanzi e di dietro tagliate sono in maniera che piegano al rotondo, indica che anticamente esse erano un vero pallio; anzi cosi tagliate sono anche oggidì le pianete de’ greci sacerdoti. Mettevansi queste vesti col passare la testa in un’apertura127 fattavi nel mezzo; e per eseguire più comodamente i riti del Sacramento, le alzavano sulle braccia, e ripiegavanle verso le spalle ai due lati, onde cadevano dinanzi e di dietro prendendo una figura curva. E poiché in seguito di tempo le pianete si fecero di ricchi e pesanti panni, sia per risparmiare la spesa, sia per comodo maggiore, le tagliarono a dirittura nella forma che aveano quando eran tirate sulle braccia, e risultonne quella che hanno attualmente.

§. 27. Parlando de’ manti, sì degli uomini che delle donne, giova qui osservare che non sempre, come ognun vede, porti sono intorno alle figure nella maniera in cui soleansi portare, ma in quella foggia che più comoda era o più adattata alle idee dell’artista. Abbiamo di ciò un argomento in una [p. 418 modifica]statua imperiale sedente colla testa di Claudio nella villa Albani: questa strascinar dovrebbe il paludamento, ossia la clamide; ma l’artista ha giudicato opportuno di gettarsene una parte su una coscia, per aver così occasione di formare una bella cascata di pieghe, e di non lasciare amendue le gambe egualmente scoperte, che sarebbe stata una specie di monotonia.

Maniera di metterselo. §. 28. Gli antichi metteansi e adattavansi (ἐπιβάλλεσθαι) in molte maniere il pallio: la più comune era di ripiegarne un quarto o un terzo; e quella parte, quando erasi messa indosso, servir poteva a coprirne il capo. Così Scipione Nasica, al dir d’Appiano, metteasi in capo il lembo della toga, κράσπεδον128. Presso gli antichi scrittori vien fatta menzione del manto addoppiato129, che perciò doveva essere più grande dell’ordinario, e tal vedesi in alcune statue. Manto addoppiato hanno, fra le altre, le due belle statue di Pallade nella villa Albani: non l’hanno però messo attorno secondo il solito, ma passando loro sotto il braccio sinistro, e sotto l’Egida dinanzi e dietro, vien tirato fui petto, e pende poscia unito dall’omero destro130. D’un manto addoppiato dee probabilmente intendersi il doppio pallio de’ Cinici131; sebbene così addoppiato questo non sia nella statua d’un filosofo di quella setta di grandezza naturale nella mentovata villa132. Siccome i Cinici non portavano la tunica, avean maggior bisogno d’un pallio doppio; e tale spiegazione val [p. 419 modifica]ben meglio di quanto su questo proposito scrissero il Salmasio133 ed altri. La voce doppio non può qui significare che se ne dessero due giri intorno alla vita, come quegli scrittori pretendono134; poiché nella mentovata statua il pallio è messo come nella maggior parte delle figure che hanno pallio o manto.

§. 29. Secondo la più usata maniera il manto faceasi passare sotto il braccio destro, e sopra l’omero sinistro. Talor però la figura non è nel manto ravvolta; ma questo pende dalle spalle attaccato a due bottoni135, come vedesi nella bellissima ed unica statua di Leucotea nella villa Albani, e nelle due Cariatidi della villa Negroni, tutte e tre di grandezza naturale. Un terzo almeno di questo manto deve supporsi o di sotto o di sopra ripiegato, la qual cosa manifestamente si scorge nel manto d’una figura muliebre, maggiore dei naturale, nel cortile del palazzo Farnese, il cui lembo inferiore ripiegato in su vien preso e legato da una cintura. Così tirato in fu e tenuto colla fascia è lo strascico del manto pendente dalle spalle ad una Musa maggior della grandezza naturale nel cortile della Cancelleria136, ed all’Antiope nel gruppo del Toro Farnese137. Talvolta il manto viene ad annodarsi sotto il petto, qual vedesi in alcune figure egiziane, e generalmente in quelle d’Iside, siccome ho mostrato nel Libro iI.138; talora in vece del bottone eravi un uncino (περόνης), a cui le due estremità del manto insieme attaccate pendevano139, in guisa che probabilmente un’estremità venia per di dietro dal di sopra della spalla, e l’altra per dinanzi [p. 420 modifica]di sotto del braccio. Un fregio singolare è quella specie di rete fatta a maglia, che in forma d’una sopravveste è porta sopra il manto nel torso d’una statua, la quale lo ha legato al petto, come Iside, nella villa del conte Fede a Tivoli, ov’era anticamente la villa d’Adriano. Tal rete è probabilmente quelli sopravveste detta ἄγρηνον, che portar soleasi nel festeggiare le orgie di Bacco140, e vedesi pur sulle figure di Tiresia e d’altri indovini141.

Piccolo manto. §. 30. Usavasi eziandio dalle greche donne un più breve manto, formato di due pezzi cuciti lateralmente nella parte inferiore, e attaccati insieme sulle spalle per mezzo d’un bottone in guisa che rimaneavi un’apertura per passarvi le braccia: tal manto chiamossi da’ Romani ricinium142. Talora appena arrivava alle anche, e generalmente non era più lungo che le mantiglie delle nostre donne143. Diffatti a quelle somiglia il breve manto fu alcune pitture d’Ercolano, ed è come una leggiera mantellina che copre le braccia: probabilmente era tagliato rotondo, e in maniera da farselo passare sul capo. Era forse questo manto quella parte di vestito, che i Greci chiamavano ora ἔγκυκλον 144, o κύκλας 145 da κύκλος per la sua rotondità, ora ἀναβολάδιον 146, e ἀμπεχόνιον. La Flora del Campidoglio147 ha un manto un po’ più lungo, formato di due pezzi, un dinanzi e l’altro dietro; nei due fianchi è cucito verso il basso, e affibbiato nella parte superiore, tal che vi rimane l’apertura pel [p. 421 modifica]braccio: diffatti n’esce il sinistro: sulla destra v’è gettato il panneggiamento; ma ciò non ostante si vede l’apertura.

Preteso velo delle Vestali. §. 31. Le figure, nelle quali il panno o ’l manto è tirato sin sulla tefta, vengon generalmente prese per Vestali, sebbene altronde fosse quella un’usanza comune a tutte le donne. Tutti s’accordano gli Antiquarj a credere che rappresenti una Vestale certa testa nella Farnesina, che ha velato il mento, non considerando che le manca l’attributo principale, cioè l’infula, ossia la larga fascia sul capo, che cade poi sugli omeri148. Così sono effigiate due teste mentovate da Fabretti149, una incisa col suo busto su una lamina rotonda, e l’altra su un’onice. Su quella è scritto all’intorno il nome della persona: BELICIAE MODESTE, e interiormente presso al busto V. V., che il mentovato scrittore legge VIRGO VESTALIS. Nella gemma sotto la figura sta fritto NERVIRV, parola che lo stesso crede composta di tre voci abbreviate, e così le compie: NERATIA VIRGO VESTALIS. Una Vestale sarebbe pur riconofcibile per un panno o velo particolare di forma quadrilunga, che portavan in capo, e chiamavafi suffibulum. La mentovata infula pende addoppiata sul petto ad una figura di grandezza più che naturale nel palazzo Barberini, a cui è stata rimessa una moderna testa d’Iside.

Modo di vestirsi §. 32. Il vestito degli antichi era piegato e compresso, e tal era principalmente dopo d’essere stato lavato; il che di frequente succedeva a cagione de’ panni bianchi che le donne portavano ne’ più antichi tempi150. Che l’uso vi fosse di soppressare i panni, appare dalle soppresse medesime di cui trovasi fatta menzione151; e ne’ panneggiamenti [p. 422 modifica]stessi si veggono de’ tratti parte incavati e parte rilevati, che figurano le pieghe del panno piegato a molti doppj, le quali assai distintamente esprimer soleano gli antichi scultori. Io sono per tanto d’opinione, che le rughe de’ vestiti romani altro non fossero che l’effetto del piegamento de’ panni, e non già pieghette soppressate e piane, come pretende Salmasio152, il quale non potea ben giudicare di ciò che non avea mai veduto,



Note

  1. Græca res est nihil velare; at contro romana ac militaris thoraces addere, lib. 34. cap. 5. sect. 10. [ Il signor di Jaucourt nell’Enciclopedia, art. Statue, pag. 486. abusando di questo passo, scrive che i Greci altre statue non facevano vestite, che quelle di Lucina.
  2. Tuc. lib. 1. cap. 6. pag. 6. lin. 26.
  3. Æsch. Sept. contr. Theb. vers. 1047. Theocr. Idyl. 2. vers. 73.
  4. lib. 5. cap. 87. pag. 416.
  5. Eurip. Bacch. vers. 819.
  6. lib. 2. cap. 49. pag. 129. princ. [ Tenuissimorum vestimentorum, aut linteorum.
  7. Paus. lib. 5. cap. 5. p. 384., Plin. l. 19. cap. 1. sect. 4.
  8. Vedi sopra pag. 209.
  9. Polyb. lib. 3. pag. 264. A., Liv. l. 22. cap. 26. num. 46. [ Dicono preteste, ossia vesti con delle striscie di porpora riportate.
  10. Plin. lib. 19. cap. 1. sect. 2. §. 1.
  11. Salmas. Plin. Exerc. in Sol. cap. 7. pag. 101. & 102.
  12. Plin. lib. 11. cap. 23. sect. 27.
  13. Ruben. De re vest. lib. 1. cap. 2.
  14. Plat. De Republ. lib. 8. pag. 557. C. op. Tom. iI [ Pallium omnibus colorum generibus variegatum, acque distinctum. I fiori s’intessevano nel panno, come si usa oggidì, Aristeneto Epist. lib. 1. epist. 27. pag. 177. Questo scrittore epist. 11. pag. 77. parla dell’abito d’un giovane con fiori intrecciati insieme, e concatenati uno coll’altro.
  15. Salm. not. in Tertull. de pall. p. 172. & 175. [ Questa lanugine scura è come una lunga barba, che mettono fuori le pinne marine dalla bocca, a guisa dei ragni, attaccandola all’orlo delle loro chioccie per tenersi ferme con essa alli scogli, o al fondo del mare. Vedasi l’Enciclopedia, art. Pinne - marine. Tournefort crede che ella sia il bisso adoprato da Davide e da Salomone; ma senza fondamento, come osserva Mignot Vingt-un. Mém. sur les Phénic. Acad. des Inscript. Tom. XL. Mém. pag. 160.
  16. Turneb. Advers. lib. 1. cap. 15.
  17. Bayardi Catal. d’Ercol. pag. 47. n. 244. pag. 117. n. 593., Pitt. d’Ercol. Tom. iI. Tav. 5. pag. 27. ec.
  18. Lo nega il signor Lens Le Costume, ou essai sur les habillem. ec. liv. 2. ch. 1. p. 55., poiché è certo che il pelo di capra, la bambagia, e il lino fino avendo un poco di lucido, producono eziandio il color cangiante, benchè non tanto vivo e forte quanto la seta.
  19. Icon. lib. 1. num. 11. Tom. iI. pag. 779. [ Chlamys præterea, quam gestat, ipsa quoque a Mercurio est, neque enim uno constat colore, sed mutat eum, acque iridis ad instar est diversicolor.
  20. Tacit. Ann. lib. 2. cap. 33.
  21. Ciò è indubitato, come osserva il sig. Amati nel libro ultimamente pubblicato De restitutione purpurarum, coll’autorità di più antichi scrittori cap. 31., e cap. 29. con una veste di seta così tinta trovata in un antico sepolcro in Roma unitamente ad una veste di lana finissima anche tinta di porpora.
  22. Corn. Nep. Fragm. pag. 158. ed. in us. Delph. [ Frammento ricavato da Plinio lib. 9. cap. 39. sect. 63], Column. de Purp. pag. 6.
  23. Plin. lib. 21. cap. 6. sect. 14. [Plinio lo chiama ianthino da una specie di viola detta ia; e non so capire come gli Editori Milanesi abbiano qui surrogato ὑάκινθος color di giacinto. Un tal colore, come osserva il lodato Amati cap. 4., è diverso da questo color di giacinto, del quale egli tratta nel capo 6. Questo era più cupo, e carico di quello; e sì l’uno che l’altro, come scrive lo stesso Amati cap. 3., erano diversi da quell’altro color della porpora, che gli antichi rassomigliavano al colore del mare agitato, e tra gli altri Cicerone Acad. quæst. lib. 4. cap. 33.: Mare illud, quod favonio nascente purpureum videtur; e in altro luogo presso Nonio, V. Purpurascit: Quid mare nonne cærulcum? at ejus unda, cum est pulsa remis, purpurascit: Plinio lib. 9. cap. 36. sect. 60.: Sed unde conchyliis pretia? Quid virus grave in fuco, color austerus in glauco, & irascenti similis mari? Properzio lib. 2. eleg. 76. v. 5.
    Purpureis agitatam fluctibus Hellen:
    Virgilio Georg. lib. 4. v. 374., e ivi Servio; Furio Anziate presso Aulo Gellio Noct. Att. lib. 18. cap. 11.:
    Spiritus eurorum viridis cum purpurat undas;
    e in fine anche Omero, che spesso chiama purpureo il mare, ed altri autori greci e latini citati dal P. de la Cerda nelle note al detto verso di Virgilio. Dalle quali autorità si ricava maggior lume per intendere il passo di Filostrato riportato e spiegato bene dal nostro Autore sopra pag. 307.; purché nel chiamare quel colore rosseggiante, s’intenda piuttosto di un colore livido; essendo esso di un nero misto di ceruleo, simile al ferro imbrunito. Achille Tazio nella descrizione, che da De Clitoph. & Leuc. amor. princ. del quadro, che stava nel tempio di Venere a Sidone rappresentante il ratto di Europa, scrive p. 6. edit. Salmas. che vi era dipinto il mare a due colori: la parte più vicina al lido era di colore, che tendeva al rosso; e l’altra più lontana, e più profonda era cerulea: Mari color inerat duplex: terra, enim propinquior pars subrubebat: remotior vero & profundior cærulea erat (ὑπέρυθρον καὶ κυάνεον ). Illic scopuli etiam e terra projecti extabant: quos e tumescentibus, & saxo allisis fluctibus facta spuma dealbabat. Sembra però che egli non riconosca quel color rosseggiante come un effetto dell’agitazione delle onde; ma piuttosto come un colore delle porpore che vi si pescavano; avendo detto poco prima, che dalla ispezione oculare del quadro si capiva che quello era il mare fenicio.
  24. Excerpt. Polyb. lib. 31. pag. 177., Hadr. Junius Animadv. l. 2. c. 2., Bochart Hieroz. Tom. iI. lib. 5. cap. 10.
  25. Horat. lib. 2. epist. 1. vers. 207.
  26. Intorno alla porpora, alle conchiglie dalle quali li ricavava, suoi tanti altri colori, e ai panni, che se ne tingevano, si può vedere il lodato Amati, che ne tratta con molta erudizione; che peraltro avrebbe potuto estendere a molte altre ricerche. Può vedersi anche il signor Goguet Della Orig. delle leggi, delle arti, ec. Tom. iI. part. iI. lib. iI. capo iI. art. I.
  27. Falconet Reflex. sur la sculpt. pag. 48. seqq. Œuvr. Tom. I. [Rispondendo il sig. Falconet a questa critica nella nuova edizione delle sue Objerv. sur la ftatue de M. Aurel. Œuvr. Tom. iI. pag. 237. not. 111. vuole far vedere ch’egli anzi dice tutto l’opposto di ciò, che gli fa dire Winkelmann. È vero che il nostro Autore non ha osservato, che egli eccettua alcune figure greche vestite di panno (se per panno dobbiamo intendere drapperies larges); ma sempre farà vero ancora, che sbagli inappellabilmente questo scrittore, dicendo loc. cit. per regola generale, che i Greci vestivano le statue di drappi finissimi, e trasparenti, come li portavano le donne di Coo; uniformandosi in tal guisa ai loro costumi, al loro clima, e modo di vestire; e che non si sono dipartiti se non di rado da questo stile, come nelle poche statue, ch’egli riporta, esistenti in Roma.
  28. lib. 33. cap. 3. sect. 19. [ e Dione Cassio lib. 60. cap. 33. pag 971. Tom. iI.
  29. Ibid.
  30. Queste furono donate non ha guari al regnante Sommo Pontefice Pio VI., che le ha collocate nel museo Clementino. [Il Sommo Pontefice le ha comprate; e dopo, per una gratificazione, ha generosamente donati agli antichi possessori altri scudi 500. Vedi sopra pag. 129. nota b.
  31. Lo stesso ci dice Lampridio di Eliogabalo nella di lui vita c. 23., che portasse la tunica tessuta di soli fili d’oro: Indutus est aurea omni tunica. Il rilevare che fanno questi scrittori una tal cosa fa ben capire, che rare fossero tali vesti, e forse de’ soli imperatori, o altre persone del maggior riguardo. Si tessevano pure i fili d’oro frammischiati con fili di lana, come ivi scrive Plinio; aggiugnendo che Attalo era stato il primo a intessere l’oro con altre materie, come lo aveva detto anche lib. 8. c. 48. sect. 62. Apulejo Metam. lib. 4. pag. 109. parla di vesti di seta tessute coll’oro: Prædas aureorum, argenteorumque numorum, ac vasculorum, vestisque serica, & intexa filis aureis invehebant. Capitolino nella vita di Pertinace cap. 8. parimente nomina una veste di Comodo ordita con seta, e tessuta a oro.
  32. Mart. Cap. De Nupt. phil. lib. 1. p. 17.
  33. Ovid. De arte am. lib. 3. v. 178.
  34. Val. Flacc. Argon. lib. 1. v. 189.
  35. Ovid. loc. cit. lib. 1. v. 224.
  36. Idem ibid. lib. 3. vers. 178.
  37. Bart. Pitt. ant. Tav. 2.
  38. Idem ibid.
  39. A Plutone si attribuiva il color nero. Claudiano De raptu Proferp. lib. 1. vers. 79.
  40. loc. cit. pag. 19.
  41. Idem ibid. pag. 18.
  42. Così deve pure intendersi l’epiteto di rubiconda, che le dà Virgilio Georg. lib. 1. vers. 297., alludendo alle spighe mature. Se le dava anche il color bianco; e così vestite erano le sue sacerdotesse. Ovidio Metam. lib. 10. vers. 432. Vedi al capo seg. §. 7.
  43. Monum. ant. ined. num. 113.
  44. Tom. IV. Tav. 3.
  45. Æneid. lib. 8. verf. 33, 34
    ... Eum tenuis glauco velabat amictu
    Carbasus.
  46. Stat. Thebaid. lib. 9. vers. 354.
  47. Philostr. lib. 2.
  48. idem lib. 2. Icon. 2. pag. 812. [ Chlamys, qua est indutus, a matre est, ut puto; pulchra enim est, ac purpurea, igneique coloris, atque in nigricantem vergens. Vedi sopra pag. 401. nota b.
  49. Dio Cass. lib. 48. c. 8. Tom. I. p. 564.
  50. Suet. Aug. cap. 25.
  51. Val. Flacc. Argon. l. 1. v. 385., Braun, de Vest. sacr. hebr. lib. 1. cap. 6.
  52. Dion. Halic. A. R. lib. 8. c. 39. Tom. I. pag. 492., Ovid. Metam. lib. 6. vers. 288.
  53. Iliad. lib. ult. v. 94'.
  54. Noris Cenot. Pisan. Diss. 3. cap. 1.
  55. Quæst. Rom. oper. Tom. iI. p. 270. D.
  56. Hist. lib. 4. cap. 3.
  57. Xiphil. Adr. pag. 261. in fine. [ Voleva dire, Adriano per la morte di Plotina sposa di Traiano.
  58. Sostennero questa opinione del colore bianco per le donne, tra gli altri, Lipsio Excurs. ad Tacit. Annal. lib. 2. litt. M., e con lui il card. Noris loc.cit., e Kirchmanno De fun. Rom. lib. 2. cap. 17. Non mancando esempi in contrario, Meursio De funere, cap. 47. op. Tom. I. col. 391., ha creduto che le vesti di color bianco fossero allora usate dalle donne illustri, e dalle principesse. Il card. Noris loc. cit. avendo osservato in Lattanzio De mortib. Persec. cap. 39., che Valeria Augusta vestì di nero per la morte di Massimiano; crede che da quel tempo mutassero le donne l’abito bianco in nero. Dagli antichi giureconsulti noi rileviamo, che anzi non fosse permesso il color bianco per il duolo sì agli uomini, che alle donne; poiché Paolo Recept. sent. lib. 1. tit. 21. §. 3. scrive, che quelli, i quali facevano il corrotto doveano astenersi, fra le altre cose, dal portar vesti bianche: Qui luget abstinere debet a conviviis, ornamentis, purpura, & alba veste; e tra quelli, che facevano ii corrotto, per obbligo assoluto doveano farlo le vedove ai loro mariti, e portar vesti lugubri, l. Genero 8. ff. De his, qui not. inf.; per le quali s’intendono le vesti nere, l. Item apud Labeonem 15. §. Generaliter 27-ff. De injur.
  59. Herod. lib. 5. cap. 88. pag. 416.
  60. Tiene anche la veste, di cui è coperta dalle natiche ai piedi; e può vedersi ben rilevata nella figura in rame presso monsignor Fabroni Dissertaz. sulle statue, ec. Tav. 2., che la fa osservare nella spiegazione pag. 13.
  61. Achil. Tat. De Clitoph. & Leuc. amor. lib. 1. pag. 9. edit. Salmas.
  62. Eurip. Hecub. vers. 933.
  63. Plut. Sylla, pag. 467. F. op. Tom. I.
  64. Schol. ad Eurip. Hec. loc. cit.
  65. Alex. v. 1100. V. Casaub. Animadv. in Suet. pag. 28.
  66. Nadal Dissert. sur l'habill. des dam. Rom. Acad. des Inscript. Tom. IV. p. 243. [Dice che portavano le camicie colle maniche di una forma, che non era permessa ad altri.
  67. Monum. Matthæi. Tom. I. Tab. 99. Ora nel Museo Pio-Clementino.
  68. Monum. ant. ined. num. 189.
  69. Vedi sopra p. 334. n. c. Il Paride di Altemps è ora nel detto Museo Pio-Clementino.
  70. L’Archigallo, di cui ho parlato sopra alla pag. 285. nota b.
  71. in Flav. Domit. cap. 4.
  72. Ant. Jud. lib. 3. cap. 8. §. 4.
  73. Herod. lib. 5. cap. 88. pag. 416.
  74. Not. in Script. hist. Aug. pag. 389.
  75. Plut. in Numa, pag. 76. in fine, oper. Tom. I. [ Meursio Miscell. lacon. lib. 1. c. 10. op. Tom. iiI. col. 150., Tiraquello De legib. connub. Tom. iI. glossa 1 par. 5. n. 29. p. 85.
  76. Salmas. in Tertull. de pall. pag. 44.
  77. Presso Fabroni Tav. XI.; e cosi è vestita anche l’altra fra le maggiori riportata nella Tav. XII.
  78. Tom. I. Tavola 13., che può credersi piuttosto la Musa della tragedia, di cui è proprio il cantare tristia bella: il che s’indicarebbe nella spada foderata, che tiene con ambe le mani, e nello sguardo truce, e aria fiera del volto. Tal veste si vede anche alla Musa della commedia Talia nel Tomo iI. Tavola 3.
  79. lib. 27. cap. ult.
  80. Voleva dire Mocchi, come ne lo fanno autore il Bonanni Histor. Templi Vatic. c. 25., ove da la figura di quella statua; Sindone e Martinetti Della sacr. Basil. Vat. lib. 2 cap. 5 §. 13., e tutti generalmente.
  81. Hymn. in Dian. vers. 11. & 12.

    [ . . . Et ad genua usque tunicam
    Succingam simbriatam.

  82. §. 12. pag. 182.
  83. Ho accennato alla p. 110., che le frange erano ornamenti soliti portarsi all’estremità dei panni sì presso i Barbari, che presso i Greci, e i Romani. Questi panni erano propriamente il manto; e a questo si vedono in tante statue, come, per esempio, in quella della creduta Aria della villa Lodovisi riportata dal Maffei Raccolta di Statue, Tav. 60., e di cui parlerà il nostro Autore nel libro XI. capo. iI. §. 24.; la Pudicizia del Museo Capitolino, Tom. iiI. Tav. 44., e presso lo stesso Maffei Tav. 18., simile a quella della Galleria Giustiniani Tav. 68.; quella della Venere Felice, o si vero della imperatrice Sallustia Barbia Orbiana moglie d’Alessandro Severo nel Museo Pio-Clementino; i re prigionieri, de’ quali parla Winkelmann alla pag. citata; e tante altre. In un basso-rilievo del palazzo dei Conservatori in Campidoglio riportato dal Bartoli Adm. Antiq. Rom. Tab. 35. ha le frange il limo d’un sacrificatore, come in due altri nella Tavola 43. Per le pitture, si vedono le frange alla Talia del Museo d’Ercolano, Pitture, Tom. iI. Tav. 3., e ad altre figure.
  84. Val. Flacc. Argon. lib. 7. v. 355. [ Aristeneto lib. 1. epist. 25. pag. 165., l. 2. epist. 13. pag. 247.
  85. Pococke’s Descript. ec. Tom. iI. Par.I. pag. 266.
  86. Reland. Antiq. sacr. Par. iI. cap. 1. n. 9. Thes. Ant. sacr. Ugol. T. iI. col. DXXV.
  87. Iliad. l. 9. v. 590., Odyss. l. 3. v. 154.
  88. Barnes le parole βαθύζωνος γυναῖκας traduce nell’Iliade profunde succinctas, e nell’Odissea demissas zonas habentes: erroneamente in amendue i luoghi. Egualmente male hanno spiegato questo vocabolo gli Scoliasti greci. Quando nell’Etimolog. Magno leggiamo che era questo un soprannome che davasi alle donne barbare, ciò trae forse il suo fondamento da un passo d’Eschilo, Pers. v. 155. ove si dà tal nome alle persiane. Stanley ha ben preso il vero senso della parola, traducendo alte cinctas. Lo Scoliaste di Stazio, Lutat. in l. 10. Theb. Stat., addita assai male la figura della virtù, dicendo che è rappresentata alto-cinta.
  89. Anacreonte Ode 20. vers. 15., Polluce Onom. lib. 7. cap 14. segm. 65.
  90. Æsch. Sept. contra Theb. vers. 877., [ Nonio cap. 14. num. 8. ] Catull. Carm. 61. Epithal. Pelei, & Thet. vers. 65., ove più propriamente dovrebbe leggersi luctantes, che lactantes. [ Come legge Mureto.
  91. Nonn. Dionys. lib. 1. V. 307. pag. 28. num. 26., & pag. 40. num. 10. [ Museo De Heron. & Leand. Amor. vers. 272.
  92. La Chausse Mus. rom. Tom. I. sect. 2. Tab. 16.
  93. Ora nella villa Albani.
  94. Isidor. Orig. lib. 19. cap. 33.
  95. Ora nel Museo Pio-Clementino.
  96. Spon. Miscell. Antiquit. sect. 2. art. 9. pag. 44., Montfauc. Antiq. expliq. Tom. I. Part. I. pl. 56.
  97. Come, tra le altre, quella del palazzo Farnese, della quale si è parlato alla pag. 322. not. c.
  98. vers. 133.; e presso Nonio cap. 14. n. 8.
  99. Nadal Dissert. sur l’habill. des Dam. romain. Acad. des Inscript. Tom. IV. Mem. pag. 251.
  100. lib. 1. Icon. 2. p. 766. [Magna autem hominum turba cietur, mulierculæque cum viris incedunt, utunturque eodem calceorum genere, præterque morem præcinguntur.
  101. Liban. Vita Demosth. princ. oper. Demosth. pag. iI.
  102. Mus. Capit. Tom. iiI. Tav. 20.
  103. Qui l’Autore viene aspramente ripreso dal signor Heyne Antiquar. samm. erst. band. pag. 148., perchè sdegna il doppio cinto come un distintivo di Venere; nega che κιστίς significhi il cinto particolare di quella dea; e pretende che Winkelmann abbia mal intese le parole d’Omero che qui interpreta. Non adduce però quel critico, siccome avrebbe dovuto fare, le necessarie prove, su cui fondare l’amarezza della sua riprensione. Nè questa si ristringe soltanto al presente punto; ma soggiugne, che generalmente il nostro Autore non è molto felice, quando vuole interpretare o ridurre a miglior lezione qualche testo greco o latino. [ Se ha ragione il signor Heyne in quota parte, non ha ragione per ciò che riguarda il cesto. Il nostro Autore ha voluto qui rilevare, che era proprio di Venere quel secondo cinto, che si vede scoperto sul fianco, e intorno al ventre delle di lei statue, come in quelle, ch’egli nomina; ma non intese per questo di negare, come ha creduto anche il signor Lens Le Costume, ec. liv. 2. chap. 1. pag. 32., che usassero qualche volta un doppio cinto altre deità, e donne, e che con esso si vedano nelle antiche loro figure; perocché nei Mon. ant. ined. Par. I. cap. 12.pag. 37., ove più a lungo tratta del Cinto di Venere, dice chiaramente il contrario, scrivendo, che quella seconda cintola, la quale serviva per ritirare in su la tonaca, non è visibile in figure di altre deità, o donne, ma resta coperta dalla parte della tonaca ripiegata, che cade in giù; come è difatti nelle figure, che cita il signor Lens, nella figura di Pallade, e di altre figure muliebri presso il Bartoli Admir. Antiq. Rom. Tab. 63. 64. e 65.; di una nelle Pitture d’Ercolano Tom. iI. Tav. 21.; nei suddetti Monumenti antichi, num. 114., e in altre innumerabili: Sebbene non possa dirsi, che tutte le figure, le quali hanno il secondo cinto solamente, lo abbiano coperto; avendolo scoperto in parte la creduta Flora Farnese, che per altro potrebbe essere una Venere, come abbiamo accennato alla pag. 322. not. d.; e una statua, che se non è restaurata, rappresenta la Vittoria, nel Museo Granducale, riportata dal Gori Mus. Fior. Statuæ Antiq. Tab. 70. Winkelmann al luogo citato dei Monumenti chiama zona quello cinto: con che fa vedere, che non lo confonde collo strofio, come ha creduto il signor Lens loc. cit. pag. 31., che lo confondesse qui avanti nel §. 28.; e non ha osservato il signor Lens, che non solo il primo cinto, ma arche il secondo si chiama strofio da Polluce lib. 7. cap. 14. segm. 67.
    Per provare che il cesto sia proprio di Venere credo possa giovare Aristeneto libro 1. epist. 10. pag. 58. e 59., ove scrive, che quella dea aveva conceduti a Cidippe tutti i suoi onori, e grazie, eccettuato il cesto, che si era riservato, come dea: τὴν μὲν ἅπασι τοῖς ἑαυτῆς φιλοτίμως κεκόσμηκεν Ἀφροδίτη, μόνου τοῦ κεστοῦ φεισαμένη· καὶ γὰρ τοῦτον πρὸς τὴν παρθένον εἶχεν ἐξαίρετον ἡ θεός.. Nam illam omnibus suis honoribus honestavit Venus, solam sibi zonam reservans, quam præ mortali præcipuam haberet dea; e il passo di Omero credo non possa intendersi altrimenti dalla spiegazione datane dal nostro Autore.
  104. Il. l. 14.. v. 219. 223^., Nonn. Dionys. lib. 4. vers. 190. pag. 150. num. 23., lib. 32. vers. 31.
  105. Vedasi ciò che altri hanno scritto intorno al Cinto di Venere, e si scorgerà quanto male siensi apporsi. Prideaux not. ad Marm. Arundell. p. 24.. ad Smyrn. decr., e Rigault ''not. in Onosandri Strateg pag. 5. lo prendono per un vestito, anziché per una fascia. Gl’interpreti d’Omero non hanno nemmen essi ben inteso il senso del citato passo; e dire ἐγκάτθεο κόλπῳ , mettilo (cioè il cinto) in grembo, non e lo stesso che καταχρύψον ἰδίῳ κολπῳ nascondilo nel grembiule, siccome spiega lo Scoliarte. Eustazio non comprese nemmen egli il vero senso di questa voce, facendola derivare da κεστός. Aristide all’opposto, parlando di questo cinto, Orat. isthm. in Nept. Tom. I. pag. 23., lascia da parte quel che esso fosse, e come posto ὅστις ποτὲ οὗτος ὁ κεστός ἐστιν [quicumque tandem ille (cestus) est. Il sig. Martorelli professore di lingua greca a Napoli osserva assai bene de Reg. Theca Calamar. lib. I. cap. 7. pag. 153., non esser quello un sostantivo, ma un aggettivo, che in luogo di sostantivo hanno usato i poeti greci de’ tempi posteriori. Sembra che l’autore Anthol. epigr. græc. lib. 5. num. 56. d’un greco epigramma su Venere non abbia ben compreso qual cintura venisse indicata dalla voce κεστὸς, per cui intende la cintura ordinaria che portavasi sotto il petto ἀμφὶ μαζοῖς κεστὸς ἕλιξ [ circa mamillas cestus retortus. In un altro epigramma dello stesso libro num. 19. pag. 699. si prende per un velo, o fascia che a Venere scenda dal capo sino al petto:
    ...In pectore vero deæ
    Cervice ex summa fusus volvebatur cestus. ]
    A maggior rischiaramento intorno al Cinto di Venere potrà servire ciò che dice Plinio lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 8., della statua d’un Satiro, che teneva la figura d’un Bacco palla velatum Veneris; cioè, com’io l’intendo, cinto alla maniera d’una Venere vestita. Questo passo è stato sinora mal inteso, e alcuni in luogo di Veneris vollero legger Veneri, come se il Satiro Bacco a Venere conducesse. Plinio non parla punto d’un gruppo.
  106. Mus. Etrusc. Tom. I. Tab. 92. p. 217. [ È una lametta rotonda di metallo, non già un’urna.
  107. Vedi sopra pag. 322. not. d.
  108. Past. lib. 1. pag. 10.
  109. Pitt. d’Erc. Tom. I. Tav. 31. &c.
  110. Descript. &c. da Cab. de Stosch, ci. 2. feH.1s.num.1j77.pag.2sj.
  111. Pitt. d’Erc. Tom. I. Tav. 22. e 23.
  112. Vuoto però; e che gli Accademici credono un disco pag. 122.
  113. Suida V. Δειπνοφόροι
  114. I detti Accademici Ercolanesi colla loro vastissima erudizione hanno saputo dare tre spiegazioni diverse a queste figure: 1. che possono essere donne, che offeriscono a Bacco primizie di fichi; poiché i fichi erano a lui consecrati; 2. che possono rappresentare ministre della cena; e 3. donne ballanti. Tra quelle io crederei più probabile la prima, argomentando dal contesto delle altre figure compagne nelle tavole precedenti, e susseguenti; e dalle altre due figure muliebri nelle Tav. 22. 23. Tom. iI. delle stesse Pitture, che parimenti portano dei fichi in un piattello, e li presentano a Bacco in una sua festa, come costa evidentemente dalle pitture, e dalle osservazioni, che vi fanno gli stessi Accademici. All’opposto la spiegazione, che dà Winkelmann, non può quadrarvi; giacchè Arpocrazione nel suo lessico, ove più diffusamente che Suida suo compendiatore spiega chi fossero i Δειπνοφόροι dice colle parole d’Iperide nell’orazione contro Demade, che così si chiamavano quelle donne, che le madri mandavano a portare la cena ai loro figliuoli, che stavano nel tempio di Pallade. Ora le figure in questione non hanno tale idea nè al volto, nè alle vesti, ed altri ornamenti, o alla mossa, nè al detto contesto delle altre figure; e molto meno pare abbiano relazione al tempio di Pallade le altre pitture, che le accompagnavano dipinte nella medesima stanza; cioè, come riferiscono i lodati Accademici alla Tav. 17. pag. 93., sei fasce di arabeschi con un Cupido in mezzo, e sette ballarini, che danzano sulla corda: e i soli tre fichi, che porta una donzella, non mostrano di servire per una cena.

    In genere di figure discinte sono da osservarsi le sette figure di Dapiferi nelle pitture trovate vicino all’ospedale di S.Giovanni in Laterano, delle quali abbiamo dato cenno nelle note all’Elogio di Winkelmann pag. lxxix.; ma più diffusamente ne riparleremo nel Tomo iI. libro VII. capo iiI. §. 10.
  115. Anthol. lib. 4. cap. 24.
  116. Facendo l’opposto degli Egiziani, che in occasione di funerali andavano cinti uomini, e donne, come notò Erodoto lib. 2. c. 85. pag. 182.
  117. Troad. verf. 83.
  118. Monum. ant. ined. num. 135.
  119. Suet. Aug. cap. 100.
  120. Non. Dionys. lib. 2. v. 571. p. 75. n. 30.
  121. Æschil. Pers. vers. 199. 468. 1035., Sophocl. Trachin. v. 609. 684., Eurip. Heracl. v. 49. 131. 604., Helen. v. 430. 573. 1556. 1645., Jon. vers. 326., Herc. fur. vers. 333.
  122. Non si può dire con tanta sicurezza, che il peplo sia lo stesso del pallio, avendo scritto gli antichi di esso in maniera troppo equivoca. Si veda Polluce lib. 7. c. 13. segm. 50., il Pitisco Lex. Antiq. Rom. V. Peplus, Faes ad Greg. Gyrald. de Var. sepel. ritu, cap. 1., il signor Lens Le Costume, ec. liv. 2. chap. 1. pag. 36., e il signor abate Visconti Museo Pio-Clement. Tav. 16. pag. 31. not. c.
  123. Il negare assolutamente che non abbiano gli antichi usato mai il pallio di forma quadrata o quadrangolare egli è un volere urtar di fronte contro l’autorità di Appiano l. 5. De Bell. civ.p. 677. D., di Ateneol. 5. c. 14. pag. 213. B., di Petronio Arbitro Satyric. pag. 400., di Tertulliano de Pall. cap. 1., e di altri vetusti scrittori, dai quali in termini chiari rammentansi i pallj quadrati. Né l’interpretazione data dal nostro Autore per eluderne la forza punto ci appaga. E non sarebbe egli spediente migliore, per conciliar insieme l’apparente contraddizione, il riconoscere presso gli antichi amendue le specie di pallio, il rotondo cioè e il quadrato, le quali abbiano variato secondo i diversi tempi e le diverse nazioni ? Da alcuni fra la nostra gente di campagna ritiensi ancora l’uso dei pallio quadrato, che riducesi al un sol pezzo di drappo grossolano senza cuciture, e senz’altro apparecchio che di due stringhe, per fermarlo al bifogno. [ Può vederli anche Lens liv. 2. chap. 1. pag. 34. 35. 39.
  124. Vedasi la figura al principio del Lib. IX. nel Tomo iI., rappresentante Teseo che sostiene Laja.
  125. Vedansi alla figura della Tav. I.
  126. Vedi sopra pag. 298, nota a.
  127. Ciampini Vet. mon. Tom. I. cap. 26. pag. 239.
  128. de Bell. civ. l. 1. p. 359. D. [Laciniam toga rejecit in humerum, & caput.
  129. Polieno Stratag. lib. 4. cap. 14. Di veste duplice parla anche Polluce Onomast. lib. 7. cap. 13. segm. 47.
  130. Vedasi la Tav. XIII. Così presso a poco lo ha un’altra figura muliebre presso Montfaucon Antiq. expl. Suppl. Tom. iiI. pl. 11. n. 3.
  131. Horat. lib. 1. epist. 17. v. 25. [ È da osservarsi, che Winkelmann nei Monum. ant. par. iiI. cap. 9. pag. 228. non dice doppio, ma foderato questo pallio dei Cinici; come tale lo dice anche qui appresso nel capo iiI. §. 9. Ma o parlò opinando in tutti e tre i luoghi, o non badò nello scrivere.
  132. Questa statua si distingue per una gran bisaccia, simile al carniere d’un cacciatore, che dalla spalla destra vien a cadere lui fianco sinistro, per un bastone nodoso, e per un rotolo scritto che ha ai piedi.
  133. Notæ in Tertull. de Pall. p. 364. segg.
  134. È ricaduto in quella opinione il signor Lens livre 2. chap. 2. in fine, pag. 77. senza darne ragioni.
  135. Che dagli antichi si dicevano fibulæ, fibbie. Virgilio Æneid. lib. 4. v. 139:

    Aurea purpuream subnectit fibula vestem;

    l. Argumento 25. §. Vittæ 2. ff. De auro, argento, ec., l. un. C. Nulli licere in frænis, ec, lib. XI., Ferrario De re vest. par. 2. lib. 1. cap. 17.

  136. Ora nel Museo Pio-Clementino.
  137. Maffei Racc. di statue, Tav. 48.
  138. cap. iiI. §. 6. pag. 106.
  139. Sophocl. Trachin. vers. 942.
  140. Hesych. V. Ἄγρηνον.
  141. Poll. Onom. lib. 4. cap. 18. segm. 116.
  142. Varro de Ling. Lat. lib. 4. c. 30., Non. Marcell. cap. 14. num. 33.
  143. L’incostanza della moda ne rende da un anno all’altro tanto varia la lunghezza, che il paragone delle antiche mantiglie greche colle moderne non ce ne può darne nessuna idea precisa. Oggidì veggonsi alcune mantiglie sì corte che lasciano scoperti interamente i fianchi, mentre altre ve n’ha che arrivano poco men che alle calcagna.
  144. Suida a questa voce, Clemente Alessandrino Pædag. lib. 2. cap. 12. oper. Tom. I. pag. 245. lin. 19.
  145. Era adoprato anche dalle dame romane. Servio ad Æneid. lib. I. v. 282., Properzio lib. 4. eleg. 7. v. 40., Salmasio Nota in script. hist. Aug. pag. 389. col. 1. B.
  146. Ælian. Var. hist. lib. 7. cap. 9.
  147. Vedi sopra pag. 323. not. b.
  148. Prudent. Contra Symm. lib. 2. v. 1085. [ Servio ad Æneid. lib. 10. vers. 538., S. Isidoro Origin. lib. 19. cap. 30.
  149. De Col. Traj. cap. 6. pag. 167. [Riportate anche dal Buonarroti Osserv. istor. su alcuni medagl. Tav. 36. num. 1. e 3., e illustrate più diffusamente.
  150. Hom. Iliad. lib. 3. vers. 419., Hesiod. Opera & dies, vers. 198.
  151. Turneb. Advers. lib. 23. cap. 191.
  152. In Tertull. de Pall. pag. 334.