Tragedie (Eschilo-Romagnoli)/Note

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Eschilo - Tragedie (V secolo a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1922)
Note
Tragedie (Eschilo-Romagnoli) Tragedie (Eschilo-Romagnoli)

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NOTE ALLE “SUPPLICI„

Pag. 15, v. 3. - Il vindice torello oltremarino è Epafo, figlio d’Io (vedi introduzione). Egli, allettando l’origine argiva delle Danaidi, deve impetrare per esse il soccorso degli Argivi, e cosí vendicarle della tracotanza dei cugini.

Pag. 16, v. 11. - Assai nota è la favola di Procne. Non intendiamo bene perché Eschilo la dica inseguita dallo sparviere: aveva certo in mente qualche particolare della leggenda e qualche favola che piú non conosciamo.

Pag. 16, v. 18. - Ossia, canto in lingua ellena. Cosí interpreta lo scoliaste: meglio, penso, del Westphal, il quale crede si parli del modo musicale ionio.

Pag. 17, v. 3. - Il paese bruno è l’Egitto: analogamente, nelle iscrizioni egiziane l’Arabia è detta il paese rosso.

Pag. 23, v. 19. - Sembra veramente innegabile che il v. 216 vada subito dopo il 212. Non seguo però l’ordinamento del Hermann, seguito dal Wecklein, col quale non si ottiene una perfetta concinnità di battute, e manca un verso alla sticomitia. Nella disposizione che adotto, e che non implica gran mutamento, ambedue gli inconvenienti riescono eliminati.

Pag. 24, v. 2. - L’aligero di Giove — dice lo scoliaste — è il Sole, che ridesta gli uomini al pari d’un gallo.

Pag. 24, v. 4. - Giove uccise Asclepio, figlio d’Apollo, per punirlo d’aver risuscitato un morto. Apollo per vendetta sterminò i Ciclopi, figli di Giove: e questi mandò Apollo in bando dall’Olimpo, a custodire in Tessaglia gli armenti di Admeto.

Pag. 24, v. 8. - Di Posidone. [p. 312 modifica]

Pag. 25, v. 2. - Intendo: faccia sí che non si cada in servitú dei figli d’Egitto: e rechi questo annunzio a noi che, dunque, saremo libere.

Pag. 26, v. 4. - La tutela degli stranieri si esercitava dagli ospiti. In epoche piú recenti, ogni città designava magistrati incaricati della tutela di tutti gli stranieri. Si chiamarono pròsseni.

Pag. 33, v. 2. - Le Danaidi vogliono dire che cominciare a vedere le attenuanti dei nemici di chi implora, significa volersi interessare poco della sua sorte.

Pag. 33, v. 8. - Poppa della città sarebbe l’altare. Vedi i versi I sg. de: I Sette a Tebe.

Pag. 34, v. 5 sg. - Questo brano fu imitato, parrebbe, da Eupoli nelle Capre. «Vede un lupo? — Alza un belato, e lo dice al pastore (Framm. 1).

Pag. 36, v. 6. - Questo superno custode è il Ζευς ξένιος καὶ ἰκέσιος, protettore degli ospiti e dei supplici.

Pag. 39, v. 13-14. - Espressione immaginosa, per dire che gli eventi sono oramai a tal punto.

Pag. 48, v. 1. - Il pascolo di Giove è l’Egitto.

Pag. 53, v. 3. - Il vigile invitto signore delle vendette è Giove.

Pag. 58, v. 2. - Il testo dice: Βύβλου δὲ καρπὸς οὔ κρατεῖ στάχυν. Intendo che le due piante siano assunte come rispettivi simboli dei due paesi; asserendosi che, come il grano è piú nutriente del papiro, cosí gli Argivi valgono piú degli Egiziani.

Pag. 70, v. 4. - Invece di pascere, noi diremmo allogare.

Pag. 71, v. 6. - Il voto è concepito quasi come una tabella, che si può infiggere alla parete.

Pag. 71, v. 15. - La invenzione dello ζὔτος (o βρῦτον, o μέθυ κρίθινον) si attribuiva agli Egiziani, i quali ad ogni modo pare fossero gran bevitori di questa specie di birra d’orzo.

NOTE AI “PERSIANI„

Pag. 90, v. 5. - Il tragitto d’Elle Atamantide è l’Ellesponto. Assai nota è la favola d’Elle e di Frisso.

Pag. 91, v. 2-3. - Per la somiglianza dei nomi, i Greci facevano discendere i Persiani da Perseo, nato, come tutti sanno, da Danae, fecondata dalla pioggia d’oro. [p. 313 modifica]

Pag. 92, v. 21. - Cissia era chiamata veramente la regione in cui ti trovava Susa (Erodoto V., 49). Qui Eschilo identifica la regione, con la città.

Pag. 99, v. 2. - Si allude, qui, come, poco dopo, piú esplicitamente, (pag. 100, v. 1), alla battaglia di Maratona.

Pag. 99, v. 4. - Le miniere argentifere del Torico, e, piú famose, del Laurio.

Pag. 103, v. 13. - Silenie erano dette le spiagge di Salamina. Vedi oltre, pag. 109, v. 15 sg.

Pag. 111, v. 16. - Questo luogo si può interpretare variamente. Forse è da intendere che molti morissero per bere senza riguardo essendo in gran traspirazione.

Pag. 115, v. 11. sg. - È strana quella lode, conferita anche altrove (pag. 121, v. 16) a Dario, che pure aveva condotta la Persia a Maratona.

Pag. 116, v. 3. - Cicrèe erano anche dette le spiagge di Salamina, da Cicrèo, figlio di Posidone e di Salamina, ninfa eponima dell’isola.

Pag. 121, v. 13. - Aidoneús è, in sostanza, sinonimo poetico di Ades, Plutone.

Pag. 131, v. 6. - L’immagine, per noi un po’ strana, fu cara ai Greci. Pindaro già aveva detto che il figlio di Sostrato aveva il divino piede in un calzare di buone venture.

Pag. 138, v. 10. - Il testo ha ἐκπεύθου, che significa interroga. Mi è chiaro che il senso esige qui un: rispondi. E a senso traduco.

NOTE AI “SETTE A TEBE„

Pag. 161, v. 12 sg. - Nelle guerre, i combattenti solevano mandare ai famigliari, per memoria, o tenie, o fibbie, o riccioli. Qui consegnano tutto ad Adrasto perché il profeta Anfiarao aveva predetto che solo Adrasto sarebbe ritornato salvo dall’impreta.

Pag. 163, v. 12. - Anche Sofocle ed Euripide designano l’esercito argivo con l’epiteto λεύκασπις, dallo scudo bianco. Sarà una derivazione epica: ma ad ogni modo ci deve estere un fondamento reale.

Pag. 164, v. 12. - Marte era, da tempo antichissimo, protettore della città di Tebe. [p. 314 modifica]Pag. 166, v. 7. - Mi allontano dalla lezione dei codici: ἐπώνυμον Κάδμου πόλιν, per ragioni metriche; e traduco un po’ a senso, tenendo conto dello scolio al verso 102.: τιμᾶται γὰρ παρὰ Θηβαίοις ὁ Ἄρης καὶ Ἄρειον τεῖχος καί Ἀρητιὰς κρήνη παρὰ αὐτοῖς.

Pag. 166, v. 9. - Cipride era in certo modo progenitrice dei Tebani, perché madre di Armonia, che fu sposa di Cadmo, mitico fondatore di Tebe.

Pag. 166, v. 13 sg. - Il re Licio è Apollo. Nel testo è un intraducibile giuoco di parole fondato sopra una arbitraria etimologia dell’epiteto Λύκειος, fatto derivare da λύκος = lupo, anziché da Λυκία = Licia.

Pag. 167, v. 5. - Onca era epiteto di Atena presso i Tebani. Derivava dal Fenicio; e questa coincidenza è addotta da Pausania (IX, 12) come prova dell’origine fenicia di Cadmo, contro quelli che lo volevano egiziano.

Pag. 174, v. 14. - Dirce era la fonte sacra, che riparò il pargoletto Dioniso quando Giove lo salvò dal grembo di Semele incenerita. L’Ismeno è il piccolo ma celebre fiume della Beozia.

Pag. 177, v. 7. - I figliuoli di Tetide (e di Oceano), sono i fiumi.

Pag. 180, v. 10. - Il vate è Anfiarao.

Pag. 182, v. 12. - Cadmo, ucciso il serpente che custodiva la fonte di Tebe, ne seminò i denti. Da questi nacquero altrettanti guerrieri, che si sterminarono in zuffa reciproca, meno cinque, che furono i progenitori dei Tebani.

Pag. 189, v. 17-18. - Scomponendo il nome di Polinice nelle due voci che lo formano, πολύς = molto, e νεῖκος = lite, discordia, zuffa.

Pag. 197, v. 9. - I Calibi erano una tribú scitica famosa per la lavorazione del ferro. La spada — dice qui il poeta — distribuirà fra loro i ferri aviti: cioè, darà ad ognuno, dopo averlo ucciso, tanto di terra quanto basti a seppellirlo.

Pag. 199, v. 12, sg. - Con questa allegoria si riafferma l’antico pregiudizio che l’invidia dei Numi si aggrava sui mortali troppo felici; e che questi possono evitarla sottoponendosi a qualche sacrificio.

Pag. 203, v. 4. - Vedi la nota a pag. 197, v. 9.

Pag. 204, v. 8 sg. - Del nome di Polinice abbiamo già detto (pag. 189, v. 17). In Ἐτεοκλής si sentivano le due voci ἐτεόν = [p. 315 modifica]veramente, e κλέος = gloria. «Eteocle, dice il poeta, o, (se accettiamo il complemento del Prien al verso 815 ἐτεὸν κλεινοὶ πολυνεικεῖς) entrambi i fratelli, davvero si coprirono di gloria.

Pag. 209, v. 21. - Vedi la nota a pag. 197, v. 9.

NOTE AL “ PROMETEO LEGATO „

Pag. 253, v. 6. - Eschilo aveva dunque chiara idea della sostanziale identità di Gea, la terra, con Demetra con Rea, con analoghe divinità greche o barbare.

Pag. 266, v. 8. - Le vergini abitatrici della Colchide sono le Amazzoni.

Pag. 266, v. 14. - Questi Arabi sul Caucaso sono un po’ strani. Può essere che qui ci sia una corruzione.

Pag. 275, v. 3. Esione era una delle tante figlie d'Oceano. Secondo Acusilao, andò sposa a Prometeo, e da loro nacque Deucalione (il Noè della mitologia greca), che secondo una piú comune versione sarebbe stato invece figlio di Prometeo e di Climene.

Pag. 284, v. 20. - Non si può identificare con precisione questo fiume Ibriste. Il suo nome fa pensare al vocabolo ὕβρις, violenza, tracotanza. Era certo violento e fragoroso.

Pag. 285, v. 11. Per i Greci, il nome Bosforo (Βόσπορος) suonava come βοὸς πόρος, via della giovenca.

Pag. 288, v. 6. - Questo discendente di Io è Ercole. Ecco, come la offre o scoliaste, la genealogia. «Da lo nasce Epafo, da questa, Libia, da questa Belo, da questo Danao, da questo Ipermestra (quella che non uccise il cugino Linceo), da questa Abas, da questo Preto, da questo Acrisio, da questo Danae, da questa Perseo, da questo Elettrione, da questo Alcmena. da questa Ercole. Tredici generazioni intercedono dunque fra Promèteo e l'eroe tebano Ercole, che pure si perdeva fra le tenebre del mito.

Pag. 290, v. 29. - Anche questo fiume Plutone non si può identificare, e probabilmente è fantastico.

Pag. 291, v. 6. - Ιl tricuspide suolo niliaco è il delta.

Pag. 292, v. 7. - Il gran seno di Rea è l'Adriatico. [p. 316 modifica]Pag. 293, v. 10. - Questa fanciulla è Ipermestra: vedi nota a pagina 288.

Pag. 299, v. 2. - Adrastéa sarebbe Nemesi. Secondo una etimologia che mi convince poco, sarebbe la Dea alla quale non si sfugge (ἀ, διδρἀσκω).




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NOTE ALL’“ AGAMENNONE „

Pag. 24, v. 18 sg. — Assai chiara è questa metafora popolaresca. Al giuoco dei dadi, tre sei erano il punto massimo, tre uno, il minimo. Qui, col solito processo, la vigilanza è personificata, fa ciò che fa qualsiasi uomo, e dunque, giuoca anche ai dadi. Vedi la mia prefazione alle Odi e i frammenti di Pindaro, pag. XIV sg.

Pag. 24, v. 23. — Il testo dice appunto: un gran bove. Si potrebbe intendere che il vocabolo avesse un significato metaforico. Ma non risulta e ho preferito lasciare tale e quale l’immagine che, sebbene strana e corpulenta, non è priva di efficacia.

Pag. 58, v. 1 sg. — Il nome di Elena, interpretato e con etimologia un po’ fantastica, può significare: distruttrice di navi.

Pag. 75, v. 4 sg. — Asclepio, maestro sommo nelle arti mediche, sedotto dal lucro, risuscitò un cadavere. Ma Giove, non tollerando che fossero cosí violate le leggi del Fato, lo uccise col folgore.

Pag. 85, v. 25. — Lo scempio primiero è la uccisione dei figli di Tieste, vedi pag. 111, v. 7 sg.

NOTE ALLE “COEFORE„

Pag. 127, v. 1. — Ermete, fra i tanti uffici, aveva anche quello di accompagnare all’Averno le anime dei defunti. Era perciò, in qualche modo, loro protettore. [p. 272 modifica]

Pag. 127, v. 7. — I giovinetti, giunti alla soglia dell’età virile, si recidevano un ricciolo, e l’offrivano alle divinità locali: per lo piú alle fluviatili.

Pag. 131, v. 6 sg. — Della mia interpretazione, come di quella di altri luoghi molto oscuri e discussi, renderò conto in uno scritto speciale. Qui mi sembra che Eschilo, con atteggiamenti immaginosi un po’ liberi, non strani nella sua arte, esprima il noto concetto che la Giustizia prima o poi colpisce, sebbene non a tempo prevedibile.

Pag. 131, v. 19 sg. — Queste parole ricordano il famoso luogo del Macbeth, atto II: Will all great Neptune’s ocean wash this blood — Clean from my hand? —

Pag. 145, v. 12 sg. — Il testo è qui molto disordinato. Né tutto il disordine sarà da imputare a corruzione del testo. Il delirio che poi proromperà, agita la sua mente anche prima del delitto.

Pag. 148, v. 2. — Credo che il pensiero sia questo. Cantici lieti e funerei gridi sono opposti fra loro come la tenebra e la luce. Eppure gli Atridi ebbero gridi funerei in circostanze che avrebbero richiesto clamori gioiosi.

Pag. 150, v. 1. — Quei possenti sono Ade e Persefone. Agamènnone, re potentissimo su la terra, sarebbe stato loro ministro. Il luogo si presta a varie riflessioni, che però riguardano strettamente la storia della religione.

Pag. 153, v. 13. — Ario, dice lo scoliaste, è sinonimo di persiano: i Cissî erano una tribú della Susiana. L’uso della lamentazione funebre, con alti gemiti, lacerazione di vesti, e picchiar di petti e di fronti, era, o almeno era creduto, d’origine asiatica. Non m’associo all’intendimento comune che qui si abbia una rievocazione del seppellimento d’Agamènnone: allora non ebbero luogo onori funebri (ved. Pag. 154, v. 4). Qui il coro illustra con le parole azioni che compie simultaneamente.

Pag. 165, v. 8. — La rea Testiade è Altèa, figlia di Testio, re di Etolia, e sposa di Eneo, re di Calidone. Quando le nacque il figlio Meleagro, le Parche predissero che sarebbe vissuto finché durava uno stizzo ardente sul focolare. Altea lo spense tosto, e lo nascose. Ma quando Meleagro, divenuto uomo, uccise in rissa i fratelli della madre, questa gettò di nuovo lo stizzo sul fuoco, e così diede morte al proprio figlio. [p. 273 modifica]Ρag. 165, v. 15. — Niso, re di Megara, aveva nella chioma un capello d’oro, al quale era legata la sua vita. Minosse, assediatolo in Nisea, corruppe con un dono la sua figliuola Scilla, e la indusse a recidere il capello fatale.

Pag. 166, v. I. — Le donne di Lemno, per gelosia di alcune schiave tessale, ammazzarono sino all’ultimo i loro mariti: tanto che solo donne trovarono gli Argonauti quando approdarono a quell’isola. Lo scempio rimase proverbiale fra i Greci.

Pag. 191, v. 9. — Anche questa invocazione ai presenti ricorda le parole finali d’Amleto: You that look pale and tremble at this chance — That are but mutes or audiences to this act — Had I but time.... Ο, I could tell you — But let it be.

Pag. 192. — Tutto il brano dal verso 9 al 24 sembrerebbe interpolato.

NOTE ALLE “ EUMÈNIDI „

Pag. 205, v. 1 sg. — Le caverne e i misteriosi abissi della terra, con le loro ardenti esalazioni, furono le prime sedi degli oracoli. Tale origine ebbe anche il famoso oracolo di Delfi, sacro, nei tempi piú recenti, ad Apollo. Ma viveva il ricordo della sua prima essenza, ed è rispecchiato in questo luogo eschileo, che ne attribuisce il primo possesso a Gea, la Terra.

Pag. 205, v. 6. — Febe era anch’essa figlia di Gea (e d’Urano); è detta perciò prole di Titani.

Pag. 205, v. 8. — Febe generò Latona, e fu dunque nonna d’Apollo. E Apollo ebbe da lei l’epiteto di Febo. — In questo viaggio d’Apollo, è il ricordo, trasformato miticamente, di una celebre strada aperta dagli Ateniesi da Atene a Delfi. Figli d’Efesto son detti gli Ateniesi perché Efesto era presunto padre del mitico re loro Erittonio.

Pag. 206, v. 5. — Nume ambiguo (ed anche obliquo, Λόξίας) era anche detto Apollo per l’ambiguità dei suoi responsi.

Pag. 206, v. 7. — In Delfi, non lungi dal santuario d’Apollo, c’era un tempio di Pallade. La bellissima grotta Concia, profonda e ricca di sorgenti, distante da Delfi circa sessanta stadi, era sacra alle Ninfe ed a Pan. [p. 274 modifica]

Pag. 206, v. 11. — Anche Bacco (Bromio) aveva gran culto in Tebe. Dopo che ebbe ucciso Penteo sul Citerone (si ricordino Le Baccanti di Euripide), andò in folle corsa, con le Mènadi, sino sul Parnasso. E i Delfi credevano di vedere spesso sul monte, a notte, i fuochi delle sue orge.

Pag. 206, v. 15. — Il Pleisto era un fiumicello a sud di Delfi.

Pag. 207, v. 11. — Le Arpie, che qui sono in qualche modo identificate con le Gorgoni, erano infatti rappresentate con le ali. Cosí le vediamo ancora nelle figurazioni ceramiche.

Pag. 207, v. ultimo. — E quindi piú facilmente saprà purificare la propria.

Pag. 212, v. 9. — Questo verso non mi sembra degno della sua fama d’oscurità. Le Furie hanno sognato che Oreste era fuggito. Ora, svegliandosi, ancora nel dormiveglia, si chiedono se il sonno disse il vero o il falso e il dubbio è risoluto súbito, nel verso che segue.

Pag. 212, v. 16. — Uno degli epiteti d’Atena era Τριτογένεια, di etimologia non sicura.

Eschilo inventa o segue una versione che connetteva il nome con la palude Tritonia della Libia.

Pag. 224, v. 21. — Nella pugna che i Numi sostennero contro i giganti nella pianura di Fiegra, Atena potè dimostrare tutto il suo valore.

Pag. 228, v. 12. — Altri, cioè gli Dei, che non si debbono piú occupare di tali delitti, perché se ne occupano le Furie. Questo luogo è molto oscuro ma l’oscurità non disdice ad un canto dell’Erinni.

Pag. 231, v. 2. — Si indica il promontorio Sigeo dove Atena aveva un tempio. Secondo la leggenda antica, qui seguita da Eschilo, quel territorio era stato assegnato agli Ateniesi dai duci Argivi, sin dai tempi della presa di Troia.

Pag. 231, v. 7-8. — Pare certo che qui si sia librata agli occhi di Eschilo una delle figure volanti dilette alla scultura.

Pag. 234, v. 9. — Issione aveva ucciso lo suocero Dioneo, e dopo lunghi errori fu purificato da Giove.

Pag. 249, v. 2. — Secondo una leggenda attica, le Amazzoni, per vendicare la loro regina (Antiope od Ippolita), fatta schiava da Teseo, unitesi con gli Sciti, invasero l’Attica. Ma da Teseo furono vinte e distrutte. Nelle mètope del Partenone era figurata questa battaglia. [p. 275 modifica]

Pag. 250, v. 9-10. — Allusione al mito di Alcesti. Com’è noto, Apollo ottenne che Admeto, sacro alla morte, fosse riscattato dalla sposa Alcesti, salvata a sua volta da Ercole.

Pag. 265, v. 13. — Cranao era un mitico re d’Atene. Il suo nome, che vuol dire roccioso, è connesso appunto con la natura aspra e rupestre del suolo attico.