Saggi critici/«Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1840» di Giuseppe Montanelli

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«Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1840» di Giuseppe Montanelli

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«Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1840» di Giuseppe Montanelli
Lavori da scuola «Poesie di Sofia Sassernò»
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«MEMORIE SULL’ITALIA
E SPECIALMENTE SULLA TOSCANA DAL 1814 AL 1840»

di Giuseppe Montanelli1


Innanzi al ’48, quanti bei nomi! quan ta poesia in ciascuno che noi congiungevamo con tutte le nostre aspirazioni! Nessuna differenza noi si poneva. Adoravamo sullo stesso altare Mamiani e Mazzini e Balbo e Azeglio e Gioberti, Giusti, Berchet e Niccolini, Montanelli, Salvagnoli e Guerrazzi. Noi siamo soggiaciuti; ma questi nomi rimanevano intatti. Che cosa si è fatto? Noi stessi vi abbiamo gittato sopra il fango; ciò che non hanno potuto le ire e le calunnie dei vincitori, lo abbiamo potuto noi contro noi stessi. Eccoli nimicissimi, sputarsi veleno. Né mai gesuiti e sbirri li vituperarono tanto, che noi non li vituperiamo piú.

Quando io ho a mano uno scritto, e che vi veggo allusioni appassionate a persone, lo pongo da canto; né il pubblico favore mi fa velo sulla sua durata: nasce con l’occasione, e muore con quella.

Non è, a mio avviso, di questo genere il libro del Montanelli. Certo, anch’esso è nato di occasione; anche in esso odori de’ fini personali. Sotto la veste del narratore, talora scopri l’accusatore o l’avvocato; talora si perde in recriminazioni inutili; ha innanzi ora il tal uomo, ora il tal libro; vi sono intere pagine, [p. 278 modifica]che potresti chiamare argomenti «ad hominem». Egli ha scritto nel i850, quando da una parte i moderati, acquistato un centro di azione in un governo stabile, primeggiavano, e d’altra parte si levavano alti clamori contro Mazzini e i suoi. Avvocato di un partito ch’egli chiama «democratico italiano», il Montanelli si pone in mezzo fra i moderati e Mazzini, e tira botte agli uni e all’altro. In questa via, quanta materia di scandali! quante tentazioni! Pure, ha saputo per lo piú serbare tale misura, che i suoi avversari escono di sotto alla sua penna incontaminati. Non attribuisce al suo partito il privilegio dell’onestá o del patriottismo; non accusa alcuno di ambizione, di vanitá, di secondi fini; sobrio ne’biasimi, largo nelle lodi: combatte le opinioni, rispetta le coscienze. Un italiano, dopo lette queste Memorie, può venerare ugualmente tutti di cui si ragiona, quali si sieno le loro opinioni.

Né questa è giá tattica. In Montanelli vi è alcun che di sereno, che non dá luogo a fini personali. Mai non ti accorgi che egli senta odio o livore; e se parla severamente di alcuno, ti par di vederlo col sorriso sul labbro tendergli la mano e dirgli: — Facciamo pace — . Vi è qualche cosa nel suo scritto che ti fa dire fin dalle prime pagine: — Costui è un galantuomo — . Qualche cosa d’indeterminato, che lo scrittore non vi può mettere per forza, di cui egli spesso non ha coscienza, e che è come la fisonomia del libro. Certo, anch’egli ha le sue piccole passioni: e chi non ne ha?, un po’ di vanitá, un certo dispetto contro il tale e il tale: senti della ruggine tra lui ed il Guerrazzi, dello scontento tra lui e il Salvagnoli. Ma il suo buon naturale caccia nel fondo queste tendenze ribelli, né gli vieta giuste lodi all’uno e all’altro, né lo fa eccedere nel biasimo: a queste angustie di parte soprastá l’amore del bene ed il culto della patria.

Questo per rispetto alle persone. E per rispetto ai partiti? E, dapprima, la differenza dei partiti in Italia è differenza di metodo o di contenuto? L’uno e l’altro. E giova toccarne leggermente.

Quanto al metodo, vi è un gran dire. Chi preferisce le congiure e le sette, chi la pubblicitá, chi la legalitá. Tutte opinioni [p. 279 modifica]esclusive e parziali. Non vi è alcun metodo «a priori»: ciascuna rivoluzione ha il suo. Il Montanelli parla di questi partiti con quella benevolenza che ha mostrato inverso le persone. Trova timido ed infruttuoso il partito strettamente legale, capitanato in Toscana dal venerando Gino Capponi, ma senza uscir mai da’ termini del rispetto. Tiene le sètte talora inutili, spesso dannose, riconoscendo però in alcuni casi la loro efficacia, e dando al biasimo una moderazione che gli concilia fede. Esalta il partito della pubblicitá o del coraggio civile, con tanto piú di autoritá, in quanto egli in Toscana ne ha dato nobili esempii. Ma egli crede questo metodo ancora oggi possibile, e lo pratica nelle sue memorie. — O voi che nel ’48 facevate petizioni, proteste e dimostrazioni, niente vi è di mutato, siate conseguenti: abbiate il coraggio di manifestare quello che foste e quello che siete: io vi passerò in rassegna, nome per nome! — Oimé, mio buon Montanelli, tutto è mutato. Nel ’48 ciascuno sarebbe corso da voi per avere un’attestazione di coraggio civile. Oggi la paura è maggiore che non il sospetto de’ governanti; e voi siete per lo meno un imprudente. La veritá è che, come dice don Abbondio, il coraggio uno non se lo può dare. Tal tempo, tal modo. Quando alla societá manca la coscienza della forza, ed i piú sono pecore, a’ piú arditi non rimane che sfogare l’indocile anima in segreti consorzi; sètte e dispotismo vanno di conserva. La societá è allora una massa inerte, tirata in qua e in lá da due opposti, la setta e il dispotismo, e manifestantesi all’occhio attonito oggi frenetica di libertá, dimani ferocemente reazionaria. Il lavoro della setta in questi casi non solo è inevitabile, ma è pur fecondo, lasciando ricordi di sacrifizi magnanimi e tradizioni di libertá, che a poco a poco si dilatano e fruttificano. E quando come per istinto si sente il gran giorno, il metodo del coraggio civile non ha bisogno di essere inculcato: viene da sé, la setta si trasporta ne’ caffè e per le piazze. Che se da ultimo i governi concedono mezzi legali di esprimere l’opinione, il partito legale è possibile: la legge allora è istrumento di progresso e la civiltá cammina spontaneamente. La differenza di metodo non costituisce dunque differenza di partito, nascendo il metodo da un concorso [p. 280 modifica]tutto speciale di accidenti, variabilissimi. Il Montanelli, per esempio, si maraviglia che i liberali napolitani abbiano una certa predilezione per le sètte. Or questo si può deplorare, ma non censurare. «Justum est, quod necessarium.» Che altra via rimane in un paese senza legge, governato dalla Polizia? Le sètte vi sono punite con pene gravissime, ed anche con la morte: eppure, il governo non è riuscito a sbarbicarle; né si accorge che l’arbitrio le alimenta, e che le non avrebbero piú ragion di essere e sarebbero presto screditate, ove si lasciasse all’opinione qualche altra via di sfogo. Ma per far questo si richiede maggiore abilitá che non ne abbia quel governo, la cui sapienza politica è tutta in una sola parola: prigione. Il metodo inculcato dal Montanelli è certo piú civile, piú nobile, e suppone una moralitá e legalitá nei governi e un sentimento di dignitá nei popoli, da cui si è ancora lontani. Ma è ciò a cui dobbiamo tendere; e le parole dello scrittore toscano non saranno, spero, infruttuose sulla nuova generazione.

Se nel metodo niente vi è di assoluto, non può dirsi il medesimo dei principii. Un libro di strategia rivoluzionaria ha un valore di opportunitá: per esempio, un libro che discutesse se la guerra per bande sia possibile in Italia, se le sètte sieno proficue in Napoli, ecc. Ma nelle quistioni di principii, se vi è molto di transitorio, collegato con gli avvenimenti e con gli uomini di questo o di quel tempo, rimane sempre al di sotto qualche cosa di piú generale, che dura al di lá di quegli avvenimenti e di quegli uomini, e s’innesta con altri avvenimenti e con altri uomini. Ora, mi pare che in questo libro i principii non sieno determinati abbastanza. Non basta dire: «Italia, libertá, democrazia, repubblica, ecc.»; le sono parole: ed è questo il difetto di molti libri politici di oggidí, vaganti in un mare d’idee contraddittorie senza una bussola. Bisogna che ciascuna di queste idee sia ben definita e circoscritta nel suo significato filosofico e politico, cioè a dire come veritá e nome fatto. Il Montanelli ragiona di un partito democratico, lontano dai moderati e dai mazziniani. Contro i moderati si fa mazziniano, contro Mazzini si fa moderato; i ragionamenti degli [p. 281 modifica]uni gli sono arma contro gli altri. Sta bene. Ma che è questa terza cosa che sta tra i moderati e Mazzini? Quanto al contenuto, in che questo partito democratico si distingue essenzialmente dagli altri? Noi abbiamo bisogno di uscire dall’indefinito. Il Montanelli è cattolico: forse anche quello ch’egli chiama partito democratico? Il Montanelli vuole la democrazia; la vuole anche il Mazzini, anche i moderati. Il Montanelli è repubblicano, ma pronto a transigere con la necessitá delle cose. E Mazzini è pronto a scendere dall’alto della sua repubblica, se la salvezza d’Italia lo richiede, come nota il Montanelli. Ed altri è pronto ad alzarsi dal basso del suo riformismo, se la salvezza d’Italia lo richiede, come nota il Montanelli. La libertá è una scala mobile, che dal riformismo giunge fino alla repubblica sociale. L’indipendenza è una scala mobile, che dalla lega doganale giunge fino alla unitá assoluta. Il Montanelli in qual punto della doppia scala si trova? £ dove egli sta, vi è pure il partito democratico? Nol so.

Alziamoci ora dalla politica in una regione piú serena. Lo scrittore politico deve considerare le idee nello stato in cui si trovano, cioè come fatto; ma non deve dimenticare per questo e tanto meno falsificare il loro valore assoluto. Il Montanelli sembra che talora evochi le idee secondo il bisogno, riducendo tutto a strategia politica: difetto comune a molti moderati, che chiamano vero ciò che è opportuno, utile, attuabile, ecc. Cosi, parlando del Gioberti non so proprio se egli approvi o disapprovi, sollecito di dimostrare l’utilitá ed opportunitá di quelle idee, che guadagnarono alla libertá una parte del clero. Tendenza pericolosa, ed atta a confermarci piú in quello scetticismo dissolvente, che giá c’invade anche in politica. Di che il primo esempio ce lo ha dato lo stesso Gioberti, che crea una veritá politica. Noi abbiamo bisogno di sapere innanzi tutto che cosa è vero, che cosa è falso, di avere una convinzione stabile; e se ci sono momenti transitorii, ne’ quali ci è forza di piegare alla necessitá, chiamar questo necessitá e non veritá, e questa sola proseguire del nostro amore e diffondere con tutte le nostre forze. Oggi portate in palma di mano il papato, dimani ne tirate [p. 282 modifica]giu a piú non posso; oggi vi beffate della sovranitá del popolo, dimani vi c’inchinate. Che avviene? Le vostre idee, presentate non come espedienti politici, ma come veritá belle e buone, lasciano vestigi nelle moltitudini, le quali non sanno che vi è una veritá dell’oggi e un’altra del dimani; e i credenti del Primato diventano gli avversari del Rinnovamento, insino a che la fede si spegne, i caratteri si abbassano e la veritá diviene il fatto o la forza: materialismo in cui muoiono i popoli.

Se dunque debbo dire tutto quello che penso, ed il debbo a un mio tanto amico, a cui sarebbe delitto dissimulare una minima parte del mio giudizio, il suo libro rispetto al contenuto non mi pare che abbia un gran valore politico e filosofico. E libri di questo genere non possono fare impressione durabile, se non lasciano qualche traccia nella storia dello spirito umano. Vi è qui un fondo d’idee non abbastanza lavorato da una meditazione concentrata ed amorosa, la quale solo può dare quella impronta di originalitá e profonditá, che è propria dei lavori geniali. E quando considero i bei capitoli intorno alla Toscana, dove con tanta sagacia è rappresentato il vario movimento delle idee ne’ caratteri, nella letteratura, nelle sètte, nello stesso governo; mi persuado che al Montanelli per giungere a quell’altezza non sia mancata l’attitudine, ma una maggiore meditazione e una piú esatta notizia delle cose. Le sue Memorie cominciano dal i8i4. Ecco dunque, secondo il mio avviso, in che modo si sarebbe dovuto procedere: notare tutte le idee della nuova civiltá ed accompagnarle nel loro progresso attraverso i fatti. Noi le vediamo dilatarsi, modificarsi, opporsi, mescolarsi, allargarsi in questa o quella classe, in questo o quello Stato, compresse ripullulare, prendere nuove forme, avanzarsi sempre, infino a che scoppiano irresistibili nel ’48. Chi guarda sensatamente la storia degli ultimi tempi, vedrá moti speciali ed infelici, sterili in apparenza, ma preceduti e seguiti da un indefesso lavoro intellettuale e morale, che prende forza dalla sconfitta, che acquista maggior coscienza di sé in quell’antagonismo che dicesi reazione, che talora tiene sotto di sé inconsapevoli gli stessi governi, e che si rivela da ultimo in fatti, miracolosi per [p. 283 modifica]il volgo, e lentamente preparati, e perciò naturali all’occhio dello storico. Questo lavoro in gran parte spontaneo apparisce qua e lá nel libro del Montanelli, ma a modo di accessorio e di polemica, senza un disegno. In un solo periodo egli determina maestrevolmente il progresso del liberalismo italiano: «liberta portate di fuori nel ’99, colpi di mano nel... ’2i e nel ’3i, rivoluzione uscente dalle viscere della nazione... nel ’48». Queste parole dovrebbero essere l’epigrafe del libro, e la storia non dovrebbe essere altro che il loro commentario. E cosí, in luogo di quei magri sunti storici che ci dá dei diversi Stati d’Italia, interrompendo e frastagliando l’interesse, avremmo un’esposizione drammatica, qualche cosa di simile al suo bel lavoro sulla Toscana. Certo, se non è riuscito con pari felicitá nella storia d’Italia, gli è che egli non ne aveva quella conoscenza propria e immediata, che della Toscana.

Non dobbiamo dimenticare però, che questo libro è principalmente narrazione di fatti, massime personali. Quel contenuto vi sta come per incidente, né è giá ciò che dá importanza alle Memorie.

Molte se ne sono scritte intorno al ’48, che non si leggono piú, compilazioni confuse e inanimate. Queste del Montanelli leggiamo con lo stesso diletto, che la Vita di Alfieri o del Cellini; e pochissime sono le prose italiane, che si fanno leggere volentieri, come ha ben notato il mio egregio amico Ruggiero Bonghi. Il libro del Montanelli è tra questi pochissimi, per alcuni pregi che vogliono essere studiati con diligenza: il che farò appositamente.

Per quello che ho discorso innanzi, mi par dunque che in questo libro non ci sia un contenuto, il quale, fatta astrazione dalle circostanze, dalle persone e da’ tempi, stia da sé, abbia in sé stesso il suo valore. Dico ciò non a biasimo, ma per determinare la natura del libro. La parte storica vi è magra e incompiuta; le discussioni politiche o filosofiche non hanno niente di terminativo; vi manca quella originalitá e quella profonditá, che può solo far durabile impressione sulle generazioni. Tutto [p. 284 modifica]questo è vero; ma tutto questo non costituisce la sostanza del libro. Che cosa è dunque? È l’Italia del ’48, le nostre illusioni, le nostre discordie, le nostre passioni, come si riflettono a mano a mano nel Montanelli. Hai innanzi non una storia, non un libro filosofico o politico: hai innanzi delle memorie.

Le memorie sono spesso una forma letteraria, un mezzo comodissimo di esprimere le proprie opinioni, di accusare o difendere. Forse il Montanelli le ha scritte con questa intenzione; ma, entrato in materia, si è sentito artista, e l’amore del racconto è prevalso su tutti gli altri fini secondari. Ha fatto delle vere memorie. Tutto prende colore dalla sua personalitá e dal suo tempo; e la parte filosofica, per esempio, se considerata in sé stessa è di poca importanza, acquista un gran valore come espressione intellettuale del tempo. Diamone qualche esempio. L’esposizione che fa l’autore delle idee del Gioberti ed i suoi ragionamenti tu fi trovi viventi ed efficaci in mezzo agli uomini, immedesimati co’ costumi, co’ caratteri, con le passioni. Non hanno valore come principii, ma come opinioni, e tu assisti al loro processo, alla loro vita. Uno dei luoghi piú belli di questa esposizione è dove il Montanelli ti pone sott’occhio le lette interiori della sua anima.

Gli anni trascorsi in questo stato d’aspirazione alla veritá furono i piú poetici della mia vita; e, benché le cure cattedratiche ed avvocatesche, che mi portavano via tutto il tempo, non mi permettessero comporre versi, la lirica mi traboccava dal cuore; lirica d’invocazione alla fede robusta dei primi cristiani, e di rampogna alla filosofia che mi aveva promessa la scienza, e mi lasciava nel buio; lirica d’interrogazioni iterate all’universo, cercando la spiegazione del grande enimma dell’esistenza. E l’anima non mi affermava il Dio de’ cristiani, ma nemmeno lo poteva piú negare, e aveva recuperato quel senso che, svolgendosi, diviene religione: il senso del mistero.

Poteva egli osare di piú; poteva introdurre il lettore ne’ misteri di questa lotta, e ne sarebbero uscite delle pagine degne di Rousseau.
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Ci ha due modi di raccontare. O tu segui la catena dei fatti, o, come fa spesso il Montanelli, tu ti distribuisci in capo la materia, la riduci a certe categorie o principii, intorno ai quali rannodi gli avvenimenti. Questo metodo è meno naturale ed artistico, e si richiede molto accorgimento perché non riesca nel falso. Per lo piú lo scrittore si abbandona a certe idee preconcette, alle quali accomoda i fatti, mutilandoli, sforzandoli. Par mi che il Montanelli abbia cansato questo difetto, essendo le sue categorie cavate dalle viscere stesse del soggetto: è una sintesi un cotal poco artificiale, ma esatta. Di che fa fede fra l’altro la narrazione delle cose toscane nel primo volume, e il sunto della storia di Napoli dal primo al secondo Ferdinando nell’altro volume. Questo metodo bene usato ha grandi vantaggi. Il lettore non va a tentoni dietro una confusa congerie di fatterelli senza potersi mai raccapezzare; fin dalle prime pagine ha la chiave del racconto, abbraccia ad una gittata d’occhio tutto l’orizzonte, e può senza difficoltá seguirle parte a parte. Il che spiega perché con tanto diletto si leggano questi racconti, si che ti senti sempre piú invogliato di andare innanzi. A me è avvenuto piú volte che, consultando il libro per prendere nota di questo o di quello, senza saper come, ho tirato giú a leggere e leggere una buona mezz’ora. L’autore ha fatto egli la fatica che ha risparmiato ai lettori; ha studiato bene i fatti, ha esaminato il loro valore, li ha distribuiti per sommi capi, li ha generalizzati. E, per esempio, egli reca a quattro cause l’educazione politica dei toscani: la letteratura, la filosofia civile, gli atti del governo, le fratellanze segrete, e intorno a questi quattro capi sono aggruppati tutti i fatti. È un metodo pericoloso ed artificiale; la natura non procede a fil di logica, e spesso è contemporaneo quello che nel tuo quadro veggo successivo e staccato. Nondimeno il Montanelli vi ha adoperato molta perizia, e con la rapiditá dei suoi quadri supplisce in parte al difetto. Oltreché non saprei biasimare questo metodo nei sunti storici, dove l’essenziale non è tanto nei fatti quanto nei loro risultamenti. Ma quando l’autore entra nel movimento rivoluzionario, lascia questa via, e tien dietro alle cose, [p. 286 modifica]come le si svolgono naturalmente: vedi un succedersi, un avvicendarsi, un incrociarsi, un mescolarsi di casi, che dipingono a capello la vita tumultuosa della rivoluzione. Vaglia ad esempio la descrizione dei moti di Milano e di Venezia, echeggianti con tanta varietá di accidenti e con tanta unitá di volere nei piú piccoli paesi di Lombardia.

L’interesse principale de’ fatti è ne’ caratteri e negli affetti. Moltissimi personaggi il Montanelli conosceva per fama e per udita; quindi noi li vediamo ritratti con mano poco ferma; talora sono puri nomi, il piú spesso sono accompagnati da qualche epiteto generale, che non ti lascia in mente una immagine ben fissa. Ma quando ha notizia esatta delle persone, hai un ritrattista di una sagacia poco comune. Non so se i suoi ritratti sono sempre simili al vero; ma li trovo sempre freschi e ben coloriti. Ecco il ritratto ch’egli fa dello «Stenterello», la maschera popolare di Firenze:

È un servitore, che non ama, né rispetta il padrone, e lo liscia, lo loda, lo diverte nel tempo che lo canzona dietro le spalle, e gli fa bistinchi e lo imbroglia. Astuto e simulatore d’imbecillitá, si rende conto della propria abbiezione; è vile, e non si vergogna di proclamare in frizzi spiritosi la sua viltá; è povero, e ne ride, e canta la sua miseria; fa le viste di non capire quello che non gli torna; è amico di tutti e di nessuno; un buon boccone, una dormitina e l’epigramma sono la felicitá suprema di questo artista repubblicano abbrutito.

Aggiungerò che il Montanelli mi par piú febee nel ritrarre caratteri, ove entri alcuna vena di comico o di plebeo, che i personaggi affatto serii. Vedrete il ritratto di Alessandro Poerio:

Ispirato e corretto..., di greco ingegno e d’italica sodezza, tipo di bella ed affinata natura napoletana, amante, entusiastica, arguta, cavalleresca, dove tirannide non la sciupi; nelle arcane armonie dell’anima malinconica Alessandro Poerio la crociata italica presentiva, e del fuoco consumatore che lo fará lieto combattente, e per quella in Venezia santissimo morto, accendeva un accenditore suo carme, il Risorgimento, marsigliese italiana. [p. 287 modifica]
Qui ci è dell’impacciato e del pretensioso: difetto raro nel Montanelli, il cui stile è vivace, ma semplice.

Il Montanelli concepisce con chiarezza e con calore; la sua immaginazione rifa il ’49 con la fedeltá di un testimone e la vivacitá di un attore; e spesso i fatti gli rivengono innanzi con l’antica commozione. Mazzini disapprova il riformismo in nome del partito d’azione, confortando all’indugio e profetando una imminente rivoluzione europea. Odasi il Montanelli:

Eravamo nel caldo della lotta. La casa mia era un via vai di liberali in moto, che andavano e venivano a prendere istruzioni. Dovevo scrivere nello stesso tempo foglietti, libretti, articoli,... lezioni di dritto commerciale, difesa per fogliettanti sotto processo. Dovevo andare di qua e di lá... La fatica m’aveva ammalato; sapevo d’altronde che quest’azione era la sola utile, la sola possibile; sapevo che con la perseveranza l’avremmo spuntata: e mi si voleva contrapporre un partito d’azione!

Questo tratto è pittoresco; vi è del Cellini. Allo scrittore riviene la stessa impazienza, che gli cagionò la notizia nel suo gabinetto, e ti par di vederlo pestar de’ piedi, lanciare il pugno in aria e dir con voce concitata: — E mi si vuol contrapporre un partito d’azione! — . Di rado innanzi ai fatti la sua anima dormicchia; il piú sovente lo vedi seguitare il racconto con sospensione, con interesse, accompagnandolo di osservazioni, di affetti: nel vario movimento dello stile leggi la mobilitá delle sue impressioni. Ma come a’ piú grandi attori interviene che, usciti un tratto fuori della loro parte, e sentendosi raffreddi, suppliscono alla mancata spontaneitá con le reminiscenze della scuola, con tanto piú di esagerazione con quanto meno di veritá; il Montanelli talora lascia passare quel momento prezioso, in cui l’impressione scoppia nel tempo stesso che il fatto, che è il momento inconscio dell’arte o della creazione, e ritornandovi sopra lavora a freddo, cadendo di necessitá nel convenzionale e nel declamatorio. Il che avviene soprattutto quando mira al sublime o al patetico; e te ne accorgi allo stile contro il solito contorto e ricercato. Eccone un esempio:
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Una cara giovanetta dall’anima temprata di forte dolcezza, cui [Alessandro Cipriani] aveva giurato fede di sposo poco piú di due mesi avanti la morte, mi raccontava che, poche ore prima di essere assalita dalla febbre, aveva ricevuto una lettera, leggendo la quale si spianava colla mano la fronte, come la sentisse grave di peso funereo, e la lacerò, non volendo attristarla, con dirne nemmeno a lei il contenuto!... E in farmi il mesto racconto, la vedova giovanetta alzava ai cielo i belli e grandi occhi cerulei, e sospirando esclamava: — Ah l’Italia! — . Consumata nel desiderio del perduto compagno, attratta nell’alito del sepolcro, povera Sofia, anch’essa martire d’Italia mori.

Tutto questo è detto con poca semplicitá, con pretensione: non si consegue l’effetto, appunto perché si guarda troppo all’effetto. «Peso funereo!», «alito del sepolcro!», questo mi sa di Guerrazzi; e fa contrasto con la maniera naturale e piana del Montanelli. Il quale, se mi riesce disuguale nella espressione de’ grandi affetti, parmi a pochi secondo, dove si richiede grazia e spirito. Sotto questo aspetto voi potete talora giudicarlo freddo; non mai falso. Non ci è quasi pagina, dove non trovi qualche tratto di spirito, che spesso ti riassume tutto un carattere, come è un motto felicissimo con cui finisce il ritratto di un personaggio: «Avrebbe voluto fare il rivoluzionario con licenza de’ superiori».

Se non vado errato, parmi che in questo sia l’eccellenza del suo ingegno; e vi è stato mirabilmente aiutato dall’uso che egli ha della lingua toscana, la quale non mi è sembrata mai cosí cara e leggiadra come in queste Memorie. Non so dir per l’appunto s’egli ha pienamente risoluto il problema propostosi, «di parlare italiano senza cessare di essere contemporaneo». Fra le due maniere non mi pare ci sia fusione, stannosi di rincontro, talora in crudo contrasto; e puoi dire spesso: — Questo è pretto toscano; questo è italiano— .Arrechiamone qualche esempio: «Benché il mio racconto pigli le mosse dalla Toscana, e a cose in Toscana fatte guardi precipuamente, tuttavia avrebbe torto chi non lo giudicasse a Italia tutta attenente». Sembra che suoni la tromba in dir cosa tanto semplice: ci vedi la falsa [p. 289 modifica]pompa del periodo cinquecentista, qualche po’ di contorsione alla Guicciardini. Di periodi cosí fatti hai parecchi, massime nel secondo volume; e l’autore vi cade tutte le volte che si vuol mettere in ispese. A dimostrare la falsitá di questa maniera, non ho bisogno di altro, che di citare altri luoghi dello stesso Montanelli, dove tutto spira gentilezza e grazia. Egli appartiene a quella scuola che, dietro le peste del Manzoni, ha gittato via dalla prosa italiana tutta quella vacua sonoritá, tutti quei riempimenti e giri e perifrasi e leziosaggini, che chiamano eleganza, e le ha dato un fare franco e spedito.

Ad alcuni è parso biasimevole che il Montanelli faccia troppo apparire la sua personalitá: a me par questo il pregio sostanziale del libro. Nelle memorie, specialmente, il principale attrattivo è che l’autore vi si riveli tutto, con le sue buone qualitá, co’ suoi difetti; e perciò è pur cara cosa quella Vita del Cellini e la Vita di Alfieri, e le Confessioni di Rousseau e le Memorie di Napoleone. Il Montanelli si fa centro presso che lui solo di tutto; quel «casa mia» gli viene spesso sotto la penna; dove non è con la persona, è con lo spirito; e dovunque spira qualche cosa di sé, scrittore subbiettivo quanto altri fu mai: il che dá qualche cosa di proprio ed incomunicabile alla sua maniera di dettare.

E qual la persona, tal l’opera. Egli ha piú impeto che forza; piú vivacitá che profonditá; piú gusto che originalitá. Onde nascono i pregi e i difetti del suo libro. Leggi correndo; mai ti arresti a meditare; niente ti colpisce fortemente; la lagrima non ha tempo di formarsi nel tuo occhio; il pensiero non ha tempo di germogliare nella tua mente: passi di cosa in cosa, di affetto in affetto, ubbidiente alla mobile fantasia dell’autore. Vi è qualche cosa in quel libro, che ti dice: — Avanti!— . E lo lasci mal volentieri, e ci torni con nuovo diletto. Non ti par giá di avere un libro innanzi: hai un uomo vivo che ti parla, cosí scolpita vi è dentro la sua personalitá. Immagina un uomo di facile e grato conversare: ti piace a sentirlo; non misuri le ore; lasci parlare solo lui; rimani attaccato a quella bocca; ma, quando gli hai volte le spalle, non ricordi piú niente. Di tal natura è il [p. 290 modifica]libro del Montanelli: è un monologo, non un dialogo. E la lettura dev’essere un’opera a due, una domanda ed una risposta. L’autore deve fare una cosí viva impressione sul lettore, che lo costringa a fermarsi, a lavorare lui pure, a ripiegarsi in sé stesso. È il distintivo de’ grandi ingegni, de’ grandi lavori. Ma in veritá io sono di troppo difficile contentatura: ché nella presente mediocritá è cosa rara un libro come quello del Montanelli.

[Nel «Piemonte», a. II, nn. 45 e 46, 2i e 22 febbraio i856.]

  1. Si noti che questo articolo era dettato nel i856.