La Lisistrata
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LA LISISTRATA D’A-
RISTOFANE. COMEDIA.
XI. ET ULTIMA.
Persona de la favola.
Lisistrata. | Calonica. |
Mirrhina. | Lampitò. |
Coro d’huomini vecchij. | Drace. |
Stinnodoro. | Coro de femine. |
Stratillide. | Preside. |
Messo d’i vecchij. | Ministro. |
Un’altra donna. | Cinesia. |
Un’Ateniese. | Fanciullino. |
Gli Ateniesi. | Laconici. |
Servidore. | Coro de Lacedemonij. |
lisistrata.
Li. Ma ò Calonica il cuor m’abruscia, e molto mi doglio di noi donne, che apo gli huomini siamo istimate malitiose.
Cal. Et in verità siamo cosi.
Li. E quando s’è detto à quelle che vengano qui per far consiglio, non d’una cosa da niente, elle dormono e non vengono.
Cal. Ma ò dilettissima veniranno, e la uscita de le donne è difficile, per ciò che una di noi è dimorata à torno a ’l marito, l’altra ha destato il famiglio, l’altra ha tolto su ’l fanciullo, l’altra l’ha lavato, l’altra gli ha dato da mangiare et fatto i bocconi.
Li. Tutta via v’erano altre cose à loro piu importanti di queste.
Cal. Che cosa gli è ò cara Lisistrata? à che cosa ne chiami tu mò noi donne? che cosa? quanto è grande il tuo da fare?
Li. Grande.
Cal. Forsi anche grosso.
Li. E per Giove grosso.
Cal. Poi à che modo non vegniamo?
Li. Non è questo il modo. perche subito saressimo venute insieme. ma il mio da fare è ispedito homai, e con molte veghie gli hò posto fine.
Li. Così poca, di modo che è salvezza à tutte le donne di Grecia.
Cal. A le donne? che di poco n’è andato via.
Li. E sono in noi traffichi de la cità, ò che non sono piu ne anche ne i Peloponesij.
Cal. Benissimo per Giove, che non siano dunque piu.
Li. E che tutti quelli de la Beozia sono morti.
Cal. Non tutti già, ma tuogli fuora le anguille.
Li. D’Atene poi non baiarò niuna cosa tale, ma sotto intendimi tu.ma se le donne sono qua tutte convenute, e quelle di Beozia, e quelle di Peloponeso, noi anchora communemente servaremo la Grecia.
Cal. Mò che cosa prudente ò notabile farebono le donne? che seguiamo colorate, che portiamo le vesti crocee, et ornate benissimo e cunicule, e le calzette, e belletti, e le tralucenti vestazzuole.
Li. Queste sono ben quelle cose che spero che hanno à servar la Grecia, crocee vestazzuole, et bussolini, e calzette.
Cal. A che modo mai?
Li. Che niuno di quelli huomini che hora sono a ’l mondo, contra di se istessi iscambievolmente pigli la lancia.
Cal. Io tingerò dunque, per le dee, la veste crocea.
Li. Ne che pigli il scudo.
Li. E non la spadetta.
Ca. Acquistarò le calzette.
Li. Dunque non bisognava che le donne vi fussero!
Ca. Non gia, per Giove, ma che vengano gia un pezzo volando.
Li. Ma ò meschina, vederai ben esse Atheniese à far d’ogni cosa molto piu dopò di quello che si conviene, ma ne ancho v’è niuna donna da Parili ne da Salamine.
Ca. Ma so ben che quelle per il fresco sta mattina hanno traghettato ne le gondole.
Li. Ne anche vengono qua quelle donne de gli Acharnesi, che io aspettava, e faceva conto che fosseno le prime.
Ca. La moglie di Theagene adunque, come per venir quà ricercava una barchetta, ma queste anchora vengono à trovarti, e quest’altre anchor vengono, oh oh, donde sono?
Li. Da Anagironte.
Ca. Per Giove quella Anagironte come spuzza, à mè pare ch’ella sia stata commossa.
Mir. Siamo forsi state noi 1’ultime à venire ò Lisistrata? che ditu, che tacitu?
Li. Non laudo Mirrina, che tu vegni hora per sì fatta cosa.
Li. No per Giove, ma aspettiamo per un poco di tempo, e che quelle donne de Beoti, e quelle de Peloponesi vengano.
Mir. Molto meglio tu dici, e già questa Lampitò vien via.
Li. O carissima Laconica Lampitò, i dei ti salvino, che bellezza si vede la tua ò dolcissima? e come sei ben colorita, e come è grasso e bello il tuo corpo, e soffoccaresti un toro.
Lam. Si ben penso pur in fè di Dio, mi essercito pur, e salto à le chiappe.
Li. E che bella cosa di poppe tu hai.
Lam. Come una bestia che mi manegia?
Li. Et quest’altra giovanetta di che paese è’lla?
Lam. Nobile e d’antico parentado per Castore e Polluce da la Beotia viene a voi.
Li. Per Giove ò Beotia tu hai un bel campo.
Lam. E per certo galantissimamente hò stirpato ’l polegiolo.
Li. Ch’è l’altra giovane poi?
Lam. Ella è ben gentile per i dei, et anchora di Corintho.
Li. Gentile per Giove. Si sà che’lla è circa a quelle cose che sono di là.
Lam. Chi hà poi ragunato insieme questa congregazione di femine?
Li. Questo io.
Li. Per Giove ò cara donna.
Mir. Di un poco che cosa hai tu di buono?
Li. Pur il direi, prima che’l dica, vi domandarò un poco questa picciola cosa.
Mir. Ciò che tu vuoi.
Li. Non disiderate voi che i padri de fanciulli stianui luntano ne l’essercito?
Mir. Ben so io, che havemo tutti noi il marito luntano.
Li. Al meno mio marito già cinque mesi, è luntano de qui, in Tracia ò meschino, che hà custodia di Eucrate.
Mir. E’l mio poi sette mesi hà, ch’è in Pilo.
Lam. E’l mio anchor che da la guerra sia venuto, ben armato, se ne và anchora via volando legiero.
Li. Ma de’l nome d’adultero non c’è lasciata una salivetta, perche, poi che i Milesij ne tradirono, non hò veduto ne Olisbo d’otto deda, che ne sarebe stato un agiuto di cuoio, voreste forse adunque s’io trovassi una invenzione, di guastar la guerra con meco?
Mir. Per le dee, io se ben mi bisogna anchora bevere in questo dì d’hoggi, questa vesta rotonda.
Cal. Et io anchora se ben paio come una passera, darei à spartir la metà di mè medesima.
Lam. Et io anchora andarei su fino a’l Taigeto, ove sarei per veder ogni modo la pace.
Ca. Dì la causa.
Li. Farete adunque?
Ca. Faremo se dovessimo ben morire.
Li. Bisogna adunque che noi s’astegnamo da’l membro de l’huomo, perche mi voltate le spalle? ove andate? ò voi perche mormorate di me , e mi sprezzate? perche il vostro color s’è mutato? perche vi vien giu le lagrime? farete ò non farete, ò che sete per fare?
Mir. Non lo farei per modo alcuno, piu tosto salti fu la guerra.
Ca. Non per Giove n’anche io, ma se ne venga pur la guerra.
Li. Qvesto dici tu ò passera. ma pur hora tu hai detto di straciarti via anchor la metà di te medesima.
Ca. Altro ciò che voi. Se mi fosse ben forza andar ne’l fuoco, voglio andar piu tosto a questo membro. perche non gli è cosa che sia di quella maniera ch’è’l membro de l’huomo, ò cara Lisistrata.
Li. Che ne dici tu poi?
Lam. Anchor io voglio ne’l fuoco.
Lam. Difficili cose ogni modo sono per i dei, che le donne dormano sole senza bestia. Pur tutta via se è conveniente desidero anche forte le paci.
Li. O carissima tu e sola di queste femine.
Ca. Se molto assai mò s’asteneremo noi, tu non dici gia che cosa n’averrà piu per questo.
Li. Si farà la pace.
Ca. Assai bene per le dee.
Li. Per ciò che se noi sedessimo in casa sbellettate, e con le vestazzuole di seta, andaressemo ignude havendosi fatto pelare il delta, à gli huomini verrebe l’appetito Venereo, e disiderariano di chiavare, noi poi non gli andaressemo,ma s’asteneressimo. Farebono tregua tosto ogni modo, che so certo.
Lam. Menelao adunque vedute apresso di se le poppe d’Helena ignude, tirò fuora, cregio, la spada.
Ca. Che poi se gli huomini lasciaranno noi ò meschina?
Li. Quello che dice Ferecrate, di scorticare una cagna scorticata.
Ca. Queste ciancie sono tutte imitationi, e se ne pigliaranno, et in casa per forza ne tiraranno?
Li. Tienti a la porta.
Ca. E se ne batteranno?
Ca. Se pur questo a voi par cosi, et à noi anchora.
Lam. E noi persuaderemo a i nostri huomini che faciano patto, che ciascuno giustamente conservi la mera pace. ma à la turba de gli Atheniesi chi sarebe che persuadesse, che’lla non inganni?
Li. Noi in verità de le cose che noi habiamo ti persuaderemo.
Lam. Non è forsi ancho puro argento apresso la dea, ove le navi hanno fretta?
Li. Ma questo è anchora ben parecchiato, che hoggi occuparemo la rocca, perche à quelle che sono piu vecchie è commandato di far questo, che noi ogni modo s’imaginiamo queste cose, mostramo di sacrificar pigliando la rocca.
Lam. Ogni cosa potrebe essere, et per ciò dici ben questo.
Li. E perchè non havemo subito subito congiurato queste cose ò Lampito, à ciò che stiano infrangibili?
Lam. Mostrami pur un poco ’l giuramento, che giuremo.
Ca. Lisistrata mò di che giuramento ne vuoi tu astringere?
Li. Di che giuramento? ne’l scudo come si dice in Eschilo, à quelle ch’ammazzano le pecore.
Ca. Non giurar mica su’l scudo ò Lisistrata cosa niuna de la pace.
Li. Qual giuramento adunque potrasi fare?
Ca. Se pigliaremo da qualche luoco un caval bianco, e glie li tagliaremo via.
Li. A che modo un caval bianco?
Ca. Ma à che mdoo giuraremo noi?
Li. Io per Giove diroloti, se vuoi, metteremo in una tazza del vin negro e grande, è sacrificaremo un cado di vin Thafio, giuraremo di non spargere aqua ne la tazza.
Ca. Oh giuramento indicibile quanto hò io voglia di lodarlo. Portimi quà alcun la tazza de là e la zucca.
Li. O carissime donne quanto grande è questa tazza de gli altri vasi fittili. Uno s’alegraria ben incontamente à tuorla. Metti giu questa, piglia il mio porco cingiale ò signora Pito, e la tazza cara. Fia benigna à le donne e piglia tu le bestie.
Ca. Colorito è pur il sangue, e sa di pece.
Lam. E pur hà buon odore, è suave per Castore.
Li. Lasciatemi ò donne prima giurar me.
Li. Pigliate ciascuna la tazza ò Lampitò. Et una di voi dica per tutte, quello che anchor io dico. Voi poi giurarete qveste cose medesime e le confermarete, non v’è niuno, ne adultcro ne marito.
Ca. Non v’è niuno, ne adultero ne marito.
Li. Chi venerà da me infuriato di libidine, dì.
Ca. Chi venerà da me infuriato di libidine. Oime si mi strupiano i ginocchi ò Lisistrata.
Li. A casa inviolata me ne viverò.
Ca. A casa inviolata me ne viverò.
Li. Portarò la vesta crocea e staromi ordinata.
Ca. Portarò la vesta crocea e staromi ordinata.
Li. A ciò che mio marito habia gran martello di me.
Ca. A ciò che mio marito habia gran martello di me.
Li. E mai volontieri obedirò a mio marito.
Ca. E mai volontieri obedirò a mio marito.
Li. E se mi costringerà contra à mio volere.
Ca. E se mi costringerà contra à mio volere.
Li. Con difficultà me gli darò ne le mani, e non me gli approssimarò.
Ca. Con difficultà me gli darò ne le mani, e non me gli approssimarò.
Li. Non a’l solaro alzarò le scarpe.
Ca. Non a’l solaro alzarò le scarpe.
Li. Non starò lionessa ne’l tirocnestide.
Ca. Non starò lionessa ne’l tirocnestide.
Li. Questo confermando pur, beverei de quì.
Li. E se io passassi di lungo, d’aqua s’empia la tazza.
Ca. E se io passassi di lungo, d’aqua s’empia la tazza. Di compagnia tutte voi questo giurate.
Mir. Per Giove.
Li. Hor su io consecrarò questa tazza.
Ca. Una parte ò compagna, a ciò che siamo subitamente amiche una co l’altra.
Lam. Che giubilatione?
Li. Queste cose sono quelle, non 1’ho io detto? le femine già hanno occupato la rocca de la dea. Ma ò Lampitò tu và pur, e quel che se ricerca da noi, metti ben à l’ordine,e lasciane qui costoro per sicurtà. E noi insieme con le altre che son nè la città, come vi siamo intrate, mettiamoli di compagnia i cadenazzi.
Ca. Non pensi tu forsi che gli huomini s’aggiuteranno incontanente contra di noi?
Li. Poco hò cura di loro. Non veniranno mica havendo ò minaccie ò fuoco, per aprir queste porte, se non per quello che noi habiamo detto.
Ca. Non per Venere, non mai. Per che altramente saremo chiamate donne senza ardimento et cattive.
Coro de gli homini vecchij: Vien inanzi Drace, va inanzi pian piano. e se ti duol la spalla porta solamente il carico de’l tronco de la verdegiante oliva.
Coro de le donne Bisogna affretarsi velocemente, come se’l fosse appizzato il fuoco. À me pare di vedere’l fumo ò donne.
L’altro mezzo coro de le donne Ma io hò paura di questo che per esser tardo de piedi non possa darvi agiuto. Per che adesso, che sta mattina hò impita la sedella, à pena toltami via da la fontana per il romore, et turba, e strepito de le sedelle, insieme con le massare, e serve segnalate, con fretta, togliendone da le mie de la terra abbrusciate, le porto de l’acqua per soccorrerle, che hò inteso et udito che sti insensati e vecchij huomini sono venuti co’l mal’anno loro, ch’hanno portato stizzoni, come che vogliano abbrusciare ’l bagno à la città, peso quasi di tre libre, che minacciano gravissime parole, che si sognan dar il fuoco à le scelerate femine, quali ò Dea non ti piaccia che le’vega abbrusicare, ma che siano liberate e da la guerra e da le furie, la Grecia e le citadine. Per le quali, ò tu che hai adorata la celata, difensatrice nostra, hanno occupate le tue sedie. Et te chiamo per agiutrice ò che sei nasciuta apresso à la palude Tritonia, se qualch’huomo le abbrusciarà, che porti de l’acqua con esse noi.
Stra. Lascia ò, che cosa è questa, ò huomini travaglijcosissimi, e rei? che questo non havrebon già fatto mai gli huomini da bene, et gli amatori de la religione.
Coro de le femine Che havete paura di noi? vi paremo forsi pur assai? e pur non vedete anchora la millesima parte di noi.
Coro de vecchij. O Fedria lasciaremo, che costoro ragionino tanto? non era ben fatto che uno le ligasse ad un legno, e battessele molto bene?
Coro de le femine Mettiamogli pur le sedelle anchor noi, à ciò che se un gli metterà la mano, non mi sia questo ne i piedi.
Coro de vecchij. Per Giove se alcuno havesse pistato ò due ò tre volte le mascelle di costoro come d’un bufalo, non haverian già loro voce.
Stra. Non di meno ecco, alcuno percotta, et io gli darò. E mai niuna altra cagna ti pigliarà i testicoli.
Coro de vecchij. Se non tacerai, io ti darò, et ti caverò la tua vecchiezza.
Stra. Tocca solamente Statillide co’l dito, valle à presso.
Coro de vecchij. Che poi, se ti toccherò con le dita, che mal mi farai?
Stra. Ti rosicarò il polmone, et ti cavaro le budella.
Coro de vecchij. Non gli è huomo piu savio d’Euripide poeta: che non gli è bestia a’l mondo si sfacciata, come sono le femine.
Stra. Alziamo su un secchio d’aqua ò Rodispe.
Coro de vecchij. Che poi ò da i dei odiata, per che sei venuta quà et hai portata l’aqua.
Co. Io l’hò, che voglio far una pilla, et abbrusciar le tue compagne.
Str. Et io l’aqua, per amorzar questa tua pilla.
Co. Tu ammorzarai tu’l mio foco?
Str. A man à mano io tè lo farò vedere.
Co. Non sai, se con questa facella (et posso) t’arrostirò?
Str. Se hai adosso sporcitia, io ti darò da lavarti.
Co. Tu mi darai da lavar tu, ò puzzolenta?
Str. E poi da sposo anchora.
Co. Havete sentito la sua prosontione?
Str. Io sono di libertà.
Co. Ti vietarò ben io questo gridore.
Str. Ma piu non giudicarai.
Co. Brusciale i capegli.
Str. A tè tocca ò Acheloo.
Co. O i mè’nfelice.
Str. Erala forsi calda?
Co. A che modo calda? non cessarai tu? che fai?
Str. T’adaquo, à cio che tu germoglij.
Co. Ma sono assciutto, et tremo.
Str. Dunque, poi che tu hai il fuoco, t’ascalderai da per te.
Messo de vecchi Che poi, se udisti anchor la costoro ingiuria? che n’hanno anchor fatto de l’altre ingiurie, e con le sedelle n’hanno lavato, di modo che è stato lecito squassar le vestazzuole, come se ne fosse stato pissato adosso.
Li. Niente voi levarete via, ch’io vengo da mia posta, che bisogna levere? per che non di levere piu bisogna, che di mente e di prudenza.
Mi. O da dovero scelerata che sei tu? ov’è ’l zaffo? pigliala e ligale di dietro le mani.
Li. E se poi il publico ministro mi mettrà l’ultima man’ adosso, per Diana ei piagnerà.
Mi. Hai havuto paura ò tu? non la piglierai tu à traverso? et tu anchor con costui andate tosto à legarla.
Stra. Per Diana venatrice , se mettrai solamente una man’ adosso a costei, ti sarà calcato su la panza, et ti saltara fuora la merda.
Mi. Eccoti che cacarai, ove l’altro zaffo? liga prima costei,per che’lla ciancia.
Str. Per Venere lucifera, se mettrai la man ultima adosso à costei, cercherai tosto la tazza.
Stra. Per Diana Taurica se verrai per costei, ti stirparò la barba à pelo à pelo, et i piangolenti capegli anchora.
Mi. Oime ’nfelice, il zaffo n’hà lasicato. Ma non bisogna mai che noi si sottoponiamo à le femine.
Li. Per le dee conoscerete certo che havemo anchora noi quattro compagnie de donne guerregiere di dentro armate.
Mi. Voltatele indietro le mani loro ò Scite.
Li. O nostre donne corrette da la interior parte ad aiutarmi, ò che vendete in piazza le sementi, i legumi, l’herbe, ò che vendete aglio, ò hoste. O venditrici di pane, non venete fuora? non ferirete? non n’agiutarete? non farete villania? non sarete sfacciate?
Mi. Chetatevi,ritornate, non vi spogliate. Oime se hà diportato male la mia compagnia.
Li. Ma che pensavi mai tu? hai forsi pensato di venir contra à qualche massare, ò pensi tu che le donne non habiano la colera aguzza?
Mi. Non per Apolline, et pur assai bene, se apresso vi sia l’hosto.
Co. d’huo. O Giove in che adoperaremo noi mai queste bestie? non sono mica queste cose da sofferire, ma bisogna che tu insieme con esso me cerchiamo, questo male donde viene, perche queste spontaneamente hanno occupata la terra d’Atheniesi, et il tempio sacro, per il quale, per essergli gran pietre, non si può andare à la rocca. Ma dimanda, non credere, et aggiungeli tutte le spie, per ch’è vergogna lasciar star di spionar questa cosa.
Pr. E pur da loro questo desidero di domandare per Giove primamente, perche causa di vostra bizzaria havete stangata la nostra cita.
Li. Per darvi il danar salvo, e perche non facciate guerra per quello.
Pr. Per il danaro facciamo noi guerra forsi?
Li. Et tutto ’l resto è confusione, perche Pisandro à ciò che havessi da poter robare, e quello ch’erano sopra à i magistrati sempre mescolavano qualche torbolatione, non dimeno costor facciano pur per questo ciò che vogliono, che non mi torranno mica piu questo argento.
Pr. Ma che farai.
Pr. Voi conservarete danari?
Li. Che gran cosa pensi tu ch’ella sia? non v’havemo noi riservati tutti quelli danari in tutti i modi, che sono di dentro?
Pr. Ma questo non è quel proprio.
Li. In the modo non è quel proprio?
Pr. Da questo bisogna guerregiare.
Li. Ma niente per la prima bisogna guerregiare.
Pr. Mò à che modo si servaremo altramente?
Li. Noi vi servaremo.
Pr. Voi?
Li. Noi sì.
Pr. La non glie và questa cosa.
Li. Ma tutta via bisogna perder tutto ciò.
Pr. Per Cerere non mi pare ’1 dovere.
Li. E da esser conservato ò fratello.
Pr. Anchor che non habia di bisogno?
Li. Per amor di questa cosa molto piu.
Pr. Voi donde havete mai havuto cura de la guerra e de la pace?
Li. Te lo diremo.
Pr. Dillo dunque tosto, se non vuoi piangere.
Li. Odi adunque,e sforzati di tener le mani a te.
Pr. Ma non posso, perche è cosa difficile per l’ira, tenerle à se.
Li. Tu piangerai dunque molto piu.
Pr. Questo pur o vecchia crocitarai à tè medesima.
Li. Cosi farò. Noi ne la guerra e ne’l tempo passato sostenevamo per nostra temperanza voi huomini; di ciò che haveste fatto, che non permettevate mica che noi citissimo, onde non ne piacevate. Ma havevamo ben gli occhi à dosso à voi, e sendo noi spesso di dentro, habiamo udito voi à consultarvi mal d’una certa gran cosa. Poi di mala voglia sogghignando di dentrò vi addomandarò: che consiglio havete voi fatto de le tregue, d’attaccarle hoggi à la colonna avanti a’l popolo? Che t’appartienti questo? (dice quell’huomo.) non tacerai? Et io taceva.
Un altra donna. Et io non havrei mai taciuto.
Li. Et havresti dunque pianto, se non havesti taciuto. Però adunque io taceva. Un’altro certo piggior consiglio havemo pur udito da voi. Poi domandavano, à che modo havete fatto questo cosi pazzamente ò huomo? Et egli subitamente guardandomi con un occhio intorto, diceve se non filarò il stame, piangerai stracciandoti la testa, e la guerra è à cura à gli huomini.
Pr. Bene egli dice, per Giove.
Pr. Voi noi? cosa grave dici bene, et non da esser gia tolerata da me.
Li. Taci, taci ò malvagio.
Pr. Ch’io tacia?
Li. E piglia un poco questi coprimenti à torno à la testa.
Pr. A ciò che hora non viva.
Li. Ma se questo t’impedisce, piglia questo coprimento da me, et tientilo, e circondatil’à torno à la testa. E poi taci. E questo cavagnuolo, e fila sottocinto, rodendo fave. E la guerra poi sarà à cura à le donne.
Co. Tolletevi ò donne via da i secchij, à ciò che particolarmente soccorriamo anchora noi à le amiche, che io non mi stancherei mai à saltare e ballare, ne la stanchezza mi pigliarà i genocchi faticosi. Et voglo mettermi ad ogni cosa con queste, che sono causa de la vertù. Che hanno ingegno, ch’hanno grazia, ch’hanno audacia, ch’hanno sapienza, ch’hanno vertù prudente amica à la cità. Ma ò venite con ira da le nutrici fortissime e da le madrecine ortiche, venite con ira, e non mitigatevi, perche ancora correte à segonda.
Pr. Che cosa haverete fatto?
Li. Se faremo cessar prima con l’arme i compratori e i pazzi, per Venere Pafia. Perche adesso in verità cò le olle e cò le herbe vanno per la piazza con l’arme à guisa de Coribanti.
Pr. Per Giove, cosi bisogna à gli huomini gaiardi.
Li. Tutta via la cosa è pur da ridere,quando havra’l scudo e la Gorgone e poii comprarà pesceti piccioli.
Un’al. do. Per Giove io hò pur visto un’huomo à cavallo con la bella zacciara, governator de’l suo popolo e tribu, et un altro di Tracia che squassava ’l scudo e ’l giacolo come Tereo: haveva paura di quella che vende i fighi, e mandava giu i fichi ben maturi.
Pr. A che modo adunque voi potete sedar molti turbati travaglij ne i paesi, e disfarli?
Cho. Molto facilmente.
Pr. Mostralo.
Co. de do. Si come d’una involgitura di filo, quando ne sarà intricata e turbata, pigliamo, et tiriamo giu à i fusi una parte in quà l’altra in là: cosi anchor questa guerra disfaressimo, se alcuno lo comportasse, distraendo per legazioni, parte in quà, parte in là.
Li. E pur voi, s’haveste qualche intelletto, da le nostre lane v’amministrareste ogni cosa.
Pr. Mò a che modo? fa ch’io lo vega.
Li. Prima bisognava ben, si come un garzetto di lana ne la lavatura quelli che lavano la sporchezza de la lana fuor de la cità, bastonar ne’l letto i ribaldi, et ammazzar quegli de la compagnia, e pettinar quelli che fanno cospirazione e che s’uccidono tra loro, e strassinarli ne i magistrati, e stirparli via la testa. Poi filarli in un cestelletto tutti à la commune benivolenza, immescolandogli i cohabitanti. E se alcon forastier sarà tra voi, e se alcuno è debitore à la Repub. anchor questi immeschiarli. E per Giove anchora la cità, quanto sono colonie di questa terra, ad esser conosciute, perchè havemo queste avanti come disvolgiture di filo, separatamente ciascuna cosa, e poi da tutte queste torremo la involgitura de’l filo, per adunarlo quà, e congregarlo insieme, e poi faremo il giro grande, e poi da questo popolo intesseremo una vesta.
Pr. Non è dunque cosa ingiuriosa che costor invenghino et involgino questo, che non hanno mai havuto partecipazion de la guerra?
Li. Non dimeno ò ribaldissimo piu che’l dopio esso portiamo. Primieramente partorendo e mandando fuora figlij armati.
Pr. Taci non t’arricordar de le’ngiurie.
Pr. Non s’invecchiano anchor gli huomini?
Li. Non per Giove, ma non hai detto una si fatta cosa. Perche se vien uno ben che sia canuto, incontanente hà tolto per moglie una giovanetta donzella. E de la femina breve è ’l tempo, e se non si piglia la occasione, non vi è niuno che la voglia per moglie, et ella aspettando consuma ’l suo fior de la giovanezza.
Pr. Ma qual è quello che hà possanza d’incitar Venere?
Un’al. donna. Tu poi che hai imparato qualcbe cosa, non finisci il corso de’l viver tuo? egli è tempo, compra il manico. Et io à man à mano impasto una fugazza co’l miele. Piglia questo, e sia incoronato. E ricevi questo da me, e recati questa corona. Di ch’hai bisogno? che desideri? vien ne la nave, Charonte ti chiama, e tu lo vieti partirsi.
Pr. Poi non è cosa molesta ch’io patisca questo? sì per Giove, ma andarò à farmi veder palesamente à i presidi de’l senato, à che modo io stò.
Pr. Non sono questi negotij molto ingiuriosi? Et parmi che s’accrescerà la cosa, hor’è da vindicar negotio da quelli che han li testimonij.
Co. de donne. Per le dee se mi eccitarai, io hormai aprirò fuora il mio porco, et hoggi ti farò gridare e chiamare tutti i vicini sendo lacerato. et noi ò donne spogliamosi presto à ciò che pariamo crudelmente accoracciate. Me ne vado, qualch’uno venga, che mai mangij aglio ne fava negra. però che se tanto maledirai (molto mi adiro) come scarabeo nutricarò te aquila partoriente.
Un’altra donna. Non mi curerei ponto di voi, se Lampitò fusse viva, e Ismenia Tebana cara giovane nobile. non ti saranno già le forze, nanche se fosti per deliberar tanto sette volte, ilquale ò misero sei odioso anchora à i vicini. onde e heri facendo io festa ludiera à Hecate chiamai da la vicinanza una bella giovane amica à i giovani, e grata anguilla da li Beotij. elli hanno detto che non la vogliono mandare per i toi decreti. et mai cessareste da li decreti, nanti che alcuno pigliandovi per una gamba vi precipiti e facciavi romper la testa. o principe di tal facenda e consiglio, perche sei uscita gramma fuor di casa?
Li. L’opere de le male donne, e la donesca mente mi fanno andar mal contenta di sopra e di sotto.
Li. Il vero, il vero.
Al. d. Che ti noia, dillo à le tue amiche.
Li. Stà male à dirlo, e è grave à tacerlo.
Al. d. Non mi scondere che male havemo patito.
Li. Desideriamo haver la cosa, onde senz’alcuno giro de parole ti parliamo.
Al. d. O Giove.
Li. che dici ò Giove? la cosa sta così. io certamente non piu le posso separare da gli huomini, perche fugono. hò trovata costei prima che divideva il forame, dove è la chiesia di Pan, un’altra con una ruota discesa giu, per una corda, un’altra che spontaneamente fugiva, l’altra che s’imaginava di volare giu in modo d’una passera l’ho strassinata ne i capilli di Orsiloco patrone, et pigliano ogni occasione, che se partino per andar à casa. hor viene una di costoro, dove corri tu quella giovane?
Don. Voglio gir à casa, che hò à casa lane Milesie rosigate da le tignole.
Li. Da che tignole? non anderai in dietro?
D. Ma venirò presto per le Dee, in tanto quanto t’estendi per il letto.
Li. Non t’istendere, ne andar in nessun loco, ma lascia andar in mal’hora le lane, se questo bisogna.
Al. Misera me, misera, ch’io hò lasciato il lino à casa senza scaglie.
D. Per la luna io me ne tornaro subito poi che l’havrò scorticato.
Li. E nò, è no ’l scorticare, se questo comminciarai tu, un’altra donna vora far il simile.
Al. d. O honoranda Lucina vietami da ’l parto, fin ch’io me ne vado in uno santo luogo.
Li. Che cianci tu?
D. Presto presto parturirò.
Li. Non havevi già hieri il ventre.
D. Hoggi hò il ventre. ma lasciami pur andar à casa prestissimamente, ò Lisistrata à la comare.
Li. Che parole dici? che durezza hai qui?
D. Un fanciullo maschio.
Li. Non per Venere, non tu certo, ma pare che habij non sò che concavità di metallo. saperò ben’io ò faccia da ridere se io hò questa celata sacra. dicevi tu che eri gravida?
D. Et son anche gravida per Giove.
Li. Perche hai dunque la celata?
D. Se ’l parto mi occupasse ne la cità, parturirei ne la celata andandoli sopra come fanno le colombe.
Li. Che dici? escusi manifeste cose? non aspetterai
le feste de la natività de la celata?
Al. d. Non posso n’anche dormire ne la cità, poi che molti dì fà vidi un serpente domestico.
Al. d. Et io da le civette muoro, sempre, che ne le vigilie gridano.
Al. d. Dimmilo, che dice?
Li. Tacete. Quando le rondini per paura in uno solo luogo fugiranno, fugendo le bube, et s’asteneranno da li faleti, pochi mali saranno, et l’altitonante Giove meterà di sotto le cose di sopra.
D. Staremo di sopra noi?
Li. Et se cessaranno le rondini e voleranno via fuor de’l sacro tempio, non più si vedrà n’anche una sola ucellina essere piu impudica.
Co. de d. Veramente ò dei tutti l’oracolo è manifesto, ne noi cessiamo, toleriamo, ma entriamo: è cosa turpe questa certamente ò care voi, se manifestiamo l’oracolo.
Coro de gli huomini. Vi voglio dire una certa novella, che udij io, sendo giovenetto. Era un certo giovane chiamato Melanione, il quale non volendo maritarsi andò a stare in luoghi solitarij, e abitava ne i monti, e pigliava lepori cacciando e stendendo reti, e haveva un cane: e mai ritornò a casa per l’odio che portava à le donne, et così le riffiutò. e noi niente manco siamo prudenti di Melanione.
Co. de huo. Et inalzando le gambe cò i calzi.
Co. de d. Tu porti una grande imboscata.
Co. huo. Et Mironide era aspera, cò ’l cul nero a tutti gli nemici,e così anche Formione.
Co. d. Anchor’io voglio iscambievolmente contarvi un’alta novella di Melanione. Un certo Tinione era rigido, havendo piena la faccia de spini inaccessibili, appendice da le furie, il quale se n’andò per odio havendo detto male de molti huomini, così iscambievolmente à la vostra, egli odiava molti sciagurati huomini sempre mai, et à le donne era carissimo. Vuoi che ti pianti un massellone?
Coro de huomini: A la fè non hò paura di te.
Coro de donne: Ti darò su le gambe.
Coro de huomini: Tu mi mostrarai la filippa?
Coro de donne: Non dimeno la vederesti, benche sindo io vecchia, quella è barbuta, pur à la lume hà hauta la pelaruola.
Li. Oime, oime donne venite quà da me presto.
D. Cbe gliè? dite, che gridore è questo?
Li. Vego un huomo impazzito che viene, intiato ne li sacri di Venere.
Al. d. O honoranda dea che signoregi Cipro e Citeri, e Pafo vien per la diritta via,ne la quale sei su.
D. Dov’è egli voglia che si sia?
Li. Presto a’l luoco de l’herba: ò per Giove gliè certo, chi è colui? vedetelo, lo conosce nessuna di voi?
Mir. Io si per Giove, egli è il mio Cinesia.
Mir. Veramente io ’l voglio fare.
Li. Et io spettandolo qui, l’ingannerò, et insieme il crucierò,ma partitevi.
Cinesia. Oime infelice che convulsione mi piglia, et che rigore,come s’io fusse cruciato su la ruota?
Li. Che guardiano è quello chi è dentro?
Ci. Io.
Li. Homo?
Ci. Homo certamente.
Li. Non ne anderai fuora d’i piedi?
Ci. Tu che sei, che mi vuoi cacciar via me?
Li. Ispiona e custode gia tempo assai.
Ci. Per amor di Dio chiamami qui Mirrina.
Li. Ecco ch’io te la cbiamo, et tu che sei?
Ci. Suo marito Peonide Cinesia.
Li. O Dio ti conservi carissimo, il tuo nome non è senza gloria appo noi, ne plebeio, che sempre tua moglie te hà in bocca et se l’haverà un ovo, ò un pomo, ella dice, vorrei che Cinesia havesse questo.
Ci. 0 di gratia.
Li. Per Venere et se qualche parlar sia à noi intravenuto da gli huomini, tuo moglie dice subito, che sono baie l’altre cose a rispetto di Cinesia.
Ci. Horsu chiamala un poco.
Li. Che mi darai tu?
Ci. Per Giove se la chiamarai, quello ch’io ho, te lo daro.
C. Presto pregoti chiamala, ch’io non hò gratia di vivere, poi che ella è venuto fuor di casa. Mi doglio entrando in casa, et ogni cosa mi pare abandonata, et non conosco nissuna gratia à i cibi, per che le son diritto.
M. Io gli voglio bene, io gli voglio bene, ma non vuole da me esser amato, et tu non mi chiamare ad esso lui.
C. O dulcissima Mirrinella perchè fai questo? vien quà giu.
M. Non per Giove ch’io non venerò costà.
C. S’io ti chiamo,non uenirai giu Mirrina?
M. Di niente havendo bisogno, tu mi chiami.
C. Chio non hò bisogno,anz’io son morto.
M. Anderò via.
C. E n’anche vuoi obedire a’l figliuolo? non chiami tu ò la, la tua mamma?
Fanciul. Mamma, mamma, mamma.
C. O tu che fai? non hai misericordia de’l fanciullino che non è lavato, ne lattato gia sei di.
M. Certo ne hò compassion, ma suo padre gli è negligente.
C. Vien giu ò buona femina per il fantolino.
M. Come à partorire bisogna venir giu.
C. Che degio fare? costei piu giovane mi pare esser fatta, et piu alegramente mi guarda, et ver me fastidiosamente si diporta, e si leva in soperbia. Questo è quello che mi ammazza di desiderio.
Li. Cbe fai cosi misera tu? obedisci à le altre donne. mi dai dolore.
C. Costei mi noia.
M. Non mi toccare,che quelle cose che sonno in casa et mie et tue, pegioremente le tratti.
C. Poco n’hò io cura di quelle.
M. Hai poca cura de la casa strassinata da le galine?
C. Per Giove le cose sacre di Venere non sono celebrate da me con teco per tanto tempo, non venirai?
M. Non per Giove, nò in verità, se non sarete riconciliatim et cessarete da la guerra.
C. Dunq; se gli parerà, anchora io v’anderò, e certo lo ho giurato. di gratia sta un poco meco per un pezzetto.
M. Per certo non voglio, non dimeno mai dirò ch’io non t’ami.
C. Tu mi ami? perche dunque non vuoi esser meco Mirrinetta mia?
M. 0 che sei da sprezzare cò ’l fantolino.
C. Non per Giove. ma portalo à casa ò matta, eccoti il fantolino nati à i piedi, et tu non voi star meco?
M. Qual è quel tristo che facesse questo?
C. Dove è questo bello di Pan.
M. In che modo anderia su io casta e pura ne la rocca?
C. Benissimamente per Dio lavata cò l’horologio da l’aqua.
C. Il toglio sopra di me, non ti curar de’l giuramento.
M. Horsu degio portare il nostro letticello?
C. Non, che ne basta à star in terra.
M. Per Apolline, non voglio che stij in terra, quantunque sei cosi fatto.
C. Hor mi vuol bene mia moglie, e cosi dimostra.
M. Ecco gettati giu frettandoti, ch’io mi spoglio, nondimeno voglio portar una stuora.
C. Qual stuora? a me nò.
M. Per Diana è cosa turpe sopra il vinculo del letto.
C. Lasciami basciarti.
M. Ecco.
C. Oime vien presto di gratia.
M. Ecco la stuora, gettati giu, ch’io mi spoglio, e pur non hai il piumazzo.
C. Non ho bisogno di nulla.
M. Per Giove, ma io.
C. Certamente ò Hercule questa bestia si diporta forestiermente. levati, salta su.
M. Io hò gia tutto.
C. Tutto certo? ò cuor d’oro.
M. Mi spoglio il petturino: ricordati non m’ingannare in quello che m’hai promesso.
C. Per Giove nò, possio morire.
M. Non hai la coltra?
C. Non certo, ne anche n’hò bisogno, voglio pur far quella faccenda.
C. L’huomo mi rovinerà per queste coltre.
M. Inalzati.
C. Questo è ben diritto.
M. Vuoi cbe t’inunga e profumi?
C. Non per Apolline, non di certo.
M. Per Venere, se vuoi, e se non vuoi.
C. Postu spander l’onguento, ò signor Giove.
M. Porgimi la mano, et piglia et ungiti.
C. Non è sovave l’onguento, non questo per Apolline, è se non tardativo e non sente di nozze.
M. Misera me ch’o hò portato il Rodioto onguento.
C. Bono. Lascialo stare ò misera.
M. Mi dai la baia havendolo.
C. Poscia morire malamente, che hà fatto questo onguento.
M. Piglia quest’alabastro.
C. N’hò io un’altro, sta giu matta, et non mi portar nulla.
M. Questo facio per Diana, et io mi scalzo, ma ò carissimo delibera che si pattegi.
C. Deliberarò. mi hà rovinato et afflitto mia moglie e in ogni cosa, e spogliandomi s’è fugita. Oime che degio far? quale chiavarò io? ingannato da la più bella di tutte, in che modo allevarò io costei à guisa d’un fanciullo? dov’è Volp’ocha? pigliami a nollo una rebeba.
C. O Giove grandi spasmi.
Co. de vecchij. Costei sciaguratissima, e sceleratissima e’ gli ha lasciato in dono.
C. Non per Giove,e anzi ella mi è cara e dolcissima.
Co. de vec. Che dolce? ella è scelerata, scelerata, in vero ò Giove, ò Giove, la potresti pur havere che intorchiandola et involtandola come uno sacco di paglia, con grande accoracciamento e fiamma la porta resti via, et la traeresti e gettaresti giu, onde’lla piglieria una stossura in terra, poi un’altra volta la ti circuiria il membro.
Prec. Dove è il senato d’Athene? ò Pritanesi, voglio canzonar non sò che di nuovo.
Pres. Tu che sei? sei huomo, ò satiro?
Prec. Son io il precone, ò huomo da bene per li dij, son venuto da Sparta per i patti.
Pres. E porti l’hasta sotto la lascena?
Prec. Non per Giove, non io per certo.
Pres. Dove ti volgi? che ti metti la veste denanti? hai male à i testicoli? per la via?
Prec. Gia non so quanti di se mi sono infiati per Castore.
Pres. Sei incitato ne la libidine huomo sciaguratissimo.
Prec. Non per Giove, non io certo, non fallar piu.
Pres. Che egli è dunque?
Prec. Scitala Laconica.
Prec. Tutta Lacedemone è diritta à la Venere, et tutti i compagni le sono incitati e dediti, gli bisogna una Pallene.
Pres. Onde v’è nasciuto questo male? da Pan?
Prec. Nò. ma credo fusse il principio Lampitò, poi le altre donne che sono in Sparta, le quali scacciavano da una donna gli huomini da le feminili vergogne.
Pres. Come state dunque voi?
Prec. Siamo dentro fin’ à gli occhij. andiamo per la cità come se portassimo la lume gobbi et inchinati, le donne le vergogne non si lasciano toccare, fin che non faremo tutti patto à la Grecia con una oratione.
Ateniesi. Questa cosa è congiurata in ogni luoco da le donne, ben il conosco, hor parla prestissimamente d’i patti de mandar quà legati che habiano autorità libera. Et io dico che bisogna elegere a’l Senato altri legati, mostrandoli questo membro.
Co. d. Voglio,imperò che dici tutte cose ottime.
Co. h. Nessuna bestia è piu inespugnabile de la donna, ne’l fuoco, ne alcuna par da impudente.
Co. d. Hai questa openione, et fai guerra? dimi, è lecito à me haver una amica ferma?
Co. h. Io non cessarò mai d’haver in odio le donne.
Co. d. Ma quando vorrai non ti rifiutarà sendo cosi nudo, imperò che io vego quanto sei da esser bertegiato, ma io venendo ti vestirò d’una veste.
Co. d. Primamente mi pari un'huomo, poi non da sbeffegiare, et se non mi fascesti dispiacere, io pigliandoti in presenza tua sta bestiola te l'haveria tolta, la quale adesso hai.
Co. h. Questo era che mi affligeva, l'anello, sbattilo fuori, poi mostralomi, che per Giove mi mordeva gli occhij.
Co. d. Farò io ogni cosa, quantunq; sij stato huomo difficile, certo t'è licito à vedere una gran cosa ò Giove de culici: non la vedi tu? non è questa una cianciala Tricorisia?
Co. de u. Certamente mi hai giovato, che gia molto tempo mi cavava come un fosso: onde poi che egli è cavato fuora, molte lachrime mi scorrono.
Co. d. Ben te le forbirò io, benche sei misero, et ti basciarò.
Co. u. Non mi basciare.
Co. d. Se vuoi ò non vuoi.
Co. u. Ma non venite à le hore, perche sete adulatrici naturalmente. et quella parola è detta bene et non male ne con perditissimi, ne senza perditissimi, ma fo con teco pace per adesso, e non mai piu. ne farò mal nessuno, ne sarò punito da voi, ma congregati insieme mettiamosi à cantare.
Co. u. Non dimeno questi legati vengono di Sparta poliendosi la barba, come una pertica che habiano fin’ à le parti vergognose. Dio vi salvi Laconi. dicete, come state?
Laconi. Cbe accade dir tante parole? bisogna vedere in che modo stemo sendo venuti.
Co. u. Questa calamità è fermata grandemente, scaldata pegior appare.
La. Inesplicabili cose, che potrà dir alcuno. ma veruno andando dove vuole ne ordini la pace.
Co. u. Non dimeno vego questi huomini di quella terra luttatori, farsi su la cappa, tal che appari l’essercitatoria cosa de’l male.
Atheniesi Che ne saperia dire, dove è Lisistrata? che non siamo quelli huomini.
Athe. Non per Giove, se questo facessimo saressimo spediti, e rovinati. onde se alcuno prestamente non ne racconcilia, non si teneremo che chiavaremo Clistene.
Co. u. Se havete mente, torrete su la cappa, à ciò che alcun’ Hermocopida non vi vega.
Athe. Per Giove ben dici.
La. Per i dei, horsu mettiamosi la cappa.
At. Dio vi salvi Laconici, havemo noi patito cose turpi.
La. O cose gratiose. noi haveressemo patito anchor noi gran cose, se gli huomini n’havessino veduti à menare le bestie.
At. Horsu Laconici, bisogna dir diffusamente, che sete venuti à far quà?
La. Siamo legati d’i patti.
At. Ben dicete voi, et noi il simile, che staimo à fare che non chiamiamo Lisistrata? la qual sola ne consolaria e conciliaria.
La. Per i dei se volete Lisistrata.
At. Ma non bisogna come parmi chiamar nissuno, che costei subito che hà udito, la vien fuora. Dio ti salvi ò fortissima de tutte, bisogna che sij costante, da bene, severa, lusinghevole, per provar à molte guise: impero che i primi de Greci pigliati da le tue carezze sono venuti da te, et insieme hanno commesso ogni strasordine.
At. Et io moro incitato e infiamato ne la libidine.
At. Costoro fanno ingiustamente ò Lisistrata.
La. Ingiustamente sì. ma il tomaso è inesplicabile e bello.
Li. Pensi tu che gli Ateniesi vi lasciaranno stare? non sapete quando i Laconici, portando voi le servili vesti, venero, e con lancie ammazzorno molti huomini Thessagliani? e loro soli dandosi agiuto liberarono in quel solo di molti altri Hippij e compagni, et in vece di pallio servile, vestirono di clamide il popolo vostro.
La. Mai vidi piu eccellente donna.
At. Et io mai nissuna panza piu bella.
Li. Che dunque guerregiate sendovi tanti e boni beneficij? che non cessate da la malvagità? e che non vi reconciliate? horsu che v’impedisce?
La. Noi volemo, se pur alcun ne darà il pallio rotundo.
Li. Qual’ò bon compagno?
La. Pilo, si come l’havemo dimandata.
At. Non per Giove, non farete questo.
Li. Lasciala à loro huomo da bene.
At. E poi quale moveremo?
Li. Domandatene un’altra cosa.
At. Datene dunque Echinonte,e poi il seno Meliese, e le gambe Megarice.
Li. Non per i dei, non tutto ò huomo da bene.
At. Hor voglio arare nudo e spoliato.
La. Et io stercorar la terra primamente per li Dij.
Li. Poi che sarete conciliati, et haverete fatto i patti farete questo. et se vi pare far questo, consigliatevi e andate a communicarlo cò i compagni.
At. 0 tu con che compagni? siamo incitati da la libidine. non pareranno qeulle istesse cose à i compagni nostri, d’haver à far con tutte? per i dei, à li nostri.
At. Per Giove, à i Caristij.
Li. Ben dicete. dunque à ciò che castamente vi diportiate, et che noi donne vi allogiamo ne la cità con quello che havemo ne le ciste, datevi il giuramento e la fede iscambievolmente, e poi ogniuno pigliandosi sua moglie se n’andarà.
At. Ma andiamo tosto tosto.
La. Horsu come vuoi?
At. Per Giove prestissimamente.
Servo. Apri la porta, non vuoi farti indietro? che state quì à sedere? volete che vi abbrugi con la facella? il luoco è molesto, non farei certo. ma se bisogna far questo, facendovi cosa grata, s’affligeressimo ogniuno.
Co. Noi con teco s’affligeremo.
Ser. Non vi partirete? piangere che i capelli vi saranno islongati, non vi partirete? à ciò che i Lacedemonij da la parta piu dentro, se ne vaghino per riposo havendo mangiato.
At. Non anchora io hò veduto tal convivio, et li Laconici han fatto galante, e noi ne’l vino siamoci stati compagni dolcissimi.
Ser. Hor tornano costoro un’altra volta à quella cosa medesima. Non andarete à le forche ò asini? per Giove anchora vengono fuori.
La. Piglia homo da bene le tibie inflatorie, che io voglio ballare e cantare gentilmente à favore de gli Ateniesi e nostro.
At. Piglia di gratia le tibie per li dij, ch’io m’alegro vedendovi à ballare.
La. 0 Memoria incita la tua musa à i giovani la quale ben conosce voi e gli Ateniesi, quando elli assomiglianti à un Dio convincevano Artemisio à le cose honeste, et vinsero i Medi: et ne condusse noi Leonidi come porchi cinghiari agucciando penso il dente, e molta spuma m’andava giu per le gambe, et v’erano d’i Persi non mano numero che d’arena. ç salvatica Diana fericida vien quà virgine Dea à i patti, che ne ritegni noi per molto tempo. Et adesso e sempre l’amicitia sij abondante de patti, e liberiamoci da le accarezzevole volpi, ò vien quà, ò vieni cacciatrice Vergine.
Co. de Laconi. O musa lascia un poco il desiderato Taigeto, vien ò Laconiese à celebrare in Amicle l’honorato dio Apolline e Minerva Calcieca, e i galanti fratelli Castor e Polluce, che combattono presso à l’Eurota. Eia entra di gratia, ò ia leggiermente squassandoti e ballando. O celebramo Sparta à cui sono à cura i chori de li Dei e ii ballore e muover de piedi. Le giovanette vergini presso l’Eurota crolanosi frequentemente, frettandosi cò i piedi, et le chiome si squassano, come de le Bacche che volgeno i Thirsi, et che ballano. Egliè presidente la santa figlia di Leda, speciosa e bella Capitania de la compagnia. Horsu acconciatevi la chioma con la lenza in groppo con la mano. salta cò i piedi come farebbe un cervo, e fà il plauso conveniente à la chorea, e celebra la Dea ottima Calcieca, e guerregiatrice.
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