Malmantile racquistato/Secondo cantare

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Secondo cantare

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Primo cantare Terzo cantare

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SECONDO CANTARE.

ARGOMENTO.

De' due gran figli del signor d'Ugnano
Prodigioso il natal narra Baldone:
Come s'acquista moglie Florïano,
E vien dall'Orco poi fatto prigione:
Come Amadigi libera il germano,
E il mostro spaventoso a terra pone:
E dice al fin, che l'un di questi dui
Fu padre a Celidora, e l'altro a lui.


1.
Era in Ugnano1 il duca Perïone
Che sempre all'altarin fidecommisso2
Faceva notte e dì tanta orazione
E tante carità, ch'era un subisso:
Nè per altro era tutto bacchettone
Che per un suo pensiero eterno e fisso
D'aver prole; perchè della sua schiatta
Non v'era, morto lui, nè can nè gatta.

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2.
Così durò gran tempo: ma da zezzo,
Vedendo ch'ei non era esaudito,
Essendo omai con gli anni in là un pezzo,
A mangiar cominciò del pan pentito:
E quant'ei far solea posto in disprezzo,
Senza voler più dar del profferito3
Gettatosi all'avaro ed al furfante,
Cambiò la dïadema4 in un turbante.
3.
Di poi tutto diverso e mal disposto
In modo degli Dei facensi beffe,
Che s'egli udia trattarne, avria piuttosto
Voluto sul mostaccio uno sberleffe5.
La moglie un miglio si tenea discosto:
E dov'ei dava ai poveri a bizzeffe6,
Quando picchiavan poi, dalla finestra
Facea lor dare il pan colla balestra7.
4.
La plebe, i grandi ed ogni lor ministro,
Che il duca così buono avean provato,
Mentre fu scudo ad ogni lor sinistro,
Ed in lor pro sarebbesi sparato;
Vedutolo così mutar registro,
E diventare un Turco rinnegato,
Eran talmente d'animo cattivo,
Che l'avrebbon voluto ingoiar vivo.

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5.
Avvenne, che già inteso un negromante,
Che un uom, com'era quei, sì giusto e magno,
Faceva novità sì stravagante,
Un atto volle far da buon compagno:
E per ridurlo all'opre buone e sante,
Non per speranza di verun guadagno,
Fintosi un baro, a dargli andò l'assalto,
Un po' di ben chiedendo per Sant'Alto8.
6.
Rispose Perïone: Fratel mio,
Se tu te lo credessi, tu t'inganni:
Tu vuoi ch'io doni per l'amor di Dio,
Nè sai ch'io piglierei per San Giovanni9.
Se t'hai bisogno, che posso far io?
Che son Fra Fazio10, che rifaccia i danni?
E che pensi, che qua ci sia la cava?
Non è più tempo che Berta filava.
7.
Signor, soggiunse il mago, mi sa male
Di veder che un sì gran limosiniere,
Ed uom tanto benigno e liberale,
Caduto sia nel mal del miserere11.
Or basta; chi del mio fa capitale,
Diss'egli, fa la zuppa nel paniere:
Però va' in pace, tu co' tuoi bisogni,
Perchè per me tu mangerai dei sogni.

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8.
Come, replicò quei, se e’ si cicala
Che tu daresti via fin la gonnella;
Vedendomi spedato e per la mala12,
Potrai avere il granchio alla scarsella?
Poichè tu gratti13 il corpo alla cicala,
Disse il duca, io levai questa cannella14,
Per quel ch’io ti dirò; perchè se già
Donai, non era tutta carità.
9.
E’ non batteva la mia fine altrove,
Che ad aver, prima ch’io serrassi gli occhi,
In ricompensa un dì, piacendo a Giove,
Della mia donna quattro o sei marmocchi;
Ma finalmente, dopo mille prove
Di dar il lustro a’ marmi co’ ginocchi,
Tenendo gli occhi in molle e il collo a vite,
E le nocca15 col petto sempre in lite,
10.
Io l’ebbi bianca16 a femmine ed a maschi;
Ond’io, sbraciar17 volendo a bel diletto,
Mi risolvei levar quel vin da’ fiaschi18,
E non dar più quanto un puntal d’aghetto19;
Perchè po’ poi, diss’io, gli è me’ ch’io caschi
Dalle finestre prima che dal tetto:
E il cavarmi di mano adesso un pelo,
Sarebbe un voler dare un pugno in cielo.

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11.
Che pagheresti, disse lo stregone,
Se la tua moglie avesse il ventre pregno?
Se ciò fosse, rispose Perïone,
Ancorch’io non ne faccia alcun disegno
E tal voglia appiccata abbia all’arpione,
Io ti vorrei donar mezzo il mio regno.
Soggiunse quei: Non vo’ pur una crazia20,
Ma solamente la tua buona grazia.
12.
Altro da te non aspettar ch’io chieda,
Nè che alcuno interesse mi predomini;
Perchè, quantunque abietto altri mi veda,
Io ho in cul la roba e schiavo son degli uomini.
Or basta: se tu brami d’aver reda
Che il regno dopo te governi e domini,
Commetti al Mosca, al Biondo e a Romolino,
Che un cuor ti portin d’asino marino.
13.
Et ordina di poi, che se ne cuoca
La terza parte in circa arrosto o lessa;
Ch’in tutti i modi è buona; e danne un poca
In quel modo a mangiare alla duchessa.
Presa che l’ha, gli è fatto il becco all’oca21;
Chè subito ch’in corpo se l’è messa,
Senzachè tu più altro le apparecchi,
Dottela pregna infin sopr’agli orecchi.

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14.
Oh questa, disse il duca, è veramente
Da pigliar colle molle! che un somaro
Possa col cuore ingravidar la gente!
Vedi, non ti son finto; io non la paro22.
Orsù il provar non ha a costar nïente:
E quando mi costasse anco ben caro,
Vo’ farlo per veder se ciò riesce;
Però si mandi al mar per questo pesce.
15.
Benchè fusse costui come una pina23
Tanto largo, ignorante e discortese;
Per non balzare un tratto alla berlina,
I pescatori vennero in paese24:
Così pescando lungo la marina,
Questo benedett’asino si prese:
E il cuor ’n un bel bacino inargentato,
A suon di pive al duca fu portato.
16.
Ed egli, preso il prelibato cuore,
Lo diede al cuoco: al qual, mentre lo cosse,
Si fece una trippaccia, la maggiore
Che a’ dì de’ nati mai veduta fosse.
Le robe e masserizie a quell’odore
Anch’elle diventaron tutte grosse;
E in poco tempo a un’otta tutte quante
Fecer d’accordo il pargoletto infante.

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17.
Allor vedesti partorire il letto
Un tenero e vezzoso lettuccino;
Di qua l’armadio fece uno stipetto;
La seggiola di là un seggiolino;
La tavola figliò un bel buffetto25;
La cassa un vago e piccol cassettino;
E il destro26 un canteretto mandò fuore,
Che una bocchina avea tutta sapore.
18.
Il cuoco anch’egli poi non fu minchione;
Perchè, bucar sentitosi in un fianco,
Si vedde prima uscirne uno stidione;
Di poi un guatterin in grembiul bianco,
Che in far vivande saporite e buone
Fu subito squisito e molto franco:
E in quel che ’l padre stette sopr’a parto,
Cucinò in corte a lui, al terzo e al quarto.
19.
La duchessa, che ’l cuore avea inghiottito,
Cotto ch’ei fu con ogni circostanza,
Anch’ella con gran gusto del marito
Stampò due bamboccioni d’importanza:
Grazie e bellezze aveano in infinito,
E così grande e tanta somiglianza,
Tanto eran fatti uguali ed a capello,
Che non si distinguea questo da quello.

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20.
Crebbero insieme, ed all’adolescenza
Pervenuti, mangiaro il pane affatto27.
Nel far santà28, nel far la riverenza,
Ebbero il corpo a maraviglia adatto.
Tra lor non fu mai lite o differenza;
Ma d’accordo volevansi un ben matto.
L’Infante Florïano uno ebbe nome:
E qull’altro Amadigi di Belpome.
21.
Arrivati che furono ambeduoi
A conoscere omai il pan da’ sassi,
E saper quante paia fan tre buoi29;
Sebben dal padre avevan degli spassi,
Vedendosi già grandi impiccatoi30,
Ed a soldi tenuti bassi bassi,
Ostico gli pareva e molto strano;
Ed in particolare a Florïano.
22.
Dimodochè sdegnato, come ho detto,
Che il duca per la sua spilorceria
Ognor viepiù tenevalo a stecchetto,
Un dì si risolvette d’andar via;
Ma tacquelo, per fare il giuoco netto,
Fuor che al fratello, al qual ’n una osteria
Disse (veduto avendo a un fiasco il fondo)
Volersene ramingo andar pel mondo.

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23.
Amadigi a distorlo tutto un giorno
S’arrabbiò, s’aggirò come un paleo:
Ma perchè quanto più gli stava intorno,
Egli era più ostinato d’un Ebreo;
Tu vuoi ir, disse, è vero? o va’ in un forno31:
E dopo un grande e lungo piagnisteo,
Orsù, vanne, diss’egli, io me n’accordo;
Ma lasciami di te qualche ricordo.
24.
Allor per soddisfarlo Florïano,
Acciocchè più tener non l’abbia in ponte,
Con un baston fatato, ch’avea in mano,
Toccò la terra e fece uscir un fonte.
E disse: quindi poi, benchè lontano,
Vedrai s’io vivo o s’io sono a Caronte;
Perchè quest’acqua ognor di punto in punto
In che grado io sarò diratti appunto.
25.
Se al corso di quest’acqua porrai cura,
Tutto il corso vedrai di vita mia:
Mentr’ella è chiara, cristallina e pura,
Di’ pur ch’io viva in festa ed allegria;
Ed all’incontro, se è torbida e scura,
Ch’ella mi va come dicea la Cia32:
Ma quand’ella del tutto ferma il corso,
Di’ ch’io sia ito a veder ballar l’orso33.

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26.
Ciò detto, in capo il berrettin si serra,
Mette man34, chiude gli occhi e stringe i denti:
E dà sì forte una imbroccata in terra,
Che ’l ferro entrovvi fino a’ fornimenti35.
In quel che36 i grilli e i bachi di sotterra
Sgombrano tutti i loro alloggiamenti,
Pullula fuori un cesto di mortella,
E di nuovo Florian così favella:
27.
Fratel mio caro, questa pianta ancora,
Com’io la passi, ti darà ragguaglio:
Cioè, mentr’ell’è verde, anch’io allora
Son vivo, fresco e verde come un aglio37;
E quand’ella appassisce e si scolora,
Anch’io languisco od ho qualche travaglio:
In somma, s’ella è secca, leva38 i moccoli,
Per farmi dire il requie scarpe39 e zoccoli.
28.
Poichè queste parole ebbe finito,
Dal suo caro Amadigi si licenza:
Il qual rimase tutto sbigottito,
Perocchè gli dolea la sua partenza;
Quando in sella Florian di già salito,
Senza gran doble o lettre di credenza,
Andonne a benefizio di natura40,
Con due servi, cercando sua ventura.

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29.
E il primo giorno fece tanta via,
Che i suoi lacchè, spedati e conci male,
Si rimasero, l’uno all’osteria,
E l’altro scarmanato allo spedale;
Ond’ei più non avendo compagnia,
Sebbene accanto avea spada e pugnale,
Per non aver paura in andar solo,
Cantava, ch’e’ pareva un rusignolo.
30.
Così nuove canzoni ognor cantando,
Con una voce tremolante in quilio41
E qualche trillettin di quando in quando,
Alle stelle n’andava e in visibilio42:
Onde a’ timori al fin dato di bando,
Tirava innanzi il volontario esilio;
E giunto a Campi, lì fermar si volle
A bere, e far la zolfa per B molle43.
31.
A Campi44, ora spiantato alla radice,
Dominava in quei tempi Stordilano;
Sebben Turpino scrive, ed altri dice
Ch’ei regnasse in un luogo più lontano.
Ebbe una figlia, detta Doralice,
Che aveva un occhio che uccidea il cristiano45:
Ma quel che più tirava la brigata,
È l’esser sola e ricca sfondolata.

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32.
Come io dissi, Florïan nella cittade
Entrò per rinfrescarsi e toccar bomba46:
Ma il gran frastuono che in quelle contrade
D’armi, di bestie e d’uomini rimbomba;
Il sentir su pe’ canti delle strade
Tutti a cavallo risuonar la tromba;
Ed il voler saperne la cagione,
Lo fecero mutar d’opinïone.
33.
Era già scavalcato ad una ostessa,
Per far, siccome ei fece, un conticino47:
Nè altro ebbe che pane e capra lessa,
Che fitta48 anche gli fu per mannerino.
Bevve al pozzo una nuova manomessa49;
Perchè il vinaio avea finito il vino.
Fece conto, e pagò ben volentieri:
Poi chiese il fin di tanti strombettieri.
34.
Ella rispose: e come? non lo sai?
Se per Campi non è altro discorso,
Che avendo il re una figlia, ch’oggimai
Abbraccerebbe un uom, prima che un orso50:
E perchè reda ell’è, bella e d’assai,
Di pretendenti avendo un gran concorso,
Bandire ha fatto, acciò nessun si lagni,
Che in giostra, chi la vuol, se la guadagni.

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35.
Ma che occorre che in ciò più mi distenda,
Mentre la cosa è tanto divulgata?
Però lasciami andare, ch’io ho faccenda,
Avendo sopra un’altra tavolata.
Dice Florian che a’ suoi negozi attenda,
Scusandosi d’averla scioperata:
E rimessa la briglia al suo giannetto,
Come un pardo saltovvi su di netto.
36.
Tocca di sproni e vanne, e giunge in piazza,
Dov’egli ha inteso che s’ha a far la giostra,
Che per veder il popol vi s’ammazza;
E appunto i cavalier facean la mostra.
Sedeva il re, presente la ragazza,
Che quanto adorna e bella si dimostra,
Tanto è confusa, avendo a aver consorte,
Non a suo mo’, ma qual vorrà la sorte.
37.
Floriano in contemplar faccia sì bella,
Dove quel crudo balestrier d’Amore
Tira frecciate come la rovella51,
Sentissi anch’esso traforare il cuore:
E com’uomo di marmo in su la sella
Restò perplesso e pieno di stupore;
Scorgendo Amor, le Grazie, e in un raccolto
Le Trombe52, e il non plus ultra di un bel volto.

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38.
Poffar, dicea, che bella creatura!
Quell’ostessa davvero avea ragione;
Perch’ella è bella fuor d’ogni misura:
Per me non saprei darle eccezïone.
Capperi! può ben dir d’aver ventura
Quello a cui tocca così buon boccone;
Ma s’ella s’ha da vincer colla lancia,
Oggi è quando ci arrischio anch’io la pancia.
39.
O per tutt’oggi beccomi su moglie
Nobile, ricca e bella; o veramente
Vi lascio l’ossa. S’ella coglie, coglie;
Se no, a patire: o Cesare, o nïente.
Ciò detto, salta in campo, e un’asta toglie;
Intruppandosi là dov’ei già sente
Che appunto il re sollecita, e commette
Che pe’ primi si tirin le bruschette53.
40.
Come volontaroso Florïano,
Senza chieder licenza o cosa alcuna,
Si fece innanzi: e postovi la mano,
Di trarne la più lunga ebbe fortuna.
Poco dopo il Marchese di Soffiano
Simile a quella anch’egli ne trasse una;
Ond’essi, come pria fu destinato,
Furono i primi a correr lo steccato.

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41.
Piglian del campo, e al cenno del trombetta
Si vanno incontro colla lancia in resta.
Il Marchese a Florian l’avea diretta
Per chiapparlo nel mezzo della testa;
Ma quei ch’è furbo, a un tempo fa civetta54
E aggiusta lui, dicendo: assaggia questa.
Perchè gli diede sì spietata botta,
Ch’egli andò giù come una pera cotta.
42.
In quanto a sposa, omai questo è ascolto55:
S’ei toccò terra56, ancor la voglia sputi.
Così Florian dicea: nè stette molto
Che il secondo ne viene a spron battuti,
Che mette lui per morto, anzi sepolto;
Ma il giovane, che dà di quei saluti,
Gli mostra, in avviarlo per le poste,
L’error di chi fa i conti senza l’oste.
43.
Comparso il terzo in testa della lizza,
S’affronta seco, e passalo fuor fuora:
Soggiunge il quarto, ed egli te l’infizza;
Sbudella il quinto, e fredda il sesto ancora;
All’altro mondo il settimo indirizza;
L’ottavo e il nono appresso investe e fora:
E così a tutti, con suo vanto e fama,
Cavò di testa il ruzzo della dama.

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44.
Il re si rallegrò con Florïano:
Sceso di sedia poi colla figliuola,
Gli fece allor allor toccar la mano57,
Come nel bando avea data parola;
Ond’ogni altro ne fu mandato sano58:
Ed ei nelle dolcezze infino a gola,
Ben pasciuto, servito e ringraziato,
Rimase quivi a godere il papato.
45.
Tre dì suonaro a festa le campane:
Ed altrettanti si bandì il lavoro:
E il suocero, che meglio era del pane,
Un uom discreto ed una coppa d’oro,
Faceva con gli sposi a Scaldamane,
Talora a Mona Luna, e Guancial d’oro59:
E fece a’ Paggi recitare a mente
Rosana60, e la regina d’Orïente.
46.
L’andare, il giorno, in piazza a’ Burattini
Ed agli Zanni, furon le lor gite;
Ogni sera facevansi festini
Di giuoco, e di ballar veglie bandite:
E chi non era in gambe nè in quattrini
Da trinciarle61 e da fare ite e venite62,
Dicea novelle, o stavale a ascoltare,
O facea al Mazzolino63 o alla Comare64.

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47.
Altri più là vedevansi confondere
A quel gioco chiamato gli Spropositi65;
Che quei ch’esce di tèma nel rispondere,
Convien che ’l pegno subito depositi.
Ad altri piace più Capanniscondere66;
Hanno altri vari umor, vari propositi,
Perchè ognuno ad un mo’ non è composto;
Però chi la vuol lessa e chi arrosto.
48.
Chi fa le Merenducce67 in sul bavaglio;
Chi coll’amico fa a Stacciaburatta;
Chi all’Altalena, e chi a Beccalaglio;
Va quello a predellucce, un s’acculatta.
Per tutti in somma sempre vi fu taglio68
Di star lieto così in barba di gatta69:
E tra Floriano, il re e la figliuola
Non fu che dir ’n un anno una parola.
49.
Non fu tra lor fin qui nulla di guasto;
Se non che Florïan vòlto alle cacce,
Avendone più volte tocco un tasto70
E sentendosi dar sempre cartacce71,
Dispose alfin di non voler più pasto72;
Nè curando lor preghi nè minacce,
Fece invitar dai soliti bidelli
Per l’altro dì i Piacevoli e i Piattelli73.

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50.
Benchè il suocero allora e la consorte
Maledicesser questo suo motivo74,
Dicendogli che là fuor delle porte
Un Orco v’è sì perfido e cattivo,
Che perséguita l’uomo insino a morte,
E che l’ingoierebbe vivo vivo;
Con genti ed armi uscì sull’aurora,
Gridando: andianne, andianne, eccola fuora.
51.
Senza veder nè anche un animale,
Frugò, bussò, girò più di tre miglia:
Pur vedde un tratto correre un cignale
Feroce, grande e grosso a maraviglia;
Ond’ei che, il dì75, dovea capitar male,
Si mosse a seguitarlo a tutta briglia;
Non essendo informato che in quel porco
Si trasformava quel ghiotton dell’Orco,
52.
Che apposta presa avea quella sembianza:
E gli passò, fuggendo, allor d’avanti,
Per traviarlo, sol con isperanza
D’aver a far di lui più boccon santi.
Così guidollo fino alla sua stanza,
Dov’ei pensò di porgli addosso i guanti:
Poi non gli parve tempo; perchè i cani
Avrian piuttosto lui mandato a brani.

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53.
Però, volendo andare sul sicuro,
Non a perdita più che manifesta;
Perchè a roder toglieva un osso duro,
Mentre76 non lo chiappasse77 testa testa,
Gli sparì d’occhio, e fece un tempo scuro
Per incanto levar, vento e tempesta,
E gragnuola sì grossa comparire,
Che avrebbe infranto non so che mi dire.
54.
Il cacciator, che quivi era in farsetto,
E dal sudore omai tutto una broda;
Avendo un vestituccio di dobretto,
Ed un cappel di brucioli78 alla moda;
Per non pigliar al vento un mal di petto
O altro, perchè il prete non ne goda,
Non trovando altra casa in quel salvatico
Che quella grotta, insáccavi da pratico.
55.
A tal gragnuola, a venti così fieri,
Ch’ogni cosa mandavano in rovina,
Tal freddo fu, che tutti quei quartieri79
Se n’andavano in diaccio e in gelatina:
Ed ei, ch’era vestito di leggieri
Nè ma’ meglio facea la furfantina80,
Non più cercava capriuolo o damma,
Ma da far, s’ei poteva, un po’ di fiamma.

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56.
Trovò fucile81 ed esca e legni vari,
Onde un buon fuoco in un cantone accese:
E in su due sassi, posti per alari82,
Sopra un altro sedendo, i piè distese.
Così con tutti i comodi a cul pari,
Dopo una lieta83, il crògiolo si prese84:
Essendosi a far quivi accomodato,
Metre pioveva, come quel da Prato85.
57.
L’Orco frattanto con mille atti e scorci
Affacciatosi all’uscio, ch’era aperto,
Pregò Florian con quel grugnin da porci,
Tutto quanto di fango ricoperto,
Che, perch’ella veniva giù co’ gli orci,
Ricever lo volesse un po’ al coperto;
Ritrovandosi fuora scalzo e ignudo
A sì gran pioggia e a tempo così crudo.
58.
Ebbe il giovane allora un gran contento
D’aver di nuovo quel bestion veduto:
E facendogli addosso assegnamento,
Quasi in un pugno già l’avesse avuto,
Rispose: volentieri: entrate drento;
Venite, che voi siate il ben venuto;
Chè, dopo86 il fuggir voi l’umido e il gielo,
Fate a me, ch’ero sol, servizio a cielo87.

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59.
Sì, eh? soggiunse l’Orco; fate motto!88
Voler ch’io entri dove son due cani?
Credi tu pur, ch’io sia così merlotto?
Se non gli cansi, ci verrò domani.
S’altro, dice il garzon, non ci è di rotto89,
Due picche te gli vo’ legar lontani.
E preso allora il suo guinzaglio in mano,
Legò in un canto Tebero e Giordano.
60.
Poi disse: or via venite alla sicura.
Rispose l’Orco: io non verrò nè anco:
Guarda la gamba!90 perch’io ho paura
Di quella striscia ch’io ti veggo al fianco.
Allor Florian cavossi la cintura,
Ed impiattò la spada sotto un banco.
Disse l’Orco, vedutala riporre:
Io ti ringrazierei, ma non occorre.
61.
E lasciata la forma di quel verro,
Presa l’antica e mostruosa faccia,
Con due catene saltò là di ferro,
E lo legò pel collo e per le braccia,
Dicendo: cacciatore, tu hai pres’erro:
Perchè, credendo di far preda in caccia,
Alfin non hai fatt’altro che una vescia,
Mentre il tutto è seguito alla rovescia.

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62.
Rimasto ci sei tu, come tu vedi,
Senza bisogno aver di testimoni:
E perchè con levrieri e cani e spiedi
Far me volevi in pezzi ed in bocconi;
Così, perch’ella vadia pe’ suoi piedi,
Farassi a te, nè leva più, nè poni91;
Acciocchè procurando l’altrui danno,
Per te ritrovi il male ed il malanno.
63.
Ed io, ch’ebbi mai sempre un tale scopo
D’accarezzar ognun, benchè nimico,
Come la gatta quando ha preso il topo,
Che, sebbene è tra lor quell’odio antico,
Scherza con esso alquanto, e poco dopo
Te lo sgranocchia come un beccafico;
Così, perchè più a filo tu mi metta92,
Voglio far io, e poi darti la stretta.
64.
Così spogliollo tutto ignudo nato:
E veduto ch’egli era una segrenna93,
Idest asciutto e ben condizionato94,
Snello, lesto e leggier come una penna;
Lo racchiuse, e lo tenne soggiornato95
Perch’ei facesse un po’ miglior cotenna;
Perocchè a guisa poi di mettiloro96
Voleva dar di zanna al suo lavoro.

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65.
Amadigi, che andava per diporto
Due volte il giorno almeno a rivedere
La fonte e la mortella che nell’orto
Lasciò Florian per tante sue preghiere;
Trovato il cesto spelacchiato e smorto,
E l’acque basse, puzzolenti e nere,
Qui, dice, fratel mio, noi siam sul curro97
D’andare a far un ballo98 in campo azzurro.
66.
E piangendo diceva: o tato mio,
Se tu muori (che ver sarà pur troppo),
S’ha dire anche di me, te lo dich’io,
Itibus, come disse Prete Pioppo.
Così, senza dir pure al padre addio,
Monta sovra un cavallo, e di galoppo
Uscì d’Ugnano, molto bene armato:
E seco un cane alano avea, fatato.
67.
E cavalcando colla guida e scorta
Del suo fedele ed incantato alano,
Che innanzi gli facea per la più corta
La strada per lo monte e per lo piano;
A Campi giunse, dove sulla porta
La morte si leggea di Florïano:
Chè, perchè fu creduta da ognuno,
Era la corte e tutto Campi a bruno.

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68.
L’apparir d’Amadigi agli abitanti
Raddolcì l’agro de’ lor mesti visi,
Che, per la somiglianza, a tutti quanti
Parve il lor re creduto a’ Campi Elisi;
Perciò, per buscar mance e paraguanti,
Andaron molti a darne al re gli avvisi,
Altri alla figlia: ed ambi a questi tali
Perciò promesser mille bei regali.
69.
Doralice, brillando a tal novelle,
A rinfronzirsi andossene allo specchio;
Si messe il grembiul bianco e le pianelle,
Il vezzo al collo e i ciondoli all’orecchio:
E non potendo star più nella pelle,
Saltò fuor di palazzo innanzi al vecchio;
Ed incontro correndo al suo cognato:
Ecco Florian, dicea, risuscitato.
70.
Noi vi facevam morto: o giudicate
Se la carota ci era stata fitta!
Pur noi ci rallegriam, che voi tornate
A consolar la vostra gente afflitta.
Domandar non occorre come state,
Perchè vo’ avete buona soprascritta:
E siete grasso e tondo come un porco,
Per le carezze fattevi dall’Orco.

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71.
M’immagino così; perch’io non v’ero:
Tu sai com’ella andò, che fosti in caso:
So ben che mi dirai che non fu vero;
Ma la bugia ti corre su pel naso.
Or basta: tu ritorni sano e intero,
(Chè a pezzi tu dovevi esser rimaso)
Per la Dio grazia, e sua particolare,
Perchè te l’ha voluta risparmiare.
72.
Dunque, s’ei fa così, gli è necessario
Ch’ei non sia là quel furbo che un lo tiene;
Anzi tutto il rovescio ed il contrario,
Mentre egli tratta i forestier sì bene.
Ed io, che già l’avea sul calendario99,
Gli voglio, in quanto a me, tutto il mio bene,
Perch’ei non t’ingoiò; sebben da un lato
Ti stava bene, avendolo cercato.
73.
Così nel mezzo a tutta la pancaccia100,
Ch’è quivi corsa e forma un giro tondo,
La sua caponeria gli butta in faccia,
E quel ch’ei ne cavò po’ poi in quel fondo:
Giacchè, diceva, coll’andare a caccia
A dispetto di tutto quanto il mondo,
Cavasti, senza fare alcun guadagno101,
Due occhi a te, per trarne uno al compagno.

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74.
Mio padre te lo disse fuor de’ denti,
Ed io pur te lo dissi a buona cera102,
Non una volta, ma diciotto o venti,
Che l’Orco ti faria qualche billera103;
Ma tu volesti fare agli scredenti104,
Perchè te ne struggei come la cera:
E quasi un rischio tal fosse una lappola105,
Volesti andarvi, e desti nella trappola.
75.
Amadigi alla donna mai rispose,
E fece il sordo ad ogni suo quesito;
Ma sibbene attingea da queste cose
Quanto a Florian poteva esser seguito:
E venne immaginandosi, e s’appose,
Che ella fosse sua moglie, ei suo marito:
E ch’egli, essendo tutto lui maniato106,
Fosse pel suo fratel da ognun cambiato.
76.
Ma perch’ei non credea veder mai l’ora
D’avere il suo fratello a salvamento,
Dà un ganghero107 a tutti, e torna fuora
Dietro al suo can, veloce come il vento:
Ned era un trar di mano andato ancora
A caccia all’Orco, ch’ei vi dette drento,
Come il fratel vedendo un bel cignale;
Ma non fu quanto lui dolce di sale.

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77.
Chè seguitollo anch’ei per quelle strade
Donde ei conduce l’uomo alla sua tana:
Ove, mentre diluvia e dal ciel cade
E broda e ceci, il cristianello108 intana;
Ed egli tanto poi lo persuade,
Che 109 lega i cani, e posa Durlindana110.
Avendo avuto innanzi la lezione,
Si stette sempre mai sodo al macchione.
78.
E quando l’Orco poi venne anco a lui
A dar parole con quei tempi strani,
Ed all’uscio facea Pin da Montui111,
Affinchè ’l cane e l’arme egli allontani,
Ei disse: su piccin112, piglia colui:
E chiappata la spada con due mani,
Si lanciò fuora, e quivi a più non posso
Gli cominciò a menar le man pel dosso.
79.
E mentre che or di punta ed or di taglio
Di gran finestre fa, di lunghe strisce,
Più presto che non va strale a berzaglio
Il can s’avventa anch’egli, e ribadisce;
Talchè tutto forato come un vaglio
Il pover’Orco al fin cade, e basisce:
E lì tra quelle rupi e quelle macchie
Rimase a far banchetto alle cornacchie.

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80.
Amadigi dipoi fece pulito113;
Perchè, trovato avendo il suo fratello
Con una barba lunga da romito
E più lordo e più unto d’un panello114,
Lavatolo e rimessogli il vestito,
Ch’era ancor quivi tutto in un fardello,
Lo ricondusse a Campi, ove la moglie,
Di lui già pregna, appunto avea le doglie.
81.
Corse la levatrice, ed in effetto
Fra mille oimè, se’ soldi115, e doglien’ora,
Partorìgli una bella piscialletto,
Che fusti tu, poi detta Celidora:
E maritata al re, come s’è detto,
Di Malmantil, del qual tu sei signora:
Ne sei, e ne sarai, io lo raffibbio116;
Sebben non puoi per or dir come il nibbio117.
82.
Ma presto come lui, potrai dir mio.
Or senti pur: basito Perïone,
Anco Amadigi subito tuo zio
Venne a tôr donna, e n’ebbe un bel garzone,
Che Baldo fu chiamato: e quel son io,
Che poi cresciuto detto son Baldone.
Or eccoti dal primo al terzo grado
Narrato tutto il nostro parentado.

Note

  1. St. 1. Ugnano è piccol luogo tra Firenze e la Lastra presso ad Arno.
  2. Fidecommisso. Assiduo, che sta sempre in un luogo.
  3. St. 2 Del Proferito. Nemmen quello che aveva promesso o profferto.
  4. Cambiò la diadema. Di santo si fece turco. Qui la diadema è il nimbo.
  5. St. 3 Sul mostaccio uno sberleffe.Uno sfregio in viso per ignominia.
  6. Bizzeffe. Sull’origine di questa voce l’ingegnosa opinione del Minuccí, quantunque non appoggiata da documenti, merita di esser conosciuta. Quando il magistrato romano concedeva grazia intera, scriveva sotto il memoriale del supplicante, F. F., cioè Fiat, Fíat, e la grazia dicevasi data a bis effe, a bizzeffe
  7. Colla balestra. Li saettava col pane stesso, o con pietre, se accostavansì a prendere il pane.
  8. St. 5. Sant'alto. L’Altissimo. È modo di lingua furbesca.
  9. St. 6 Piglierei per S. Giovanni. Questo è il Santo protettore di Firenze. In quel giorno tanto solenne, i birri non potevan nommeno pigliare, cioè catturare, i banditi. Ora, di uomo avidissimo, si dice ch‘ei piglierebbe il dì di san Giovanni, o per san Giovanni, usando pigliare nel suo natural senso di accettare e prendere.
  10. Fra Fazio. Accorciato di Boni-fazio, facitore di bene.
  11. St. 7 Caduto sia nel mal del miserere. Sia divenuto misero, cioè avaro; ovvero: abbia preso a fare il contrario di ciò che era il consueto suo naturale, come è nel detto morbo che le fecce escono dalla bocca. La denominazione italìana di questa malattía, che è, il Volvulus dei Latini, pare che sia stata originata da una falsa interpretazione del nome greco ειλεός, volvulus scambiato con ἔλεος, misericordia ed ἐλεέω misereri.
  12. St. 8 Per la mala vita. Ridotto a mal partito.
  13. Tu gratti ecc. Tu m’inciti a discorrere, vuoi farmi cantare.
  14. Levar la cannella. Desistere dal fare una cosa: ed è preso dal levar la cannella alla botte.
  15. St. 9. Le nocca o nocche delle dita.
  16. St. 10. L'ebbi bianca ecc. Nell’estrazione di un premio al lotto, le sole polizze premiate sono scritte, le altre bianche. Onde averla bianca a una cosa vale non ottenerla.
  17. Sbraciar. Scialacquarsi la mia roba.
  18. Levare il vin dai fiaschi, vale finir che che sia, finirla.
  19. Aghetto. cordoncino con puntale di metallo.
  20. St. 11. Crazia. Moneta toscana che valeva sette centesimi di lira italiana.
  21. St. 13. Gli è fatto il becco all'oca. La cosa è fatta. Chi vuol conoscere l’origine di questo detto, la troverà nel Mambriano, c. II e nelle novelle del Pecorone.
  22. St. 14. Non la paro. Non la credo. È tratto da un certo giuoco di dadi, nel quale chi tien la posta dice párola; e non la tenendo, dice Non la paro.
  23. St. 15. Largo come una pina verde è detto ironico che vale strettissimo, avarissimo, perchè la pina finchè è verde non apre le scaglie, o involucri de’ semi.
  24. Vennero in paese. Vennero in scena, si lasciaron trovare, comparvero.
  25. St. 17. Buffetto. Tavolinuccio.
  26. Destro. Il comodo, il cesso.
  27. St. 20. Mangiaro il pane affatto, senza lasciar rosumi, il che si fa dai fanciulli. Divennero giovani fatti.
  28. Far santà (sanitá), Salutare.
  29. St. 21. Buoi ecc. Si noti che subito dopo aver nominato i buoi, con maligna allusione nomina il padre.
  30. Impiccatoi. Che han passato i diciott’anni, cosicchè possono essere impiccati.
  31. St. 23. Va’ in un forno. Va’ in malora, al diavolo, in galea.
  32. St. 25 La cia, fruttaiuola, usava un certo suo detto laido per significare: Mi va male.
  33. Ballar l'orso. Di’ che son morto. Uno di quei tanti detti, usati dalla plebe buffona, per levarsi la trista idea della morte. (Salvini.)
  34. St. 25 Mette man alla spada.
  35. Fornimenti. Qui l’elsa.
  36. In quel che. Mentre i grilli spaventati scappano.
  37. St. 27 Verde come un aglio. Qui vegeto, ma la frase adoprasi anche a denotare uomo di poca sanità, alludendo allora non alla freschezza, ma al colore.
  38. Leva. Compra.
  39. Requie scarpe. Storpiamento buffonesco di requiescat. L’idea di scarpe ha poi attratta quella di zoccoli, anco perchè i frati sogliono accompagnare i morti.
  40. St. 28 A benefizio di natura. Ove fortuna lo guidasse.
  41. St. 30 Quilio. Falsetto.
  42. In visibilio. Si usa (dal Visibilium omnium et invisibilium) per andare in estasi; ma qui pare che significhi mandava note acutissime.
  43. Per B molle. Bemolle o bimolle. Il doppio senso e l’idea di trincare che v’è dentro, son manifesti.
  44. St. 31 Campi. Castello a sei miglia da Firenze, è detto spiantato alla radice non perchè sia diroccato affatto, ma per dire pieno di gente spiantata.
  45. ’L Cristiano. Gli uomini.
  46. St. 31 Toccar bomba. Partirsene presto. Chiamasi bomba nel giuoco dei birri e ladri quel luogo immune, cui toccando i fanciulli che fan da ladri, non possono esser presi da quelli che fan da birri: e perchè il trattenersi a lungo nella detta bomba non è permesso, toccar bomba ha il significato che s’è detto.
  47. St. 33 Fare un conticino. Mangiare e pagare.
  48. Fitta. Ficcata la carota, fattogli credere che fosse castrato.
  49. Nuova manomessa. Il primo vino spillato, da manomettere, metter mano, mettere a mano un vaso nuovo. Nuovo, sta per insolito, perchè Floriano non s’era mai ritrovato a bever acqua.
  50. St. 34 Prima che un orso. È detto come per antifrasi, ad esprimere il jam matura viro, e il gran desiderio di sposarsi. Analoga a questa è la frase: a Farei il sacrificio di sposare quella ricca erede.
  51. St. 37 Come la rovella. In frasi analoghe ora si sente dire: come un diavolo. Il tale corre come la rovella; corre come un diavolo.
  52. carte da giuoco delle Minchiate è effigiata la Fama con due trombe; e il nome di quella carta, stimata la più bella e detta Le trombe, passò a significare cosa perfetta nel suo genere.
  53. St. 39 Buschette, o bruschette, sono fili di paglia di diversa lunghezza, con cui si tiran le sorti, così: Mettonsi perpendicolari fra le mani o fra due assi, in guisa che l’un de’ capi sia nascosto. Chi tira il più lungo o il più corto (secondo il pattovito), ha la sorte; gli altri si succedono nella sorte, secondo che il filo tirato da ognuno è più o meno lungo.
  54. St. 41 Fa civetta. Abbassa il capo. Vien dal giuoco di civetta che si fa in tre. Uno è nel mezzo con in capo un berretto che gli altri due, ai fianchi, s’ingegnano con botte di fargli saltar di capo. Ma botte non si può dare finchè quel di mezzo, che ha le mani in terra, non le alza per dar mostaccioni a dritta e sinistra. Tutta l’arte per lui consiste nel far civetta mentre e’ dà, e gli è dato lo scappellotto.
  55. St. 42 Ascolto. Lincenziato, spacciato.
  56. S'ei toccò terra ecc. La donna quando è grossa ove le venga alcuna voglìa che non può appagare, si tocca il corpo in parte che suol esser coperta, o tocca terra o altra cosa, per impedire che il bambino nasca con la voglia, o almeno che non nasca con la voglia in viso: e in pari tempo sputa, dicendo, in terra vadia (vada, cioè la voglia). Ognuno ora intenderà il doppio senso.
  57. St. 44 Toccar la mano. Impalmare.
  58. Mandato sano. Dal lat.: Vale: Sta sano. Quindi mandar sano, cioè dire addio, licenziare, escludere.
  59. St. 45 Scaldamane... Mona Luna...Guancial d'oro o Guancialin d’oro. Son tre giuochi fanciulleschi, il primo dei quali è noto a tutti. Il secondo si fa scegliendo a sorte un fanciullo della brigata a cui si ordina di allontanarsi un tratto. Intanto la brìgata sceglie uno a cui si dà il nome di Mona Luna. Allora si chiama il fanciullo allontanato, e questi va a domandare un consiglio a qual dei bambini suppone esser Mona Luna. S’ei non s’appone, paga il premio o pegno, e s’allontana ancora, finchè si crei nuova Mona Luna: e ciò può farsi per quattro volte, dopo di che il perditore di quattro premi si riunisce alla brigata; e un altro, scelto dalla sorte, è mandato. Se invece quel primo s’appone una od altra volta, Mona Luna perde il premio, ed è mandato egli. La restituzione de’ premi fornisce poi materia ad altro giuoco che è delle penitenze. Il Guancialin d’oro differisce dalla Mona Luna in questo, che un fanciullo inginocchiato (forse sopra un guanciale), e ad occhi chiusi, deve indovinare chi è che da tergo gli dà una percossa. Il noto Prophetiza quis te percussit del Vangelo ci mostra che questo o simil giuoco è antichissimo.
  60. ecc. Sono due Leggende o Rappresentazioni notissime, dice il Minucci; e il Biscioni aggiunge: Rosana si trova stampata sotto questo titolo: La Rappresentazione, e Festa di Rosana. Firenze, appresso Zanobi Bisticci alla Piazza di Sant’Apolinari l’anno 1601, in 4°, p. 30. Senza nome d’autore. La Regina d’Oriente è un poemetto diviso in 4 cantari, che pare scritto da Antonia Pulci, la quale visse di là dalla metà del 400.
  61. St. 46 Trinciarle. Far capriole e salti.
  62. Ite e venite del danaro al giuoco.
  63. Al Mazzolino. Di una brigata uno si fa Giardiniere, e questi compone un mazzolino, dando a ciascuno dei compagni il nome di un fiore. Il giardiniere dice: Questo mazzo non sta bene per causa (poniamo) della Viola. Se la Viola non risponde subito: Dalla Viola non viene, ma sibbene (per esempio) dal Giglio; o se gli vien nominato un fiore che non è nel mazzolino, paga il pegno.
  64. Alla comare. Una fanciulla fa la puerpera, e le altre le vanno intorno facendolo visite, cerimonie e regali. Se invece d’una puerpera si finge una sposa, il giuoco si chiama Fare alle zie.
  65. St. 47 Gli Spropositi. Giuoco notissimo e poco diverso dal Mazzolino.
  66. Il Capanniscondere detto anche in Toscana fare a rimpiattino in qualche dialetto chiamasi anco Nasconderella.
  67. St. 48 Le Merenducce. Bambini e bambine imbandiscono la merenda alle loro bambole o pope stendendo il loro tovagliolino o bavaglio su certe piccole mense di legno, e mettendovi su altre loro piccole stoviglie. — Gli altri giuochi o trastulli qui nominati sono assai noti. Il Beccalaglio più comunemente è chiamato Mosca cieca. L’andare a Predellucce o predelline, cioè l’esser portato da due che di lor mani intrecciate gli fan seggiola, in qualche dialetto dicesi andare a Sedia di Papa. L’acculattare, cioè il fare altrui battere il sedere in terra, più che un giuoco, è una delle penitenze
  68. Taglio. Agio, mezzo; dal mestiere del sarto, che dice esservi taglio per roba da tagliare.
  69. In barba di gatta. Cioè colla barba unta dal gozzovigliare.
  70. St. 49 Tocco un tasto. Tastato, domandato così alla sfuggita.
  71. Dar cartacce. Non rispondere secondo che si desidera; da un giuoco di carte.
  72. Non voler più pasto. Non voler esser menato per le lunghe con chiacchiere, promesse o altre finte.
  73. I Piacevoli ecc. Due allegre compagnie di cacciatori fiorentini, di cui fu perfino scritta una Storia da Giulio Dati.
  74. St. 50 Motivo. Qui sta per voglia, ed è assai proprio, chè la volontà e quella che muove ad ogni azione.
  75. St. 51 Il dì Illo die, quel dì.
  76. St. 53 Mentre. Se.
  77. Chiappasse. Sopraggiungesse.
  78. St. 54 Brucioli. Trucioli, sottilissimo strisce di legno: e se ne vedono anche oggi di questi cappelli.
  79. St. 55 Quartieri. Contorni.
  80. Facea la furfantina. Tremare. Il modo è dalla pratica di certi furfanti vagabondi, che per destare l’altrui commiserazìone si gettano per le vie fingendo di esser per basire dalla fame e dal freddo.
  81. St. 56 Fucile. Focile, acciarino, istrumento per destare dalla pietra focaia la scintilla che poi appiccava il fuoco all’esca.
  82. Alari. Arali, capofochi.
  83. Lieta. Fiamma chiara e breve.
  84. Il crogiolo. ecc. Seguitò a stare accanto al foco dopo cessata la fiamma; dal crògiolo o tempera che si dà ai lavori di vetro tenendoli, appena fatti, ad un calore moderato nella camera.
  85. Far come quei da Prato. Lasciar piovere. Ambasciatori di Prato domandarono ed ottennero dai Signori Priori di Libertà il diritto di celebrare in un dato giorno dell’anno una fiera; e stipularono di pagare per ciò una
  86. St. 58 Dopo. Oltre.
  87. A cielo. Grandissimo.
  88. St. 59 Fate mótto. Senti! Udite sproposito!
  89. Di rotto. Di guasto, di male.
  90. St. 60 Guarda la gamba.! Così gridavasi dai ragazzi all’avvicinarsi dei Toccatori o ministri del tribunale civile che portavano una calza d’un colore una d’un’altro: e gridavasi per avvertire il debitore sentenziato a pagare, che corresse a un luogo immune, dove l’ufiziale non potesse, toccandolo, intimargli il termine perentorio. Da ciò Guarda la gamba passò a significare Il cielo me ne liberi! o simile.
  91. St. 62 Nè leva. ecc. Nec addas nec adimas. Per appunto come volevi trattar me.
  92. St. 63 Metter a filo. Aguzzare la voglia; dall’affilare i coltelli
  93. St. 64 Segrenna. Magrissimo. Come avente il solo dintorno, senza esser il disegno incarnato. (Salvini.)
  94. Asciutto ecc. questa è frase de’ mercanti colla quale avvisano i loro corrispondenti della diligenza usata dal portatore della merce. La parola asciutto, dunque, usata in senso di magro, si trascina dietro il resto della frase, che qui vale Magro, ma in buona salute.
  95. Soggiornato. Ben pasciuto.
  96. Mettiloro. ecc. I doratori, per dare il lustro alle dorature, le fregano con una zanna d’animale: ma quello è un dar di zanna assai diverso da quello che ognuno qui intende.
  97. St. 65 Curro. Rullo, Siamo sul punto.
  98. Fare un ballo. ecc. Dar de’ calci al rovaio, essere impiccato. Il campo azzurro è l’aria.
  99. St. 72 L'avea sul calendario. Lo aveva a noia. Forse Kalendarium, Libro di cambi, che presso gli antichi erano dodici per cento in capo all’anno: e se ne pagava uno alle calende di ciascun mese: e per chi pativa cambi era libro odioso. (Salvini.)
  100. St. 73 Pancaccia. La panca ove s’adunan brigate a passare il tempo novellando, e la brigata stessa dei pancaccieri, o pancacciai.
  101. Cavasti ecc. Facesti a te molto male, e pochissimo al nemico.
  102. St. 74 A buona cera. Con animo riposato.
  103. Billera. Brutta burla.
  104. Fare agli scredenti. Frase analoga a Fare a non s’intendere, Fare alla palla, Fare all’amore.
  105. Lappola. Bagattella.
  106. St. 75 Maniato. Miniato; e così legge un testo a penna.
  107. St. 76 Dà un ganghero. Dà volta, torna indietro; dall’andare obbliquo del granchio.
  108. St. 77 Il cristianello. Ora si direbbe, un povero diavolo.
  109. Ch'ei. Il cristianello.
  110. Durlindana. La celebre spada di Orlando, per qualunque spada.
  111. St. 78 Pin da Montui. Capolino; da una canzonetta della Tancia del Buonarroti che comincia: E Pin da Montui — Fa capolino.
  112. Piccin. Così dice al cane per aizzarlo.
  113. St. 80 Fece pulito. Fece il negozio aggiustatamente, e come andava fatto.
  114. Panello. Viluppo di cenci intriso nell’olio e in altre materie bituminose per arderlo poi.
  115. St. 81 Se' soldi. Questo sei soldi propriamente qui non significa nulla, ma vi è messo per poter poi dire dogliene (glie ne do) cioè doglie; ed è una di quelle omofonie che s’odono per celia in bocca al popolo, come mattematico per matto, e simili.
  116. Raffibbio.Ripeto.
  117. Nibbio. La voce di questo uccel di preda è Mio mio.