Leonardo da Vinci/Capitolo 8 - Dell'Espressione

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Capitolo 8 - Dell'Espressione

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CAPITOLO VIII.


Dell’Espressione.


Leonardo fu eccellente nel dare a qualunque soggetto il suo vero carattere, e fece uno studio particolare diligentissimo de’ movimenti prodotti dalle passioni, ch’egli espresse con una energia veramente mirabile. Molto impararono i fisionomici da’ suoi quadri e disegni. (Veggasi: Lebrun, Camper, Chodorviechi, Lavater e G. B. Porta prima di tutti). Leonardo era ne’ suoi lavori artista, filosofo e scienziato. Il suo disegno è correttissimo e d’ottimo gusto, e ne’ suoi movimenti vedesi nobiltà, sapere ed ingegno e molta anima. I di lui disegni a maniera di piombo, a matita rossa, a matita nera, e particolarmente a penna, furono e saranno sempre ricercati dagli studiosi e dagli intelligenti.

Fra i capolavori italiani che trovansi in Francia, havvi a Parigi il quadro di Leonardo, rappresentante la Vergine e Gesù bambino, in cui tutte le parti, della pittura sono trattate egregiamente, e l’assieme è di una stupenda armonia. Questo dipinto fu veramente ispirato dal sentimento religioso. [p. 23 modifica]

Dopo avere veduto la rappresentazione pittoresca dei soggetti, tratti dalla Bibbia o dal Vangelo dagli artisti che si sono più distinti, se ne porta seco una stima quasi religiosa pel talento ed il genio che tanto alto collocarono le loro speranze ed il loro ideale. Come Davide, il quale non servivasi della sua arpa che per cantare le lodi del Signore, e pregarlo, questi artisti non dipingevano che per glorificare pensieri o sentimenti. Se alcune volte si osservano errori, questi errori stessi non sono che gli scrupoli di pensatori, ch’esauriscono la forma per farle rivelare l’invisibile ed esprimere l’ineffabile. Dessi pongono tutta la loro anima ne’ loro quadri, e quest’anima trovasi sì pura, sì simpatica, sì leale, che laddove l’arte sparisce alcune volte a forza di raffinare o di purificare, ne dà ancora l’alta illusione. Potrebbesi dire, che un loro quadro era una virtù; questo è il segreto della loro rara e squisita influenza. Se qualche volta gli occhi ponno criticare e contestare alcune parti di queste opere, il cuore protesta e lasciasi incantare. Il cuore è un grande giudice dell’imitazione delle arti, ed allorché applaude l’artefice trionfa.

I quadri di fra Angelico sono atti di fede, di entusiasmo e di sentimento. Prima di essere un artista, egli fu un poeta ed un moralista.

La Madonna del baldacchino quadro di Raffaello, esistente nella celebrata Galleria di Firenze, offre un modello di puro e sublime sentimento religioso. In questo delizioso dipinto emergono tutte le eminenti qualità del divino artista.

Giudizio di Salomone, dipinto al Vaticano dallo stesso Urbinate, presenta nel più alto grado l’efficacia del bello nella espressione e negli atteggiamenti di ciascun personaggio. Questo tipo Raffaellesco è inciso egregiamente dall’Anderloni, uno di quelli che in alto seggio mantennero l’arte italiana sublimata in questi ultimi anni da Toschi e Calamatta. [p. 24 modifica]

Nell’espressione, parte essenzialissima della pittura, risiede il principale effetto di un quadro. Le opere delle arti belle, se mancano di espressione, non ponno nè piacere, nè interessare. Il primo scopo di un artista, di uno scrittore, è di esprimere, di figurare i suoi concetti, in modo da essere capito 'e persuadere.

Le Arti sono sorelle, ed il loro scopo è il medesimo; — spesso, per raggiungerlo, si ajutano scambievolmente. Scelga l’artista un soggetto utile, e ne faccia un’immagine tanto viva della natura che sia capace di agire costantemente sugli occhi, sulla mente e sul cuore, se desidera che il suo lavoro sia lodato dalla posterità e da tutte le nazioni.

Plinio, nel lib. III, cap. 7, della sua storia, che potrebbesi chiamare l’Enciclopedia dell’antichità, descrivendo una bella statua di un vecchio, ci offre uno dei bei tipi dell’espressione; ecco le sue concise ed energiche parole: Corinthium signum effingit senem; ossa, musculi, nervi, venæ, rugæ etiam ut spirantis apparent: rari et cedentes capilli, lata frons, contracta facies, exile collum; pendent lacerti, pupillæ jacent, recessit venter. Non direbbesi un disegno di Leonardo? — Tutte le varie parti di questa statua coincidono nella rappresentazione di un vecchio tale quale egli è di sua natura. Tanta è poi l’armonia loro, che forma un insieme che rende completo il pensiero dello scultore.

Il viso di Dante, l’autore della Bibbia degl’Italiani, la Divina Commedia, presenta occhi incavati sotto sopraccigli curvi incominciando dal loro centro: ad un rostro d’aquila somiglia il naso; guance solcate di cavi e di sporgènti ascetici; una bocca rientrante e suggellata come la serratura dell’abisso, disse un tedesco; — tutti i lineamenti di questa maschera unica, la quale, una volta veduta, si stampa nella memoria e vi s’incrosta in rilievo, esprimono gli energici sentimenti, le grandi [p. 25 modifica]sciagure, gl’immensi lavori, l’anima ardente, investigatrice, il genio profondo, prepotente, sublime del grande cittadino, del divino poeta, dell’uomo universale, senza pari al mondo, dell’uomo dell’avvenire. Tali impressioni fece sopra di noi la maschera in gesso dell’Allighieri, che tuttora conservasi in Firenze. Potrebbero scorgersi ne’ tratti del viso di Dante i segni delle principali passioni che agitarono la sua vita, cioè: l’amore di patria, dell’unità ed indipendenza italiana, la forma migliore del suo governo, l’odio alla prepotenza dell’invidiosa e geloso straniero ed all’abuso vigliacco delle sue forze; l’odio ad ogni sorta di tirannide; l’amore ed il rispetto alla vera religione, alla saggia morale, alle sante virtù, alla giustizia, all’umanità 1.

Un tipo del carattere della bruttezza lo vediamo in Terenzio, là Ove descrive nel modo il più vero le fattezze di una donna brutta. Egli la chiama: rufam Cæsiam, sparso ore, adunco naso, cujus exiguo corpori caput ingens, longi pedes, longæ manus, facies contracta, aures promissœ, dentes lividi et color mustellinus. Programma per un pittore od uno scultore.

Il magnifico gruppo del Laocoonte è l’espressione perfetta del vero, dell’energico, del grande, del bello, del sublime, del terribile.

Virgilio, nel lib. 2 dell’Eneide, descrivendo la morte di Laocoonte, sacerdote di Apollo e di Nettuno, e de’ suoi due figli, Antifale e Timbreo, gareggia con lo statuario, e mostra con tutta l’arte e l’ingegno possibile, che la poesia va di pari passo con la scultura. I lettori rileggeranno volontieri i versi del principe de’ poeti latini:


«. . . . . . . . . . . .tela ferentem
Corripiunt (angues) spirisque ligant ingentibus; et jam
Bis medium amplexi, bis collo squammea circum
Terga dati, superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos,

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Perfusus sanie vittas atroque veneno:
Clamores simul horrendos ad sidera tollit,
Quales mugitus, fugit cum saucius aras
Taurus, et incertam excussit cervice securim.»


Lo scultore ed il poeta, nelle loro immagini, rappresentano al vero un uomo che smania di acerbi dolori, ed il suo amore verso la sua sofferente prole.

La statua Vaticana meritava bene che a colui, il quale circa l’anno 1506, sotto il Papa Giulio II, l’aveva ritrovata, si facesse la seguente iscrizione:


FELICI DE FREDIS
QUI OB PROPRIAS VIRTUTES
ET REPERTUM LAOCOONTIS DIVINUM
QUOD IN VATICANO CERNIS
FERE RESPIRANS SIMULACRUM
IMMORTALITATEM MERUIT
ANNO DOMINI MDCXXIX.

Mercatus, nella sua Metallotheca pag. 355


Questo famoso monumento della scultura greca, opera di Agessandro e Atenodoro, fu veduto da Plinio nel palazzo di Tito, e lo descrisse ammirandolo. Credesi che questo gruppo inimitabile sia stato quello che inspirò i bellissimi versi di Virgilio, sia che lo avesse veduto, sia che ne avesse letta la descrizione. — Scultori, pittori, poeti, studiarono questo capo lavoro del greco scalpello, e Lessing ne fece uno studio particolare, che pubblicò con il titolo: Laocoonte, nel genere del Giove Olimpico di Quatremère de Quency. — Uno scrittore moderno francese giudicava nel seguente modo la suddetta opera immortale: «Cette noble simplicité est surtout le caractère distinctif des chefs-d’œuvre des Grecs. Ainsi que le fond de la mer reste toujours en repos, quelqu’agitée que soit la surface, de même l’expression, que les Grecs ont mise dans leurs figures, fait voir [p. 27 modifica]dans toutes les passions une âme grande et tranquille. Cette grandeur, cette simplicité règnent au milieu des tourments les plus affreux. Le Laocoon en offre un bel exemple, lorsque la douleur se laisse a percevoir dans tous les musculs et dans tous les nerfs de son corps, au point qu’un spectateur un peu attentif, ne peut presque point s’empécher de la sentir, en ne considérant même que la contraction du bas-ventre. Cette grande douleur ne se montre avec furie, ni dans le visage, ni dans l’actitude.... Laocoon souffre beaucoup, mais il souffre comme le Philocrite de Sophocle.... Si l’artiste eut donné une draperie à Laocoon, parce qu’il était revêtu de la qualité de prêtre, il nous aurait à peine rendu sensible la moitié de la douleur que souffre le malheureux frère d’Anchise. De la facon, au contraire, dont il l’a représenté, l’expression est telle que le Bernin prétendait découvrir dans le roidissement d’une des cuisses de Laocoon, le commencement de l’effet du venin du serpent. La douleur exprimée toute seule dans cette statue de Laocoon, aurait été un défaut; pour réunir ce qui caractérise l'âme et ce qui la rend noble, l’artiste a donné à ce chef-d’œuvre une action qui, dans l’excès de la douleur, approche le plus de l’état de repos, sans que ce repos dégénère en indifference, ou en une espèce de léthargie.»

Quanta espressione poetica nelle Ore dipinte dall’Urbinate! Il magico suo pennello dipinse, per così dire, l’invisibile. Queste leggiadrissime ninfe, alzate in punta di piedi sopra nubi ed in atto di correre, non corrono, ma volano.

L’aria che naturalmente resiste alla persona che corre, tanto davanti comprime sul nudo quel velo, che tutti i dintorni scorgonsi dei fianchi, e ad evidenza fuori ne balzano le più belle coscie, le ginocchia le più flessibili, e le gambe le più ben fatte. A queste non la cedono i piedi; ritondetti, pieni, agilissimi, ed avvezzi a volare [p. 28 modifica]sopra un elemento che non oppone nessuna resistenza, neppure là dove toccano la nube; non sono nè dilatati, nè scomposti. Al calcagno, alle caviglie, sotto le piante, sulle dita, tutto è raddolcito dalla morbidezza, e tutto sembra informato da uno spirito celeste. Quanta varietà ne’ loro atteggiamenti, nelle loro attitudini! — Raffaello, seguendo Omero, Teocrito, Ovidio, dipinse le Ore nate in primavera, quelle a cui spetta aprire le porte del cielo, attaccare i cavalli al carro del sole, quelle che coprono il cielo di nubi, e lo rasserenano, secondo che a loro più piace. Fa duopo lodare, sotto lo stesso aspetto, l’Aurora del Guido, altro pittore affascinante.

Polifemo, dipinto da Metastasio, nella sua Galatéa, è un quadro degno di Giulio Romano per la grandezza dell’espressione e per tutti i particolari, che caratterizzano il mostruoso personaggio. Eccone due frammenti:


Galatéa a Polifemo.


«Dimmi, che mai pretendi,
Ch’ami in te Galatea?
Una scomposta mole, un tronco informe?
Forse quel tuo bel volto
Inumano e selvaggio? O quella chioma
Rabbuffata e confusa?
Quel tuo sguardo sanguigno?
Quelle ineguali zanne
Sempre di nuova strage immonde e sozze?
O quell’alma ferina,
Ch’altra legge non cura, altro dovere,
Che la forza e il piacere?».

(Parte seconda).

Galatéa ad Agi.


«. . . . . . . . Vidi il crudele
Frangere incontro al sasso
Un misero pastor, che al varco ei prese,
Per farne orrido pasto alla sua fame.

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Lo stracciò, lo divise;
E le lacere membra
Tepide, semivive,
Sotto i morsi omicidi
Tremar fra’ denti e palpitare io vidi.
E l’atro sangue intanto.
Che spumeggiava alle sue zanne intorno,
Uscia per doppia strada (oh fiero aspetto!)
Dal sozzo labbro, e gli scorrea sul petto.
S’io piansi a tanto orrore.
Per me nàrralo, amore;
Che solo, amor, tu sai.
Perchè piansi in quel punto, e a chi pensai.»

(Parte prima).

Girodet, pittore distintissimo francese, ammiratore dell’Italia e de’ suoi genii, coi seguenti versi, e la nota (che togliamo al suo poema: Le Peintre) descrive ed analizza l’espressione che domina nel Cenacolo Leonardesco:


«Il descend (le peintre) lentement ces éternels remparts
Qu’entre la France et Rome eleva la nature;
Son œil embrasse au loin ces plaines de verdure
Que, gonflé du tribut des fleuves, ses vassaux,
Le rapide Éridan, précipitant ses flots,
Change par ses bienfaits en des jardins fertiles.
Plus loin il voit Milan, la plus belle des villes,
Ainsi qu’un lis altier sur l’humble romarin,
Au milieu des cités lever son front serein.
Arrête, jeune artiste, et suspends ton voyage!
Du savant Léonard inimitable ouvrage.
La Cène t’offre ici de celestes beautés.
De ces traits, par le temps, par la guerre insultés
D’un œil respectueux viens admirer la trace.»

«Ce fameux tableau de Léonard de Vinci, qui peut-être n’existe plus aujourd’hui, était peint à l’huile, sur le mur, au-dessus de la porte d’entrée du réfectoire de l’église de Santa Maria delle Grazie desservie par les [p. 30 modifica]dominicains de Milan. Léonard y a déployé toute l’élévation, toute la force, toute l’étendue de son génie. Où trouverait-on ailleurs une ordonnance plus simple, plus noble et plus belle, soit dans l’agencement des groupes, soit dans l’ensemble de la composition; un style plus grandiose, plus imposant dans toutes ses parties? La vivacité, la justesse et la convenance des expressions, décèlent une profonde étude du cœur humain et la science des passions. La variété des caractères de tête prouve qu’elles ont toutes été étudiées d’après la nature, mais la nature choisie, et, en cela surtout, ce sublime tableau, ainsi que ceux de Raphaël, sont d’excellentes leçons pour les artistes, qui ne sauraient trop les méditer. C’est là que la force est réunie à la grace et à la beauté; que la précision se montre sans sécheresse; et que le fini des détails, loin de nuire, concourt lui-même à l’effet des masses. Que dirons nous, enfin, de ce faire Léonardesque, aussi suave, aussi magique, peut-être, que celui du prince de l’école Lombarde? Peut-on admirer assez cette sage ampleur des contours, aussi éloignés de la mesquinerie que de l’exagération? Dans cet immortel ouvrage, Léonard, sans rien emprunter de l’antique, et sans rien devoir qu’à la nature et à son génie, parut rassembler en lui Michel-Ange, le Corrége et Raphaël. François I, ou, selon Paul Ioves, historien contemporain, Louis XII, fut si frappé de sa beauté, qu’il voulut le faire transporter en France; mais, la difficulté de l’opération (car il fallait absolument, ou détacher le tableau du mur, ou enlever le mur avec le tableau) le fit renoncer à ce projet. Tout le monde connait la magnifique estampe due au burin pur et gracieux de Raphaël Morghen, et qui assure à ce chef-d’œuvre l’immortalité, quoique, selon M. Aimé Guillon, qui se fonde sur des autorités non suspectes, Morghen l’ait gravé d’après un dessein fait, en 1795, par Matteini, qui ne put copier ce qui restait intact du tableau de Léonard, qu’avec les [p. 31 modifica]nombreuses et maladroites restaurations qui en avaient, depuis long-temps, alteré la beauté. La preuve qu’il donne de cette assertion est que cette gravure offre des différences notables, dans quelques parties de la composition, avec la copie d’Ecouen, depuis transférée au Musée; copie faite dans l’école même de Léonard, et presque identique avec celle qui fut peinte, dans le mème temps, par Marc d’Oggionno, son élève, et qu’on voyait avec admiration à la Chartreuse de Pavie, lors même que l’original, dans tout l’éclat de sa conservation, n’avait reçu aucune atteinte ni du temps ni de l’ignorance, et brillait de tonte sa gloire.

Lorsque je vis le tableau de la Cène, à mon passage à Milan, il me parut dans un état avancé de dégradation. Plusieurs parties considérables en étaient plus qu’à demi effacées, d’autres menaçaient ruine. Le coloris devait avoir subi une grande altération, quoique cette magie de l’art ne dût jamais avoir été son mérite principal, eût-il même été colorié comme les tableaux du Titien. J’avais lu, dans les relations d’Italie, que Léonard désespérant de donner à la tête du Christ le caractère de beauté surhumaine et de charité divine dont son génie ayait conçu le type idéal, après d’inutiles efforts pour la rendre d’une manière digne de son modèle, avait enfin laissé cette tête imparfaite. J’ignore de quelles perfections il aurait pu l’embellir davantage; mais, l’admiration qu’elle me cause et que je me rappelle encore, après plus de trente ans, me persuada alors, même en présence des autres têtes les plus belles de la Cène, que celle du Christ en était la plus sublime.

M. Cochin, qui, dans son voyage d’Italie, écrit à sa manière ce qu’il a observé et peut-être aussi ce qu’il n’a point vu, y consigne, sur le tableau de Léonard, une assertion assez étrange dont mon ami me pria de vérifier l’exactitude, lorsque j’irai à Milan. Je m’acquittai de sa [p. 32 modifica]commission, et, à mon arrivée à Rome, j’écrivis mes observations à cet ami, en juin 1790. Les voici copiées sur la lettre que je lui adressai: «Quoique le coloris du tableau de la Cène me semble faible, et qu’il ne me paraisse pas aussi terminé qu’il serait possible de le désirer, dans toutes ses parties, cependant c’est une des plus belles et des plus admirables peintures que j’aie encore vues, par son grand caractère de dessein et l’expression sublime de toutes les figures. Il est bien faux que celle de Saint-Jean ait six doigts à l’une de ses mains. Cest à M. Cochin, seul, qu’il faut attribuer la distraction qu’il prête à l’artiste. Ce qui a pu l’induire en erreur, c’est que les mains du Saint-Jean sont jointes, et il aura pris, pour un sixième doigt de la main droite, un doigt qui appartient évidemment à la gauche. Ce n’est pas la seule remarque dans la quelle M. Cochin me paraît s’ètre trompé, et il est permis de n’avoir pas une confiance entiére dans les jugements d’un homme qui préfère le Guide au Dominiquin et à Raphael lui-mème.» — Au surplus, l’assertion de Cochin est démentie par Grosley.

Il clima, l’educazione, i costumi, gli usi, le professioni, il rango, le circostanze, gli avvenimenti formano e sviluppano il carattere e le passioni dell’uomo. — Le movenze del corpo, le espressioni del viso, cambiano secondo il carattere, le età, le idee, le condizioni, le vicende, le inclinazioni, i sentimenti, le situazioni. Nel leggere le seguenti descrizioni, tosto riconosciamo la figura di un personaggio, completa nel fisico e nel morale, e la situazione in cui trovasi, ed i sentimenti che l’agitano. Un venerando vecchio:

« Vidi presso di me un veglio solo
    Degno di tanta reverenza in vista,
    Che più non dee a padre alcun figliuolo.
» Lunga la barba e di pel bianco mista
    Portava a’ suoi capegli simigliante,
    De’ quai cadeagli al petto doppia lista.»

[p. 34 modifica]La Gioconda [p. 35 modifica]

Come si esprime Dante, si sarebbe espresso Leonardo. Nella Vita Nuova lo stesso poeta descrive la sciagura nel più evidente modo:

«Nella sembianza mi parea meschino,
Come avesse perduta signoria,
E sospirando pensoso venia,
Per non veder la gente, a capo chino:»

Aspetto dell’età avanzata; principali espressioni:

«Che mostra al viso crespo, al pelo bianco
Età di settant’anni, o poco manco.»

Ariosto.


L’Orazio toscano, ne’ seguenti versi, indica la tristezza:

«. . . . . . . . . . in volto
Nunzia del cuor non ti ridea la gioia,
Chè su l’altera mal chiomata fronte
S’agitava una fosca nuvoletta.»



Note

  1. [p. 73 modifica]Avvi nella cattedrale di Firenze un dipinto sul legno, rappresentante Dante, vestito alla borghese ed incoronato dall’alloro, con una immagine della Divina Commedia, ed una veduta della città di Firenze. Questo quadro è attribuito all’Orgagna, ed è verisimile che i tre distici che vi si leggono sotto sieno di Bartolomeo Scala. Questo è l’unico monumento che la Repubblica di Firenze abbia eretto alla memoria di questo sublime ed illustre poeta la cui superba tomba è in Ravenna, ove morì in esilio. Niuno è profeta nel proprio paese, almeno durante la sua vita. — Il ritratto di Dante, dipinto dall’Orgagna, non è la cosa la meno curiosa ed interessante che ammirisi nel duomo di Firenze. — Alfieri, senza la principessa d’Albani non avrebbe avuto un monumento funebre.
    L’autrice di Corinna, la Staël, l’ammiratrice dell’Italia, quella che in Francia fece generalmente conoscere la Terra Classica, la Terra del Genio, osserva, intorno al divino Allighieri: «Le Dante, ce grand maître en tant de genres, possèdait le génie tragique qui aurait produit le plus d’effet en Italie, si de quelque manière, on pouvait l’adapter à la scène; car ce poète sait peindre aux yeux ce qui se passe au fond de l’âme, et son imagination fait sentir et voir la douleur. Si le Dante avait écrit des tragédies, elles auraient frappé les enfants comme les hommes, la foule comme les esprits distingués. La littérature dramatique doit être populaire; elle est comme un évènement public, tonte la nation en doit juger
    Allorchè Dante viveva, gl’Italiani rappresentavano in Europa e nei loro paesi un grande e terribile dramma, per cui non sarebbero mancati all’altissimo poeta soggetti tragediabili.
    Virgilio dipinge come Michelangelo nel rappresentare Caronte e la testa della Gorgona:


    «Portitor has horrendus aquas et flumina serva
    Terribili squalore Caron; cui plurima menso
    Canities inculta jacet. Stant lumina flamma.
    Sordidus ex humeris vedo dependet amictus;

    [p. 74 modifica]


    Ipse ratem conto subigit, velisque ministrat;
    Et ferruginea subiecta corpora cymba,
    Iam senior, sed cruda Deo viridisque Senectus




    Ægidaque horrificam turbata Palladis armas;
    Certatim squammis serpentum auroque polibunt;
    «Connerosque angues, ipsamque in pectora Divæ
    Gorgona, defens vertentem lumina collo.»

    Eneide.


    Andra Chénier, nobile e coraggioso poeta, e patriota, in un’ode che indirizza a Carlotta Corday, così descrive la morte di questa eroina:


    «Belle, jeune, brillante, aux bourreaux amenée,
    Tu semblais t’avancer sur le char d’hyménée;
    Ton front resta paisible et ton regard serein.
    Calme sur l’échafaud, tu méprisas la rage
    D’un peuple abject, servile et fécond en outrage,
    Et qui se croit encore et libre et souverain.
    La vertu seul est libre. Honneur de notre histoire,
    Notre immortel opprobre y vit avec ta gloire;
    Seule, tu fus un homme, et vengeas les humains!
    Et nous, eunuques vils, troupeau láche et sans áme,
    Nous savons répéter quelques plaintes de femme,
    Mais le fer péserait à nos débiles mains.»

    I mostri della rivoluzione fecero anche salire al patibolo il virtuoso repubblicano, tanto stimato da Alfieri.

    Espressione del Gesto, potentissimo linguaggio dell’uomo, linguaggio del pittore e dello scultore. Altrove dicemmo: «Tallien, àme vraiment romaine, cachant un poignard sous son habit, osa concevoir l’audacieux projet d’immoler Robespierre en plein Sénat, s’il ne pouvait abattre ce tyran par la force de son éloquence, et qui fut son vainqueur en l’atteignant avec les seules armes de la parole. On n’a point assez recueilli les traits de l’éloquence véhémente et terrible de Tallien, dans ce moment décisif: jamais orateur n’a peut-être rassemblé autant de forces physiques et morales pour découvrir un abîme, et pour le faire entrevoir à ses auditeurs effrayés. Jamais impulsion plus rapide et plus terrible ne fut communiquée: sa voix, son geste, ses paroles entrecoupées, ses yeux étincelans de colére et d’horreur, un frémissement universel répandu sur tout son corps, tout annonçait le plus sublime effort de l’éloquence humaine; elle triompha; et quand elle n’aurait rendu que ce service à l’humanité, il [p. 75 modifica]faudrait en conserver le souvenir et publier éternellement ses bienfaits. — Il faudrait élever une statue à Tallien, à côté de celle de l’heroïque Charlotte Cordayx 1.

    Ugo Foscolo, negli eleganti seguenti versi, delineando una delle Grazie, sembra essersi ispirato alla danza raffaellesca delle Ore:


    «. . . . . . . . . . Ma se danza,
    Vedila! tutta l’armonia del suono
    Scorre dal suo bel corpo e dal sorriso
    Della sua bocca; e un moto, un atto, un vezzo
    Mandano agli occhi venustà improvvisa
    Che diffondon le Grazie. Io la discerno
    Per mille aspetti mille volte bella,
    Pur chi pinger la può? Mentre a ritrarla
    Porgo industre lo sguardo, ecco m’elude,
    E la carola che lenta disegna
    Alterna rapidissima e s’invola
    Sorvolando sui fiori; appena veggo
    Il vel fuggente biancheggiar fra’ mirti
    Quasi nembo che un nume avvolge e fura.»

    Uomini che più s’illustrarono nel secolo XIV: nell’Astronomia e nella Fisica: Paolo Dagomari, detto il Geometra, o Paolo dell’Abaco, perchè di questo, come degli almanacchi, fu riputato l’inventore; — Pietro d’Abano, che scrisse dell’Astrolabio, e Francesco degli Stabili detto Cecco d’Ascoli, che fu abbruciato dalla Santa Inquisizione, come Mago! — In quella pur s’ebbe l’invenzione degli occhiali, per Salvino Armato o degli Armati fiorentino, sebbene da alcuni s’attribuisca ad Alessandro Spina. — La lingua italiana, in quel medesimo secolo, da Fra Guittone d’Arezzo, da Guido Cavalcanti, da Cino da Pistoja, da Dante, dai tre Villani, da Ricordano e Matteo Malaspini, da Dino Compagni, dal Velluti, dal Ferreto, dal Passavanti, dal Cavalca, e principalmente dal Petrarca e dal Boccaccio, fu recata alla sua perfezione.

    — Nella Giurisprudenza fiorirono Giovanni da Imola, Raffaello Fulgosio, Pietro d’Acarnano, Francesco Zabarella, Giovanni Campeggi, Giasone del Maino, Giacomo Leonessa, Bartolomeo Cipella.

    — Nelle Lettere ebbero grido, oltre i sopradetti, Galvano Fiamma, Albertino Mussato, Giovanni da Ravenna, detto il Grammatico Ravennate, Zanobi da Strada, Colucci Salutato, Lorenzo dei Medici, Guarino il vecchio Veronese, Vittorino da Feltre, [p. 76 modifica]Gasparino Barzizio Bergamasco, Lionardo Bruni Aretino, Ambrogio de’ Traversari, detto il Camaldolese, Pier Paolo Vergerlo, Giacomo Angeli, Cristofano Castiglione, e più tardi, Flavio Biondo, Francesco Filelfo, il Poggio, e Antonio Beccadelli, detto il Panormita, ecc.

    Di quei tempi furono pure s. Lorenzo Giustiniani, s. Bernardino da Siena, e s. Antonio, celebri non meno per teologica dottrina che per santità.

    La filosofia però in questo secolo tuttavia si giacque nelle scolastiche tenebre.

    Nel secolo XV era dato di risorgere alle scienze filosofiche. — Raimondo Lullo, Arnaldo da Villanova, Paracelso, Cardano e qualche altro, furono i precursori delle scienze positive.

    1. Estratto dal Traité de mimique et de déclamation, dell’autore di queste pagine. Riguardo all’arte del gesto e dell’espressione, veggasi pure: Le arti imitatrici la dissertazione intorno alle Grazie ed alla grazia, e L’uomo fisico, intellettuale e morale dello stesso scrittore.

[p. 70 modifica]