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Storia degli antichi popoli italiani/Capitolo V

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Capitolo V - Siculi e loro passaggio in Sicilia: vicende degli Umbri

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Capitolo V - Siculi e loro passaggio in Sicilia: vicende degli Umbri
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CAPO V.


Siculi e loro passaggio in Sicilia:

vicende degli Umbri


Primi abitatori e coltivatori della penisola furono senza dubbio per la priorità di tempo le razze stesse del natio paese, ben riconosciute e mentovate tutte volte dagli antichi sotto il nome energico di Aborigeni o sia di paesani1. Dessi sono da un lato all’altro il tronco della originaria popolazione italica, nel suo primiero stato di unione sociale: e come tali cessano ovunque di esistere allora che le tribù loro vaganti, avanzandosi in civiltà, si ristrinsero in corpi separati, ma sempre affini, che di poi formarono altrettanti popoli civili, tra se distinti per territorio, non men che per grado e per nome. Fra queste primitive nazioni indigene sono da noverarsi principalmente gli Umbri, gente antichissima, la qual s’elevò a gran potenza, e crebbe soprattutto delle rovine dei Siculi. Chi fossero questi Siculi o Siceli2, da cui han principio le più antiche rivoluzioni dell’Italia toccate brevemente dagli storici, è sempre argomento di grande controversia. Nè par che l’audacia della divinazione filologica voglia per ancora stancarsi di nuove, e vie più inviluppate, se non repugnanti ipotesi. Non s’avvisando i men cauti che il passato si trova, ma non s’inventa. [p. 66 modifica]Già molto tempo innanzi alla guerra troiana occupavano i Siculi buona parte dell’Italia di mezzo qual corpo di nazione unita. Ch’eglino non s’appartenessero al ceppo greco, lo dice espressamente Dionisio principale narratore de’ casi loro, chiamandoli più volte gente barbara e indigena del Lazio3. Pelasghi propriamente non erano, se attendiamo alle cose narrate, meglio che alle imaginate, poichè i Siculi dimoravano in Italia prima della venuta di costoro, i quali si mostrarono in tutto più presto nemici, che congiunti. Nè potevano tampoco essere d’origine Enotri; perciocchè in cambio che i Siculi sien venuti oltre verso il centro da quella parte estrema della penisola, vi furono anzi forzatamente respinti dal settentrione a mezzodì. E dove Antioco dice in breve, che Siculi, Morgeti e Itali, erano a un modo Enotri; cioè gli abitatori dell’Enotria; desso intende a significare soltanto, siccome apparisce dal contesto, il nome distinto che portavano separatamente gl’incoli di quel paese, li più antichi di quanti s’avesse ivi notizia4. Giustamente Plinio poneva i Siculi tra i primi popolatori del Lazio antico: e in veder sempre accompagnato per li scrittori latini5 il nome loro con quel degli Aurunci, vecchissimo [p. 67 modifica] popolo6, fa probabilissimamente presumere che avessero entrambi grande attenenza di stirpe7 I padri Aurunci, abitatori di alti monti, sono certamente essi stessi un ramo del grande stipite italico, che col nome più universale di Osci e di Ausoni ritroveremo propagato oltre il Tevere insino alla Calabria: nè forse ci discostiamo punto dal vero presupponendo che i Siculi, progenie nata di quelli8, fossero i primi montanari discesi giù nell’odierna campagna di Roma, dove si collocarono, bonificandovi i luoghi paludosi ed infermi. Or dunque non male Dionisio teneva i Siculi per nazione di questa terra: e noi portiamo opinione che di più eglino attenessero alla razza stessa degli Aurunci, popolo delle montagne. I Siculi espulsi lasciarono [p. 68 modifica]di se alle popolazioni che lor succedettero nel Lazio alcun’orma dell’origine. Ed i vecchi Sicani e Sicolensi, compresi nel numero dei prischi Latini, che per unione partecipavano insieme delle carni della vittima sul monte Albano9, pare che possan credersi, e secondo che suona il nome, una qualche famiglia dei Siculi stessi. Così certe agnazioni, che si rinvengono in Roma ne’ suoi primi tempi, mostrano che talune originali schiatte del paese latino avean tratto i suoi propri casati o di Siculo, o di Aurunco, da radici puramente domestiche, e al tutto locali10. Non fu però la sede dei Siculi-Aurunci ristretta nel solo territorio d’intorno all’Anio ed al Tevere, ma s’estese in altre parti ancora, da che cresciuti alla vita pastorale s’andavano i suoi allargando di luogo in luogo o per bisogno di nuovo terreno, o per accidenti di guerra, che in quelle prime età di vita nomade solevano o espellere, o mischiare violentemente le tribù meno forti a grado di chi più poteva nell’armi. Si vuol che i luoghi dove appresso sedevano Falena e Fescennia appiè dell’Appennino, facessero parte [p. 69 modifica]delle loro vetuste abitazioni11, di cui sussistevano pure qua e là sparsamente altre note e distinte tracce nei secoli susseguenti12.  Queste separate dimore dei Siculi ne danno i termini meno incerti del paese per essi abitato nella Italia media, prima d’ogni altro popolo conosciuto di certo nome: ma nonostante ciò dei molti loro successi, come nazione, non serbano le storie altra sicura e ricordevole memoria, fuor che quella dell’universale caduta della gente. Le vive guerre che i Siculi sostennero contro agli Umbri, altro popolo delle montagne, uscito addosso a loro dalle regioni dell’Abruzzo, furono, secondo Dionisio, le maggiori e le più ostinate di quante si fossero insino allora vedute13. Lo stesso narratore, il qual seguiva nel suo racconto le tradizioni riferite da differenti storiografi, inframmette di più in questi fieri contrasti Aborigeni e Pelasghi, ma i primi non sono per certo altro che antichissime genti anonime dell’Italia inferiore: quanto è a’ secondi tratteremo qui appresso della loro stirpe.

Lacerati e incalzati i Siculi da sì molti feroci assalitori, vennero finalmente espulsi dalle patrie sedi, e respinti insieme verso il mezzodì dell’Italia: prima dagli invasori del loro paese nella regione inferiore, dove abitavano in numero altri agguerriti popoli Osci; indi da questi dell’ultimo tratto della penisola prossimo alla Sicilia; cioè nei termini della primitiva Italia, [p. 70 modifica] posseduta in allora dagl’Itali e dai Morgeti, che erano un ramo degli Enotri14. Per la comparsa dei Siculi in que’ luoghi, dove si fermarono alcun tempo, si divisero e s’inimicarono tra di loro Itali e Morgeti: onde ne successe, che soprastando i primi di forza cacciarono violentemente i Siculi dalla terra ferma unitamente coi Morgeti15. Passarono con gran numero16 di quivi attraverso il Faro in Sicilia per avanti abitata dai Sicani, popolo indigeno secondo Timeo17, o, come altri vuole, d’origine Iberica. I Siculi si collocarono primieramente nella parte orientale dell’isola poco anzi abbandonata dai Sicani, a causa delle rovinose eruzioni dell’Etna. Ma di poi respingendo da ogni lato i Sicani, essi stessi, avanzandosi di luogo in luogo, si renderono alfine signori del conquistato paese. Con tali vantaggi permanenti del dominio e della forza, la generazione dei Siculi divenne sì preponderante nell’isola, da invadere tutta l’autorità, e dare a quella il suo proprio nome18. Antioco Siracusano e Tucidide, confermando il fatto, dicono più in compendio, che i Siculi passarono in Sicilia inseguiti degli Opici19; il che, nel senso loro, val quanto dire [p. 71 modifica]dai paesani stessi dell’Italia meridionale. L’ingrandimento di quelle genti seguì, secondo il computo di Filisto20, fors’a ottant’ anni avanti la guerra di Troja: in che s’accorda il siciliano con Ellanico. Tucidide, al contrario, la pone due secoli dopo21. Ma commossa già in tempi sì remoti grandissima parte d’Italia sino all’estrema Calabria per universal discorrimento e tumulto di popoli, successero nuovi travagli pe’ violenti assalitori, che avean tolto a’ Siculi stato e signoria.

Nessun fatto istorico dell’antichità è più avverato del passaggio dei Siculi italici nella Sicilia, tutto che riferito dagli scrittori con molta varietà di circostanze. E sopra questo fatto han pure i mitologi personificato, alla lor maniera poetica, un Italo, un Siculo e un Morgete, alternativamente regi di Sicilia, di Enotria o d’Italia; e in oltre tessuto la narrativa strana della fuga di Siculo da Roma per recarsi al re italiano Morgete22. Ma quantunque i Siculi fossero in effetto scacciati per la sola forza, l’uscita loro della penisola dovette succedere di necessità a grosse bande in tempi diversi; nè tutti tragittarono il mare ugualmente. Quando i Locresi, nel primo secolo di Roma, se ne vennero erranti al capo Zefirio, vi ritrovarono là presso il monte Esope stanziati dei Siculi23: e fino al tempo [p. 72 modifica]della guerra del Peloponneso altri Siculi abitavano ancora nella più antica e meridionale Italia24. Così pure in fuggendo da’ luoghi presso al Tevere era rimasa colà una qualche porzione di loro, mescolatasi col nuovo popolo latino, principalmente a Tivoli e in altre terre dintorno. All’opposto tutti coloro che transitarono in Sicilia vi si posarono con fermo stato. Talune denominazioni patrie recatevi da esso loro, vi si conservarono inalterabilmente di secolo in secolo25, con altre reliquie di questa terra26. E benché dopo la signoria degli Elleni nell’isola i Siculi v’adottassero le fogge greche27, e la lingua loro cedesse il primato alla migliore, pure, fin negli ultimi tempi del regno siracusano, i barbarici suoni del dialetto degli Opici vi s’udivano per ancora, con fastidio dei Greci, nelle bocche de’ nativi siciliani28.

Gli originali Umbri erano un ramo de’ robusti montanari di razza osca, cresciuti in, vigore per l’aspre [p. 73 modifica]pendici dell’alto Appennino. E rende certissima prova sì dell’antichità, come della pura italica loro stirpe, la testimonianza concorde degli scrittori29.  Forse Zenodoto da Trezene, compilatore d’una storia degli Umbri, ma scrittore poco avveduto, nè molto antico, trovava di suo capriccio nel loro nome una dimostrazione puerile di questa sì grande vetustà30. Benchè non senza fondamento istorico ci narrasse per altro, che la contrada di Rieti, montuosa e silvestre, era stata dimora di coteste genti indigene31, respinte da luogo in luogo per la forza di popoli stranieri ad occupare il territorio dove di poi stanziarono. Così il nome umbro s’andava dilatando con la preminenza della sua progenie in altre parti interne; ed al comparire di loro, stabiliti in potenza, si ritrovano gli Umbri nelle storie già possessori e signori di grandissimo tratto di paese fra l’uno e l’altro mare. Sul golfo Adriatico l’Ombrica cognita ai Greci ha una estensione indeterminata e vasta. In Erodoto32 si dilata fin presso le Alpi. E Scilace, più d’ogni altro esatto, vi comprende non solamente il Piceno, ma [p. 74 modifica]n’estende ancora la costa insino al promontorio del Gargano33. Che gli Umbri tenessero quivi presso a comune nel Piceno meridionale i distretti Palmense, Pretuziano e Adriano, ch’avean tolti ad altri occupanti, lo abbiamo manifestamente da Plinio34. Nè parrà cosa di poco momento, che pure oggidì quasi nel centro degli alti e selvosi monti del Gargano si ritrovi una estesa valle, mai sempre chiamata dai paesani Valle degli Umbri35. Nelle parti superiori del lido Adriatico, più verso il Po, si dilatavano ugualmente gli Umbri come conquistatori; e trovandovi aperta colassù la via della pianura si posero altresì in alcune parti dell’Italia superiore intra l’Appennino e il Po; là dove almeno le genti loro tenevano sempre qualche colonia del proprio seme al tempo della prima invasione gallica. Non altrimenti calatisi dalla banda occidentale degli Appennini con altra potente mano, e varcato il Tevere, s’erano avanzati molto indentro fra questo fiume e l’Arno. Quivi dimorarono innanzi che vi si allogassero Etruschi. Perugia era stata fondata dai Sarsinati, popolo degli Umbri, notizia che [p. 75 modifica]probabilmente dobbiamo a Catone36: Cortona stessa, per altre tradizioni, dicevasi abitata in prima da Umbri37: ed è assai credibile oltracciò che l’Ombrone, fiume perenne nel mezzo della Toscana, il qual mette in mare, prendesse da esso loro il nome38.

I montanari Umbri, che partirono dal lor ricetto antico, ruppero di tal modo per frangenti di guerra ne’ paesi dintorno dall’uno e l’altro lato dell’Appennino; respinsero le tribù di quei pastori nomadi, chiamati in genere Aborigeni, che ritrovarono per via; e s’ingrandirono principalmente a’ danni dei Siculi. Se pure tutti questi commovimenti delle nostre genti indigene di razza osca, che quasi a un tempo cangiarono le sedie loro e lo stato, non sieno piuttosto da riferirsi ad un evento pieno invero d’oscurità, ma non meno certo per sicuri documenti istorici. E vogliam dire delle violente incursioni e scorrerie che i Liburni, ed altri Illirici, popoli ferocissimi, avean fatto in sulle spiaggie occidentali del mare di sopra, dove di fatto occuparono in età remotissime non poche terre marine, e massimamente presso al Tronto, come al suo luogo racconteremo39. Per le quali invasioni di gente strania e crudele, assueta al mare, e che poteva [p. 76 modifica]con spedito transito a suo grado infestare per rubamenti e guasti tutta la maremma italica, è pur credibile molto, che le popolazioni là intorno, usate alla vita pastorale, si sospingessero addietro l’una in sull’altra per le violenze degli assalitori, e dessero così cagione a queste prime rivoluzioni interne, di cui abbiamo sì confuse e tronche memorie nella storia.

In ogni modo però sicuro è bene che gli Umbri dotati di fortezza, e di tal valore guerriero, che, siccome ne correva la fama, anziché non vincere in campo, sapean morire40, possederono in antico un paese molto esteso, dove ordinarono uno stato potente. Ameria, città loro, era stata fabbricata, secondo Catone, 964 anni avanti la guerra di Perseo, o sia 381 anni prima di Roma41. Ciascuna città degli Umbri aveva di tal forma la sua propria era, da cui si contavano gli anni della fondazione legittima della terra42: civile [p. 77 modifica] usanza introdotta ugualmente dagli Etruschi, e che basterebbe sola a confermare quanto si fosse vetusta l’instituzione politica della gente.  La guerriera Todi presso al Tevere43; Gubbio44 e Nocera appiè dell’Appennino; Nequino in sulla Nera45 fortissima di sito; Mevania ricinta di belle mura; Interamna, Sarsina, Sentino, ed altre molte; sono del pari tanti monumenti della forza e dello stato civile cui s’avanzarono successivamente gli Umbri per continovati progressi di cittadinanza. Ma quando per l’innanzi correan secoli fortemente agitati dalle passioni di popoli ancor semibarbari, e non mai ben fermi, forza e ambizion di preminenza davano a’ più potenti l’una il desiderio, l’altra l’ardire d’opprimere i men forti. In fatti gli Umbri, nemici cotidiani de’ Sabini, gli posero alle volte in gravissime angustie46. Altre violenze porgevano ugual cagione ad altre tribù di spessi turbamenti e movimenti varj della fortuna. Laonde non sì tosto gli Umbri stessi, inondato gran spazio dell’Italia centrale, s’avanzarono vittoriosi fin presso all’Arno, e vi si posero a dimora; qui trovarono per [p. 78 modifica]addentro la giogana dell’Appennino, che fronteggia da ponente e settentrione la moderna Toscana, una gente indomita e rivale, che indi appresso arrestò il corso d’ogni loro prosperità. Eran questi i Ra-seni, poi detti Etruschi. Scossi d’intorno a loro dalle armi de’ conquistatori Umbri, se non anche sforzati nelle loro dimore da quelli, le brighe ed i contrasti nati per la troppo vicinanza rivolsero entrambi all’ire e alle spade. Portava la narrativa prisca riferita da Strabone, che dessi guerreggiavano queste pugne feroci non per distruggersi l’uno o l’altro, ma solo per soprastare47. Ciò vuol dire, che lo scopo della guerra era politico, non col fine di scacciare fuor del territorio il popolo intero dei vinti; bensì per estendere il dominio del vincitore, e procacciarsi tributi, militi ausiliarj e schiavi. Or dunque gli Etruschi tolsero agli Umbri trecento terre48, e posero così per sanguinosi eventi le fondamenta del loro grande impero. Laddove gli Umbri vinti di per tutto, domati, e spossati di forza, ristrinsero d’allora in poi il proprio lor dominio ad una sola provincia più raccolta, ma vie meglio unita, che dal lato orientale dell’Appennino volgendo all’Adriatico giungeva oltre il fiume Utente fin presso al [p. 79 modifica]Po, pigliando per limiti naturali dalla parte d’occidente e mezzogiorno il corso del Tevere e della Nera. 

In questo medesimo spazio ritrovansi gli Umbri, libera e franca nazione, nell’età meno antica. Benché sembri vero che o per ragione della conquista, o per accordi, serbassero gran tempo gli Etrusci sopra tutto l’universale degli Umbri un alto e non conteso dominio. L’Umbria fu certamente considerata per lunga età come dipendente, se non affatto unita all’Etruria49, confinante sempre, spesso alleata in guerra. E quando dice Livio50, che l’imperio tosco abbracciava tra i due mari la larghezza intera dell’Italia, viene a comprendervi implicitamente anche il paese umbro. Per lunga pace in fatti non solo cessarono infra i due popoli le antiche discordie, ma spente l’ire furono appresso quasi sempre confederati e partecipi nelle stesse imprese51: anzi per un luogo di Plinio si fa manifesto che gli Umbri ebbero parte, non tanto al conquisto, quanto alla signoria degli Etruschi nella Campania52. Dove Acerra e Nucera avevano due città omonime nell’Umbria53. Ed al principio del terzo [p. 80 modifica]secolo di Roma ritrovansi parimente gli Umbri uniti agli Etruschi nella grande spedizione contro Cuma54. La loro scambievole concordia era di più rinforzata per nodi indissolubili di religione, come apparisce nelle tavole eugubine, dove si legge, che certi popoli cognominati Toschi55 concorrevano ai sacrificj degli Umbri, e avean seco insieme templi e riti comuni. La quale amistà, o cognazione che deggia dirsi, della gente, passò per parentele anche in famiglie etrusche, i cui gentilizj paiono derivati dall’Umbria56. Altre riprove di colleganza e d’intimità nazionale ci somministrano altri monumenti, specialmente rispetto alla lingua, che fu simile o vicinissima all’etrusca: e già nel quinto secolo, per trattare cogli Umbri, si servirono i Romani d’un nunzio che sapesse favella tosca57. [p. 81 modifica]Or questa certissima influenza degli Etruschi sì nell’idioma, come ne’ costumi civili degli Umbri, fu sicuramente molto grande per frequentazione, e per comunione di cose, fin dalla prima giurata amistà di ambedue le genti. La legge sacra, sempre in vigore tra gli Umbri, e la fama de’ loro áuguri, divinatori accorti per movimenti e voci d’uccelli58, non lascian dubitare che la più antica istituzione civile del popolo, non sia stata al pari di tutti gli altri sacerdotale. Castella, terre e villaggi, portavano per lo più il titolo di qualche deità ivi coltivata59. E con tutta probabilità i Camerti-Umbri presero il nome loro da Camars dell’Etruria, o da Chiusi; come la terra di Aharna sopra il fiume60 dal patrio nome dell’Arno. L’usanza di vivere in luoghi murati, alla maniera degli Etruschi, si vede introdotta nelle città più principali dell’Umbria61, le quali di mano in mano presero con l’arti ed i costumi cittadineschi, anche le voluttà tirrene62. Possessori d’un paese dotato di tanta benignità naturale, che nessun altro quasi l’avanza, goderono certamente gli Umbri, o forse ancor s’abusarono di comodi, d’agiatezze e di beni. Ma, non [p. 82 modifica]altro che una satirica antitesi del poeta elegiaco si è quel pungente motto, che l’Umbro non cedesse in nulla per uso di crapule al suo scorretto vicino63. Per lo contrario una copiosa faticante e industre popolazione, ben ripartita su di un fruttuoso territorio, mantenne per secoli con opere campestri e studio di pastorizia la prosperità dell’intera nazione. A tal che Plinio64 nomina quarantasette comunità o popoli, tra se distinti, che sussistevano al suo tempo nell’interno dell’Umbria, oltre a dodici affatto spenti. E parte di loro, secondo l’antico costume villesco, abitavano in cantoni rurali65; parte in grosse terre66. Tuttavolta la grande fertilità de’ luoghi se accrebbe gli agi, infievolì il valore: tanto che, sebbene i Sarsinati facessero da per se sì fiera resistenza a Roma, che d’essi soli ha trionfato due volte, pure in comune gli Umbri per lo più inviluppati nelle rischiose sorti degli Etruschi, perderono prima, sforzati dall’armi de’ Galli, il ricco paese inchiuso tra i monti e la marina adriatica, dove si stabilirono i Senoni; di poi, nel quinto secolo, vinti tutti insieme in una sola battaglia, essi furono quindi innanzi assoggettati per sempre alla signoria dei Romani.

Note

  1. Vedi sopra p. 18
  2. Σικελοὶ; Siculi
  3. Βάρβαροι Σικελοί, ἔθνος αὐτιγενές i. 9. ii. 1. Così per Scilace (Peripl. p. 9) sono barbari, quindi distinti dal tronco greco, i Siculi stessi che passarono in Sicilia, e lo conferma Pausania V. 25.
  4. Ap. Dionys. i. 12., Strabo. vi. p. 176. Vedi appresso capitolo xv.
  5. Plin. iii. 5.; Virgil. vii. 795, xi. 317.; Serv. ad h. l. et al.
  6. Auruncos senes (Virg.): vero Italiæ populi antiquissimi fuerunt. Serv. vii. 206.
  7. Virgilio tutte volte chiama Sicani (veteres Sicani) i Siculi del Lazio: e fu d’esempio agli altri Latini. Ma il grande epico poteva usare largamente licenza poetica, adoperando i nomi etnici in senso più ampio del profondo significato. I glossatori tuttavia, con argomenti di niun valore, dicono cotesti Sicani un popolo della Spagna (Serv. viii. 328). Nessuna generazione di Baschi o Iberi tenne sue dimore sul continente italico; alcuni di loro s’introdussero soltanto nelle isole maggiori. V. Humboldt, Profung ec. o sia Esame delle ricerche sopra i primi abitanti della Spagna p. 169. Ed appresso capitolo xix.
  8. Così Ellanico, quantunque confonda le circostanze del fatto, teneva i Siculi, che transitarono in Sicilia, per Ausoni ed Osci. In ii. de Sacerdot. Iunon. ap. Dionys. i. 22. et Steph. Gramat. ap. Constant. Porph. de Them. imp. ii. in them. Sicil.
  9. Plin. iii. 9. Sicani, Sisolenses (Sicolenses?). Siffatte terminazioni differenti d’una prima forma semplice di nome, proprietà comunissima delle nostre lingue italiche, non cangiavano per niente il nome del popolo: perciò dice acutamente Niebuhr: i Siculi del Lazio potevano benissimo essere chiamati anche Sicani. Tom. i not. 219
  10. Postumus Cominius Auruncus: Q. Clœlius Siculus: come per mischianza di altre genti cinconvicine un Sicinius Sabinus; Aquilius Tuscus; Triscotus Rutilus o Rutulus ec. v. Fast. Consul. ed Almelov. p. 48 49 51.
  11. Dionys. I. 21.
  12. Dionys. I. 16; Plin. III. 5. et al.
  13. Dionys. I. 16.
  14. Antioch. ap. Dionys. i. 12.
  15. Antioch. ap. Strab. vi. pag. 178
  16. Πανδημεί. Diodor.
  17. Diodor. v. 2. 6.
  18. Diodor. v. 6.; Dionys. i. 22.; Pausan. v. 25.; Strabo vi. p. 186.
  19. Antioch. ap. Dionys. i. 22.; Thucyd. vi. I.
  20. Ap. Dionys. i. I. 22. an. 1284 a. C. o in quel torno.
  21. Cioè 300 anni prima che le colonie greche passassero nell’isola: computo apparentemente errato. Thucyd. vi. 2.
  22. Dionys. i. 73.
  23. Polib. xii. 5.
  24. Thucyd. vi. 2.
  25. Tal è Saturnia; nome che fino a’ giorni di Diodoro (iii. 60) ivi ritenevano ancora i luoghi alti e forti. Vedi sopra p. 24
  26. Patrocles Thurius ap. Arnob. iv. p.144: qui tumulos memorat, reliquiasque Saturnias tellure in Sicula contineri
  27. Diodor. V. 6.
  28. Epist. VIII. Ad Dion. p. 355 attribuita a Platone: dove manifestasi il timore che i Cartaginesi e Opici possano espellere i Greci dall’isola e la lingua loro. Se tuttavolta qui per Opici, come sente il Niebuhr, son nominati i mercenarj italici e campani, che militavano in Sicilia, sarà sempre vero che il dialetto proprio di costoro v’era usuale.
  29. Τὸ ἔθνος ἐν τοῖς πάνυ μέγα τε καὶ ἀρκαῖων. Dionys. i. 19. Umbrorum gens antiquissimæ Italiæ. Plin. iii. 14.; Antiquissimus Italiæ populus. Flor. iii. 17.
  30. Umbrios a Græcis putent dictos, quod inundatione terrarum imbribus superfuissent. Plin. III. 14.
  31. Ὀμβρικοῦ ἔθνους αὐθιγενεῖς ap. Dionys. II. 49. La cicala scolpita nelle medaglie di Todi può dichiarare questo pregio di autoctoni che s’attribuivano gli Umbri.
  32. i. 94. iv. 49.
  33. Peripl. pag.6
  34. Hist. Nat. iii. 14.
  35. Per informazioni tolte sul luogo stesso la valle tutta boschiva, dove fra due colline si trova il così detto catino d’Umbra nascente di sorgenti perenni, è contigua ad altro bosco chiamato Umbricehio: indi, verso settentrione, confina col bosco detto il Cognetto d’Umbri. Vedine il sito ben distinto nella geogr. del regno di Napoli di Rizzi Zannoni. 1769
  36. Sarsinates qui Perusiam condiderunt. Serv. X. 201.
  37. Dionys. I. 20.
  38. Umbro oggi Ombrone nella provincia senese, detto navigabile da Plinio (iii. 5.); è in fatti capace di dar ricetto a legni sottili. Un altro fiume minore, del medesimo nome Ombrone, scorre nel pistojese, e fa capo in Arno a pie’ de’ colli d’Artimino.
  39. Vedi appresso cap. viii.
  40. Nic. Damascen. Hist. p.272, ed. Coral.
  41. Plin. XXXV. 14.
  42. Vedi per altro esempio l’iscrizione d’Interamma allegata dallo Scaligero. Emendat. Temp. p. 385 (*).
    (*) Preziosa e curiosissima è quest’iscrizione che tuttora vedesi nell’atrio del palazzo decurionale di Terni. Lo Smezio (p. 49. 7) ed il Gudio (ap. Grut. p. 113. 2) non dubitarono della sua sincerità: ma il Maffei la sospettò falsa, e senza ragione. Essa è dell’anno 32 dell’era cristiana, e segna con raro esempio l’epoca della fondazione di quella città, che fu l’ottantesimo primo dopo la fondazione di Roma: genio . mvnicipI . anno . post. interamnam . conditam . dcciiii . ad . cn . domitivm . ahenobarbvm . et M. Furium Scribonianum Consules. Il nome di Scriboniano vi fu cancellato ab antico. (L’Edit.)
  43. Tutere: nelle medaglie Et Gradivicolam celso de colle Tudertem. Sil. iv. 222. ἐυρκὴς πόλις Strabo, v. p. 127: giusta l’emendamento di Du Theil; versione franc. t. ii. p. 178
  44. Ikuvini nelle medaglie
  45. Nar: così detto per le sue acque sulfuree con vocabolo dei Sabini, tra i quali nasceva. Serv. vii. 517.
  46. Strabo v. p. 172.
  47. Ταῦτα γὰρ ἄμφω τὰ ἔθνη, πρὸ τῆς τῶν Ῥωμαίων ἐπὶ πλὲον αὐξήσεως ἔιχέ τινα πρὸς ἄλληλα περὶ πρωτεῖον ἄμιλλας. Strabo v. p. 149
  48. Trecenta eorum oppida Thusci debellasse reperiuntur. Plin. iii. 14. Un tal numero non va preso alla lettera; vuol dire che furono molte.
  49. Umbria vero pars Tusciæ. Serv. xii. 753: notizia, come pare di Catone. Di più i geografi solevano chiamare etrusche o tirrene le città degli Umbri. Steph. Byz. in Tuder et al. v.
  50. v. 34.
  51. Strabo v. p. 149.
  52. Hoc quoque certamen humanæ voluptatis tenuere .... Umbri, Tusci. Plin. iii. 5.
  53. Avvedutamente Strabone lo nota in Acerra v. p. 170.
  54. Dionys. vii. 3.
  55. Malgrado l’oscurità del monumento non v’ha più dubbio alcuno che desso non sia tutto materia di sacre funzioni. Fra i popoli partecipanti dei sacrifizi si legge chiaramente il nome dei Tarsinati Toschi  : Tarsinate Turscum. Vedi la tav. iv. e la latina ap. il Dempstero. Tarsinate Trifu è un altro popolo omonimo, ma di stirpe diversa.
  56. Così, per tacer d’altri esempi, in un ipogeo chiusino aperto nel 1827, si hanno iscrizioni d’una famiglia (Umbrana?) da Sentino nell’Umbria: cognome replicato anche nei titoli sepolcrali di Tarquinia, colà trocati nel 1830 ... . Una famiglia Umbricia aretina teneva possessi nella Valdichiana: pochi anni sono s’ebbe un sigillo che ne porta la nominazione: l. umbrici ampliati.
  57. Liv. ix. 30.
  58. Cicer. de Div. i. 41
  59. Come Ikuvini: quasi Vicu Iuvin, o Vicus Iovius: altri esempi ne porgono le tavole eugubine.
  60. Liv. x. 25. (Adharnaham): oggi detta Civitella d’Arno. Harna il fiume.
  61. Vedi per confronto le mura di Todi, tav. xiii.
  62. Theopomp. ap. Athen. xii. 6.; Scymn. 366
  63. Aut porcus Umber, aut obesus Etruscus. Catull. 40. 21
  64. Hist. Nat. iii. 14.
  65. Tribus Liv. xxi. 2.  :  :  : (tribus in diversi casi) si ha più volte nelle tavole iii iv. eugubine.
  66. Plaga Liv. ix. 41.