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Una porta d'Italia col Tedesco per portiere/Appendice

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Italiani e tedeschi nell’Alto Adige ../Profili tedeschi IncludiIntestazione 5 maggio 2018 100% Da definire

Profili tedeschi
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APPENDICE

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ITALIANI E TEDESCHI

NELL’ALTO ADIGE

(Relazione presentata all'Assemblea del Comitato milanese della Dante Alighieri il 30 novembre 1921, con le prime linee d'un programma d’azione da svolgersi nella nuova Provincia Settentrionale.)


In questi ultimi tempi il nostro Governo ha finalmente consacrato l’inoppugnabile volontà del Paese che dal confine del Brennero non deva mai più passar lo straniero, come nel 1918 lo straniero non potè passare attraverso il Piave.

È dunque inevitabile che i Tedeschi dell’Alto Adige si adattino all’idea di coabitare con noi come è opportuno che, allontanandoci sempre più dal periodo della guerra e accingendoci a svolgere i programmi della pace, ci soffermiamo a considerare quale sia la miglior via da percorrere affinchè nelle relazioni coi nuovi cittadini allogeni si tolgano tutte le ragioni d’equivoco, che potrebbero domani essere pretesto di malanimo e frustrare così i benefici della stessa vittoria.

Già nel periodo immediatamente successivo all’armistizio, per forza di cose tumultuario, da parte di ufficiali più intelligenti o più arditi provennero ai [p. 116 modifica] diversi Ministeri in Roma ampie e svariate informazioni intorno alla politica seguita o da seguire con gli allogeni della Venezia Giulia e Tridentina; ma per le note incertezze diplomatiche i decreti d’annessione tardarono eccessivamente a essere promulgati e quei grossi fascicoli di carta manoscritta o dattilografata, per lo più neppur letti, ebbero pietoso ricovero negli archivi, dove oramai, successi Ministri a Ministri, non tornerebbe facile scovarli e riportarli alla luce.

D’altro lato non sembra che anche per questa materia siano augurabili le iniziative del Governo, dove come nel mondo vito dal Poeta, mutabile e leggero, costanza è spesso il variar pensiero. Se ne sono avute cento prove nelle proposte e nelle provvidenze dei Governatori di Trieste e di Trento, i quali, imbroccatane una per un caso qualunque, si videro prontamente smentiti da Palazzo Braschi, richiamati all’ordine e persino messi in disparte affinchè fosse data ragione a chi chiedeva, contro giustizia, il contrario.

E riserbandoci di riprendere in altra occasione il tema per quanto concerne la Venezia Giulia, oggi limitiamo l’esame al problema della Venezia Tridentina e più specialmente dell’Alto Adige, anche perchè vicende meno grate di politica interna hanno reso impossibile al confine d’Oriente quelle visite dei Reali, che possono in effetto considerarsi come una decisiva presa di possesso di fronte agli Slavi. [p. 117 modifica]

Or fa un anno era edito un volume col titolo La Passione del Tirolo innanzi all'annessione, con un esordio singolare per ingenuità del Governatore civile e una prefazione stupefacente per impudenza del dottor Carlo Grabmayr; una collana di scritti glorificanti il Tirolo e i Tirolesi come avviamento all’invocata autonomia dell’Alto Adige secondo il progetto presentato dal Deutscher Verband (Lega tedesca) al Governo italiano. Fu un coro d’indignate proteste in tutta Italia, perchè veramente i Pangermanisti, inspirati dal compilatore e animati dal Deutscher Verband, in quella raccolta sfogavano i molti rancori contro l’Italia, mostrando, tutta la loro astuzia falsatrice della storia e tutta l’incrollabilità dei vecchi pregiudizi.

Siamo anche noi del parere che alcune affermazioni di quei dottissimi e tedeschissimi uomini siano insopportabili per forma e per sostanza; conveniamo che l’intonazione di benevolenza, a cui s’impronta l’introduzione di Sua Eccellenza il Governatore, era non solo eccessiva, ma illogica e deplorevole soprattutto per il momento della pubblicazione, alla vigilia cioè delle misure che a Roma si dovevano prendere rispetto alla vagheggiata autonomia; ma non possiamo negare che, insieme con tanti frivoli e divertenti libri del dopoguerra, gl’italiani del dopoguerra avrebbero fatto bene leggendo anche questo volume di verità e sincerità, per vedere in faccia il nemico interno e, in parando a conoscerne il pensiero, mettersi più [p. 118 modifica] presto in condizione di mozzargli la lingua e le unghie.

Se gl'italiani avessero più attentamente studiato l’anima degli avversari d’altra razza fin dalle prime ore, non avrebbero legittimato nel proprio Governo certi errori, che lasciarono un così lungo strascico di turbamenti e di malessere.

Il Wopner per esempio in questo volume inventa che noi per natura non abbiamo la minima comprensione dell’anima tirolese, come se fossimo degl’ignoranti e testardi, con la mente chiusa alle espressioni più delicate della civiltà altrui per un esagerato infatuamento della nostra. Se mai, sarebbe il contrario, giacchè gl’italiani propendono a disprezzare le cose loro, simpatizzando per i costumi degli altri, a cominciare dalla lingua.

Ma le persone veramente colte, che non sono poi in scarsissimo numero, in Italia non possono con serietà essere tacciate della colpa attribuitaci dal Wopner; noi sappiamo perfettamente che i così detti Tirolesi del Sud, gli Alto Atesini tedeschi, sono un tipo meno puro della stirpe germanica, quale appunto dev’essere in una zona di confine: meno puro foneticamente ed etnicamente, come provano i dialetti locali, non sempre aggraziati, e la bruttezza fisica prevalente sia nei maschi adulti, sia nei bambini d’entrambi i sessi e sia finalmente, ce lo perdonino, nelle donne. Il sangue bavarese vi è misto con l’elvetico: ma quante altre filtrazioni vi si riscontrano d’origine slava e italiana! [p. 119 modifica] Buone alcune, men buone parecchie altre; e tra le men cattive si possono appunto annoverare le influenze della nostra arte, quantunque siano state e siano parziali e frammentarie. Se non fossero tanto rigidi nelle loro dottrine preconcette, i Tirolesi del Sud ammetterebbero che specialmente nell’architettura gli elementi latini non sono rarissimi in tutta la plaga, dove in ogni secolo parecchi de’ migliori capimastri e operai, sottoposti alle più dure e redditizie fatiche, si trassero precisamente dagl’italiani del Trentino, della Lombardia e del Veneto.

Con che non disprezziamo per nulla quanto di meglio ha importato in quelle terre la pertinacia dello spirito teutonico: il razionale disboscamento, la bonifica delle paludi in ogni fondo di valle, l’arginatura e deviazione di torrenti e di fiumi, i vigneti bassi a pergola e in linea obliqua per secondare l’opera della luce e del calore solare, la pulizia e l’ordine nei più piccoli particolari della casa, del vestito e della vita quotidiana, il rispetto alle autorità costituite, la distribuzione della proprietà e i rapporti tra capitale e lavoro per artigiani e contadini, la religiosità che si manifesta generalmente in forma austera e dignitosa, lo scrupolo nell’osservanza dei propri doveri, la coesione della famiglia, la fraternità tra le classi sociali e va dicendo.

In questo noi meridionali, passati attraverso tante peripezie di dominazioni barbariche, in questo [p. 120 modifica] ci confessiamo superati dagli Alto Atesini, che godettero lunghi periodi di quiete civile e d’agiatezza economica.

Nè la confessione sarebbe sincera, se non facessimo anche il proposito d’accostarci con una razionale imitazione al grado di gentilezza interiore ed esteriore, a cui sono salite le popolazioni urbane e rurali dell’Alto Adige. Ma per ottenere tale intento non basta recarci nell’Alto Adige da esploratori frettolosi e impazienti, che ammirano la bellezza del paese, per poi ritornare a casa non migliorati e dimentichi. Bisogna invece trascorrere lunghi mesi dell’anno, e non già la breve stagione de’ calori tropicali, in mezzo a quella gente onesta e semplice, che, quando non è avvelenata dal tossico delle prevenzioni pangermanistiche, può anche riuscire meno antipatica di certi villanzoni del nostro contado, dove per il forestiero è sempre pronta la sassaiola proditoria, forse in segno di rappresaglia sistematica per le galline sgozzate da qualche esoso villeggiante, o per il grappolo d’uva furtivamente rubato ancor prima d’essere maturo.

Spetta pertanto alle agenzie e associazioni turistiche il compito di rendere più frequenti le visite di gitanti e alpinisti nell’Alto Adige, per innamorare di quei mirabili panorami anche chi era solito, in omaggio alla voga, esulare più lontano. Touring Club e Club Alpino hanno già fatto moltissimo e più faranno in avvenire, se le federazioni d’albergatori, le leghe per lo sviluppo [p. 121 modifica] dell’industria del forestiero e i sindacati del basso personale si metteranno d’accordo su l’opera da svolgere; ma noi vorremmo che anche le popolazioni di lassù fossero attratte ai nostri centri più ricchi di memorie storiche e di monumenti artistici, di cui esse non hanno la minima idea e che talvolta ignorano del tutto.

Il servizio militare gioverà senza dubbio: ma non illudiamoci: i calcoli fatti assicurano che, nelle proporzioni del resto d’Italia e computate le principali cause d’esenzione, poco più d’un migliaio d’Alto Atesini entreranno ogni anno nelle file dell’esercito: una cifra quasi trascurabile, che viene un’altra volta a dimostrare l’assurdità della campagna sentimentale condotta contro i nostri metodi di reclutamento dalla stampa pangermanistica e dai deputati tedeschi della provincia. È persino strano che nel dibattito parlamentare nessuno l’abbia messo in rilievo.

L’esercito potrà invece apportare un buon contributo alla fusione degli spiriti, se le autorità superiori da Roma disciplineranno la scelta dei comandanti e in genere degli ufficiali, inviando nell’Alto Adige i corpi più eleganti e più ricchi, meglio se con qualche reparto di cavalleria e d’armi dotte. Gli Alto Atesini conservano per il nostro esercito e per chi ne veste l’assisa un resto della reverenza, ch’essi ebbero sempre per i soldati dell’Impero austriaco. Essere soldato, essere ufficiale è per quella gente d’animo ancora feudale una [p. 122 modifica] prerogativa, che automaticamente dà diritto alla precedenza sul borghese; ma è d’uopo che ivi i nostri soldati e i nostri ufficiali non siano, per dirla non un termine militare, «scalcinati»; è d’uopo che siano in ogni occasione osservanti delle buone regole della gerarchia e che non vadano in giro con l’uniforme in disordine, la barba non rasa di fresco e l’aria di pitocchi, che troppe volte hanno fatto esprimere sul nostro eroico fante e su chi lo comanda giudizi tanto sfavorevoli. Anche le apparenze in territorio meno avvezzo ai nostri costumi democratici hanno un gran valore; e se fosse possibile, per aggiungere lustro a noi e dare una soddisfazione a loro, collocare in Bolzano o Merano una piccola corte (a Merano certamente meglio che a Bolzano) con uno dei Principi di sangue reale già onorevolmente segnalatisi nella guerra, sarebbe, secondo qualcuno, un ottimo provvedimento. Le recenti visite dei Sovrani, a cui seguirono dopo poche settimane quelle della Regina Madre e d’altre Principesse, hanno dimostrato quanto giovino questi contatti della casa di Savoia, per vero molto apprezzata lassù, coi nuovi cittadini d’Italia, ingenuamente ma simpaticamente innamorati di tutto ciò che abbia aspetto di coreografia, di solennità e di maestà.

Questa è, ripetiamo, mansione esclusiva del Governo, il quale anche coi suoi funzionari civili deve combattere contro le prevenzioni degl’indigeni, non per snaturarne i costumi, ma per vincerne [p. 123 modifica] le diffidenze, qualche volta giustificate dalla realtà. Tali funzionari, a cui dovrebbe assicurarsi una congrua indennità di residenza come alle truppe, cercati e presi con accorgimento tra i più provetti impiegati trentini, conoscitori della lingua tedesca e d’indiscutibile probità, sarebbero più indicati dei meridionali, sia per una più probabile adattabilità al clima della regione, sia per una maggiore esperienza della mentalità degli Alto Atesini, sia finalmente per un più vivo interessamento ad avvicinare le due sponde con quei ponti, che solo certe comunanze spirituali possono costruire tra genti d’altra razza, già trovatesi lungamente sotto il medesimo regime.

I matrimoni, gl’incroci di proprietà private e altre relazioni sociali e demografiche stabilirebbero così, più presto e quasi naturalmente, una prima e salutare cementazione di parentele e d’affinità, senza violare la lingua e i sentimenti delle maggioranze etniche. L’errore del nemico, che offese la nostra lingua e i nostri sentimenti, non sia mai errore nostro, altrimenti diverremmo indegni del beneficio, conseguito affrontando la guerra e le sue catastrofi con tanto coraggio e con tanta fortuna.

Circa la lingua poi sia detto per sempre che dove si parla tedesco noi non dobbiamo volere imporre l’esclusivo uso dell’italiano; ci basti che l’italiano non solo nei cartelli statali, provinciali [p. 124 modifica] e comunali in vista del pubblico1, ma nei tribunali e negli altri uffici abbia posto accanto al tedesco e prima del tedesco, essendo inammissibile che una delle regioni annesse ultimamente al Regno abbia a godere il privilegio di rimanere staccata da esso, come uno Stato nello Stato: come la Repubblica di San Marino o come il Vaticano. Del resto quanto avvenne per la Savoia avverrà anche per l’Alto Adige, che, nonostante il desiderio dei suoi agitatori irriducibili, per le scritte e le parlate bilingui aderirà alla Nazione, rendendosene la sentinella custode della libertà su le Alpi, come fin’oggi vi è stato gendarme della tirannia. Una ribellione palese come quella, che nell’antico Reame di Napoli organizzarono dopo il 1860 i Borboni spodestati col concorso del Clero e sotto il nome di brigantaggio, non è da temere anche se la vagheggiano alcuni pochi scalmanati Pangermanisti; e non è quindi possibile una repressione sanguinosa, che tanto ripugnerebbe al nostro carattere. Ma è possibile che si accentui la campagna di denigrazione del nemico ai nostri danni e allora converrà apporre alle sue affermazioni il buon contegno dei funzionari, la loro devozione alla madre patria, la loro serietà e intelligenza anche come argomento delle nostre difese in faccia al mondo. [p. 125 modifica]

Consiglieremmo poi che le banche e ogni altra Istituzione economica procedessero con le medesime cautele e coi medesimi criteri nella selezione dei propri rappresentanti in quelle terre. Solo così Italiani, conoscitori della lingua tedesca e non individui scapestrati e disperati, ma di base solida nelle finanze e di qualche cultura, sarebbero accetti nelle famiglie tedesche, dove troverebbero l’occasione per stringere legami più intimi e più saldi. L’importante è d’evitare che l’emigrazione degli Italiani nell’Alto Adige sia quasi unicamente costituita da individui poco scrupolosi e forse poco corretti, da teste scalmanate e da scroccatori, i più pronti di solito a ogni genere d’eccessi, cattivi esponenti e interpreti degli interessi nazionali e spesso deleteri in un paese di tradizionale rettitudine, di buona fede commerciale e di costante operosità.

Nè saranno mai abbastanza deplorate e scongiurate le inframmettenze di certi organizzatori, mandati lassù con la parola d’ordine di guadagnare ai sindacati del Regno artigiani, commessi di studio, contadini e i così detti lavoratori della mensa. Come è noto, l’Alto Adige prima della guerra aveva sviluppato mirabilmente l’industria del forestiero e la clientela, quasi tutta germanica e austriaca, che popolava quegli alberghi maestosi e «colossali», apportava un’immensa ricchezza alla Provincia, dove la stagione durava di regola almeno i tre mesi dell’estate e in parecchi centri si protraeva anche a tutto l’autunno per [p. 126 modifica] rinnovarsi poi sotto altri aspetti nell’inverno e nella primavera. La nostra clientela, sostituitasi alla germanica e austriaca, ha ridotto la stagione a una quarantina di giorni, perchè gl’italiani ai primi freddi e alle prime piogge si spaventano, riparando al Sud in atmosfere più tiepide, delle quali hanno grande abbondanza nelle Prealpi e in Riviera: inoltre il giugno è spesso destinato da essi alle cure idroterapiche, il luglio e l’agosto sono riservati alle bagnature marine.

Tutto ciò ha già ristretto di molto le facoltà di guadagno per gli albergatori e i loro dipendenti nell’Alto Adige: albergatori e dipendenti, che sanno di dover appagare le legittime esigenze della loro breve, ma sceltissima, aristocratica e non molto spendereccia clientela (gl’Italiani consumano assai meno in cibi e vini che non i pantagruelici Bavaresi, Sassoni e Prussiani), offrendole anche il conforto d’un servizio inappuntabile. Pretendere, come pretendono i nostri organizzatori, che quei camerieri d’albergo si lascino crescere i baffi e depongano la marsina come in tanti altri alberghi d’Italia si è fatto in omaggio a fisime demagogiche, è voler di proposito rovinare un’industria fiorente e innocente, della quale chi la esercita non si è mai vergognato per secoli, giacchè in essa non c’era nulla di vergognoso. Abbiamo citato un esempio; ma se ne potrebbero addurre parecchi altri. Nulla è più impolitico che costringere a danneggiarsi chi ha il buon senso di non volersi danneggiare. Il [p. 127 modifica] bolscevismo forsennato, che da noi ha trionfato suppergiù in tutte le organizzazioni del lavoro, non somiglia in nulla al socialismo internazionale dell’Alto Adige; non forte per numero d’aderenti, esso vi è notevole per un sincero spirito di solidarietà, che, appunto come reazione contro l’opinione della borghesia antiitaliana e quindi bellicosa, lo rende in gran parte pacifista e quasi neutrale, se non proprio italofilo. Incoraggiare il nostro dottrinarismo comunistoide negli sforzi per penetrare nell’Alto Adige è screditarvi l’Italia, operando contro il suo tornaconto.

Piuttosto raccomandiamo agli albergatori tedeschi e al loro personale dipendente d’essere un po’ meno altezzosi con la nostra clientela, rassegnandosi a parlarle sempre con un po’ più di buona grazia quel tanto di lingua italiana, ch’è sufficiente a uno scambio limitato d’idee ne’ servizi dell’ambiente. Non si può esigere che tutti quanti gl’italiani siano già in ugual misura possessori della lingua tedesca (sarebbe una bella cosa, secondo noi, che la possedessero, se non altro per tenerla in riserva) e l’impuntarsi a non parlare ad essi in lingua italiana li disgusta, li smonta e li spinge a prendere una diversa direzione, proprio quando sarebbero disposti a venire col portafogli pieno per partire poi col portafogli vuoto. Tanto più che finora Inglesi, Francesi e Americani non sembrano avere portato le grandi correnti del loro turismo nell’Alto Adige e per attirarveli occorrerà [p. 128 modifica] che prima, con pazienza e con reciproche intese, Italiani e Tedeschi si sforzino di divulgare all’estero meglio di quanto non si sia fatto finora le magnificenze di clima, di paesaggi e di comodità, onde giustamente l’Alto Adige va superbo.

Uno de’ rimedi per curare la malattia artificiale del Pangermanesimo nell’Alto Adige può essere, nelle forme più nobili e degne, il «nazionalismo» degli stessi cittadini italiani domiciliati lassù. Il «nazionalismo», anche col nome di «fascismo», ebbe ed avrà nell’Alto Adige molte benemerenze, purché eviti di darsi in mano degli avventizi, che passano per un luogo qualunque come meteore, forse in caccia di casuali buoni incontri e che, una volta delusi, spariscono dal posto di combattimento sfiduciati, alquanto alla leggiera. Qui mettiamo il dito sopra una piaga, ma è la verità: e del resto è una piaga, che merita d’essere cauterizzata prima che diventi cancrenosa. Da Bolzano, appunto, capoluogo dell’Alto Adige, transitarono centinaia d’italiani in questi tre anni: piccoli imprenditori, rappresentanti di commercio, improvvisati industriali e affaristi, negozianti e trafficanti d’ogni risma e regione: ahimè! la fortuna fu loro generalmente avversa ad essi se la batterono ben presto, lasciando dietro di se una serqua di debiti insoluti e di pendenze giudiziarie.

I tribunali di Bolzano non hanno mai avuto tante cause da sbrigare; cause d’italiani contro Tedeschi e di Tedeschi contro Italiani, ma anche [p. 129 modifica] e più spesso tra Italiani e Italiani. È una pietà. Non tutta la colpa, anche qui, è del Governo, al quale nondimeno si rimprovera, con la mancata prescrizione delle due lingue presso avvocati e giudici, la nessuna assistenza legale della nostra gente, non di rado più disgraziata che malvagia.

Il fascismo, per tornare ad esso, nell’Alto Adige non dovrebbe nemmeno, a parer nostro, essere affidato soltanto ai giovani Trentini, siano o non siano stati combattenti, perchè i giovani Trentini ricambiano cordialmente agli Alto Atesini e Tirolesi l’antipatia di cui gli Alto Atesini e Tirolesi hanno dato per essi mille prove, e quali prove! in passato. Nei dirigenti ci vorrebbe, qui, un tatto anche maggiore che in ogni altra cosa: e lo stesso dicasi per tutti i buoni patriotti, anche non legati ad alcuna associazione.

Obbligare i Tedeschi per le vie di Bolzano, di Merano o di Bressanone a levarsi il cappello quando passa una bandiera tricolore, che non è la bandiera tricolore d’un reggimento, o urlare viva l’Italia sotto il loro naso, quando assistono tranquilli a un nostro corteo, è provocazione imprudente come quella di chiedere alla cantiniera tirolese di un caffè o di un ristorante se essa è contenta di essere diventata italiana o ai bimbi d’un rude montanaro se piace loro il Regno d’Italia. Errori imperdonabili e non solo di turisti di passaggio, entusiasti delle belle abetaie, delle rosee dolomiti e dell’eccellente vino di Santa Maria Magdalena, [p. 130 modifica] ma anche di personaggi illustri, che coprono alte cariche nello Stato, se è vero quanto ci riferiva un nostro cortese informatore. La dabbenaggine degl’italiani sotto questo riguardo è fenomenale. Correggiamocene per evitare qualche risposta pungente, che ci lascerebbe sconcertati come quando in Bolzano una comitiva di nostri gitanti, dopo avere clamorosamente gridato il suo urrà all’Italia, vide a un balcone comparire una donna in lutto che, con ostentazione, vi distese un ampio drappo nero. Piccoli incidenti, che tuttavia sono frequentissimi e talvolta assumono caratteri di universalità. Subito dopo la pace i Bolzanini, essendo la città piena di truppe affabili, allegre e spenderecce, si affrettarono, specialmente le donne, a imparare qualche parola d’italiano, facendo acquisto delle nostre grammatiche. Dopo breve tempo i mercanti potevano tutti esprimersi abbastanza chiaramente nella nostra lingua. Ma quando una cerimonia politico-religiosa di Tedeschi (le cerimonie politiche dei Tedeschi ivi sono sempre anche religione) fu disturbata, e non senza loro provocazione, da un nostro atto violento, improvvisamente i Bolzanini e le Bolzanine, senza molto sottilizzare sul torto e la ragione, ma accampando d’essere stati maltrattati in una manifestazione di pietà, dimenticarono l’italiano, sicché i nuovi visitatori, arrivati dopo d’allora nella città per qualche mese credettero di trovarsi a Francoforte, a Monaco, o a Berlino. [p. 131 modifica] Questo della religione è un altro punto da meditare. I Tirolesi sono cattolici e cattolici ferventi in tutti i gradi della scala sociale, come dimostra anche il gran numero dei loro conventi ed educandati confessionali. Oltre poi al rito interno nelle chiese, essi amano le processioni, a cui intervengono tutte le scuole, maestri e scolari, con la massima compunzione, prendendo parte alle preghiere e genuflessioni secondo le norme dettate dal parroco; ciò non solo nei villaggi, ma proprio anche nelle borgate e città. Guai dunque a prendersi giuoco di tali usanze così radicate nella popolazione alto atesina, dando credito alla fama del nostro ateismo e del nostro massonismo, che lassù si reputano ancora la diabolica causa della prigionia per il sommo Pontefice! Eppure bisognerà bene un giorno o l’altro assumere posizione di combattimento contro quei preti, frati e monache, tutti tedeschi come una gran maggioranza dei maestri, e tutti ferocemente italofobi! È difficile per noi dare, in questa materia, suggerimenti al Governo, in specie perchè pensiamo che la religiosità degli Alto Atesini, oltre che l’esercizio d’un sacro diritto spirituale, è anche un mirabile strumento di benessere morale per essi; ma è giusto che la scuola sia sottratta all’ingerenza politica del sacerdote, se egli si serve del suo prestigio e della sua autorità contro di noi. Così pure, rendendo obbligatorio lo studio dell’italiano accanto al tedesco nelle scuole alto atesine (come nel [p. 132 modifica] nostro Ginnasio moderno e nel nostro Istituto tecnico accanto all’italiano è obbligatorio lo studio dell’Inglese o del tedesco), si chiuda l’ingresso nell’Alto Adige alle lauree conseguite in Austria o in Germania; lauree di medici, d’avvocati, d’ingegneri, di professori.

Con ciò non si farebbe azione oppressiva, ma semplicemente si custodirebbe e si tenterebbe di salvare un diritto nazionale, conforme a quanto avviene presso gli altri popoli. Eccoci al Clero. Imporgli l’uso della lingua italiana nella chiesa e dal pulpito è assurdo tanto più che in Val d’Aosta si consente l’uso della lingua francese; ma un controllo, almeno per la predicazione in pubblico, sarebbe pur necessario a impedire una propaganda nazionale perniciosissima, perchè compiuta sotto l’altare e all’ombra del Crocifisso. Se nel Trentino, massime oggi, almeno due terzi del Clero sono guadagnati alla causa nazionale; se l’altissimo Clero anche nelle diocesi più settentrionali è devoto all’italianità, non è meno vero che generalmente i religiosi tirolesi sono intolleranti e di mentalità ristretta, sicché l’abbandonare le redini su le loro spalle equivarrebbe a non venir mai a capo di nulla. Ripetiamo che non siamo in grado di suggerire metodi di politica nei loro riguardi e che dal nostro animo è lontano ogni pensiero settario: bensì additiamo il problema, invitando a cercargli una soluzione equa e ragionevole, tanto meglio se d’accordo col Vaticano. Il bene nostro [p. 133 modifica] anche qui sarebbe sinonimo del bene loro, non potendo essere conveniente a nessuno il protrarre lo stato di guerra tra Italiani e Tirolesi. E la medesima cosa dicasi per la nobiltà, in gran parte fedele all’Austria, anche se, qua e là, è imbevuta appunto d’idee luterane e riformistiche: ma è pur sempre bigottismo anche il suo, sebbene con altri obiettivi, e per guarirla della sua infermità, che in fondo è un acciacco di vecchiaia, bisogna infondervi sangue nuovo, attirandola nell’orbita dei nostri più vasti orizzonti, dove con tutto il rispetto al mondo della cultura tirolese si respira un’aria più moderna e più vitale.

All’epurazione e sorveglianza del Clero deve seguire di pari passo l’epurazione e sorveglianza della classe magistrale. Sta bene che ci siano ancora maestri di razza tedesca in Italia; indizio, per noi d’idee larghe: ma non insegnino nulla contro l’Italia. Che cosa sanno essi dell’Italia, se non le fandonie apprese in dominio straniero da libri stranieri? Stranieri e per giunta nemici; giacchè il Wieser può scrivere finchè vuole che le forme di conquista negl’italiani «superano i periodi del più brutale imperialismo»; ma la verità è un’altra, o per lo meno è molto diversa: prima della guerra i Tedeschi, soprattutto i Tedeschi del Tirolo, senza distinzione tra Nord e Sud, quando nessuno sperava tra noi, alleati dell’Austria, l’annessione dell’Alto Adige, ci odiavano ferocemente e durante la guerra hanno combattuto nelle trincee [p. 134 modifica] opposte a noi con le migliori forze dei loro battaglioni alpini. Nè parliamo dell’accanimento, con cui i Tirolesi, ricorrendo anche al bastone e alla rivoltella, si sono sempre opposti alla creazione di una Università italiana in suolo austriaco. Dimenticare? Ma è storia scritta con le nostre lacrime e col nostro sangue e solo la definitiva unione dell’Alto Adige al resto della Venezia Tridentina può cancellarla dalla nostra memoria. Stiamo attenti ai maestri dell’Alto Adige e, se è necessaria qualche dolorosa amputazione, compiamola con coraggio e con sollecitudine. Piuttosto, e non solo con le poche, insufficienti e disperse forze della Dante Alighieri o di alcune altre Istituzioni, ma anche con gli aiuti del patrimonio nazionale, vediamo di erigere molti asili per gl’infanti e molte scuole in specie professionali, d’arti e mestieri, nelle diverse città e borgate dell’Alto Adige; sarebbe insopportabile che dalla Ladinia i giovani fossero mandati per apprendere a disegnare o a scolpire in Monaco o in Vienna, come avveniva in passato (vedasi lo studio dell’Hammer su l’arte popolare in Val Gardena): ma Venezia, ma Vicenza, ma Trento, ma Roma, Firenze, Milano attraggano nei propri centri gli studenti di quelle regioni, mettendo le proprie Accademie in grado di corrispondere alle loro speciali esigenze d’arte, di vera arte applicata all’industria. Infine le recenti disposizioni di legge per l’insegnamento elementare devono essere applicate con energia anche maggiore di quelle, che i [p. 135 modifica] Pangermanisti ricorrendo a tutti gli artifizi stomachevoli usano per impedirle o frustrarle, massimamente proprio nella Ladinia.

Noi abbiamo tracciato a somme linee un abbozzo di programma per il Governo e per il Paese circa la propaganda da svolgersi nell’Alto Adige e nel resto della Nazione per una conquista spirituale e durevole della nuova Provincia. Si ricordi a questo proposito l’opera svolta parzialmente dall’Athesinum con scarsi fondi allo scopo d’industrializzare colà alcune nostre buone energie; ma che potevano fare cinque o sei uomini di buona volontà non sorretti dal favore della pubblica opinione e ignorati dalla gran maggioranza dei loro connazionali? Raccogliendo adesioni per l’Athesinum in questa città presso persone facoltose, non di rado le offerte ci vennero fatte con la raccomandazione che non si trattasse di qualsiasi forma d’impegno continuativo. Ecco il lato debole della nostra mentalità. Rifuggiamo da tutto ciò che può costarci una fatica e reclamare il nostro tempo, sottraendolo ai soliti affari e ai soliti spassi. E così si spiega che mentre la stessa Dante Alighieri dopo 32 anni dalla nascita in tutta Italia, paese di vincitori, si è formata un patrimonio di meno che tre milioni, il Deutscher Verband in pochi mesi dall’armistizio ha già raggranellato, se le nostre informazioni sono esatte, quasi soltanto nel Tirolo, paese di vinti, una fortissima somma.

Il Deutscher Verband... ecco il nemico. Un [p. 136 modifica] nemico che abbiamo lasciato entrare nel nostro campo a bandiere spiegate con una generosità piuttosto infantile e sciocca che ospitale. E insieme col Deutscher Verband abbiamo l’Andreas Hofer Bund, che ha presso a poco i medesimi intenti, salvo che, se non c’inganniamo, il primo è, almeno nel titolo, più diretta emanazione del Pangermanesimo, che aspira all’unione di tutt’i partiti di fronte al comune avversario, il secondo, dovuto alle personali iniziative dell’on. Nicolussi, diventa del Pangermanesimo una manifestazione localizzata e specializzata al Tirolo, donde penetra cautamente e ipocritamente, mantenendo scuole e pagando insegnanti, nell’Alto Adige. Il tutto, ammettiamolo, è studiato e attuato con maestria; la vecchia maestria alemanna, che non è per altro giunta a evitarsi, in fondo, le più amare delusioni.

E una delusione le starebbe assai bene anche ora. Se le due associazioni fanno qualche cosa contro l’italianità, bisogna risolutamente reciderle e scioglierle. Quando la Pro Patria parve in Austria uno strumento d’irredentismo troppo smaccato e potente non esitarono a disfarsene. E si disfecero, parzialmente, anche della Lega Nazionale, ritardandone lo svolgimento e soffocandone gli slanci. Confische, procedimenti penali, multe e prigionia furono spesso adottati come mezzi di repressione. Cosicché se non fosse stato ucciso a colpi di rivoltella l’arciduca ereditario per mano d’un fanatico, oggi saremmo ancora a faccia a faccia coi più [p. 137 modifica] spietati poliziotti austro-ungarici senza probabilità di liberazione e di riscossa. Non la polizia, ma il Governo per bocca de’ suoi organi più autorevoli, cioè le due Camere, dovrebbe porre un limite, se non un veto decisivo, alle propagande pangermanistiche che, morta l’Austria, col Deutscher Verband e l’Andreas Hofer Bund compiono opera di boicottaggio antinazionale nell’Alto Adige, già facente parte della monarchia austriaca.

Anche qui, in ultima analisi un’azione di tal genere sarebbe proficua tanto agl’italiani quanto ai Tirolesi, togliendo di mezzo un equivoco, di cui i Tirolesi, o quanto meno i pochi «intellettuali» che ne dirigono il pensiero, fanno uso abilmente ai loro fini. L’equivoco consiste in ciò: che sotto il regime italiano possa essere lecita in suolo italiano una campagna di calunnie contro l’Italia. Calunnie che i rinnegati su lo stampo di... (non nominiamolo, che sarebbe per lui, qui, un vanto!) vengono impunemente svolgendo ogni qualvolta sotto il nome tutelatore del Deutscher Verband e dell’Andreas Hofer Bund raccolgono intorno a sè le folle credule del contado e del sobborgo, senza che possa giungere agli orecchi de’ passivi ascoltatori alcuna voce di protesta contro le smaccate falsità degli agitatori stranieri. Stranieri, sì, perchè spesso non hanno nemmeno la nefasta, inconcepibile, iniqua cittadinanza delle ultime ore (una trappoleria, da cui Ministri e Parlamentari si son lasciati sorprendere per l’ingegnosità astutissima [p. 138 modifica] dei... colleghi alto-atesini) e perchè è straniero all’Italia chiunque chiede e promuove il male dell’Italia: e come straniero dev’essere pubblicamente perseguitato, finchè non si trovi nella condizione di non poterle più nuocere.

Epperò il Governo ha fatto malissimo, applicando coi Tedeschi intransigenti dell’Alto Adige la politica dell’indulgenza e della dolcezza (persino, si afferma, in occasione del censimento, abbandonato nelle mani di funzionari tedeschi senza controllo): siano essi raffinati diplomatici come il Toggenburg già presidente del Consiglio dei Ministri in Vienna, siano invece delle vecchie e dure teste di legno scolpito, incapaci d’arrendersi a ogni evidenza di modernità, come il Pierantoni... mille scuse... il Perathoner, sindaco di Bolzano, sono sempre da trattarsi come pericolosi: bisogna dunque metterli con le spalle al muro, acciocché si degnino di riconoscere che sono cittadini italiani, altrimenti sia fatto repulisti.

Ugualmente il Governo ha l’obbligo di provvedere all’azione neutralizzatrice del Pangermanesimo mediante una buona stampa. Nell’Alto Adige ci sono parecchi giornali per le varie classi sociali, ma sono tutti scritti in tedesco: ci sono parecchie librerie, ma vi si commerciano soltanto libri tedeschi. È stata chiusa anche la libreria intitolata a Dante, che sorse in Bolzano dopo l’occupazione e di cui furono a lungo direttori volontari due prodi ufficiali di complemento, il prof. [p. 139 modifica] Calamandrei e Franco Ciarlantini: chiusa per una serie di ragioni non tutte dipendenti dalla malavoglia dei Tedeschi a tenersi una simile spina in cuore. Ebbene, la si riapra questa libreria, e in luogo centrale della città, a qualunque costo. I Tedeschi dell’Alto Adige, quando vedranno che il Brennero li divide proprio per sempre dall’Europa centrale e dallo stesso Tirolo, troveranno utile e forse meno acerbo ritornare, come ne’ primi tempi, allo studio della nostra grammatica e alla lettura delle nostre pubblicazioni. E allora verranno più facilmente e più sovente tra noi, nelle nostre città, non solo da turisti, ma anche da commercianti per lo spaccio dei loro abbondanti e ottimi legnami, delle loro mele e pere stupende, dei loro vini eccellenti: faremo con essi e per essi delle mostre ed esposizioni, li persuaderemo che la nostra lira, se vale poco sul mercato del mondo, vale sempre molto di più della corona austriaca o del marco germanico, cosa che i Perathoner, i Toggenburg e i Nicolussi hanno avuto la malizia di far dimenticare, ma che non è senza significato e senza importanza.

Insomma, in terre che dànno i medesimi prodotti agricoli e sono rischiarate dal medesimo sole sotto una medesima limpidezza di cieli, la convivenza politica diventi non solo una possibilità, ma una necessità: diventi per virtù di concordie reciproche, diventi per sana opera di Governo e di cittadini: anche se il Governo è riluttante e [p. 140 modifica] irresoluto per se medesimo, l’opinione dei cittadini da ultimo lo smuoverà e l’opinione dei cittadini, come prima del 1914, sia illuminata dalla gran fiamma, che anima le fedi della Dante Alighieri.

Avancinio Avancini.

  1. Secondo notizie freschissime, la Commissione per la toponometria in Roma avrebbe già risolto favorevolmente il problema in questo senso.